La filosofia greca/L’amore
Il tema dell’amore è tra i più popolari nella divulgazione del pensiero platonico. “Amor platonico” è diventato un modo di dire noto anche ai meno colti. Nell’opera del filosofo esso riveste una parte importante, un intero dialogo (Simposio), rimanendo tuttavia sotto traccia nel resto del suo sistema con l’eccezione del Fedro. Quanto però sia importante lo testimonia a ben vedere la scelta di Platone di identificare la figura del sapiente con quella dell’amante (greco: philos): filosofo (amante della sapienza).
Il Simposio dunque. Un dialogo iper-teatrale, in cui la cornice scenica riveste un ruolo fondamentale. Essa è rappresentata dal banchetto, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria alle Grandi Dionisie, del 416 a.C. Fra gli invitati, oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, il medico Erissimaco, il commediografo Aristofane, Pausania l'amante di Agatone e il suo amico Fedro, figlio di Pitocle ed esperto di retorica: ognuno di loro, su invito di Erissimaco, è invitato a tenere un discorso che ha per oggetto l’elogio di Eros. Quello che va in scena è un agone oratorio e non un dialogo, una gara di abilità retorica che non ha lo scopo di trovare una definizione dell’amore, ma di tessere il discorso più elegante. Socrate però si sottrae e, per ultimo, espone il resoconto di uno dei dialoghi più stupefacenti dell’intera opera platonica, quello tra Socrate stesso e una sacerdotessa (Diotima), l’unica voce femminile dell’intera storia della filosofia.
Una premessa. Eros è una divinità arcaica della mitologia greca, sorta alle origini stesse del mondo. La dea dell’amore, nel pantheon ufficiale, era Afrodite, nelle due versioni dell’Afrodite celeste e terrena (urania e pandemia). Eros era una figura legata all’aspetto più istintivo e vitale dell’impulso amoroso, mentre Afrodite sovraintendeva alla concordia delle parti maschile e femminile. La scelta si spiega con la forte impronta omosessuale che prevale in gran parte del testo e che caratterizzava il costume greco antico. Inoltre, il processo educativo dei ragazzi prevedeva la presenza al loro fianco di un mentore anziano, che spesso oltrepassava i limiti e abusava del suo protetto. Questo tuttavia non era considerato un crimine ma solo un vizio esecrabile, qualcosa che il buon gusto sanciva come volgare. Come tutti gli intellettuali suoi contemporanei, Platone intendeva porre dei limiti alla sfrenatezza dei comportamenti sessuali, privilegiando l’amore disinteressato rispetto alla ricerca del puro piacere egoistico.
L’attenta analisi del dialogo ci pone di fronte a un intreccio più complesso di quanto sembri. 1. Il banchetto viene narrato da Apollodoro a Glaucone molti anni dopo il fatto; 2. A sua volta Apollodoro riferisce quanto gli era stato raccontato da uno dei partecipanti. Siamo quindi di fronte a tre “cornici” narrative, che allontanano il centro della scena su un piano, potremmo dire, neutrale (ti riporto solo quanto mi hanno detto). Perché? In sintesi, secondo la lettura della professoressa Maria Chiara Pievatolo, Platone intende sottoporre a un’analisi critica il metodo stesso della comunicazione: ogni racconto è un’imitazione della verità, e per di più un racconto riferito è un’imitazione di un’imitazione (come si sostiene chiaramente nella Repubblica circa l’arte come “imitazione di un’imitazione” (dell’idea)). Il Simposio potrebbe essere quindi, ma questa è una delle interpretazioni possibili, un invito a dubitare «sui mezzi di comunicazione e su coloro che ne fanno uso»[1]. Molto attuale.
Che cos’è, dunque, l’Amore? Ho fatto solo un accenno al dialogo Fedro come all’altra fonte platonica sul tema. Da molti è considerato tuttavia la fonte più immediata. La cosa si spiega facilmente: nel Fedro il mito dell’anima come biga celeste costituisce il mezzo narrativo per giustificare la teoria maieutica; in questa teoria all’amore Platone attribuisce il ruolo fondamentale di motore dell’anima nel ritorno verso le cose celesti: alla vista (quaggiù) di qualcosa di bello, nell’anima di risveglia il ricordo dell’idea di bellezza in sé, e in essa cominciano a rispuntare le ali che la riporteranno nel mondo delle idee. Amore è desiderio; il desiderio di “un corpo” è solo l’occasione che permette all’anima di trascendere verso il possesso di una bellezza più alta e vera. In tutto ciò il filosofo non esce dal mito, non giunge ad una definizione se non implicita: l’amore è una sorta di mania (rapimento estatico), ma di fronte a questa immagine Socrate non ha un autentico contraddittorio che sottoponga il suo argomento al vaglio della ragione.
Nel Simposio, superata la fase agonistica dei “bei discorsi”, Socrate riporta l’attenzione dei compagni (eteroi) sulla necessità di trovare un accordo, ovvero di procedere per confutazioni fino alla condivisione del significato autentico dei concetti. Allo scopo anch’egli riporta qualcosa di già avvenuto, ma questa volta si tratta di un dialogo vero e proprio, di un confronto tra lui e una sacerdotessa sapiente in molte cose, Diotima di Mantinea. Il processo logico messo in atto dai dialoganti è quello induttivo, dal particolare all’universale, ed eccone le tappe:
1. amare un bel corpo, che ispiri a produrre bei ragionamenti;
2. capire che la bellezza di un singolo corpo è sorella di quella di qualsiasi altro e che, se bisogna perseguire il bello ideale, sarebbe mancanza d'intelletto non ritenere unica e identica la bellezza in tutti i corpi;
3. passare dall'apprezzamento della bellezza del corpo a quella dell'anima, rendendosi conto che l'aspetto fisico è ben poco rilevante;
4. nel creare e cercare i ragionamenti che migliorano i giovani, scoprire la bellezza delle istituzioni e delle leggi;
5. passare alle scienze, liberandosi dalla schiavitù di un singolo ragazzo, un singolo essere umano o una singola istituzione, per rivolgersi al gran mare del bello e, contemplandolo, generare molti bei ragionamenti e pensieri in uno slancio d’amore per la sapienza (philosophia);
6. comprendere quell'unica scienza che ha per oggetto Il Bello.
Socrate conclude il suo discorso dicendo di essere stato persuaso dalla forestiera di Mantinea: «in un ambiente competitivo [come quello greco] saper imparare dagli altri è un gesto d'amore e di filosofia - che si rinnova continuamente nei dialoghi di Platone»[2].
L’amore dunque è una forza divina, ma saper amare è un atto di intelligenza.
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ M.C. Pievatolo, Il Simposio di Platone, Bollettino telematico di filosofia politica, Università di Pisa]
- ↑ in: M. C. Pievatolo, cit.