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Storia della letteratura italiana/Poesia del dopoguerra

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Storia della letteratura italiana
Storia della letteratura italiana
  1. Dalle origini al XIV secolo
  2. Umanesimo e Rinascimento
  3. Controriforma e Barocco
  4. Arcadia e Illuminismo
  5. Età napoleonica e Romanticismo
  6. L'Italia post-unitaria
  7. Prima metà del Novecento
  8. Dal secondo dopoguerra a oggi
Bibliografia

Il dramma della seconda guerra mondiale e le difficoltà della ricostruzione inducono anche nei poeti nuovi interrogativi e una maggiore attenzione verso la realtà.[1] Il nuovo orizzonte ideologico e culturale porta anzitutto al tentativo di dar vita a una corrente neorealista anche in poesia; tuttavia, i risultati più importanti si devono a poeti legati ancora alla tradizione lirica novecentesca. In questi decenni prosegue l'attività di Saba e Montale, che come è noto pubblicano importanti raccolte. Accanto a loro si affermano però nuove voci.[2]

Caratteri della poesia del dopoguerra

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La poesia del Novecento non presenta caratteri di omogeneità, e per questo motivo i critici letterari si sono divisi sui criteri da adoperare per analizzarla. Luciano Anceschi ha proposto di distinguere tra una poesia degli oggetti, legata all'esperienza di Montale, e una poesia dell'analogia, affine alla poetica ungarettiana.[3] Esiste però anche un'altra interpretazione, secondo cui vi sarebbero

  • una linea sabiana, che comprende poeti come Betocchi, Bertolucci, Penna, Caproni, Giudici;
  • e una linea novecentista, erede di Montale e Ungaretti, a cui si riconducono Luzi, Sereni e altri.

È bene però non attribuire a queste classificazioni un valore assoluto, poiché ogni autore presenta caratteristiche differenti e originali. Si può comunque parlare, in termini generali, di un superamento dell'ermetismo attraverso una «strenua fedeltà al carattere conoscitivo della poesia», intesa come esperienza totale e segno del rapporto tra io e mondo.[4] La poesia diventa più discorsiva, dinamica, e il linguaggio diventa più comunicativo, tende a coinvolgere un pubblico più largo e arriva ad accogliere elementi narrativi tipici del parlato.[1]

Carlo Betocchi

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La poesia di Carlo Betocchi (Torino, 23 gennaio 1899 – Bordighera, 25 maggio 1986), che negli anni trenta è stato tra gli animatori della rivista cattolica fiorentina Il Frontespizio, si caratterizza per il suo sguardo morale sulle cose, espresso attraverso un linguaggio influenzato dalle esperienze di Pascoli, Rebora, Saba.

Le raccolte risalenti alla prima fase della sua produzione sono direttamente legate al cattolicesimo tradizionalista, teso ad affermare il valore oggettivo delle cose e il rapporto tra mondo e piano divino. Durante questo periodo vengono pubblicate Realtà vince il sogno (1932), Altre poesie (1939) e Notizie di prosa e poesia (1947), che confluiranno insieme a Tetti toscani nel volume Poesie (1955). A una seconda fase sono invece riconducibili le opere degli anni sessanta e settanta (come L'estate di san Martino del 1961, Un passo, un altro passo del 1967, Ultimissime del 1974), in cui la sua poesia assume una profonda tensione problematica. Chiudono la produzione di Betocchi le Poesie del sabato (1980), in cui sono riuniti componimenti recenti insieme a testi degli anni quaranta, e Tutte le poesie (1984), che presenta anche testi inediti.[5]

In generale, la poetica di Betocchi tende a contrapporre al soggettivismo tipico della cultura moderna un atteggiamento di rinnegamento del sé per dar vita a una poesia universale. Le cose sono quindi poste in un piano divino, che giustifica la loro condizione di creature. Ricollegandosi alla tradizione cristiana e agli scrittori del Trecento, il poeta scrive di tutto ciò che vive e si trasforma senza volere essere altro diverso da sé, in un vero e proprio «realismo creaturale».[5]

Sandro Penna

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Sandro Penna

Sandro Penna (Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977) è considerato uno dei maggiori rappresentanti della linea sabiana, sia per la sua fedeltà alle forme classiche sia perché la sua poesia si richiama direttamente alla «vita».[6] Pubblica la prima raccolta, Poesie, nel 1939, a cui seguono gli Appunti (1950) e Una strana gioia di vivere (1956), tutte riunite, insieme ad alcuni inediti, nel volume Poesie (1957). Nelle nuove edizioni di questa raccolta sono poi via via confluite le pubblicazioni successive.

Come Saba, Penna parte dalla realtà comune, prendendo le distanze dalle strutture analogiche tipiche dell'ermetismo.[7] La sua produzione poetica costituisce un canzoniere in continua crescita, dove vengono ripresi motivi e accenti musicali, e dove è possibile ritrovare echi e richiami interni.

Il tema centrale dell'amore omosessuale viene sublimato attraverso il riferimento a elementi amorosi generali, e anche quando racconta storie concrete, queste vengono trasferite su un piano superiore.[6] Le composizioni hanno inoltre un carattere epigrammatico, con testi di pochissimi versi attraverso cui si esprime un lungo canto di gioia. Come scrive Ferroni, lo stesso Penna sembra aspirare a una dimensione antica e pagana, trasponendo gli incontri della modernità in un mondo classico e fuori dal tempo. Dietro alla gioia, tuttavia, si nasconde l'angoscia, che costringe il poeta a una morte lenta senza disperazione.[8]

Attilio Bertolucci

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Attilio Bertolucci

Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense, 18 novembre 1911 – Roma, 14 giugno 2000) è stato compagno di studi di Giorgio Bassani all'università di Bologna, dove si è laureato in Lettere ed è stato allievo di Roberto Longhi. Ha quindi insegnato storia dell'arte (1930-1954), e in seguito ha collaborato all'Approdo come giornalista e autore di programmi per la Rai. Ha maturato la sua vocazione poetica nell'ambiente emiliano, a contatto con Cesare Zavattini, Giovanni Guareschi, Silvio D'Arzo, Oreste Macrì. Nel 1939 ha fondato, presso l'editore Guanda, la collana poetica «La Fenice».[9]

Ha esordito negli anni trenta con una poesia che si caratterizza per la gioiosa affermazione di una realtà sensuale e per la singolare intensità dei suoi accenti – una cifra poetica a cui rimarrà fedele fino agli ultimi anni. La prima raccolta, Sirio, appare nel 1929, seguita da Fuochi di novembre (1934).[8] Le brevi liriche che le compongono si rivolgono alla natura e alla sue impressioni sul soggetto, prendendo già le distanze dall'ermetismo che all'epoca si stava sviluppando. La capanna indiana (1951) è un poemetto dall'andamento piano e lontano dal lirismo ermetico e dai toni ideologici tipici del neorealismo. In Viaggio d'inverno (1971) la poesia diventa più inquieta e drammatica, toccando i temi della nevrosi e della malattia. La camera da letto (1984 e 1988) è un poema narrativo in due volumi e 46 canti, che ruota attorno alla vita familiare e al succedersi delle generazioni.[9]

La poesia di Bertolucci si immerge nelle cose quotidiane allo scopo di afferrare la bellezza in esse presente. La città di Parma e la campagna circostante sono al centro di molte liriche, in cui canta questi luoghi ricorrendo a un linguaggio semplice. Al trasferimento da Parma a Roma corrisponde la comparsa di elementi drammatici, legati ai contrasti che caratterizzato sia il periodo bellico sia il dopoguerra. Questo è evidente in particolare nel Viaggio d'inverno, in cui mondo felice viene corroso dall'ingresso della storia. Con La camera da letto Bertolucci riscopre poi la poesia narrativa e il genere del poema, in quello che però è definito da Ferroni un «poema aperto» composto da lunghissimi frammenti e in cui le figure sono sospese in un tempo eterno.[10]

Giovanni Giudici

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Giovanni Giudici

Giovanni Giudici (Le Grazie, 26 giugno 1924 – La Spezia, 24 maggio 2011) ha utilizzato la parola poetica come difesa contro il vortice della modernità e ha inteso la poesia come un dono vitale; ha sviluppato questo tema con ironia, rimanendo però estraneo al vitalismo. Educato secondo i principi cattolici, ha professato un cattolicesimo aperto e ha svolto attività politica nelle file della sinistra. Lontano dagli orientamenti della neoavanguardia degli anni sessanta, ha rifiutato ogni intento programmatico per dedicarsi alla ricerca di libere forme di espressione.[11]

Pubblica nel 1963 la prima raccolta, L'educazione cattolica, che due anni dopo confluirà in un volume più essenziale, La vita in versi. Sono versi che parlano della realtà metropolitana e delle costrizioni piccolo-borghesi, dimostrando una forte tensione morale. In Autobiologia (1969) Giudici ricerca invece una poesia «che affondi nelle sue radici biologiche» e ne sia una manifestazione vitale.[12] Con la raccolta O Beatrice (1972) la poesia diventa discorso amoroso verso un'entità salvifica, a cui viene significativamente attribuito il nome della Beatrice dantesca.

Nelle opere successive Giudici arriva a cercare il plurilinguismo, nuove recitazioni e nuove situazioni della vita quotidiana. Tra queste ricordiamo Il male dei creditori (1977), Il ristorante dei morti (1981), Lume dei tuoi misteri (1984). Salutz del 1986 è una raccolta di sonetti senza titolo, che affondano le loro radici nella poesia amorosa romanza. In Prove del Teatro (1989) sono raccolti testi diversi, mentre Fortezza (1990) è dedicata alle restrizioni del mondo moderno e alla capacità di resistenza nel proliferare delle cose.[13]

Giorgio Caproni

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Giorgio Caproni, nato a Livorno il 7 gennaio 1912 e morto a Roma il 22 gennaio 1990, è autore di una poesia caratterizzata da una apparente spontaneità e dall'abbandono alla musicalità della parola, che però riesce a esprimere appieno le lacerazioni del Novecento.[14] La forma semplice e chiara dei suoi versi, lontana da qualsiasi forma di intellettualismo, riesce a ricreare sensazioni vivide grazie a immagini concrete. Concepisce però la poesia come artificio e, proprio per questo, la considera limitata e insufficiente.[15]

Durante la giovinezza si interessa alla musica e alla letteratura. La sua poesia si inserisce in una linea ligure, erede delle suggestioni di Sbarbaro e Montale. La prima raccolta, Come un'allegoria (1936), è dedicata a una ragazza che l'autore ha amato e perduto, tema che verrà ripreso nel successivo Ballo a Fontanigorda (1938). La semplicità dei versi si sovrappone alla durezza del contenuto, che propone immagini concrete come allegorie del dolore. Nella seconda raccolta, inoltre, si fa strada una nuova immagine femminile, simbolo di vitalità, e compare frequentemente il motivo del mare.[15]

Con Finzioni (1941) l'esperienza precedente viene ripensata, mentre è evidente l'influenza dell'ermetismo. Da un lato il rapporto tra parola e simbolo diventa più complesso, dall'altra Caproni sviluppa maggiore rigore per quanto riguarda la metrica dei componimenti. Inizia inoltre a utilizzare le forme del sonetto e dell'endecasillabo, che torneranno nelle raccolte successive. In Cronistoria (1943) il motivo dell'amata perduta si allaccia al tema della guerra, in una fusione tra vissuto personale e storia collettiva. Il passaggio di Enea del 1956, in cui confluirono le tre raccolte precedenti,[14] segna la conclusione di questa prima fase della produzione di Caproni.

Nel Seme del piangere (1959), che raccoglie i versi composti negli anni cinquanta, il poeta arriva a far coincidere poesia e vita. In essi canta la madre morta e utilizza la poesia come mezzo per rievocare la di lei giovinezza, mostrandone la semplicità e la fragilità, attraverso una delicatezza che richiama la poesia italiana delle origini. Il Congedo di un viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965) sviluppa il tema del viaggio come immagine della solitudine e del crollo delle certezze acquisite. Il poeta sembra sfuggire al contatto con gli altri, proiettandosi nei personaggi protagonisti delle prosopopee, che con delicatezza danno voce al loro rifiuto di partecipare alla vita sociale.[16]

Dopo il Congedo, i componimenti di Caproni si fanno più brevi, riducendosi spesso a una sola strofa. Tra il 1975 e il 1986 compone tre volumi nei quali presenta una serie di lettere poetiche provenienti da un mondo segnato dalla «morte di Dio»: fine dei valori religiosi, ma anche di qualsiasi significato sicuro e della stessa oggettività del mondo. Nel Sessantotto e nel movimento di liberazione che ne deriva viene vista una frattura rispetto alla realtà precedente. Questo mutamento viene analizzato attraverso continui cambiamenti di punti di vista, da cui trae una singolare gioia, mentre diminuisce l'uso dell'ironia.[17]

Il muro della terra (1975), il cui titolo riprende l'espressione dantesca usata per indicare il muro di Dite, descrive il limite della condizione umana. Il muro rappresenta appunto questo limite, che il poeta sa di non poter distruggere: l'io cerca quindi un Dio, che però esiste sono nella sua negazione. In questo modo il poeta finisce per confondere se stesso, la divinità e altre figure umane. Il franco cacciatore (1982) si presenta invece come una partitura musicale in cui torna sul tema della morte di Dio. L'«operetta a brani» Il conte di Kevenhüller riprende invece un curioso fatto di cronaca risalente al 1972, quando il governatore austriaco di Milano, che dà il nome all'opera, promise una ricompensa a chiunque fosse riuscito a catturare una misteriosa belva che affliggeva le campagne lombarde. La vicenda, avvenuta a ridosso della rivoluzione francese e quindi in un periodo in cui un'intera epoca stava per giungere alla fine, dà modo a Caproni di riflettere sulla ricerca della fantomatica e inafferrabile bestia, ma anche sui valori e le ossessioni della società.[17]

Vittorio Sereni

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Vittorio Sereni a Milano nel 1975

Nato a Luino il 27 luglio 1913 e morto a Milano il 10 febbraio 1983, Vittorio Sereni «fornisce l'immagine più equilibrata e coerente di una borghesia intellettuale progressista»,[18] ponendosi in linea con il razionalismo laicista e democratico lombardo, di ascendenza illuministica.

Dopo gli studi a Brescia frequenta l'università a Milano, dove si laurea con una tesi su Gozzano. Nella città lombarda entra in contatto con i giovani intellettuali della rivista Corrente, tra i quali ha un ruolo di guida il filosofo Antonio Banfi. Nel 1941 compare Frontiera, la prima raccolta di versi, che verrà poi ampliata e ripubblicata con il titolo di Poesie (1942). L'atmosfera di inquietudine che caratterizza gli ambienti lacustri e prealpini descritti nei testi rimanda alla precarietà di un mondo minacciato. Lo stesso titolo rimanda a una situazione di "confine" e al senso di incertezza che genera.[19]

Chiamato alle armi, Sereni è inviato in Grecia e poi in Sicilia, ma dopo lo sbarco delle forze statunitensi viene catturato dagli Alleati e condotto prigioniero in Algeria e Marocco. Da questa esperienza nasceranno i componimenti raccolti in Diario d'Algeria (1947). Qui viene accentuata la componente diaristica già presente in Frontiera, ma la chiusura espressiva derivata dall'ermetismo lascia spazio a una comunicazione più distesa. Si fa largo inoltre l'idea che che si debba accettare integralmente il proprio destino e i propri limiti, senza possibilità di evasione.[19] Viene poi sviluppata la contraddizione tra la staticità del campo di prigionia e gli eventi che si consumano sulla scena del mondo, dove infuria la guerra.[20]

Nel dopoguerra Sereni riprende l'attività di insegnante interrotta allo scoppio del conflitto, quindi lavora nel settore pubblicità della Pirelli e infine diventa dirigente dell'editore Mondadori. La notorietà come poeta arriva nel 1965 con Gli strumenti umani, in cui affronta i problemi sociali nell'Italia del dopoguerra, descrivendo una realtà disgregata: in questa raccolta è contenuta anche Una visita in fabbrica, una delle poesie più rappresentative della cosiddetta letteratura industriale. Anche le forme espressive cambiano, e al monolinguismo si affianca un uso più duro del linguaggio, che si altera e si spezza fino allo scopo di esprimere la frantumazione e la desolazione in cui versa la società.[19]

L'ultima raccolta, Stella variabile (1981), approfondisce il tema del rapporto tra mondo e poesia, e riflette sulla condizione di quest'ultima, che non può dare certezze o donare salvezza. Nella sua esperienza, Sereni ha tentato di trovare continuità con una tradizione umanistica che fosse in grado di confrontarsi con il mondo contemporaneo e la realtà industrializzata del dopoguerra. Nei suoi componimenti appaiono quindi elementi provenienti dalla vita quotidiana degli anni cinquanta e sessanta: vi si trovano alla cultura di massa, ai fatti di cronaca, allo sport e alla vita in città. In Stella variabile, Sereni sembra però giungere a soluzioni pessimiste, avvicinabili all'ultimo Montale.[20]

Sereni è stato anche traduttore oltre che autore di opere narrativo-diaristiche, racconti e testi di critica letteraria. Attualmente la sua intera opera poetica è stata raccolta in un volume (1995) a cura di Dante Isella, mentre le prose sono riunite in Le tentazioni della prosa (1999), curato da Giovanni Raboni.

Amelia Rosselli

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La poesia di Amelia Rosselli è frutto di un'esperienza tra le più originali del secondo Novecento. Nata il 28 marzo 1930 a Parigi, figlia di Carlo e nipote di Nello Rosselli, entrambi esuli antifascisti, muore suicida a Roma l'11 febbraio 1996, dopo una vita trascorsa in vari paesi del mondo. È stata inoltre autrice anche di scritti in francese e inglese. Nella sua produzione si è concentrata sul linguaggio e sul rapporto tra io e mondo. Nel 1964 ha pubblicato il suo primo libro, Variazioni belliche, a cui seguiranno Serie ospedaliera (1969) e Documento 1966-1973 (1976). Tema centrale è quello della guerra psichica, un conflitto con l'io, gli altri, la realtà, i sentimenti e la stessa poesia. Alla sofferenza si intrecciano poi i temi della felicità impossibile e della libertà che non perdura.[21]

Alda Merini

L'esperienza poetica di Alda Merini, nata a Milano il 21 marzo 1931 e morta il 1° novembre 2009, è strettamente legata alla sua biografia e alle sue sofferenze psicologiche, da cui riesce a far scaturire immagini illuminanti ed enigmatiche.[21] In vita è stata apprezzata per l'intensità delle sue liriche, in bilico tra l'afflato religioso e la tensione erotica, e ha ricevuto elogi da importanti poeti come Quasimodo, Pasolini e Betocchi. In una prima fase della sua attività di poetessa ha pubblicato le raccolte La presenza di Orfeo (1953), Paura di Dio (1955), Nozze romane (1955) e Tu sei Pietro (1961).

Segue un lungo silenzio durato vent'anni: in questo periodo Alda Merini sperimenta il ricovero in manicomio, una drammatica esperienza che la poetessa racconterà nel volume L'altra verità. Diario di una diversa (1986). La pubblicazione di liriche riprende negli anni ottanta, quando escono Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove (1980), La Terra Santa (1983), Delirio amoroso (1989) e Vuoto d'amore (1991).[22] L'afflato mistico diventa sempre più centrale nelle ultime opere, come L'anima innamorata (2000) e Poema della Croce (2005). Tra le altre raccolte, è di una certa importanza Clinica dell'abbandono (2003), in cui riunisce poesie degli anni novanta con nuovi componimenti, Nel cerchio di un pensiero (teatro per voce sola) (2005) e La carne degli angeli (2007).[23]

La linea lombarda

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Giorgio Orelli

«Linea lombarda» è un'espressione utilizzata da Luciano Anceschi[24] per raccogliere alcuni autori orbitanti attorno alla città di Milano, i quali, legati alla tradizione della letteratura lombarda, rivolgono la loro attenzione agli oggetti, con un senso di concretezza e tensione morale. L'esigenza di moralità porta il poeta verso l'impegno critico, che si caratterizza per una coscienza umana e civile.[19]

Il più autorevole rappresentante di questa corrente, che affonda le radici nelle poesie di Parini e Porta, è indicato da Anceschi in Vittorio Sereni,[19] di cui abbiamo già parlato. Tra gli altri autori si ricordano: Giorgio Orelli (Airolo, 25 maggio 1921 – Bellinzona, 10 novembre 2013), il maggiore rappresentante della letteratura della Svizzera italiana, la cui poesia è passata da una preferenza per la forma epigrammatica a composizioni più lunghe e complesse; Nelo Risi (Milano, 21 aprile 1920 – Roma, 17 settembre 2015), autore di una poesia civile nutrita di passione politica; Luciano Erba (Milano, 18 settembre 1922 – Milano, 3 agosto 2010), che ha sviluppato uno stile apparente semplice, leggibile, ma al tempo stesso raffinato e sottile; Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto, 6 luglio 1922 – Milano, 13 marzo 1979), che ha portato il linguaggio ermetico a esiti di singolare violenza espressiva.[25]

Nei decenni successivi, nell'ambiente milanese si svilupperanno esperienze in continuità con la linea lombarda, che porteranno a nuove forme il confronto tra realtà e poesia. Tra questi autori si ricordano Giancarlo Majorino (Milano, 1928) e Giovanni Raboni (Milano, 22 gennaio 1932 – Fontanellato, 16 settembre 2004).[26] Quest'ultimo, in particolare, ha affrontato il tema del rapporto conflittuale tra individuo e storia in raccolte come Le case della Veltra (1966), A tanto caro sangue (1988) e Versi guerrieri e amorosi (1990).[27]

Nel panorama della poesia novecentesca si riscontrano anche esempi di una diretta continuità con i modelli degli anni trenta, come in Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014), la cui produzione è legata al modello montaliano, e in Silvio Ramat (Firenze, 2 ottobre 1939). Ci sono però anche esperienze difficilmente classificabili, tra le quali vanno ricordate quelle di Lucio Piccolo (Palermo, 27 ottobre 1901 – Capo d'Orlando, 26 maggio 1969), di Lorenzo Calogero (Melicuccà, 28 maggio 1910 – Melicuccà, 25 marzo 1961), di Angelo Maria Ripellino (Palermo, 4 dicembre 1923 – Roma, 21 aprile 1978).[28]

La poesia dialettale

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Albino Pierro

Nel corso del Novecento si è assistito allo sviluppo di una nuova poesia dialettale, che superando i modelli del verismo ha portato a risultati molto elevati. Si tratta per lo più di autori appartati, che verranno riscoperti e valorizzati negli anni cinquanta e sessanta grazie all'impulso dato da Pasolini. Per questi poeta la scelta del dialetto è un modo per uscire dal movimento distruttivo della storia, dalla consunzione della lingua letteraria tradizionale, e di esprimere sentimenti autentici di cui la lingua comune non è più capace. La poesia dialettale consentiva quindi di recuperare il sublime attraverso una via diversa da quella battuta dalla lirica moderna.[29]

All'inizio del secolo i risultati più significativi arrivano dall'area della Venezia Giulia, grazie ad autori come Virgilio Giotti (pseudonimo di Virgilio Schönbeck; Trieste, 15 gennaio 1885 – Trieste, 21 settembre 1957) e Biagio Marin (Grado, 29 giugno 1891 – Grado, 24 dicembre 1985). Il milanese Delio Tessa (Milano, 18 novembre 1886 – Milano, 21 settembre 1939) nelle sue poesie parla della realtà nella città lombarda, dei suoi oggetti e delle sue atmosfere. I suoi componimenti, raccolti nei volumi L'è el dí di mort, alegher! (1932) e De là del mur (1947, postuma), presentano una continua frammentazione di ritmo e linguaggio, un insieme di pezzi del mondo cittadino che finiscono per dare voce a una danza macabra. La poesia di Giacomo Noventa (pseudonimo di Giacomo Ca' Zorzi; Noventa di Piave, 31 marzo 1898 – Milano, 4 luglio 1960) ricorre al dialetto veneziano come forma di polemica contro la modernità, utilizzandolo come lingua nobile per esprimere riserve contro la sopravvalutazione delle scelte umane. È inoltre un intellettuale dotato di una vasta cultura internazionale, lontano dall'idealismo e dall'ermetismo; antifascista, fonderà a Firenze La Riforma letteraria nel 1936.[30]

Anche nel secondo dopoguerra si registra il ritorno al dialetto come lingua poetica, incoraggiato, come già ricordato, da Pasolini. Il dialetto continua a rappresentare una fuga dalla modernità alla riscoperta di una realtà originaria pura, estranea alla trasformazioni dell'età industriale. In questo modo, però, il dialetto perde la sua funzione comunicativa per diventare una lingua astratta e artificiale. Tra gli autori inquadrabili in questo filone si ricordano Ignazio Buttitta (Bagheria, 19 settembre 1899 – Bagheria, 5 aprile 1997), Tonino Guerra (Santarcangelo di Romagna, 16 marzo 1920 – Santarcangelo di Romagna, 21 marzo 2012), Albino Pierro (Tursi, 19 novembre 1916 – Roma, 23 marzo 1995), Franco Loi (Genova, 21 gennaio 1930 – Milano, 4 gennaio 2021).[31]

  1. 1,0 1,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 187.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1089.
  3. Luciano Anceschi, Le poetiche del Novecento in Italia, Milano, Marzorati, 1962.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1089-1090.
  5. 5,0 5,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1090.
  6. 6,0 6,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1091.
  7. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 239.
  8. 8,0 8,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1092.
  9. 9,0 9,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 246.
  10. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1092-1093.
  11. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1106.
  12. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1107.
  13. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1108.
  14. 14,0 14,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1099.
  15. 15,0 15,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 242-243.
  16. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1100.
  17. 17,0 17,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1101.
  18. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1095.
  19. 19,0 19,1 19,2 19,3 19,4 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetto e Giuseppe Zaccaria, La poesia, la saggistica e la letteratura drammatica del Novecento, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 251-252.
  20. 20,0 20,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1096.
  21. 21,0 21,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1173.
  22. Merini, Alda, in Dizionario della letteratura italiana del Novecento, diretto da Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1992.
  23. Merini, Alda, su treccani.it. URL consultato il 7 dicembre 2018.
  24. Luciano Anceschi (a cura di), Linea lombarda: Sei poeti (editi e inediti di Vittorio Sereni, Roberto Rebora, Giorgio Orelli, Nelo Risi, Renzo Modesti, Luciano Erba), Varese, Magenta, 1952.
  25. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1097.
  26. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 1172.
  27. Alberto Asor Rosa, Storia europea della letteratura italiana, vol. 3: La letteratura della Nazione, Torino, Einaudi, 2009, p. 592.
  28. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1097-1098.
  29. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 991.
  30. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 992.
  31. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 1098-1099.