La filosofia greca/Il ritorno all’Unità
Il salto metafisico di Aristotele fonda in modo definitivo la concezione occidentale della filosofia come scienza. Concezione che sarà rivista e corretta solo nel 1787, con la pubblicazione della Critica della ragion pura di Immanuel Kant. Già Platone aveva preteso di identificare nella filosofia l’unica possibilità di una conoscenza razionale assoluta, volta alla totalità dell’Essere; ma ora sappiamo che il metodo da lui proposto (la dialettica) non rendeva attuabile questa pretesa. Come ben si sa oggi, solo un linguaggio formale che abbia in sé la capacità di essere scomposto nei suoi elementi costitutivi e di reggere a ogni tentativo di falsificazione, può condurre a enunciati che siano o assolutamente veri o assolutamente falsi. In altre parole: un enunciato matematico può essere ripetuto infinite volte portando allo stesso risultato, oppure un esperimento di fisica condotto correttamente porta a conclusioni che chiunque potrà constatare ripetendo lo stesso esperimento. Al contrario, le argomentazioni contenute in un dialogo platonico, per quanto convincenti, rimangono un prodotto esclusivo del loro autore, e le stesse cose potranno essere asserite (o addirittura contraddette) in numerosi modi diversi. Gli argomenti platonici sono condivisibili ma non certi.
In cosa consiste la scientificità della metafisica aristotelica (per lo meno nei termini che il concetto di scienza rappresentò per così lungo tempo)? Questo l’ho già detto ma è bene ricordarlo: nella natura rigorosamente linguistica (e quindi formale) del suo procedere argomentativo. Se pure nel passaggio dalla Fisica alla Metafisica il filosofo abbandonò il principio dell’osservazione diretta degli enti per sollevarsi verso la speculazione puramente razionale, rimane tuttavia nel suo procedere argomentativo un diverso principio di evidenza, quello logico-linguistico. Ciò che non si può vedere si può dimostrare, attraverso l’uso rigoroso di un linguaggio adatto. Tutta la scienza contemporanea è fondata su questo assioma. E inoltre: l’origine assoluta (o principio divino) di cui parla Aristotele non è una spiegazione di "come" sono le cose. A ben vedere, essa (o esso) costituisce il fondamento razionale delle leggi che regolano l’universo, a partire dal principio di causa. Il Motore Immobile (Dio) non è nelle cose, non è il loro Essere, ma le governa, ne determina il modo di esistenza. Siamo tornati al Nous di Anassagora. Quello che a prima vista sembrava un binario morto, una teoria minore nel panorama così dinamico del V secolo, assume nella Metafisica di Aristotele un valore nuovo, decisivo per le sorti della filosofia occidentale. È l’affermarsi dell’idea di Unità in una dimensione non più contradditoria e puramente intuitiva, ma logicamente ben formata, in cui la conclusione discende necessariamente da premesse evidenti. Naturalmente, da Copernico in poi sappiamo che tali premesse erano sbagliate, ma non per un difetto del sistema aristotelico.
In cosa consiste la forza della natura linguistica del sistema aristotelico? Nella rigorosa verifica del valore di ogni termine, in un primo ma ancora imperfetto tentativo di dare al significato dei termini (alla semantica) un rigore formale. L’uso delle parole non può sottostare alla necessità del momento, all’esigenza dialettica di attirare il consenso di chi ascolta; a ogni termine compete una serie limitata di enunciati, e solo quelli – i termini della fisica competono alla fisica, i termini della matematica alla matematica e così via – mentre in tutti gli altri esso perde il suo valore indicativo (come nell’esempio: Gigi è un leone!). La moderna linguistica parla di denotazione e connotazione per indicare l’uso corretto dei termini (la loro denotazione o significato primario) opposto a quello legato al loro senso generale (come nella metafora dell’esempio, in cui “leone” indica una qualità e non più un oggetto ben definito). Aristotele si preoccupa quindi di giustificare linguisticamente (o semanticamente) i suoi testi, a partire dalla definizione di un lessico specialistico, come nel Libro Gamma della Metafisica. Si comincia dunque dal temine "ente" e dalla determinazione dei suoi molteplici significati. Esso ricorre in diversi contesti, o accezioni, «ma ciascuna di queste si riferisce pur sempre ad un unico principio»[1]. Tutte le volte che si parla di “ente” si dice dunque qualcosa che «esprime una nozione comune»[2]. Occorre dunque una scienza che studi «l’ente in quanto ente», ovvero un discorso che accomuni tutti i diversi significati del termine “ente”. Questa scienza è la FILOSOFIA PRIMA (o metafisica). Si passa quindi al termine sostanza. I suoi significati principali sono quelli di “essenza” e “sostrato”, ma entrambi confluiscono nel concetto di FORMA che conferisce al termine un valore non immediatamente materiale ma formale. In altre parole: il filosofo primo, o metafisico, deve indirizzare i suoi studi non alle cose in sé ma al valore formale dei termini che garantiscono la costruzione di una disciplina rigorosamente deduttiva, accanto al principio di non-contraddizione. Si ribadisce quindi che la Verità è nell’uso del linguaggio. L’Unità, il principio primo di ogni cosa, diventa per Aristotele una regola e non più “qualcosa”. Non l’Essere, non l’Idea, ma la forma che racchiude in sé ogni verità, ogni certezza. In un certo senso, l’Unità, per Aristotele, è la filosofia stessa.