La filosofia greca/Platone e la matematica
Il rapporto tra Platone e la matematica è spinoso, non tanto perché sia contestabile quanto perché è abbastanza trascurato dalla storia della filosofia corrente. Ma trascurarlo significa fare di tutta la teoria delle idee un castello di carte piuttosto traballante. Anticipiamo qui un assunto decisivo: la matematica platonica fa del suo pensiero la base della moderna rivoluzione scientifica (Galileo); senza il settimo libro della Repubblica non ci sarebbero la matematica, la fisica e l’astronomia come le conosciamo oggi.
L’onestà intellettuale di Platone fu pari solo a quella di Socrate; egli non si arroccò a difesa di una teoria che il ragionamento rivelava indimostrabile, ma si aprì a possibilità diverse di ragionamento, sancite successivamente da Aristotele e divenute la base del METODO MATEMATICO: la struttura assiomatico-deduttiva. Esistono principi (Platone le chiama ipotesi) “immobili” su cui non è necessario discutere perché “ad ognuno evidenti”; da tali principi (il termine verrà poi assunto definitivamente da Euclide) i matematici “deducono” gli elementi impliciti che possono unificare diversi “teoremi” in un unico criterio di verità. Dall’Uno ai Molti lungo una scala discendente perfettamente razionale. Il dialogo (dia “attraverso” e Logos “parola”) lascia il posto alla dianoia (dia e Nous “intelletto”), dalla mobilità inafferrabile della parola alla contemplazione eterna dei principi puri: figure geometriche e numeri. L’Unità non è nelle singole cose (l’idea non si divide, non “fa parte” – partecipa – di questo e quello) ma è una costruzione del pensiero perché solo il pensiero puro può essere perfettamente coerente.
La matematica è una disciplina propedeutica che forma la mente (l’anima) alla filosofia, poiché la abitua alla contemplazione di ciò che è assolutamente Vero. E a sua volta la GEOMETRIA, in quanto «è effettivamente la conoscenza di ciò che eternamente è» [ibid.], non più come chiarificazione del rapporto tra unità e molteplicità, ma come contemplazione di forme eterne, immutabili e circoscritte nelle leggi del numero.
La scienza dei numeri e la scienza delle forme costituiscono dunque le tappe per la formazione del filosofo, di colui cioè che è idoneo a contemplare la verità. Esse insegnano a staccarsi da ogni rappresentazione del mondo, da quella della fantasia (l’arte) a quella dei sensi (la percezione) – i primi due gradini della conoscenza, ristretti nell’ambito dell’opinione (doxa). Ma matematica e geometria non sono, per il filosofo, lo scopo ultimo della ricerca; tale scopo rimane la conoscenza del Bene. Si torna dunque alla politica.