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Alla ricerca di Marcel Proust/Capitolo 25

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Indice del libro

Prime reazioni critiche, dal 1922 al 1950

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Riflessioni e studi sulla prima ricezione critica di Proust sono (quasi) vecchi quanto la ricezione stessa: già a metà degli anni Venti furono pubblicate panoramiche critiche sul successo di Proust in Francia. Un'altra specificità ha a che fare con la pubblicazione postuma della maggior parte dei volumi, poiché il dibattito attorno a À la recherche du temps perdu si svolse mentre venivano pubblicate le ultime tre parti della Recherche: La Prisonnière (1923), Albertine disparue (1925), Le Temps retrouvé (1927), come anche il volume Chroniques (articoli raccolti, pubblicati anch'essi nel 1927), raccolte di lettere e la Correspondance générale (1930-6). Questa concomitanza spiega sia l'interesse che i limiti di molti articoli e libri che hanno seguito la morte di Proust. Inoltre, la pubblicazione nel dopoguerra di Jean Santeuil (1952) e Contre Sainte-Beuve (1954) cambiò in modo decisivo la percezione della nascita della sua opera e gettò nuova luce sulle prime analisi.

Prima edizione de À l’ombre des jeunes filles en fleurs (1919) – PDF sfogliabile

Si dice spesso che, mentre À la recherche è oggi considerato il capolavoro della letteratura francese moderna, Proust non fu riconosciuto prima degli anni ’60; ma uno sguardo alla prima accoglienza mostra quanto sia semplicistica questa concezione. À la recherche fu un successo commerciale nel 1919, quando Proust ricevette il Premio Goncourt per À l’ombre des jeunes filles, e i critici furono unanimi nel rendergli omaggio quando morì nel novembre 1922. Tuttavia, la sua fortuna diminuì un po' in Francia, negli anni ’20 e ’30, mentre Proust fu lentamente scoperto in altri paesi; dopo la guerra, la sua opera tornò alla ribalta e fu ampiamente tradotta. La prima accoglienza di Proust potrebbe quindi essere simboleggiata da una spirale, che combina momenti di favore e periodi di oblio o critica negativa.

Riconoscimento, controversie e disaffezione in Francia 1922-1940

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Subito dopo la morte di Proust nel novembre 1922, il volume NRF, Hommage à Marcel Proust (1° gennaio 1923), apparve come un tributo eccezionale allo scrittore e diede vita a un discorso critico consensuale, che spiega l'origine di molti argomenti che sembrano naturali nella critica successiva. À la recherche du temps perdu, in particolare, è visto come un libro unico e un capolavoro che combina analisi psicologica (sul tempo e la memoria) e osservazioni sociali, sensibilità e intelligenza; Proust è spesso paragonato a Balzac e, in particolare, a Montaigne, da Lucien Daudet e Fernand Gregh, ad esempio. Va notata un'importante omissione: il volume NRF evita questioni di genere e omosessualità.

Viene presentata al lettore una doxa accettabile; ma anche preziose intuizioni, che verranno esplorate negli anni successivi: il rapporto con il modernismo, con lo spazio (André Ferré, Géographie de Marcel Proust, 1939), con la psicoanalisi (Jacques Rivière, Quelques Progrès dans l’étude du coeur humain, 1927; Charles Blondel, La Psychographie de Marcel Proust, 1932), ma anche la musica e la metafisica (Jacques Benoist-Méschin, La Musique et l’immortalité dans l’oeuvre de Marcel Proust, 1926; Jean Pommier, La Mystique de Proust, 1939), estetica (Emeric Fiser, L’Esthétique de Marcel Proust, 1933), genesi (Albert Feuillerat, Comment Marcel Proust a composé son roman, 1934) sono affrontati da critici degli anni Venti e Trenta, come anche stilistica, questioni di genere e il rapporto con il romanzo moderno (seguendo ‘Marcel Proust et la tradition française’ di Albert Thibaudet, nel volume NRF del 1923). Tuttavia, molti testi si sono concentrati sul legame tra la vita di Proust e la sua opera, in brevi saggi raramente interessanti quanto Marcel Proust: sa vie, son oeuvre (1925) di Léon Pierre-Quint, che merita ancora di essere letto come documento storico.

L'importanza di Proust è dimostrata dall'elenco degli autori che hanno scritto sulle sue opere durante lo stesso periodo, come Alain, Barrès, Bataille, Bernanos, Brasillach, Claudel (uno dei critici più ostili), Cocteau, Gide, Giraudoux, Larbaud, Mauriac – così come, in inglese, Beckett, Conrad, Woolf e vari scrittori americani residenti a Parigi. La maggior parte sono entusiasti; alcuni, più o meno ambivalenti: ad esempio, sono famosi i primi pregiudizi di Gide, ma poi mostra un grande interesse per la Recherche, prima di esprimere infine critiche sulla rappresentazione dell'omosessualità da parte di Proust e sulla sua (presunta) ipocrisia. Sartre, da parte sua, considera il trattamento della psicologia in À la recherche come tipico di uno scrittore borghese, ma è più indulgente negli ultimi anni; e L’Être et le néant riconosce nel 1943 l’importanza dell’analisi sulla "pluralità successiva degli ‘io’".[1]

Così, Proust sembrava istituzionalizzato nei primi anni Venti. I suoi testi sono pubblicati in antologie per le aule scolastiche, nel volume di Benjamin Crémieux su Le XXe siècle (1924), e la sua reputazione raggiunge l'apice nel 1925, ma rimane anche oggetto di polemiche, riguardanti il ​​suo stile (talvolta denigrato per la sua presunta preziosità), la pubblicazione di un Temps retrouvé incompiuto e i numerosi errori di battitura nella prima edizione. Anche la presenza pervasiva dell'omosessualità e il tono degli ultimi volumi sono criticati, alcuni attacchi sono basati sulle sue lettere pubblicate all'epoca. Gradualmente, verso la fine degli anni Venti, l'accoglienza cambia e non è più così propizia come prima; poi l'interesse aumenta di nuovo nei primi anni Trenta, quando la pubblicazione dell'intera Recherche offre una visione completa del risultato di Proust; ma alla fine degli anni Trenta prevalsero le critiche negative, come dimostra la valutazione di Douglas Alden, in Marcel Proust and His French Critics (1940).

Lento riconoscimento all’estero

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Il volume NRF conteneva testi scritti da critici stranieri: dalla Germania (Curtius), dall'Italia (Cecchi), dalla Spagna (Ortega), dall'America e dalla Svezia, oltre a quattro testi di critici britannici, uno dei quali era un omaggio collettivo. Nel Regno Unito, in particolare, tra tutti i paesi, Proust è stato immediatamente e costantemente osannato.[2] La sua memoria fu celebrata poche settimane dopo la sua morte in Marcel Proust: An English Tribute (1923), curato da C. K. Scott Moncrieff, la cui traduzione di À la recherche è stata pubblicata tra il 1922 e il 1930, ad eccezione di Le Temps retrouvé, tradotto da Stephen Hudson (alias Sydney Schiff) e pubblicato nel 1931. Proust è celebrato come l'erede più compiuto di una brillante tradizione francese. In generale, critici e commentatori (ad esempio Woolf e Forster) acclamano l’opera di Proust, anche se alcuni ne denunciano lo stile o l’egoismo, come D. H. Lawrence o Aldous Huxley. Pubblicato poco dopo Proust di Clive Bell (1928), il volume di Samuel Beckett (1931) resta uno dei più decisivi: contiene importanti riflessioni sul tempo, i personaggi, le abitudini, la musica e la filosofia (soprattutto attraverso un confronto con Schopenhauer).

In Germania, gli articoli di Curtius del 1922-5 e il suo Marcel Proust (1925) sono molto influenti sulla critica tedesca, mentre l'omaggio di Zweig del 1925 (in Austria) attira l'attenzione dei lettori sulla vita di Proust. La traduzione, di Rudolf Schottlaender, della prima parte, nel 1925 (i. Der Weg zu Swann, ii. Im Schatten der jungen Mädchen, 1926) e poi nel 1930 (Die Herzogin von Guermantes) precede immediatamente gli studi accademici, nel 1930-7, che affrontano l'impressionismo e il classicismo, Bergson, la struttura e lo stile. Tra i critici più in vista, vanno menzionati gli articoli di Auerbach (1927) e Leo Spitzer (in Stilstudien, 1928), di Walter Benjamin (‘Zum Bilde Prousts’ [‘L’immagine di Proust’], 1929), che tradusse anche Sodome. Ma il regime nazista interruppe la pubblicazione delle traduzioni e gli studi accademici non furono numerosi, la reazione di molti intellettuali spaziò dall’indifferenza alla sfida.[3] Una cronologia simile può essere stabilita in Italia, dove i primi studi critici dedicati a Proust, incentrati su estetica e psicoanalisi, furono pubblicati nel 1933: Proust di Francesco Casnati e Proust: Arte e conoscenza della mia concittadina Lorenza Maranini. I primi articoli avevano già reso omaggio a Proust, nel 1922-25, tracciando paragoni con scrittori famosi, francesi (Montaigne, Bergson) o europei (Dostoevskij), la maggior parte dei quali erano argomenti comuni in altri paesi. Ma, secondo Carlo Bo, prima degli anni Quaranta il contesto letterario italiano non era favorevole a Proust: egli non era in grado di influenzare molti scrittori italiani, per i quali la questione non era tanto di una possibile rivoluzione del romanzo, quanto della scelta del genere romanzesco stesso, contro la ‘prosa artistica’,[4] che prevaleva in quel periodo.

Fuori dall'Europa, si può pensare al Sud America, dove una traduzione di Pedro Salinas fu pubblicata dal 1920 in poi. Testi critici furono talvolta scritti in Europa (Alfonso Reyes, ad esempio, visse a Madrid fino al 1924), o pubblicati lì, come l'analisi di Ortega y Gasset su tempo e distanza nel volume NRF (1923). Ma la ricezione negli Stati Uniti è meno studiata. Tuttavia, non fu ritardata (come spesso si dice), rispetto al Regno Unito: Swann in traduzione inglese fu pubblicato nel 1922, Jeunes Filles e Guermantes nel 1924-5, e (come osserva Elyane Dezon-Jones) il primo estratto di À la recherche tradotto in inglese fu pubblicato non da una rivista britannica, ma da una americana (The Dial).[5] Tuttavia, a differenza del Regno Unito, i critici americani prestarono attenzione a Proust soprattutto dopo la sua morte, quando Sodome suscitò scandalo e incontrò successo. Poi, nel 1932, Le Temps retrouvé fu pubblicato negli Stati Uniti nella traduzione di F. A. Blossom; la concorrenza con la traduzione di Hudson fu vantaggiosa per Proust.

Oltre alla critica britannica, la ricezione di Proust è mediata anche da scrittori e giornalisti americani residenti a Parigi, lettori della Recherche in francese: Ernest Hemingway, Natalie Clifford Barney, Faulkner, Fitzgerald, Gertrude Stein, per citarne solo alcuni tra gli scrittori che hanno scritto su Proust e hanno ammesso la sua influenza o le somiglianze tra À la recherche e le loro opere, un'ammissione fatta in seguito anche da Jack Kerouac. Tra gli studi critici, si dovrebbero menzionare Five Masters (1930) di Joseph Krutch e Axel's Castle: A Study in the Imaginative Literature of 1870–1930 (1931) di Edmund Wilson. Essi precedono la prima ondata di critica accademica, dal 1932 in poi,[6] affrontando psicologia, arti, società, memoria, confronti con Bergson e Saint-Simon, genesi (Feuillerat, ad esempio, insegnava alla Yale University e il suo libro ebbe un profondo effetto sulla critica americana). Alla fine del decennio vengono pubblicate le prime rassegne critiche, come Proust and His French Critics di Alden (1940).

Anche se la maggior parte di questi libri sono ormai obsoleti, alcuni restano dei classici negli studi proustiani; inoltre, meritano la nostra attenzione come fondamenti della critica proustiana e come testimoni della costruzione di tutti i cliché che circondano l’opera di Proust.

Dopoguerra: 1945–1959

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Nonostante Louis Martin-Chauffier (‘Proust et le double “Je” de quatre personnes’, 1943) e Ramon Fernandez (Proust, 1943), prevalse allora l’idea che l’opera di Proust fosse anacronistica. Ma l’ingiunzione di Étiemble (‘Qu’il faut relire Marcel Proust’, 1941)[7] fu realizzata dopo la guerra, grazie sia al grande successo di À la recherche de Marcel Proust (1949) di André Maurois, che mescola ricordi e analisi, e cita le prime opere di Proust; sia alla pubblicazione di Jean Santeuil (1952) e Contre Sainte-Beuve (1954), che ebbero un ruolo importante.[8] Nello stesso anno, l’edizione Clarac-Ferré di À la recherche du temps perdu fu pubblicata da Gallimard, nella prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade, stimolando la critica proustiana e offrendo una migliore base per le traduzioni.

In questo periodo vennero pubblicati libri diventati dei classici del settore, come Forme et signification di Jean Rousset (1955, per le prime versioni), Le Livre à venir di Maurice Blanchot (pubblicato nel 1959, alcuni saggi risalgono al 1954 e riprendono Jean Santeuil), nonché gli studi sul tempo (Poulet, Études sur le temps humain, I, 1950), la psicologia (Bonnet, Le Progrès spirituel dans l'oeuvre de Marcel Proust, 1946–9), spazio e solitudine (Claude-Edmonde Magny, Histoire du roman français depuis 1918, 1950), umorismo (Donze, Le Comique dans l'oeuvre de Marcel Proust, 1955; Mansfield, Le Comique de Marcel Proust, 1952), stile (Louria, La Convergence stylistique, 1957; Mouton, Le Style de Marcel Proust, 1948), e letture filosofiche con Emmanuel Levinas (L'Autre dans Proust, 1947), Delattre (Proust et Bergson, 1948) o Newman (Marcel Proust et l 'existentialisme, 1953); in inglese: Strauss (Proust and Literature: The Novelist as Critic, 1957), sulla critica di Proust, e Chernowitz (Proust and Painting, 1945). La maggior parte di essi studia argomenti e questioni già analizzati negli anni ’20 e anni ’30: c'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire nell'opera di Proust, anche seguendo percorsi (apparentemente) simili che conducono più lontano.

Come in precedenza, gli scrittori resero omaggio a Proust nei romanzi e nelle opere di narrativa, come Claude Simon (già nel 1945 in Le Tricheur e La Corde raide, 1947) o Nabokov (Lolita, 1955; il progetto di Ada, pubblicato nel 1969, iniziato alla fine degli anni Cinquanta); o, privatamente, in lettere (come Valéry), ed esplicitamente, in saggi: Bataille, ancora una volta (La Littérature et le mal, 1957), Butor (che scrisse pagine sugli esperimenti estetici nel 1955, poi pubblicate in Répertoire I, 1960), Camus, molto elogiativo in L’Homme révolté (1951), e Sarraute (L’Ère du soupçon, 1956) – l’avvento del Nouveau Roman fu favorevole a Proust, che ottenne un nuovo status di antenato della scrittura moderna.

Anche in altri paesi si osservò una rinascita, o una nascita, dell'interesse per le sue opere, come dimostrano il crescente numero di studi e nuovi progetti di traduzione. In Italia, Proust non era più visto (almeno non solo), come uno scrittore singolare, al di là di imitazioni e influenze per gli scrittori. Il numero di traduzioni è significativo: À la recherche fu pubblicato in italiano tra il 1946 e il 1951 (coinvolgendo sette traduttori), contemporaneamente a Les Plaisirs et les jours (1946) e La Bible d'Amiens (1946), prima di Jean Santeuil (1953) e una selezione di lettere (1958); estratti da altre opere o dalla stessa Recherche sono pubblicati separatamente da distinti traduttori nello stesso periodo. Questa accelerazione stimolò reazioni critiche. Alcune furono ostili: nel 1945, Benedetto Croce denunciò il "decadentismo storico" di Proust (il suo giudizio si basava su semplificazioni riguardanti Proust e Bergson, che non aveva approfondito seriamente); ma la rivista Letteratura (1947) rese omaggio a Proust a venticinque anni dalla sua morte e Giacomo Debenedetti suggerì nuove prospettive critiche nei suoi Saggi critici (1952), seguiti da studi su temi (Tita del Valle, 1951), intertestualità, genetica testuale (Gianfranco Contini, su Jean Santeuil, 1952), filosofia ed estetica (Elemire Zolla, 1952; Vittorio Mathieu, 1959). Lo stesso tipo di iniziative editoriali furono avviate in Giappone, dopo una precedente traduzione parziale dei primi volumi (fino a Guermantes I, nel 1935). Una traduzione completa fu pubblicata nel 1953-5, precedendo due iniziative simili, dopo il 1960, una delle quali di Kyuichiro Inoue, professore all'università di Tokyo e attivo nella ricerca genetica dagli anni Cinquanta in poi.

La situazione non era la stessa nell'Europa settentrionale, dove le traduzioni erano tardive e incomplete, il che spiega il debole interesse dei lettori prima degli ultimi decenni del ventesimo secolo. In Svezia, ad esempio, la prima traduzione (Swann, 1930) non fu impeccabile e solo pochi studi furono pubblicati dopo la guerra (K. Jaensson, 1944; M. Tuominen, 1949). In Olanda, a parte Simon Vestdijk, scrittore e poeta che produsse numerosi testi su Proust dagli anni ’30 in poi, l'accoglienza critica fu molto limitata, a volte ostile (per motivi religiosi e politici), e la traduzione di À la recherche non iniziò prima degli anni ’60. Anche in Germania, una traduzione completa (e nuova) fu pubblicata solo nel 1953-7 (da Eva Rechel-Mertens), dopo che una famosa casa editrice (Suhrkamp) riprese il primo (e interrotto) progetto. Nello stesso periodo furono pubblicati importanti studi di Jauss (sul tempo, Zeit and Erinnerung, 1955) e Adorno (saggi in Noten Zur Literatur, 1958).

A questo proposito, la ricezione nel Regno Unito e negli Stati Uniti è peculiare, perché è rimasta continua; in entrambi i paesi, il numero di studi è addirittura aumentato negli anni ’50. Nel Regno Unito, F. C. Green (a partire da The Mind of Proust, 1949) e J. M. Cocking (Proust, 1956) sono stati due degli studiosi più famosi. Negli Stati Uniti, Proust è stato più spesso insegnato nelle università da nuovi "specialisti proustiani", e gli studi proustiani hanno beneficiato di libri importanti: Philip Kolb ha pubblicato il suo dottorato di ricerca nel 1948 ("La correspondingance de Marcel Proust: chronologie and commentaire critique"), che costituisce la base della successiva pubblicazione di volumi separati di lettere, prima del grande progetto della Correspondance (1970-93). Germaine Brée, professoressa nel Wisconsin, pubblicò nel 1955 una traduzione inglese del suo importante saggio Du temps perdu au temps retrouvé (1950), dopo un numero speciale di Symposium (1951) e un'edizione annotata di Combray nel 1952. Il 1959 appare come un climax, poiché è l'anno della pubblicazione (nel Regno Unito e negli Stati Uniti) del primo volume della biografia scritta da George Painter, decisivo per gli studi in lingua inglese.

Sembra quindi che il riconoscimento di Proust come maestro del romanzo moderno sia più consolidato di quanto si pensi; ma anche che la ricezione della sua opera sia fatta di incidenti, spostamenti e inversioni, secondo un ritmo che dipende dai paesi e dai loro legami con la Francia. Tuttavia, durante tutti questi periodi (dal 1922 agli anni ’40, dagli anni ’40 agli anni ’60), Proust è sempre stato visto come un esempio della cultura francese, come il suo esempio migliore o un terminus ad quem come direbbe Gracq. Infine, è sorprendente che molte delle prime analisi rimangano stimolanti: sebbene siano spesso sottovalutate o addirittura dimenticate, numerose recensioni e libri dei primi decenni della critica proustiana anticipano gran parte degli studi recenti: i lettori dovrebbero essere consapevoli di una tendenza all'amnesia, riscontrabile in molti critici proustiani d'oggi.

Per approfondire, vedi Reminiscenze trascorse, La Coscienza di Levinas, Esistenzialismo shakespeariano e Franz Kafka e la metamorfosi ebraica.
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Proust ⇒ Arbre généalogique de À la recherche du temps perdu
  1. J.-P. Sartre, L’Être et le néant (Parigi: Gallimard, 1976 [1943]), p. 149 (mia traduzione). Cfr. Sandra Teroni, ‘Nous voilà délivrés de Proust’, in J. Brami, ecur, Marcel Proust 8. Lecteurs de Proust au XX e siècle et au début du XXIe (Caen: Lettres modernes Minard, 2010), p. 117 (e p. 137 per una bibliografia su Proust e Sartre).
  2. Cfr. Cahiers Marcel Proust II. Études proustiennes IV, 1982, p. 7. Questo volume è ancora autorevole, in particolare l'articolo di R. Gibson, ‘Proust et la critique anglo-saxonne’, pp. 11–33.
  3. Pascale Fravalo-Tane, ‘À la recherche du temps perdu’ en France et en Allemagne (1913–1958): Dans une sorte de langue étrangère (Parigi: Honoré Champion, 2008), p. 252.
  4. Carlo Bo, introduzione a Alla ricerca del tempo perduto, citato anche da Simonetta Boni, ‘La réception de Proust dans les études françaises en Italie’, in Mireille Naturel, cur., La Réception de Proust à l’étranger (Illiers-Combray: Société des Amis de Marcel Proust et des Amis de Combray, [2002]), p. 116.
  5. Elyane Dezon-Jones, ‘La réception d’À la recherche du temps perdu aux États- Unis’, in William C. Carter, cur., The UAB Marcel Proust Symposium: In Celebration of the 75th Anniversary of ‘Swann’s Way’: 1913–1988, (Birmingham, AL: Summa, 1989), p. 34.
  6. Dezon-Jones, ‘La réception’, p. 43.
  7. René Étiemble, Hygiène des lettres, vol. v, C’est le bouquet (Parigi: Gallimard, 1967), p. 141ss.
  8. Cfr. Jean-Yves Tadié, Proust: le dossier (Parigi: Pocket, 1998), p. 186.