Alla ricerca di Marcel Proust/Capitolo 27
Valutazioni critiche di fine ventesimo e inizi ventunesimo secolo
[modifica | modifica sorgente]Alla morte di Proust, la vista dei quaderni contenenti À la recherche, ritti insieme vicino al letto del loro autore, ricordò a Jean Cocteau gli orologi il cui ticchettio continua sui polsi dei soldati uccisi sul campo di battaglia.[1] Novanta anni dopo la scomparsa di Proust, il ticchettio metronomico continua attraverso le pagine che ha scritto e attraverso il flusso di opere che ancora ispira. I libri su Proust e la Recherche si contano a migliaia e il flusso non mostra segni di cedimento; tuttavia, cosa fondamentale, come mostrerà questo Capitolo, oltre alla quantità, c'è la qualità. Proust ha un vasto pubblico di lettori internazionali dentro e fuori l'accademia. Nelle università, il suo lavoro viene insegnato a livello universitario e post-universitario, in parti o per intero, in relazione al cinema e alle arti; e all'interno di corsi di lingue moderne, letteratura comparata e studi di genere.[2] Monografie, studi critici comparati, articoli, traduzioni e adattamenti continuano ad apparire e critici e professionisti di molte discipline sono ancora attratti dall'opera, dai suoi temi e personaggi, dalle idee del suo Narratore, dalle sfide e dalle ricompense delle sue ricche e impegnative trame. Questo mio Capitolo prenderà in considerazione gli sviluppi principali nella fase più recente della critica proustiana, dalla pubblicazione della seconda edizione della Recherche emessa dalla della Bibliothèque de la Pléiade nel 1987-9 fino ai giorni nostri.
Farlo non è un'impresa da poco. Proprio come il tempo passato per Proust non è mai stato immobile o ordinatamente contenuto, così la sua opera e gli impegni critici che provoca sono dinamici, mutevoli e auto-rinnovabili. Il testo del suo romanzo in sé non è statico: i tre volumi della prima edizione accademica della Recherche, la Pléiade del 1954, che ammontano a oltre 3 600 pagine, sono ora eclissati dai quattro volumi ponderosi della seconda edizione della Pléaide, che si estende per oltre 7 400 pagine. Questa espansione è dovuta principalmente all'inclusione di materiale di bozza e di molti (ma non tutti) degli schizzi preliminari di Proust. Dall'acquisizione nel 1962 dei quaderni e dei manoscritti di Proust da parte della Bibliothèque nationale di Parigi, gli studiosi sono stati in grado di comprendere meglio i metodi di lavoro di Proust e come nacque À la recherche. La critica genetica, un lavoro basato sull'esame del materiale manoscritto di Proust, dalle sue note e annotazioni preliminari alle sue abbondanti aggiunte alle bozze per i volumi successivi del suo romanzo, costituisce una parte importante del lavoro critico di fine Novecento (e in corso) su Proust. I primi studi illuminanti che attingono ampiamente al "fonds Proust" della Bibliothèque nationale includono Proust's Additions (1977) di Alison Finch, che mappa i molteplici modi in cui il "testo base" di Proust è cresciuto organicamente durante gli anni della guerra e in seguito, e The Birth of "À la recherche du temps perdu" (1987) di Anthony Pugh, che studia il cruciale periodo creativo del 1908-9. L’ampio The Growth of ‘À la recherche du temps perdu’ (2004) di Pugh è il resoconto più dettagliato fino ad oggi dei materiali che compongono il romanzo di Proust e del suo sviluppo tra il 1909 e il 1914.
La morte di Proust prima di aver completato la revisione e la pubblicazione della Recherche rende problematico lo status del testo "finale". La scoperta, nel 1986, di una versione alternativa, radicalmente abbreviata di Albertine disparue ha ulteriormente turbato le acque della critica. Nathalie Mauriac Dyer ha pubblicato questa versione del testo con Grasset nel 1987. I dibattiti in quest'area, il confronto tra critica letteraria e genetica, sono sviluppati in un'importante raccolta, Marcel Proust: écrire sans fin (1996); un resoconto dettagliato del materiale scoperto in ritardo e del suo status può essere trovato nella monografia di Mauriac Dyer, Proust inachevé: le dossier "Albertine disparue" (2005). L'edizione Pléiade più recente del romanzo e tutte le altre edizioni, ad eccezione dell'edizione Grasset di Mauriac Dyer, riproducono la versione più lunga e integrale. Proust’s Deadline (2006) di Christine Cano offre un resoconto elegante e accessibile in lingua inglese della storia editoriale di À la recherche.
Corrispondenza e biografia
[modifica | modifica sorgente]Tra il 1970 e il 1993 furono pubblicati i ventuno volumi della corrispondenza di Proust, che rappresentano una straordinaria riserva di informazioni su Proust, i suoi contemporanei e la loro epoca. La critica proustiana a partire dagli anni Settanta deve molto al lavoro dell'editore Philip Kolb e di Kazuyoshi Yoshikawa, che diresse il team giapponese che preparò l'essenziale indice della corrispondenza. Luc Fraisse ha dato un contributo inestimabile alla nostra comprensione della sua importanza come miniera di informazioni, prima nel sostanzioso Proust au miroir de sa correspondingance (1996), poi nel più breve ma comunque perspicace La Correspondance de Proust: son statut dans l'oeuvre, l'histoire de son édition (1998). Tra il 1983 e il 2000 furono pubblicati quattro volumi di Selected Letters in traduzione inglese. In italiano sono state pubblicate due antologie: Lettere a cura di Luciano Anselmi (1972) e Le lettere e i giorni: dall'epistolario 1880-1922, a cura di Giancarlo Buzzi, introduzione di Giovanni Raboni, nella collana "I Meridiani" (1996).
La corrispondenza fornisce una fonte vitale di dettagli biografici, che hanno alimentato una serie di approcci rinnovati alla biografia di Proust pubblicati, in inglese e francese, nel corso degli anni Novanta e oltre, uno più espansivo dell'altro. Il primo è stato Marcel Proust: A Biography (1990) di Ronald Hayman, lungo quasi 600 pagine. Questo è stato integrato da Proust (1991) di Ghislain de Diesbach, lungo 800 pagine, che è stato a sua volta seguito nel 1994 da L'Impossible Marcel Proust (845 pagine) di Roger Duchêne. Il gioiello di questa corona rimane l'eccezionale Marcel Proust: biographie (1996) di Jean-Yves Tadié. Come curatore generale dell'edizione Pléiade della Recherche, pochi possono rivaleggiare con la sua conoscenza del romanzo e del suo autore; uno che lo fa è William C. Carter, la luce guida della ricerca proustiana del ventesimo secolo negli Stati Uniti, il cui premiato Marcel Proust: A Life di 900 pagine è stato pubblicato nel 2000. L'opera di Carter, come quella di Tadié, è scrupolosamente ricercata. L'approccio di Carter è più convenzionalmente lineare di quello di Tadié, e il suo stile un po' più discorsivo. Di recente sono apparse vite più brevi, che completano i mattoni di Tadié e Carter, in particolare la vita gay immensamente leggibile di Edmund White (1999) e la vita illustrata scritta da Mary Ann Caws (2005), che si concentra sui contesti artistici della produzione letteraria di Proust. Il campo è stato anche recentemente arricchito con studi dettagliati sul padre di Proust (2003) e su sua madre (2004). La vita illustrata e critica di Proust, Marcel Proust ‘Critical Lives’, che trae spunto in gran parte dalla corrispondenza e dagli studi recenti, è stata pubblicata da Adam Watt nel 2013. Un primo volume di saggi sugli amici e conoscenti più intimi di Proust, Proust et ses amis, è stato pubblicato nel 2010; un secondo è in preparazione.
Volumi curati
[modifica | modifica sorgente]Spesso derivanti da atti di conferenze, tali raccolte offrono un senso delle opinioni prevalenti e delle tendenze critiche in un dato momento. È il caso degli importanti volumi The UAB Marcel Proust Symposium: In Celebration of the 75th Anniversary of ‘Swann’s Way’ (1989); Proust in Perspective: Visions and Revisions (2002), che è nato dal simposio ‘Proust 2000’ presso l’Università dell’Illinois; The Strange M. Proust (2009), derivante da un simposio del 2006 a Princeton; Le Temps retrouvé Eighty Years After/80 ans après (2009, da una conferenza dell’Università di Londra del 2007); Proust, la mémoire et la literature (2009), che trae spunto dal seminario del Collège de France di Antoine Compagnon per il 2006-7; Originalités proustiennes (2010), nato da una conferenza del 2009 presso l'Université de Tours; e Proust face à l’héritage du XIXe siècle (2012), le cui origini risalgono a conferenze tenutesi a Kyoto e Parigi nel 2010. Mi fermo qui, altrimenti dovrei andare a riesaminare le bibliografie dell'ultimo decennio. In ogni modo, queste raccolte riccamente gratificanti dimostrano che la ricerca nel campo è sempre più internazionale e collaborativa. I membri del gruppo di ricerca Équipe Proust presso l'École Normale Supérieure di Parigi provengono da istituzioni in Francia, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone. Di recente si è tenuta una conferenza importante in Brasile; le (ri-)traduzioni in giapponese e coreano sono in pieno svolgimento. Come recita il titolo collettivo di due volumi recentemente curati (2007 e 2010), sembra che ora siamo risolutamente in un'era di Proust sans frontières.
Fine anni ’80 e inizio anni ’90
[modifica | modifica sorgente]Tra il 1987 e il 1992, tra le numerose opere di critica pubblicate, spiccano una mezza dozzina di studi importanti che attestano la diversità di portata e attenzione all'interno del campo e in un certo senso annunciano le direzioni primarie del suo sviluppo futuro. Freud, Proust, and Lacan: Theory as Fiction (1987) di Malcolm Bowie è un potente lavoro di analisi comparativa e connettiva, che allinea e contrappone tre dei più innovativi e perspicaci teorici della psiche umana del loro secolo. Pubblicato lo stesso anno, l'innovativo Proust: philosophie du roman di Vincent Descombes apre la questione di dove potremmo trovare la "filosofia" dell'autore, sostenendo in modo convincente che non è necessariamente in quelle parti del romanzo direttamente o esplicitamente interessate a questioni filosofiche. Proust and Venice (1987) di Peter Collier è uno studio dell'estetica proustiana, le cui intuizioni sono molto più sfumate e di vasta portata di quanto il titolo possa suggerire. Mentre Bowie e Descombes illuminano l'originalità di Proust come pensatore analitico, Collier getta luce sui suoi poteri di sintesi artistica, assimilazione e ridistribuzione. Sia Bowie che Collier riportano l'attenzione critica su La Prisonnière e Albertine disparue. Due anni dopo, lo studio fondamentale di Antoine Compagnon, Proust entre deux siècles (1989) si concentra sul volume fondamentale e mediatico della Recherche, Sodome et Gomorrhe, che per Compagnon caratterizza la natura bifronte dell'opera di Proust, una scrittura intrisa di estetica ottocentesca ma che annuncia e si protende verso la modernità del ventesimo secolo.[3] Un altro critico che considera Proust nel contesto degli scrittori ottocenteschi (tra cui Nietzsche, Henry James e Wilde) è Eve Kosofsky Sedgwick, la cui Epistemology of the Closet (1990) contiene un capitolo influente su Proust e prepara il terreno per successivi importanti studi tra cui Proust's Lesbianism (1999) di Elisabeth Ladenson e Never Say ‘I’: Sexuality and the First Person in Colette, Gide and Proust (2006) di Michael Lucey. Due opere finali che hanno aperto nuove direzioni nella critica di Proust sono The Proustian Fabric (1991) di Christie McDonald, un'opera che sintonizza il nostro orecchio sulle tensioni nella Recherche tra totalità e completezza da un lato e frammentazione e contingenza dall'altro; e Postmodern Proust (1992) di Margaret E. Gray, che sottolinea le fratture al centro della narrazione di Proust e la sua resistenza alla compartimentazione. Tutte queste opere della fine degli anni ’80 e dell'inizio degli anni ’90 ampliano la portata della critica accademica sulla Recherche, liberandola dalla nozione restrittiva di Proust come autore snob di un libro indulgente "sulla" memoria e sul tempo.
Da metà a fine anni ’90
[modifica | modifica sorgente]Le Temps sensible: Proust et l’expérience littéraire (1994) di Julia Kristeva è un’opera impegnativa, ma che merita la scrupolosa attenzione degli studiosi del romanzo di Proust: Kristeva apporta un’ampia gamma di conoscenze (soprattutto filosofiche e psicoanalitiche) alla Recherche, focalizzando l’attenzione sulla dimensione sensoriale della temporalità proustiana e rispondendo direttamente ai critici che l’hanno preceduta, in particolare Gilles Deleuze e Jean-Pierre Richard. Un altro studio gratificante è Pour Albertine: Proust et le sens du social (1997) di Jacques Dubois, una lettura sociologica perspicace della Recherche, incentrata soprattutto sull’enigmatica Albertine. Nel 1998 Malcolm Bowie ha pubblicato il miglior studio generale di À la recherche disponibile in inglese, Proust among the Stars. I capitoli tematici di Bowie (‘Sé’, ‘Tempo’, ‘Arte’ ecc.) sono arricchiti da una straordinaria erudizione e da letture approfondite che illuminano e danno energia al lettore in egual misura.[4] Sulla scia di Bowie sono nate numerose monografie eccellenti che trattano di particolari aree tematiche o formali della scrittura di Proust. Proust, the Body and Literary Form (1999) di Michael Finn indaga le connessioni tra i disturbi dell’autore e la sua produzione letteraria. Proust ou le réel retrouvé (2000, ripubblicato nel 2011) di Anne Simon offre una vivida lettura filosofica della Recherche, concentrandosi sull’esperienza sensoriale e su come questa venga comunicata in modi che prefigurano la scrittura di Merleau-Ponty. Altri apparsi nel 2000 includono Science and Structure in Proust’s ‘À la recherche’ di Nicola Luckhurst, Proust’s Gods di Margaret Topping e Proustian Passions di Ingrid Wassenaar, tutti i quali apportano preziose intuizioni e aprono percorsi all'esplorazione. Mentre i singoli capitoli su Proust in libri più generalisti sono troppi e vari da enumerare, vanno menzionate le sofisticate riflessioni di Richard Terdiman su Proust in Present Past: Modernity and the Memory Crisis (1993) e il resoconto di Sara Danius sull'opera di Proust nel suo The Senses of Modernism (2002).
Il Proust del XXI secolo
[modifica | modifica sorgente]Accanto a queste illuminanti opere in inglese sono arrivate importanti e complementari opere in francese: in particolare l'eccellente La Cathédrale profane: Proust et le langage religieux di Stéphane Chaudier; L’Ironie proustienne di Sophie Duval (entrambi del 2004); e Imaginaire et écriture de la mort dans l'oeuvre de Marcel Proust (2005) di Aude Le Roux-Kieken, tutte dotate di un'ampiezza e profondità di riferimenti e di una sensibilità di approccio che le rendono riferimenti vitali nel campo. Proust's English (2005) di Daniel Karlin è un affascinante resoconto della seconda lingua della Recherche, un'opera rivelatrice di importanza storico-culturale. Proust in Love (2006) di William C. Carter intreccia analisi biografiche e critico-letterarie per offrire un ritratto del desiderio proustiano. In Francia, un volume curato, Proust et les images: peinture, photographie, cinéma, vidéo, è apparso nel 2003, il primo di una serie di preziose aggiunte a questa particolare area di ricerca. È stato seguito l'anno successivo dal gratificante Proust at the Movies di Schmid e Beugnet, che offre un'analisi esperta del successo di Proust sul grande schermo (inclusi i progetti di Visconti e Joseph Losey/Harold Pinter che non sono mai arrivati in produzione). Il bellissimo Paintings in Proust (2008) di Eric Karpeles è una risorsa inestimabile che riproduce tutte le opere d'arte visiva evocate nel romanzo e dovrebbe essere consultato insieme a Proust et l'art pictural (2010) di Kazuyoshi Yoshikawa. Proust Writing Photography (2011) di Áine Larkin, Regarding Lost Time: Photography, Identity and Affect in Proust, Benjamin and Barthes (2012) di Katja Haustein e una serie di articoli di Kathrin Yacavone hanno dato forma a una rivalutazione del posto della fotografia nell'estetica di Proust. I saggi raccolti nel volume curato da Nathalie Aubert Proust and the Visual (2013) approfondiscono ulteriormente questo canale di indagine, attestando in modo molto positivo i frutti portati dall'esplorazione della fenomenologia proustiana.
Se Proust ou le réel retrouvé di Anne Simon annunciava un'importante svolta filosofica nella critica del XXI secolo in Francia, questa venne presto riecheggiata nel dominio anglofono dall'autorevole Nietzsche and Proust: A Comparative Study (2001) di Duncan Large e dal vivace Philosophy as Fiction: Self, Deception and Knowledge in Proust (2004) di Joshua Landy, un'opera che sviluppa una serie di preoccupazioni esplorate da Descombes, Bowie e altri una generazione prima. Un volume curato uniformemente ricco, Proust et la philosophie aujourd'hui (2008), fornisce una panoramica della ricerca attuale. Più di recente, Erika Fülöp, in Proust, the One, and the Many (2012) ha indirizzato il pensiero critico su Proust e la filosofia sia all'indietro verso Schiller e i romantici tedeschi, sia in avanti, come Martin Hägglund nel suo audace Dying for Time: Proust, Woolf, Nabokov (2012), verso Derrida e Deleuze. La monografia di Adam Watt, Reading in Proust's ‘À la recherche’: ‘le délire de la lecture’ (2009) attinge anche a questi pensatori francesi, come anche a Freud, offrendo una lettura del romanzo che illumina la posizione privilegiata ma instabile dell'attività interpretativa nelle sue pagine. Uno speciale numero hors-série dedicato a Proust dalla rivista francese Philosophie Magazine (gennaio-febbraio 2013) offre un'eccellente panoramica trans-storica del campo, fornendo estratti dei testi critici chiave insieme a commenti e lunghe citazioni dei passaggi "filosofici" della Recherche. Lo studio di Luc Fraisse L’Éclectisme philosophique de Marcel Proust (2013) è un contributo eccezionale al campo da affiancare al suo compendioso La Petite Musique du style: Proust et ses sources littéraires (2011).
Di recente, c'è stata una svolta verso il socio-storico e il sociologico: dopo le ultime grandi opere di questo tipo, Marxist History and Ideology in Proust di Michael Sprinker (1994), Proust sociologue di Catherine Bidou-Zachariasen e Pour Albertine di Jacques Dubois (entrambi del 1997), abbiamo ora l'importante studio di Edward Hughes sulla storia culturale, Proust, Class and Nation e Proust among the Nations: From Dreyfus to the Middle East di Jacqueline Rose (entrambi del 2011). Sebbene quest'ultimo sia una raccolta di scritti un po' eterogenea, dimostra comunque che Proust ha un posto nel dibattito intellettuale ben oltre l'aula dei seminari. Rose legge Proust insieme a Freud e lo intreccia con lui, cosa che Jean-Yves Tadié fa con disinvoltura nel suo recente saggio Le Lac inconnu: entre Proust et Freud (2012), che porta una vita vissuta con Proust a una valutazione lucida delle somiglianze del romanziere con Freud (come anche delle loro divergenze). Il postumo The Weather in Proust (2012) di Eve Kosofsky Sedgwick mette anche Proust in contatto con la teoria psicoanalitica, sebbene la sua pietra di paragone sia Melanie Klein e non Freud. Gli ultimi saggi di Sedgwick, scritti durante la sua cura per un cancro terminale, mettono in contatto riflessioni sullo stile, l'estetica e la moralità proustiani con il buddismo tibetano, l'arte tessile e la teoria queer. Quando si leggono critici come Hägglund, Rose e Sedgwick al loro meglio, si ottiene un senso reale e vivificante delle avventure critiche e creative quasi infinite a cui l'opera di Proust è in grado di dare origine. Due volumi recentemente curati, Au seuil de la modernité: Proust, literature and the arts, pubblicati in memoria di Richard Bales, curatore dell'eccellente Cambridge Companion to Proust (2001), e When familiar meanings dissolve...: Essays in French Studies in Memory of Malcolm Bowie (entrambi del 2011), pur segnando la perdita di grandi luminari, attestano anche la vivacità e l'energia degli studi odierni su Proust.
Al di là della critica accademica, Proust continua a suscitare interesse da parte dei più diversi ambienti. Una giornalista italiana, Lorenza Foschini, ha recentemente pubblicato Il cappotto di Proust (2008), il racconto della ricerca da parte del collezionista Jacques Guérin per accumulare i beni di Proust; il libro (Proust’s Overcoat nella traduzione del 2010 di Eric Karpeles), è stato un grande successo. Il libro di auto-aiuto How Proust Can Change Your Life (it. Come Marcel Proust può cambiarvi la vita, 1997) di Alain de Botton, è stato venduto in grandi quantità in tutto il mondo. La versione graphic novel di Stéphane Heuet della Recherche è stata tradotta in più di una dozzina di lingue. La pubblicazione è iniziata nel 1998; il sesto volume è apparso nel 2013: con questo, Du côté de chez Swann e À l’ombre saranno completi. Jonah Lehrer ha sostenuto in modo convincente che gli scritti di Proust sulla memoria e l'affetto anticipano le scoperte della ricerca moderna sul cervello umano (Proust Was a Neuroscientist, 2007). Man mano che cresce l'interesse per la scienza cognitiva e le "neurohumanities", non c'è dubbio che il posto di Proust nel panorama critico continuerà a cambiare. Ciò che è certo è che un secolo dopo Swann, la stella di Proust non mostra segni di cedimento.
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Cfr. Jean Cocteau, ‘De la mesure’, in La Difficulté d’être [1947] (Monaco: Éditions du Rocher, 1983), pp. 90–1.
- ↑ 2 - Cfr. Elyane Dezon-Jones e Inge Crosman Wimmers, curr., Approaches to Teaching Proust’s Fiction and Criticism (New York: MLA Publications, 2003). Si veda la relativa Sezione della Bibliografia per i testi chiave citati in questo Capitolo.
- ↑ Uno studio recente che ha sviluppato il lavoro iniziato da Compagnon è quello eccellente di Marion Schmid’, Proust dans la décadence (2008).
- ↑ Altri approcci generali includono Richard Bales, Proust: ‘À la recherche du temps perdu’ (1995); David Ellison, A Reader’s Guide to Proust’s ‘In Search of Lost Time’ (2010); e Adam Watt, The Cambridge Introduction to Marcel Proust (2011).