La filosofia greca/Il mondo delle idee. Alla ricerca dell’Unità perduta. I parte
La politica divide, è conflitto. In politica la filosofia è "inutile". Ma Platone dedicò molti anni della sua vita alla politica, cercando di riportare in essa (e nella filosofia) l’Unità. Egli si illuse di poter educare un tiranno (quello di Siracusa) alla conoscenza del vero Bene, del Bene universale, da cui tutti possono trarre giovamento. Ma la sconfitta fu cocente, e il filosofo si ritirò definitivamente nell’isolamento dorato dell’insegnamento accademico. A chi e a cosa serve, dunque, la filosofia?
Platone conservava ancora l’impronta socratica della sua educazione: l’utilità del dialogo, e quindi del metodo razionale, nella formazione delle persone e nella possibilità di dare un giusto indirizzo alla vita pubblica. Ma la via per arrivare a questo non poteva più passare per la piazza (l’agorà), per il confronto da pari a pari; essa doveva restringersi a un rapporto più stretto e più intimo tra maestro e discepolo, a un dialogo tra chi sa e chi non sa di sapere. Quello del Bene è un ordine superiore che già ci appartiene ma alla cui conoscenza si può giungere solo attraverso una serie di livelli che presuppongono una vita a ciò dedicata. La “teoria del bene” di Platone è strettamente collegata alla “teoria della conoscenza” (gnoseologia), e la conoscenza suprema non può essere che la conoscenza del Bene. La conoscenza del Bene non è immediata e individuale (sofisti), né è sufficiente, per giungervi, la sola dialettica (Socrate). Che il Bene non sia di per sé evidente lo dimostra la confusione delle opinioni attorno ad esso. Che il Bene non sia neppure definibile attraverso il ragionamento è tutta un’altra questione. Ma per giungere a questa conclusione occorre esplorare tutta l’opera di Platone. Una vita… appunto.
La ricerca inizia dunque dal dialogo, ma dialogo tra chi? Le opere di Platone sono veri e propri atti scenici, con personaggi quasi sempre storici, identificabili cioè tra i contemporanei di Socrate e Platone, che agiscono (dialogando) in scenari del tutto reali – le piazze e gli edifici di Atene o i suoi dintorni. Negli anni tra 400 e 300 a.C. il teatro ad Atene era una realtà culturale pienamente affermata, che forse aveva già dato il meglio di sé. Esso non era una peculiarità ateniese, ma dalla capitale ionica erano passati i più grandi drammaturghi dell’antichità – Eschilo, Sofocle, Euripide – influendo in modo decisivo nella sensibilità culturale dei suoi cittadini. In questo senso, i Dialoghi di Platone non sono la semplice continuazione del metodo socratico, ma nascondono qualcosa di più. Essi sono SCENARI entro i quali agiscono le MASCHERE dei personaggi, come sul proscenio teatrale gli attori si nascondono dietro maschere (greco: prosopon, pl. prosopa) utili a identificarli (come nel Teatro dell’arte, in cui la maschera definisce il “tipo”: Pulcinella, o Arlecchino). Ciò che si vede di primo acchito a teatro è dunque la maschera, dietro cui si cela il vero volto dell’attore. Ma chi si cela dietro i personaggi (maschere) dei dialoghi platonici? Una risposta la fornisce Socrate nel dialogo che ne narra la morte in carcere, Critone. Per consolare gli amici disperati, il Maestro espone in modo esplicito la sua concezione dell’al di là, un mondo “altro” in cui trovano rifugio le anime. Per Socrate il corpo (greco: soma) è una prigione (greco: sema) dentro cui abita la nostra parte immortale ed eterna; alla morte del corpo l’anima si distacca per tornare nel luogo che le compete, accanto agli dei, in quello che più avanti Platone chiamerà il “mondo delle idee”. Noi siamo solo un bozzolo dentro cui si agita la parte più autentica del nostro essere, la farfalla. In ragione della sua superiore natura immortale, è di lei che l’uomo deve prendersi cura in vita. Dentro ciascuno di noi vive dunque un’entità superiore che determina il corso del nostro destino. Un rapporto autentico tra le persone (da notare che il termina “persona” è il corrispondente latino del greco “prosopon”, maschera) si basa quindi sul rapporto tra le loro anime, tra le componenti superiori dell’essere umano. Un dialogo autenticamente razionale è sempre un dialogo tra anime.
La filosofia innalza dunque l’anima. Essa coltiva e non lascia avvizzire la parte migliore dell’uomo. Ma se l’anima è immortale essa deve aver preceduto la nostra nascita carnale. Immortale equivale ad eterna, e non noi siamo eterni. Nei dialoghi successivi, come Fedro e Fedone, Platone affronta le conseguenze di quello che appare essere il suo vero e unico assioma: l’esistenza dell’anima (greco: psyche). Che non fu una sua invenzione. La testimonianza più antica dell’idea di “anima” la troviamo nel Libro dei morti egiziano e nei testi in sanscrito della religione induista. Nella cultura egea essa fece la sua comparsa attraverso la religione orfica (VI secolo circa a.C.) e i suoi rituali. L’aspirazione all’immortalità pare essere connaturata all’essere umano. Ma in modi diversi. La religione ufficiale greca non contemplava l’esistenza dell’anima: essa era tutta centrata sul divino, relegando l’esistenza umana a un ruolo secondario e passivo. Diverso il discorso se visto con gli occhi della mitologia (a partire dall’Odissea) dove compare in modo esplicito l’idea di mondo infero (come nel mito di Orfeo) a cui sono destinate le anime dei defunti. Un luogo davvero poco “consolatorio”, nel quale l’eternità appare più una condanna che un rifugio. Il salto di qualità platonico è evidente ed è legato a doppio filo alla tradizione filosofica greca; per comprenderlo è necessario seguire il filo di un breve ragionamento: se l’anima è immortale (cosa implicita nel suo stesso concetto) allora ha le stesse qualità dell’Essere parmenideo, essa È e non può non essere (stata). In quanto “essere” o ESSENZA dell’uomo, l’anima è più vera del corpo, appartiene a un “altro mondo” che possiede le stesse caratteristiche “essenziali”, eterno ed immutabile. Il “mondo dell’anima” non può essere quello della carne, che quindi è degradato a non-essere e apparenza. Un mondo Vero opposto a un mondo non vero. Il mondo dell’Essere (delle essenze) vs il mondo del non-essere. Ma manca ancora un tassello: quello dell’Unità. Il ritorno all’Unità comincia comunque attraverso la cura dell’anima.