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Forze armate mondiali dal secondo dopoguerra al XXI secolo/Angola-1

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Indice del libro

Fu nel gennaio 1975, a Mombasa, che si incontrarono i leader dei tre movimenti di guerriglia rimasti dopo la guerra contro i Portoghesi. Erano l'MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola) di Agostinho Neto; l'FNLA (Fronte Nazionale di Liberazione dell'Angola) di Holden Roberto; l'UNITA (Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola) di Jonas Savimbi. Costoro si accordarono per gestire in maniera congiunta il passaggio dal controllo portoghese all'indipendenza. Poi vi fu un altro meeting ad Alvor, quando i Portoghesi ratificarono i termini dell'accordo. Era previsto un governo con i ministeri ripartiti tra i tre movimenti in maniera equa, poi si sarebbero indette elezioni libere.

Il problema era proprio questo. Le etnie maggioritarie nel Paese erano gli Ovimbundu, Chokwe, Bakongo e altre ancora, che non erano favorevoli all'MPLA, il movimento di guerriglia marxista. Questo perché tale organizzazione era diretta da meticci e rappresentava soprattutto gli Umbundu, anche se questi ultimi erano pur sempre il 25% della popolazione. Dati gli assetti tribali c'era da aspettarsi una vittoria finale, alle elezioni, dell'UNITA o della FNLA, dato anche l'appoggio diretto dato dall'Occidente e da Paesi africani moderati come lo Zaire e il Senegal. Così Neto calò l'asso per conquistare la vittoria: l'appoggio dei Comunisti. I primi di costoro giunsero, pare, il 4 ottobre 1975 a Porto Amboim con la nave 'El Vietnam Heroico', con un contingente destinato ad addestrare le F.A. angolane, le FAPLA, con l'istituzione di 4 CIR (Centri di Istruzione Rivoluzionaria). Il grande Paese africano era già frammentato in fazioni. Parecchi cubani, tedeschi orientali e Sovietici stavano arrivando pro MPLA e anche prima di quanto dichiarato. A luglio due carri sovietici con equipaggi cubani vennero distrutti e i corpi dei loro occupanti mostrati al pubblico per dimostrare la partecipazione cubana nella lotta per il potere interna a Luanda. L'UNITA stava combattendo contro di loro già allora, e in agosto l'MPLA pensò di assassinare Savimbi, ponendo fine ad ogni trattativa pacifica. Ad Agosto l'UNITA e l'FNLA abbandonarono Luanda oramai diventata ingestibile.

Ma perché il blocco comunista, al di là dell'appoggio a chi si richiamava ideologicamente a Marx, fu tanto sollecito? Dopo tutto, anche la Cina era uno Stato comunista che però dal 1960 non era più amico dei Sovietici. La ragione di tanta solerzia era quella che gli Stati di tutte le correnti politiche ed economiche considerano: la convenienza geopolitica, se non anche economica. L'Angola non ha risorse petrolifere di rilievo, ma ha molti altri minerali, specialmente diamanti. Ma per i Sovietici non erano tanto importanti questi, quanto le basi. I loro pattugliatori a lungo raggio 'Bear', a cui era demandato l'ombreggiamento delle potenti ed aggressive formazioni navali NATO, erano così in grado di volare a 'zig-zag', partendo da Kola in URSS, fermandosi a l'Havana, ripartendo per Luanda, poi doppiando l'Africa per lo Yemen e infine da lì partire per il Vietnam a Cham Ranh Bay, per poi magari tornare in Siberia. Con piccoli gruppi di aerei era possibile così controllare discretamente bene (almeno in tempo di pace) sia l'Atlantico che l'Oceano Indiano, altrimenti fuori dalle capacità di osservazione sovietiche (eccetto che con i satelliti e le unità navali, però in entrambi i casi con notevoli limiti). Per loro, insomma, era fondamentale avere una rete di basi globali che contrastasse l'accerchiamento americano, all'epoca in crisi (e lo divenne ancora di più dopo la Rivoluzione in Iran, nazione che era praticamente un pugnale puntato dagli Americani verso il Caucaso e il suo petrolio, tanto che la sua aviazione aveva basi aeree sufficienti per un'armata aerea come quella mobilitata nel Golfo durante il 1991). Naturalmente, per il Sudafrica era parimenti importante che le idee marxiste stessero più lontane possibili dai suoi confini, dato il regime di apartheid che già gli causava problemi politici internazionali. La Namibia avrebbe dovuto essere già sufficiente come 'ammortizzatore', ma data la presenza là della SWAPO, di fatto l'intervento dei Sudafricani continuava a spingersi a Nord fino a raggiungere, nel corso degli anni, direttamente l'Angola.

L'FNLA, una volta cacciato, ritornò ad ottobre verso Luanda, rimasta sotto controllo dei comunisti. Anche la SADF (le F.A. sudafricane) partirono con una colonna che raggiunse il 23 ottobre Lubango per colpire le basi SWAPO, i guerriglieri marxisti (South West-Africa People's Organization) onde aiutare l'UNITA e la FNLA, mentre Neto presiedeva un governo minoritario con il quale voleva portare sempre più in zona sovietica l'Angola, cosa che occidentali e i sudafricani non volevano. In effetti già il 3 novembre i Sudafricani attaccarono Benguela e poi Cela e Tongo, mettendo in fuga i 'consiglieri' cubani e le truppe delle FAPLA. L'FNLA attaccò Luanda il 10 novembre, il giorno prima della proclamazione ufficiale dell'indipendenza. Nella sua forza di combattimento aveva anche blindati AML con equipaggi dello Zaire, un cannone da 130 mm, due SR da 106 mm, una forza di 4 btg di fanteria, 160 mercenari e forse, anche 3 battaglioni dello Zaire.

Ma nel frattempo erano arrivati grossi quantitativi di armi e anche truppe da parte cubana, più che sufficienti per la raccogliticcia 'armata' nemica. I lanciarazzi multipli BM-21, manovrati dagli uomini di Castro, risolsero la questione con effetti materiali e psicologici terribili per gli attaccanti, poi respinti definitivamente con un contrattacco sferrato anche con carri armati. Dal 7 novembre iniziarono le partenze 'ufficiali' cubane dal porto de l'Havana per 'combattere l'aggressione sudafricana'. Ma nel frattempo le SADF, criticate dagli USA per l'attacco in Angola, erano tornate nei confini. Gli Americani erano colpiti dai postumi del Vietnam e Watergate, quindi non erano disposti a sostenere avventure militari così sfacciate. Alla fine le FAR (Fuerzas Armadas Revolucionarias) Cubane si ritrovarono solo l'UNITA ancora ad opporsi al governo di Luanda.

Con i Cubani in zona non ci fu scampo per Savimbi. Huambo, la vecchia Nova Lisboa, era la sua capitale provvisoria, ma cadde nel febbraio 1976: fu l'inizio di un dramma epico. Savimbi non si arrese e scappò alla frontiera con lo Zambia.

Partirono in 2.000. Arrivarono in 68. Ecco, in questi numeri, la 'Lunga marcia' di Savimbi, finita in una zona popolata da branchi enormi di animali selvatici. Neto, l'8 ottobre, consolidò la sua posizione con un accordo di 'amicizia' ventennale con l'URSS. Nel frattempo negli USA passò l'Emendamento Clark, che vietava finanziamenti per i guerriglieri anti-marxisti, poi ritirato solo nel 1985 da Reagan. Sembrava la fine della resistenza anti-marxista.

La ripresa della lotta e il ritorno in Angola

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Ma Savimbi, apparentemente finito in pasto ai leoni, in realtà già nel marzo 1977 tenne a Benda un congresso, in cui iniziò la riorganizzazione della resistenza ai cubani e sovietici, agitando lo slogan della 'resistenza e liberazione' al loro neo-imperialismo. Il Sud-Africa, che aveva catturato molte armi alla SWAPO, appoggiò l'iniziativa e fornì parecchi aiuti militari. Dopo qualche anno la prima importante vittoria, la conquista di Mavinga, il 19 settembre 1980, dove poi il 5 agosto 1982 venne tenuto il 5° Congresso. Si decise la formazione di battaglioni regolari e semiregolari. Si voleva respingere gli Angolani di Luanda e i suoi alleati verso Nord, creando al contempo zone liberate in cui muoversi sempre più in forze. Tra le azioni fatte all'epoca, c'era l'Operazione Alto Katumbela del marzo 1983. Nel suo ambito vennero uccisi 61 soldati delle FAPLA angolane, altri 11 catturati; soprattutto tra i prigionieri figuravano ben 20 tecnici portoghesi e 61 cecoslovacchi. Vennero distrutti 3 ponti, una locomotiva e 36 veicoli oltre ad un elicottero.

Sempre in zona, nel periodo 3-12 agosto 1983 venne poi combattuta una grande battaglia, quando 3 brigate e unità d'artiglieria attaccarono Cangamba. Questo era un importante centro difeso da forze superiori agli attaccanti, per non parlare degli aerei. C'erano 6 brigate delle FAPLA e una cubana, più una brigata corazzata di appoggio. Erano forze formidabili, ma dopo 11 giorni di combattimento si ritrovarono del tutto assediati dall'UNITA e vennero evacuati con gli elicotteri. Per rendere le cose ancora peggiori, il 10 novembre cadde anche Cazombo. La ragione di questi successi era data da un incremento delle forze disponibili, circa 15-20.000 uomini nel 1981 e 35.000 nel 1983, così da controllare due province, Moxico e Cuando Cubango. Dal 1984 anche il Nord dell'Angola venne attaccato, portando all'apertura di un altro fronte. Oltre a presidiare le piazzeforti, la FAPLA e gli alleati lanciarono delle operazioni di riconquista, come quella di gennaio-luglio del 1984, che vide all'opera 10.000 angolani e 3.000 cubani, con carri, elicotteri e cacciabombardieri. Ma il 27 luglio dovettero ripiegare a Luena, da dove erano partiti. Nell'occasione l'UNITA rivendicò di avere ucciso 1.600 soldati di Luanda e 214 cubani, più 5 velivoli abbattuti (2 MiG-21, 2 Mi-8 e un addestratore armato PC-7). Non fu un successo nemmeno l'operazione di agosto-settembre contro Munhango e Quito Canavale. Eppure vi parteciparono ben 12 brigate FAPLA, una cubana, 2 cp di tecnici Russi; tra i mezzi di supporto c'erano 34 aerei, 25 carri T-54, 120 APC e 12 lanciarazzi multipli BM-21. Nonostante ciò, questa potenza complessiva, venne fermata da 1 solo battaglione regolare dell'UNITA e 20 semi-regolari. Offensive più piccole hanno visto 'solo' 2-3 brigate contro i guerriglieri dell'UNITA, operanti al di fuori della loro area di controllo, ma semza molti risultati.

Quanto alla situazione in Namibia, gli accordi di Lusaka del 16 febbraio 1984 portarono al ritiro del Sudafrica dal sud del Paese, che prima controllava. Erano state inflitte perdite pesantissime alla SWAPO, ricacciandola fino in Angola. Questo in teoria avrebbe dovuto far sì che la SWAPO restasse praticamente senza ragion d'essere rispetto all'utile strumento per la politica sovietica nella zona; l'UNITA, ora priva di rifornimenti dal Sudafrica, avrebbe perso a sua volta molta della sua capacità bellica, pur restando decisamente pericolosa per Luanda. Alla fine, né l'Angola con la SWAPO, né il Sudafrica con l'UNITA cessarono i loro aiuti. Una tregua in quelle condizioni non conveniva a nessuno, nemmeno con così grandi spazi per tenersi ben lontani (con tanto di assolati deserti) gli uni dagli altri. E quando i commandos di Pretoria tentarono un raid contro gli impianti petroliferi dell'enclave di Cabinda l'idea della pacificazione subì un colpo definitivo. Ma i Sudafricani, per una volta, fallirono l'obiettivo. Quel che conta è che quel giorno, il 20 maggio 1985, significò il ritorno alle armi come continuazione della politica, e il ritorno alle grandi battaglie campali come argomento decisivo dei futuri assetti geopolitici.

La cosa era così drammaticamente chiara, che Pretoria dichiarò nel 1985 il suo appoggio all'UNITA come parte della sua difesa contro l'espansionismo comunista nella regione. Alla metà degli anni '80 vi fu una forte ripresa dei combattimenti sia in Angola che in Mozambico, dove si registrò l'attacco combinato contro sia l'UNITA che la RENAMO, quest'ultima era simile alla prima, ma operante in Mozambico.

Le SADF in azione

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Tra le operazioni tattiche più brillanti eppure controverse come risultati, merita senz'altro menzione la 'Protea', portata avanti tra il 23 agosto e il 4 settembre 1981 con l'impiego di circa 5.000 soldati nella provincia di Cunene, all'interno del territorio dell'Angola.

L'obiettivo era la distruzione delle basi della SWAPO di Xangongo e Ongiva. Xangongo in particolare era il QG del settore nort-occidentale, da cui si dirigevano le operatazioni nel Kaokoland e nell'Ovamboland. Ad Ongiva vi era il principale centro logistico e addestrativo; le due basi erano vicine al confine con la Namibia e quindi in posizione favorevole per lanciare l'attacco contro il territorio tenuto dai Sudafricani e dalle locali milizie.

Dopo avere subito l'Operazione Reindeer, la SWAPO mosse le sue basi vicine a quelle della FAPLA, per ottenere un sostegno che facesse da deterrente ad ulteriori zampate dei leoni di Pretoria. La SWAPO aveva oramai anche in comune la logistica con le FAPLA, specie ad Ovest di Ongiva.

Venne mandata avanti una forza meccanizzata di Ratel e Buffel, supportati anche dalle blindo Eland, il tutto avanzando da Ruacana, Oshakati e Ondangwa verso Xangongo. L'azione doveva isolare la città per evitare lo scontro con i Cubani e le FAPLA eventualmente accorse dall'esterno; nel mentre una parte della forza sudafricana attaccava l'obiettivo principale. Non era facile, perché le FAPLA erano praticamente unificate con la SWAPO nel settore, e così il desiderio di evitare il confronto non sarebbe stato in pratica esaudible. Inoltre SWAPO e FAPLA avevano imparato le lezioni dell'Operazione Reindeer, così da essere protette in trincee e bunker, nonché da carri armati interrati.

Ma forse proprio per questo, non si aspettavano un attacco sudafricano in una zona tanto difesa. Specie se si considera che c'era un'intera armata tra FAPLA (23.000) e cubani (7.500) nella città di Lubango, pronti per muovere a Sud per difendere Xangongo. Infine, ci si aspettava che un attacco del genere sarebbe provenuto da Sud. Invece i Sudafricani attaccarono sui fianchi e alle spalle, sfasciando le difese nemiche in poco tempo. I marxisti furono costretti a scappare nella savana fuori della città per evitare di essere sopraffatti. I Sudafricani riuscirono persino a trovare i documenti lasciati da circa 30 consiglieri militari sovietici, testimoniando il coinvolgimento dell'URSS nelle operazioni in Angola. Non contenti ancora, i Sudafricani attaccarono anche Ongiva il 26 agosto e dopo due giorni di combattimenti, colpendo anche qui alle spalle della maggior parte delle difese, conquistarono anche Ongiva pur non avendo più l'elemento della sorpresa. L'aeroporto era stato attaccato, ma si difese con le armi contraerei, costringendo alla ritirata i Sudafricani. Poi sopraggiunsero i Mirage che colpirono ed eliminarono i cannoni contraerei, finiti poi dalla fanteria meccanizzata. Vi furono scontri violenti, come quello con 300 soldati della FAPLA che uccisero due due soldati delle SADF, ma tutti i cannoni contraerei vennero eliminati. Alla fine sia la SWAPO che le FAPLA vennero sconfitte pesantemente.

Anche qui c'erano consiglieri sovietici, di cui qualcuno venne ucciso e uno catturato, tale Pestretsov. Alla fine, questo fu un altro successo sudafricano netto. È incredibile come un'operazione così complessa e contro forze così pesantemente armate, un'altra volta ancora i Sudafricani ottenessero una schiacciante vittoria. Ebbero 10 soldati uccisi, ma SWAPO e FAPLA ebbero almeno 1.000 morti. I Sudafricani catturarono 4.000 tonnellate di materiale militare dal costo complessivo di oltre 200 mln di dollari, tra cui cannoni c.a., carri, mezzi logistici. Un disastro, insomma, che oltretutto mise in chiaro, a vantaggio della politica sudafricana, la presenza sovietica nell'area; vennero anche catturati 38 soldati. Onestamente, i Sudafricani non erano molto intenti a fare prigionieri. Quando i soldati delle FAPLA scapparono attraverso una strada sopraelevata, molti vennero uccisi dal fuoco dei sudafricani. Nell'insieme fu un disastro che indebolì molto la SWAPO, apparentemente mai al sicuro, nemmeno in Angola. Nel contempo, la SWAPO aveva in programma il passaggio dalla guerriglia alle operazioni convenzionali, dato che si era trovato un quantitativo di carri armati e armi pesanti. Anche per questo si trovò che questa sanguinosa operazione fosse pienamente giustificata. La SWAPO impiegò molto tempo a riprendersi da questa batosta, almeno un anno, e al contempo, costrinse a spostare verso nord le proprie basi, quindi più lontano dal confine sudadricano.

Dato che l'Operazione Protea aveva avuto successo, ma non ebbe un risultato definitivo, visto che la SWAPO continuava l'attività in Angola. Seguì l'Operazione DAISY, stavolta contro Chitequeta, dove la SWAPO tentava di riorganizzarsi. Era a circa 240 km a Nord del confine, un'operazione molto difficile da completare anche per le SADF. Ma quest'azione fu ugualmente fatta, riuscendo a superare le distanze. I Ratel e i Buffel portarono anche stavolta la forza meccanizzata fino alla meta. La battaglia lasciò sul terreno 71 guerriglieri della SWAPO, ma l'estensione della base era così grande (35 km2) che quasi tutti i 1.200 guerriglieri riuscirono a scappare nella boscaglia. Ma ancora una volta, vennero catturati molti rifornimenti e distrutto un altro centro logistico, minando ancora di più il morale dei guerriglieri, costretti ad allontanarsi ancora di più dal confine della Namibia. Questa fu la più profonda delle penetrazioni delle SADF in territorio angolano.


La battaglia di Cassinga fu una delle più controverse tra tutte le tante operazioni militari sudafricane. L'Operazione Moscow venne diretta contro la città di Chetequera, diventata uno dei due QG della SWAPO della regione, l'altra era a Lubango, più a Nord nonché il principale centro sanitario della regione.

Le foto riportate dai Camberra B12 del 12 Sqn di Waterkloof mostravano migliaia di metri di trincee a zig-zag, blindati immersi in postazioni di cemento, da dove controllavano le strade d'accesso; vi era anche una batteria di SA-2. C'era lo scolabus catturato dai guerriglieri 10 giorni prima, e certo anche i bambini catturati dai guerriglieri. Era chiaro che vi fossero consiglieri sovietici (e anche tedesco-orientali), mentre i SA-2 erano capaci di porre un problema agli aerei in volo ad alta quota, limitando le operazioni aeree in quota e quindi, favorendo la diffusione della guerriglia nel territorio. Occorreva fare qualcosa e i Sudafricani non persero molto tempo.

Alla fine venne pianificata l'Operazione Reindeer, che avrebbe visto l'attacco a Cassinga con gli elicotteri, a Chetaquera con i blindati e con fanteria leggera a Dombondola. La più importante delle tre azioni fu l'attacco a Cassinga, che condusse all'omonima battaglia. Le località da attaccare erano dentro il territorio angolano di 35 km, eccetto che Cassinga, che distava ben 260 km dalla Namibia. Troppo lontano per non creare problemi. Eppure venne fatta lo stesso,anche perché là c'erano i comandanti come Jerobeum 'Dimo' Amaambo e G.Matong. Ma il tempo necessario per raggiungere un tale obiettivo, specie con gli elicotteri, avrebbe quasi sicuramente causato un allarme anticipato. Poi c'è da dire che Cassinga era su di una piccola collina, con un fiume a lato, e quindi, abbastanza ben difesa in termini naturali. Ma come in altre situazioni, l'intelligence sudafricana scoprì che i difensori erano troppo sicuri di non essere attaccati dai Sudafricani e impreparati contro un attacco ad armi combinate tipico di forze come quelle Israeliane, ma non ancora di quanto avevano dimostrato i Sudafricani; però stavolta andò diversamente. Mentre il 12° Squadrone si addestrava per le azioni di bombardamento a bassa quota, si mise in conto di usare un'unità d'assalto eliportata, la quale avrebbe attaccato l'obiettivo Alpha (Cassinga) con il supporto di 17 elicotteri e degli aerei da combattimento della SAAF. I Sudafricani utilizzarono come copertura l'esercitazione Kwiksilver, nel mentre chiamarono la mobilitazione delle unità paracadutisti della Citizen Force, trasportate poi fino ad un centro vicino Bloemfontein per un rapido aggiornamento e addestramento operativo. I politici del governo sudafricano tuttavia erano molto esitanti ad autorizzare un'operazione del genere per il timore di reazioni internazionali avverse; ma il 2 maggio 1978 il premier J.Vorster autorizzò l'operazione dal 4 maggio, proprio il giorno dopo la fine della discussione del consiglio ONU sull'Africa Sud-Occidentale.

Data la segretezza dell'operazione, vennero usati i battaglioni 2 e 3 dei paracadutisti (il primo era invece coinvolto in altre operazioni e costituito da coscritti); ma per non compromettere il segreto vennero richiamati meno soldati di quelli che sarebbero stati necessari e così i tre battaglioni vennero temporaneamente fusi iun un solo battaglione paracadutsiti composito, al comando del Maj. G. Ian Gleeson come operazione complessiva e il btg di per sé era diretto dal col J. Breytenbach. C'erano le compagnie A, B, C e D, tutte sotto organico, più unità indipendenti come i mortaisti del plotone appoggio e altri plotoni tra cui quello controcarri. Le armi all'epoca erano ancora gli R1, ovvero i FAL da 7,62, piuttosto curioso se si considera che erano già disponibili gli R4 per altre unità operative.

La SAAF contribuiva con 4 C-130 e 5 C.160, più 13 Puma e 6 Super Frelon; per i compiti di attacco e supporto vennero mobilitati 4 Camberra B.12, 6 Buccaneer e 4 Mirage III. È noto anche l'armamento di tutti questi aerei: 300 bombe Alpha a frammentazione anti-personale per ciascun Camberra, 8 bombe da 454 kg per ciascun Buccaneer, eccetto uno che aveva 72 razzi da 68 mm in 4 razziere. I Mirage avevano solo il compito di copertura aerea e portavano AIM-9 e i cannoni da 30 mm con proiettili HE-Frag. Infine un Camberra avrebbe scattato le foto per preparare la mappa per aiutare i piloti a volare bassi e veloci fin sull'obiettivo. Ma durante questa preparazione vi fu un errore potenzialmente disastroso. A causa dell'errato riporto della scala sulle mappe, si pensò che la zona di atterraggio fosse abbastanza grande da consentire un rilascio dei parà abbastanza facile, invece non era così e molti avrebbero mancato l'obiettivo al momento del lancio. Un Cessna 185 era stato inviato in zona per essere usato come velivoli da osservazione e collegamento radio, più un DC-4 ELINT in volo al confine con l'Angola. Questo per intercettare le comunicazioni angolane e cubane e al momento giusto, disturbarle, per causare -come in effetti fu- un ritardo cruciale nell'intervento.

La SWAPO aveva una struttura da unità di guerriglia e non è possibile capire quanti fossero i combattenti veri e propri, forse 300-600 tra uomini e donne, ma c'erano anche molte altre persone, tra cui oltre 3.000 rifugiati. C'era anche il comandante Dimo Amaambo, era la sua città. Le difese comprendevano 2 ZPU, uno ZU e un paio di mitragliere da 12,7 mm per la difesa contraerea e anche terrestre.

I Cubani erano ad appena 15 km, al villaggio di Tetchamutete, con un battaglione rinforzato di almeno 17 BTR-152 e 4 T-34, 7 autocarri e 4 cannoni c.a., il tutto con circa 400 soldati. La loro presenza era stata una ragione fondamentale per scegliere l'attacco dall'aria piuttosto che da terra. L'ordine era di evitare il confronto con i Cubani, ma questi riuscirono ad approntarsi al movimento in meno di un'ora dall'inizio dei combattimenti e questo, in uno con i ritardi delle operazioni, rese inevitabile il confronto.

Iniziata la preparazione alle 4.00, i parà entrarono in azione dopo che decollarono i Buccaneer alle 5.19 da Waterkloof, più tardi, alle 5.43, toccò ai Camberra, che però erano più veloci grazie alla maggiore quota operativa di circa 3.000 m. A causa di un problema ai freni, uno dei Bucs non fu disponibile in tempo per il primo attacco; nel mentre, alle 6.00 gli otto aerei da trasporto sudafricani decollarono, due portavano la compagnia di riserva da usare se necessario e gli altri sei andarono avanti; alle 6.30 decollò anche il DC-4 ELINT/EW; due Puma atterrarono vicino a Cassinga per fare una zona di rifornimento elicotteri (HAA), con i comandanti dell'operazione e una decina di soldati. Vennero anche sbarcati 6 serbatoi di 200 litri l'uno per i rifornimenti aerei; tra gli ospiti di questi due elicotteri non mancò nemmeno Constand Viljoen, niente di meno che il capo dell'Esercito, cosa che mandava in notevole difficoltà il comandante Hills, della Compagnia Bravo, che certo non gradiva il rischio che correva di essere catturato niente di meno che il comandante dell'esercito.

Poi arrivarono gli elicotteri Super Frelon e Puma, in quella che era diventata la Whisky-Three, arrivò con il gruppo di protezione (31 paracadutisti), 6 del personale medico e 8 serbatoi da 200 litri), con un totale di 5 Super Frelon e 10 Puma. Gli elicotteri aspettarono a quel punto per la loro missione, dopo il rifornimento: portare via i paracadutisti. Poi alle 7 decollò il Cessna 185 e cominciò la sua vitale azione di coordinamento e di osservazione, anche se costretto poi a ritirarsi a causa del fuoco antiaereo.

I Camberra arrivarono alle 8.02, con un ritardo di due minuti sui tempi stabiliti per via di qualche inevitabile errore fatto nella navigazione durante la fase d'attacco a bassa quota, durata ben 370 km, ma non fece differenza. La loro missione era omicida nel senso più letterale: dovevano colpire le forze SWAPO proprio durante la rivista mattutina, con la maggior parte che si trovava all'aperto quando sopraggiunsero i Camberra, in volo a 150 m e 550 kmh ala contro ala. Questi aerei rilasciarono 300 bombe Alpha, ordigni senza coda, ma che dovevano rimbalzare di circa 10 m in aria prima di esplodere. Erano quindi delle piccole e micidiali bombette anti-personale, pesanti ciascuna 10 kg; non è chiaro se ciascun aereo o tutti quanti insieme ne avessero 300, può essere vero in entrambe le possibilità; sta di fatto che la zona bombardata dalle loro micidiali schegge (anche per via della detonazione in aria) era lunga 800 m x 500 di larghezza. Non bastasse, poi apparvero i Bucs, con un'azione in picchiata, che rilasciarono 32 bombe da 454 kg. Di queste, usate contro le strutture più resistenti, pare che 24 ottennero un centro pieno e causarono altri danni, oltre quelli già inflitti dai Camberra con le loro bombe a frammentazione. Poi comparvero anche i Mirage a mitragliare la base con i 30 mm. Tutti gli aerei ritornarono a Ondangwa e Grootfontein per rifornirsi, lasciando al Buccaneer con i razzi il compito di supporto (CAS); dopo vennero usati per l'attacco a Chetequera.

I sei trasporti raggiunsero la zona salendo da 60 a 180 m per il lancio appena dopo che erano finite le azioni di bombardamento. Ma il fumo causò delle difficoltà di localizzazione e la formazione allineata ala ad ala si rese poi conto che la DZ (Drop Zone) era più piccola di quanto interpretato dalle mappe (nonostante che vi fosse una precisa scala impressa nelle fotografie dei ricognitori). Questo causò un ritardo che impedì di catturare il campo in tempo utile, consentendo la fuga dei capi della SWAPO, tra cui Matongo e Amaambo, gli obiettivi principali dei Sudafricani (e uno dei due diventerà, invece, il primo capo della Namibia indipendente). Mentre le compagnie erano in difficoltà, i plotoni indipendenti 9 e 11 vennero invece lanciati a nord e in maniera corretta, vincendo poi la resistenza dopo un breve scontro a fuoco e contando 54 morti a terra, poi sigillando la via di fuga a nord. Le compagnie D e B si avvicinarono agli obiettivi e ad un certo punto si spararono anche addosso, ma controllarono le vie di fuga del loro settore e il plotone controcarri venne mandato anche ad appostarsi in agguato per la strada che portava a Techmutete. Dalle 9 iniziarono gli attacchi della cp A e B contro Cassinga, l'obiettivo principale, da nord anziché da sud come pianificato. Affrontarono fuoco di cecchini e anche lanciarazzi B-10, ed ebbero due feriti gravi. Inizialmente la resistenza non era stata molta, ma ad un certo punto si trovarono un numero crescente di avversari e anche sotto tiro di alcuni potenti ZPU-4 da 14,5 mm, che fermò le due cp. Il Bucs non poteva garantire il supporto ravvicinato perché erano troppo vicine ai cannoni. Mentre i parà attaccavano le trincee come diversivo, la cp. mortai era incaricata di colpire le postazioni c.a. Nelle trincee vennero scoperti numerosi civili, a quanto pare usati come 'scudi umani', e vi fu un massacro dato che non era possibile fare distinzione tra chi era disarmato e chi aveva armi, e in genere anche un'uniforme di tipo cubano (erano uomini e donne). Più ci si inoltrava nelle trincee e più si trovavano nemici, mentre calava il numero dei civili.

I cannoni ZPU continuavano ad essere manovrati dai cannonieri, e questo impressionava i parà sudafricani: benché i cannonieri venissero spazzati via dal fuoco delle mitragliatrici e dei mortai sudafricani, ogni volta venivano sostituiti da altri che sbucavano dalle trincee. Fu una lotta dura e lunga, tanto che alla fine, quando i cannoni vennero silenziati i cannoni, vennero trovati i corpi di 95 guerriglieri attorno ai cannoni, mentre i Sudafricani ebbero 2 soli morti ma ammisero il coraggio dei loro sfortunati avversari.

Messi a tacere i cannoni, la resistenza a Cassinga terminò in larga misura, a parte settori limitati e i soliti cecchini. Nell'insieme solo 3 parà erano rimasti uccisi e 11 feriti, di cui 2 in maniera critica. Un altro parà ebbe un problema al momento del lancio e forse affogò nel fiume vicino o non gli si aprì il paracadute.

Ora il problema era che l'attacco era indietro di due ore, visto che era circa mezzogiorno e l'estrazione con gli elicotteri era programmata per le 10.00.

Nel frattempo stava succedendo quello che non si sarebbe voluto, ovvero l'intervento dei Cubani del battaglione lì vicino; nonostante che si fosse diffusa la notizia che questi stavano arrivando, si perse tempo a discutere se fosse il caso di far atterrare subito gli elicotteri o se prima fosse resa totalmente sicura la LZ. Alla fine si arrivò a decidere che metà dei parà dovevano farsi evacuare da 12 Puma e gli altri continuare le operazioni di 'pulizia' della zona e trovare documenti utili nella base conquistata.

Erano le 13 quando il col Breytenbach ebbe l'informazione da uno dei Bucs che stava arrivando il btg meccanizzato cubano, con circa 30 AFV e APC, in avvicinamento lento. Il Bucs provvide a rallentarli ulteriormente, visto che con i razzi distrusse 3 BTR-152, prima di dover poi ritornare alla base per rifornirsi.

I 200 parà erano adesso senza protezione eccetto che per i 22 elementi del plotone controcarri, che avevano in tutto 10 RPG-7 e 5 mine controcarri.

Nel frattempo i parà sudafricani erano in confusione, non meno dei loro nemici. Questi ultimi però, vedendo i 12 Puma decollare, pensarono che fossero scappati tutti e che non vi fosse più pericolo, così avanzarono nell'imboscata pianificata dal plotone sudafricano. Il carro di testa venne distrutto da una mina, seguirono lanci di RPG precisi, che distrussero 4 BTR e uccisero circa 40 soldati cubani, prima di ritirarsi verso la LZ della seconda ondata di elicotteri di recupero.

Il rischio che circa la metà dei parà sudafricani restasse intrappolata dall'attacco dei cubani superstiti era reale e il gen. Viljoen già che c'era nascose i suoi gradi per il rischio di essere riconosciuto in caso di cattura. Alle 14.20 i mezzi cubani erano vicino alle posizioni dei parà, quando apparvero un Bucs e due Mirage III, che fecero un mucchio di danni alle forze di terra. Pare che i soli Mirage III distrussero ben 10 BTR-152 prima di ritornare alla base ma furono inefficaci contro i T-34, mentre il Bucs colpì almeno due carri, veicoli e una postazione contraerei con i suoi razzi SNEB da 68 mm, nonostante il contrasto di una mitragliera da 14,5 mm che alla fine tuttavia venne distrutta con due passaggi a fuoco. Finalmente arrivarono i 17 elicotteri per 'estrarre' i parà superstiti. Questo però tradì la zona della LZ anche ai Cubani, che nient'affatto persisi d'animo, cominciarono ad avanzare, mentre i preoccupati parà osservavano gli alberi flessi sotto il peso dell'avanzata dei carri, ad appena 200 m di distanza. I Cubani erano appena a tiro degli elicotteri sudafricani, che risultavano nascosti solo dalla boscaglia: una catastrofe che i Sudafricani erano ad un passo dal subire, perdendo una squadriglia di elicotteri e il comandante dell'esercito in un colpo solo! Il Bucs, rimasto senza munizioni, picchiò contro i cubani spaventandoli con un volo radente, tanto che toccò la cima degli alberi e con il suo fragore (e la minaccia di altri attacchi) disorientò i cubani, facendo guadagnare agli elicotteri un tempo preziosissimo.

Alla fine, 40 prigionieri SWAPO, che dovevano essere portati in Namibia per essere interrogati furono rilasciati liberi perché gli elicotteri proprio non potevano portarli con sé. In seguito, due Puma cercarono anche altri parà nell'incertezza di averne lasciato qualcuno in giro, si soffermarono sul gruppo di prigionieri prima di riconoscerli come tali, e andarono vicini a dare una storica vittoria al cannoniere di un carro armato cubano, che venne avvistato tra la boscaglia pronto al fuoco: il Puma riuscì a virare e per pochissimo a mandare a vuoto la granata da 85 mm. Tornati alla zona di raggruppamento (la HAA), gli elicotteri cercarono di riorganizzarsi e ripartire per la Namibia, mentre un Mirage III tornò su Cassinga e mitragliò i mezzi trovati, lasciandone uno in fiamme; alle 15.30 arrivò un Bucs che colpì altri veicoli ed edifici, trovandosi anche sotto un pesante fuoco contraerei; seguirono un altro Bucs alle 16.45 colpendo alcuni cannoni c.a e un T-34, e poi arrivarono altri Mirage e Bucs alle 17.10, distruggendo altri equipaggiamenti.

Alla fine, al tramonto, il battaglione cubano era praticamente distrutto, con circa 150 morti, la peggiore perdita in una singola battaglia sofferta dalle truppe di Castro in tutta la campagna di Angola. Solo poco dopo arrivò una intera brigata di carri, ma era troppo tardi, grazie soprattutto ai disturbi nelle comunicazioni del DC-4.

Cassinga era distrutta. Centinaia i morti tra guerriglieri, civili e militari. Era stato un grande successo per i sudafricani, che incredibilmente persero solo 4 soldati. La SWAPO era stata sconfitta e avrebbe avuto bisogno di mesi per riprendersi; le SADF se la cavarono bene, dunque, visto che si poteva prevedere anche un rateo di perdite del 30% dei parà sudafricani. La cooperazione con la SAAF evitò davvero il peggio, prima con gli attacchi devastanti di sorpresa, che causarono una strage di guerriglieri (e magari anche civili), poi per il supporto, particolarmente efficace quello dei razzi da 68 mm, che inizialmente non erano stati nemmeno considerati. Invece i Buccaneers operarono efficacemente come (grossi) aerei CAS, piuttosto che affidare il ruolo ai più adatti Mirage, i quali peraltro se la cavarono bene. In termini di comando e controllo, dato il rischio corso, si pensò di riunificare tutti i btg parà nella 44a Brigata paracadutisti. Inoltre vi fu un successo mediatico non indifferente, cosa che prima arrideva, grazie alla propaganda sovietica, alla SWAPO. La professionalità e la capacità tattica mostrata sia dai piloti SAAF che dai parà fu notevolissima e in particolare fu grande la precisione negli attacchi al suolo, data la presenza inaspettata dei Cubani, che tra l'altro si dimostrarono combattenti valorosi e rapidi nell'azione. In seguito le SADF avrebbero fatto altri attacchi di successo contro la SWAPO, ma usando blindati piuttosto che paracadutisti. La SWAPO volle vendicarsi comunque, attaccando il 23 agosto dallo Zambia, con un bombardamento che uccise 10 soldati e ne ferì altrettanti, per via di una granata di mortaio da 82 mm. In seguito vi fu un inseguimento di 250 km nello Zambia, e 16 guerriglieri vennero uccisi. Ma era stata senz'altro un'altra storia rispetto a Cassinga, anche perché l'opinione pubblica sudafricana era sensibile all'argomento 'perdite' (proprie).

In termini politici, tuttavia, questa fu un'operazione disastrosa, visto che si trattò di un attacco in territorio straniero e con l'assassinio di numerosi civili, come dichiarato prontamente dalla SWAPO. I Sudafricani, che avevano anche uno dei loro parà incaricato di fare foto che dimostrassero come loro non uccidessero civili innocienti, non si aspettavano che la SWAPO desse rilievo a quella che era stata una sua netta sconfitta, invece fu proprio questo che accadde e la sua propaganda arrivò a descrivere la base come campo-profughi, parlando di 600 persone uccise. La Croce Rossa diede ragione e torto ad entrambi i contendenti, perché Cassinga era sia una base della guerriglia che un campo rifugiati (quale novità!). Le sepolture ebbero luogo in due fosse comuni e le foto dei civili uccisi vennero largamente diffuse a pro della propaganda SWAPO. Nel bene e nel male, non si può negare che i Sudafricani avessero ucciso dei civili innocenti e l'ONU con la risoluzione 428 condannò Pretoria per l'attacco al campo profughi di Cassinga. Vinta la battaglia sul campo, il Sudafrica perse quella della propaganda. Dopo l'indipendenza della Namibia il 4 maggio venne dichiarato 'Cassinga Day' per commemorare la perdita di vite umane di quel giorno. Persino il Sudafrica nel 1998 concluse che Cassinga era sì una base della guerriglia, ma era anche un campo profughi e le fortificazioni difensive non volevano da sole dire il contrario, data la guerra in Angola era una pratica comune fortificare anche obiettivi civili, come del resto è sempre stato nelle guerre, specie quelle senza un confine preciso. Le SADF, poi SANDF hanno continuato a celebrare la vittoria fino al 1996, due anni dopo l'elezione di Mandela a presidente. Così i morti di Cassinga hanno potuto essere lasciati in pace.

La battaglia del 4 maggio 1978 venne in definitiva combattuta da circa 370 parà sudafricani e centinaia (300-600) di guerriglieri SWAPO e truppe cubane. Le perdite furono circa 750, di cui 600 namibiani, tra cui 167 donne e 298 bambini e ragazzi. Non è chiaro quante di queste furono vittime puramente civili, quanti i guerriglieri, quanti i civili che, trovandosi in quella situazione, presero le armi in pugno e combatterono contro gli odiati sudafricani segregazionisti di Pretoria.

1985: Il culmine della lotta[4]

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Nel 1985 c'erano centinaia di migliaia di uomini in armi in entrambi gli schieramenti. Le FALPA (Forze Armate Popolari per la Liberazione dell'Angola) erano le forze armate vere e proprie dell'MPLA, poi c'erano 20.000 elementi della ODP (Organizzazione Difesa Popolare) che erano una sorta di milizia, e infine le TGFA, ovvero le Truppe della Guardia di Frontiera. In tutto 80.000 effettivi.

La coscrizione era obbligatoria, il che non dava troppa affidabilità in azione, anche perché l'età minima per essere costretti a prestare servizio militare era di appena 14 anni. Così anche dei ragazzini, come è fin troppo frequente in Africa, sono stati mandati a combattere e a morire. Dopo 3 mesi di addestramento basico con istruttori cubani erano già considerati adatti a combattere l'UNITA, ovvero i 'banditi' come veniva considerata la guerriglia anticomunista.

La forza di un battaglione delle FAPLA era di 350 elementi, ma una delle ragioni per cui i risultati sul campo non erano certo buoni, era che questo organico non era presente che sulla carta. Tra perdite e diserzioni ci si riduceva a 80-200 uomini nella maggior parte dei casi. Quindi se la brigata, nominalmente su 3 battaglioni (anche 4 o 5 in certi casi), doveva arrivare a 1.050 uomini, di fatto poteva benissimo essere ridotta alla forza di un grosso battaglione, diciamo attorno ai 500 soldati. Tuttavia, almeno per le maggiori offensive le brigate venivano mantenute a pieno organico.

Nel caso dell'UNITA le truppe erano arruolate su base volontaria e questo rappresentava una garanzia ben maggiore per la tenuta del morale in combattimento. Molti soldati del FAPLA prigionieri, come spesso accade in Africa, hanno anche 'cambiato casacca', riciclati nell'UNITA. Nonostante gli venisse detto che i guerriglieri si Savimbi massacrassero i prigionieri, magari bruciandoli vivi, in sostanza, non si riusciva a infondere capacità combattiva sufficiente ai soldati delle FAPLA, ma più che altro paura. Questa è una componente che ha influito molto sul rendimento complessivo sul terreno. Per esempio, con l'impiego di grosse unità di 2-3 brigate, che fossero in grado di sfuggire più facilmente alle temutissime imboscate.

Così le unità FAPLA evitavano di entrare in azione con i loro plotoni di 30 elementi o 90 per le compagnie, ma con grosse formazioni ben armate. In tutto erano a presidiare 10 regioni militari: 1a, comando a Uige; 2a (Cabinda), 3a (Luena), 4a (Huambo), 5a (Namibe), 5a Menongue, 7a Wako-Kungo, 8a (Luanda), 9a (Malanje), 10a (Saurino).

Per le operazioni maggiormente offensive e impegnative, la vera risorsa erano i Cubani, con 25.000 effettivi stimati, forse anche 36.000-40.000 (secondo l'UNITA). Le FAR e i suoi supporti (le discrepanze in numeri secondo l'UNITA sono proprio dovute al considerare militarizzato anche il personale civile, come per esempio gli ingegneri civili). In tutto le forze cubane note all'epoca in zona erano molte: ben 15 reggimenti. Si trattava di grandi unità, visto che erano formati da circa 2.000 elementi. Anche la loro organizzazione a livelli inferiori era considerevole: i battaglioni avevano 665 elementi e persino le compagnie ne avevano 220, quasi quanto i battaglioni angolani. A questo si aggiungevano i 1.500 sovietici erano presenti, ma come tecnici e consulenti nonché piloti, tanto che nel 1982 l'abbattimento di un An-26 portò alla cattura di due sovietici; prima ancora, nel 1981, durante l'operazione 'Protea' i Sudafricani uccisero due colonnelli sovietici. Gli uomini di Mosca erano già presenti anche nella SWAPO e come i cubani, portavano l'uniforme angolana, per non destare troppa attenzione. C'erano anche molti tedesco-orientali, forse circa 3.000, ripartiti soprattutto in unità di trasporti, comunicazioni e intelligence. Ma forse ancora più sorprendente era la presenza di 3.600 portoghesi, soprattutto come istruttori di commandos e aviazione. Erano uomini di convinzioni marxiste operanti nell'Angola dopo essere reclutati dall'Ammiraglio Rosa Coutinho, quello che presidiò il passaggio dell'Angola dall'era della colonizzazione a quella dell'indipendenza, e che ha continuato a supportare il regime di Luanda, essendo lui stesso comunista. Quanto alle forze paramilitari, la SWAPO era forte di circa 5.000 elementi, che erano ripartiti in battaglioni e persino in (piccole) brigate meccanizzate. Infine c'erano due o 3 battaglioni dell'ANC, con 200-300 elementi l'uno.

Per supportare tutto questo strumento c'erano complessivamente 8 scuole militari, 16 centri di istruzione rivoluzionaria, 5 centri d'addestramento piloti. Le forze di prima linea avevano 4 centri logistici, 5 basi aeree e 2 reggimenti aerei. Per mantenere questa componente attiva era molto importante l'indottrinamento politico con lo studio della teoria marxista-leninista. La direzione ai massimi livelli era data dal Consiglio Nazionale per la Difesa e la Sicurezza. Questa riguardava anche ill presidente Dos Santos. Gli altri erano i ministri della difesa Pedale, capo CSM Franca, capo aviazione Carreira, marina con de Carvalho, un consigliere per ciascuna delle nazioni 'amiche': Cuba, URSS, DDR, Portogallo.

Ma chi comandava erano in effetti soprattutto i Sovietici, cosa che non era ben vista nemmeno dall'MPLA, se non anche dai cubani.

L'UNITA in azione

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Di fronte a tutto questo, c'era apparentemente ben poco, anche se l'UNITA aveva 60.000 effettivi dichiarati per le FALA (Forze Armate di Liberazione dell'Angola). Di questi 26.000 erano militari regolari e 34.000 semi-regolari o di guerriglia. I primi avevano battaglioni di 900-1.500 elementi, i secondi 300-500 più forze speciali che erano costituite da piccoli gruppi, fino a 45 soldati. Per formare una brigata si necessitava di 3 battaglioni regolari. Ciascuno di questi aveva artiglierie e armi contraerei, con 18 autocarri 4x4 tedeschi Unimog per la mobilità. Per esempio, batterie con 20 uomini dotati di 4 mortai da 81 mm e due cannoni SR da 82 mm B-10. Il tutto era servito da una rete logistica capace di mantenere una battaglia campale prolungata. Ma non era solo questo: se le forze regolari erano destinate a vincere le battaglie, le forze semi-regolari erano fondamentali soprattutto per conquistare il territorio in termini di sostegno popolare. Queste unità avevano colonne armate di 150-180 elementi quando operanti in 'forze compatte', nonché 'forze leggere' di una quindicina di guerriglieri, che operavano soprattutto nelle zone di 'espansione', dove cioè l'UNITA era ancora dominante in maniera stabile. Un po' qualcosa di simile all'espansione dell'influenza dei vietcong in Vietnam del Sud. Preparavano quindi il terreno per l'arrivo delle 'colonne compatte' che dovevano operare con un supporto maggiore da parte della popolazione locale. La zona 'liberata' era chiamata 'Repubblica', il resto dell'Angola era suddiviso invece in sei 'fronti militari'. L'attività era enormemente differenziata: no n si trattava solo di scontri a fuoco ma anche di comizi politici, distribuzione di beni e bestiame. Assieme alle 'forze di guerriglia' c'erano anche la Milizia, una forza non ben chiara come dimensioni, ma armata con fucili Mauser di vecchio tipo. I mortai M-43 sovietici da 120 mm erano usati in batterie da 6 pezzi l'una, trainati con mezzi 4x4 UNIMOG.

Quanto all'addestramento, c'erano parecchi centri, di cui il maggiore era il 'Battaglione d'istruzione Comandante Monteiro', che era basato a Jamba, città di cui poi si parlerà ancora. Erano addestrati anche loro, come le FAPLA, per 3 mesi, ma per la specializzazione si arrivava a 6-9 mesi. I corsi erano per 900 uomini per volta. Erano usati metodi piuttosto brutali, incluso l'uso di armi da guerra vere. Erano in addestramento anche carristi (per i T-34) e i vari mezzi blindati catturati. L'indottrinamento politico era costante, con l'uso di facili slogan per apprendere l'idea. Era comune l'uso del canto africano come vettore della propaganda. L'UNITA addestrava la gente volontaria, anche se spesso con l'intermediazione dei capi tribù. Non c'erano suddivisioni in base alle etnie, anche se i Chokwe e Ovimbundu erano i gruppi più rappresentati. Lingua ufficiale: portoghese, così da consentire di far dialogare i tanti popoli con i loro dialetti. Gli ufficiali seguivano talvolta corsi in nazioni amiche come il Marocco, Sud Africa e Senegal.

La mobilitazione della popolazione dei territori 'liberati' erano sollecitate al massimo. Le basi erano ben organizzate, spesso con generatori e reti elettriche. Spesso erano presenti delle piste d'atterraggio, sia d'epoca portoghese sia più rudimentali piste in terra battuta.Su queste c'erano atterraggi notturni di C-47 Dakota carichi di armi e rifornimenti.

Quanto alla direzione politica, la capitale era a Jamba, una baraccopoli costruita di recente ed occupata da 10-15 mila persone. Era al confine con lo Zambia. Stranamente, nessuno ha voluto bombardare questo centro nevralgico estremamente importante. Forse perché era difeso da una discreta contraerea a bassa quota e per la vicinanza delle basi aeree sudafricane che rendeva difficile il volo a media quota. In ogni caso, alla base c'erano anche varie ricerche avanzate, almeno per gli standard della regione. Per esempio, un potente razzo calibro 333 mm, su rampa di lancio. La sua propulsione era su 5 motori di BM-21 e anche 3 razzi da 72 mm presi dai SA-7. Il tutto con una gittata di circa 15 km. Oltre a Jamba, c'era anche Likuwa, il centro esecutivo del governo, con scuole politiche, d'addestramento, ospedali, uffici, logistica. Per lo più erano in capanne tradizionali, e solo in qualche caso strutture semi-sotterranee in cemento. Tutta la struttura era concepita, in realtà, come base mobile, da spostare a seconda delle esigenze. Quanto all'aviazione comunista, pur essendo facile eseguire azioni da medie e alte quote, raramente mandava ricognitori e qualche volta bombardieri, ma con pochi effetti. Nel periodo 1981-85 non c'erano stati bombardamenti e solo il 16 settembre danni modesti causati da ordigni tirati da aerei vennero registrati a Likuwa, mentre Jamba, tanto per cambiare, non venne mai attaccata entro quel periodo. La difesa contraerea dell'UNITA era efficace anche prima di ricevere gli Stinger, dato che vantava o rivendicava, qualcosa come 24 tra MiG-17 e 21 e 37 elicotteri, più 14 trasporti Antonov, 2 C-130 e persino un Boeing 737. Anche per questo le incursioni dei MiG erano poco frequenti nella zona 'liberata' dell'Angola, ma certo, se si lasciavano viaggiare i camion in convogli senza alcun contrasto non si faceva certo un lavoro adeguato contro la forza dei rifornimenti, assolutamente fondamentali, dell'organizzazione di guerriglia.

Quanto alla logistica, non si lasciava nulla al caso: c'erano 6.000 uomini, diretti da uno dei migliori ufficiali dell'UNITA. Usavano molti camion e anche una ferrovia, quella di Banguela. In zona di combattimento c'erano invece depositi nascosti e l'aiuto della popolazione locale. Quanto ai veicoli, c'erano 200 camion Mercedes e 100 Unimog tedeschi, più una pletora di mezzi sovietici, polacchi, tedesco-orientali e britannici. Nel 1981 c'erano solo 100 mezzi, 300 nel 1983, 800 nel 1984. Questo senza considerare i mezzi fuori servizio. A Likuwa c'erano 12 tornisti che lavoravano per fabbricare parti di ricambio per mezzi sovietici e dato che i motori dei camion russi Ural erano considerati inadatti al caldo della zona, su almeno 35 di questi vennero sostituiti i motori con dei tipi tedesco-occidentali, lavoro che necessitava di 5 giorni per mezzo. Poi c'era un po' di tutto nei magazzini e uffici logistici sviluppati. Il bisogno aguzzava l'ingegno, al solito, e per valorizzare al meglio le capacità di movimento non mancavano nemmeno i pontoni per traghettare i camion. Il consumo di carburante era tale, che ogni mese i soli mezzi da trasporto si bevevano 600.000 l di gasolio e 50.000 di benzina. Questo era un problema fondamentale, ma risolto dai Sudafricani, che in cambio ricevevano i 'frutti' della terra liberata, soprattutto diamanti e legname pregiato, o forse -a seconda delle fonti- solo di un pagamento simbolico, dato il ben superiore interesse di Pretoria per la riuscita del contrasto ai comunisti della regione.

Quanto alle armi, esse erano di tipo orientale, semplici e robuste. Molte vennero conquistate dalle vittorie di battaglie come quelle dei campi di Munhango e Kuete. Altre vennero fornite dai Sudafricani, prese alla SWAPO con operazioni come la PROTEA del 1981, già citata, in cui vennero catturati tra l'altro 70 camion di una colonna, comprendente anche carri e lanciarazzi d'artiglieria BM-21. Così in tutto v'erano armi quali gli AK-47, AKM, Type 56 (cloni cinesi), AMD-65 ungheresi, AKM costruiti in Romania e i simili, ma non uguali Vz 58 cecoslovacchi; gi G-3 tedeschi ex-esercito portoghese, mitragliatrici HK-21 della stessa origine; AR-10 americani (i 'papà' degli M-16) prodotti in Olanda; mitra PPSH-41, anziani ma ancora micidiali; armi leggere come le RPD, SGM, RPK; oltre a questi tipi da 7,62 mm, c'erano anche le DShK da 12,7 mm e le M2HB Browning; cannoni contraerei ZU-23 binati da 23 mm, e anche i più rari M-55 jugoslavi da 20 mm trinati.

Tra i cannoni controcarri v'erano armi da 75 mm cinesi, 82 mm russe (i B-10, che erano i più diffusi) e da 106 americane. I lanciarazzi erano gli RPG-7, i mortai da 60 mm per le piccole unità di guerriglia, più quelli da 81, 82 e 120 mm. Alcuni lanciagranate Plamya da 30 mm appena entrati in servizio già figuravano tra il materiale catturato; i vecchhi cannoni da 57 mm controcarri, da 76 mm da campagna e controcarri e da 122 mm D-30. Le armi a reazione comprendevano i potenti lanciarazzi BM-21 da 122 mm e i missili SA-7, rozzi ma a quanto pare sufficientemente validi per i danni che erano capaci di infliggere all'aviazione di Luanda e de l'Havana.

Quanto alle operazioni, le tattiche erano decisamente temerarie, ma date dalle uniche modalità possibili per evitare per quanto si potesse la minaccia dell'aviazione nemica, altrimenti incontrastabile. Ecco come funzionava la macchina bellica delle forze comuniste, e come si spiega anche la sua inefficacia sostanziale. Le avanzate erano spesso condotte a livello di una brigata. Le unità erano precedute da bombardamenti da aerei ed elicotteri che colpivano eventuali nemici appostati per tendere loro un'imboscata, cosa piuttosto facile nella savana e la boscaglia. Gruppi di ricognizione di 4 uomini precedevano il grosso delle forze, seguiti da unità a livello di plotone o compagnia, seguiti poi dalla grossa formazione a scatola o a 'rullo compressore' dell'esercito, con fanti appiedati che camminavano di fronte e a lato dei mezzi motorizzati e blindati che erano invece in colonne su file di 5 veicoli. Gli elicotteri Mi-8 portavano i rifornimento ed evacuavano le truppe, mentre altri, soprattutto nelle versioni cannoniera e nel tipo potenziato Mi-17, erano usati per bombardare innanzi ai mezzi.

Tutto questo serviva per evitare le imboscate, ma rendeva i mezzi troppo lenti per azioni rapide e di sorpresa. Ma i guerriglieri vedevano avanzare queste grosse formazioni con movimenti di pochi km al giorno e prendevano le loro contromisure. Nascosti dentro buche e cunicoli, dimostrando un notevole sangue freddo e disciplina per essere delle milizie semi-regolari, uscivano solo negli ultimi 50 metri, praticamente dentro la formazione nemica, così da impedire agli aerei e persino agli elicotteri di fornire appoggio di fuoco. La contromossa doveva essere lo sganciamento del resto della brigata dall'unità colpita e l'accerchiamento degli attaccanti, che a quel punto sarebbero stati in grave pericolo. Ma più spesso accadeva che le truppe venissero prese dal panico e si ritirassero in disordine, lasciando nei guai le forze più coinvolte, specie il battaglione di testa che in genere era quello maggiormente preso di mira. Talvolta brigate sotto attacco si sono letteralmente dissolte in questo modo, il che dà l'idea di come la potenza di fuoco non sia necessariamente una risposta vincente rispetto a tattiche così astute e spregiudicate. Quando la situazione volgeva al peggio, i comandanti sovietici presenti disponevano la brigata in formazione a 'stella', per respingere attacchi da tutte le direzioni. Lo sforzo dell'UNITA era quello di individuare le direttive d'avvicinamento e di bloccarle, infliggendo perdite e poi intervenendo con il grosso delle proprie forze da combattimento che scatenavano un tiro d'artiglieria micidiale, sparando da posizioni ignote ai loro oppositori. E quando si riusciva a coordinare i movimenti, spesso questa teoria dimostrava di funzionare.

Da Cuito Canavale a Mavinga, e ritorno

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La più grossa offensiva lanciata fino al 1985 incluso era quella in previsione del 2° Congresso dell'MPLA, per dimostrare l'indipendenza di azione degli Angolani rispetto ai Cubani, e per ridurre il margine di dialogo che si fosse proposto per il congresso previsto poi per dicembre. Insomma, una mossa che implicava una direzione politica degli eventi, e che portò in linea 18 brigate a partire dal 29 luglio 1985, dirette a Cazombo. Dopo 52 giorni la città venne abbandonata dall'UNITA, che al solito, aveva dalla sua la pazienza e l'astuzia: aspettare la crisi logistica e il logoramento delle forze nemiche, disperse nell'enorme estensione del territorio lontano dalle proprie basi. Peggio che mai, a Mavinga le unità comuniste si mossero per conquistarne l'importantissima via logistica, che avrebbe potuto tagliare così facendo i rifornimenti per i settori Nord e Ovest. E data la presenza di una vasta pianura, attaccare l'eventuale base formata dalle truppe nemiche sarebbe stato praticamente impossibile, essendo un terreno pericolosamente scoperto per i guerriglieri. Per giunta, Mavinga sarebbe a quel punto rimasta collegata alle altre basi come Menongue e Cuito Canavale, costituendo un cuneo piantato nella zona 'liberata' dell'Angola, la Repubblica come veniva definita da Savimbi. Così l'intera zona controllata dall'UNITA avrebbe rischiato di essere investita da altre incursioni. Savimbi ebbe modo di contrastare per tempo questa minaccia, mobilitando 7 dei 20 battaglioni impegnati a Cazombo, dove continuava la guerriglia. Riuscirono a concentrare 5.500 uomini a Mavinga, che erano numericamente persino superiori agli avversari, in tutto 4 brigate con 4.600 soldati. Queste si mossero il 15 agosto dalla grande base di Cuito Canavale, che da mesi era sotto assedio e bombardata con i mortai, rompendo l'assedio e spostandosi gradualmente in due colonne, che si riunirono il 7 settembre a 25 km N di Mavinga. Un'altra brigata era a Longa per rinforzo, e 3 restavano a Cuito Canavale. Le brigate angolane avevano almeno 5 consiglieri sovietici l'una e talvolta anche 15. Come forza 'minima' c'erano 1 commissario politico, un consigliere per i blindati, per la brigata in generale, la sua artiglieria e i servizi logistici. Questo impegno dei Sovietici aveva apportato sensibili vantaggi soprattutto in manovra, con le unità di Luanda sensibilmente più veloci e coordinate nello spostarsi e meno prevedibili sulle loro direttrici. Un nemico temibile, dunque. Dopo il 7 settembre e fino al 28, l'UNITA ha tentato in tutti i modi di fermare le unità nemiche e di contrattaccarle. Era tanto grave la situazione che lo stesso Savimbi si precipitò in zona assumendosi la responsabilità delle operazioni. Dopo che sembrava quasi venuto il momento giusto il 25 settembre, le forze angolane ricominciarono il movimento in avanti. Il 28 settembre c'erano la 7a e la 25a brigata in una formazione a stella, e l'8a e la 13a (aviotrasportata) nell'altra. Il 29 settembre, finalmente, le condizioni erano propizie. Con le forze nemiche ferme era possibile usare tutta la potenza di fuoco contro di loro, tirando da postazioni difficilmente individuabili. Il risultato fu la demolizione degli elementi centrali della difesa, come i veicoli, la logistica, le artiglierie. Le fanterie erano trincerate attorno e si sono ritrovate senza supporto delle loro principali pedine tattiche, con un volume di fuoco micidiale che non ci si aspettava. In un certo senso, una specie di Dien Bien Phu, ma stavolta tutto si svolse rapidamente, con un attacco sui tre lati alle posizioni degli angolani. La situazione risultò drammatica e il 30 settembre, di pomeriggio, si cominciò la ritirata, che tuttavia, incalzata dagli attacchi nemici tese ad assumere una rotta pericolosa, mentre i consiglieri sovietici si davano da fare per far coprire le unità tra di loro in una maniera coordinata. L'aviazione aiutava al massimo delle sue possibilità, ma Savimbi aveva fatto convergere la maggior parte delle sue armi contraeree per tagliare questo supporto, sia dei mezzi da combattimento che di quelli da trasporto logistico.

Dopo questa fase i sovietici vennero evacuati in elicottero per evitare che cadessero prigionieri, mentre dal 2 ottobre le brigate avevano passato il fiume Lomba, sempre inseguite dai guerriglieri. Il problema era la mancanza d'acqua, visto che rifornirsi al fiume era causa di continue imboscate e gli elicotteri erano tenuti lontano dalla contraerea. Alla fine, il 15 ottobre, dopo 2 mesi di durissime battaglie, i superstiti ritornavano alla base di Cuito Canavale. Alla fine della ritirata gli Angolani avevano perso 1.840 uomini uccisi, 2.525 feriti, altri prigionieri, tanto che erano ridotti a 500 circa degli originari 4.600. I guerriglieri dell'UNITA avevano avuto 410 morti e 832 feriti, almeno stando a quanto dichiarato successivamente. L'aviazione angolana e cubana aveva subito perdite consistenti, con ben 16 grossi elicotteri Mil abbattuti entro il 6 ottobre e un MiG-21, il cui pilota, il ten. Matamba, colpito il 3 ottobre dopo 20 missioni di guerra, venne catturato. Al confronto, le perdite su Cazombo, 4 elicotteri, 1 An-26 e un MiG-21, erano decisamente ridotte. Nonostante si fosse annunciata già la vittoria finale contro i 'banditi', in effetti fu un disastro. Luanda denunciò la presenza di militari bianchi (delle SADF) e poi la presenza della SAAF, ma i soldati di Pretoria si erano limitati parecchio nell'occasione, essenzialmente con voli MEDEVAC e operazioni di intelligence. Un attacco venne fatto nella zona di Kunene, vicino al confine della Namibia, ma era lontano centinaia di km e contro la martoriata SWAPO, anche se certo la tempistica non fu calcolata a caso.

Da Cuito verso il confine e gli accordi di pace

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Agli inizi di novembre del 1987 le forze Angolane e Cubane erano sotto la pressione dei soldati Sudafricani e dell'Unita. Sembrava che nell'arco di pochi giorni questi ultimi avrebbero avuto la meglio, sfondando il muro di difesa. Già,però, nella prima metà del mese da Cuba arrivarono migliaia di soldati a rinforzare le difese. I Cubani riuscirono a resistere con campi minati, artiglieria, carri armati e persino con i mig 23 fino al 23 marzo del 1988, quando le truppe sudafricane, alla fine, desistettero dai continui attacchi infruttuosi e si ritirarono. Infatti forze cubane consistenti, partite dal sudovest dell'Angola,direzione Lubango- Ruacanà, comandate dal generale Arnaldo Ochoa, si avvicinavano pericolosamente ai confini della Namibia e vi era un rischio concreto che le truppe dell'Africa australe venissero accerchiate.

Le forze armate Cubane in alcuni mesi costruirono la base aerea di Cahama, vicino al confine della Namibia, da dove sarebbero partite le incursioni dei caccia Mig 23 all'interno del territorio Namibiano. Prima, però, di avventurarsi in Nambibia i Mig 23 fecero una sortita il 27 giugno 1988 contro Calueque, diga angolana, occupata dai Sudafricani e dimostrarono di avere conquistato lo spazio aereo dell'Angola.

Le truppe Cubane, perciò, ormai vicine al confine della Namibia, si apprestavano a lanciare combattimenti al suo interno. Il governo del Sudafrica,però, prima che le truppe Cubane entrassero nel territorio namibiano chiese ed ottenne la tregua, che fu ratificata dagli accordi di New York, 24 dicembre 1988, con cui il Sudafrica fu obbligato ad accettare il ritiro dalla Angola, verificatosi già nell'agosto del 1988, e dalla Namibia, protettorato sudafricano dal 1920.

La SAAF in azione e la stagione della 'caccia grossa'[5]

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Nonostante che il reporter Almerigo Grilz abbia assistito di persona alla battaglia e ne abbia reso dettagliatamente conto, la realtà di quanto è successo a Mavinga non è stato rivelato fino a tempi recenti, con lavori di ricerca d'archivio che hanno testimoniato una realtà per molti aspetti assai diversa da quanto prima riportato. Il lavoro del team ACIG non sembra in effetti lasciare alcun dubbio, data l'abbondante documentazione fotografica. Le immagini catturate dalle cinemitragliatrici ci raccontano di una storia di cui era noto poco nei particolari, ma fondamentale per capire come mai le forze marxiste non vinsero a Mavinga. La SAAF, infatti, non si limitò al MEDEVAC e a missioni logistiche, ma combatté in prima linea.

Così abbiamo la situazione della guerra aerea all'epoca, nel 1985. Come si è detto le FAPLA (Forcas Armadas Populares de Libertacao de Angola) prepararono una massiccia offensiva nota come 'Secondo Congresso'. Notare che essa era pianificata da ufficiali sovietici, un segno evidente della rivalità con i Cubani, visto che l'offensiva era preparata proprio per render chiara l'autonomia angolana dai soldati di Castro. Venne pianificata con cura e coinvolse un numero enorme di uomini per gli standard locali: circa 80.000, suddivisi in 80 brigate di cui 25 di 'Manovra', a pieni organici. Ciascuna di queste aveva una compagnia di T-55 che rinforzavano un numero di battaglioni meccanizzati con i BTR (se non anche con i BMP) che arrivava fino a 3; il tutto era appoggiato dal battaglione artiglieria con armi da 122 e mortai da 120 mm. Tutto venne organizzato meglio che in passato, vennero fornite più armi, mezzi e libertà di manovra secondo le unità, oltre che più ufficiali sovietici 'consiglieri' e corsi COIN per i comandanti. C'erano anche ufficiali di collegamento per coordinare le azioni con l'aviazione e le unità terrestri avrebbero dovuto operare in zone ben conosciute. C'erano anche le unità SWAPO come la 1a Brigata meccanizzata, una valida unità dei guerriglieri, addestrata dai sovietici e tedesco-orientali (con l'uso della lingua inglese). I Cubani erano stati rinforzati fino a 45.000 effettivi, perché liberassero le truppe di Luanda per scatenare la loro offensiva nel Sud del Paese. I Cubani cercarono anche di insegnare un po' di metodo ai loro compari, spesso insensatamente feroci contro le popolazioni locali (ma alle volte anche loro divennero autori di crimini di guerra, stando alle informazioni delle loro operazioni nelle zone meridionale e centrale del Paese).

La FAPA o FAPLA era stata opportunamente rinforzata con circa 10 Su-20, 20 MiG-21 e 30 grossi Mi-8 e 25. In tutto aveva 7.000 effettivi e 180 aerei di vario tipo, suddivisi in sei reggimenti di cui la metà avrebbe operato nell'Offensiva (due con cacciabombardieri e uno con gli elicotteri). Per essere una forza aerea dell'Africa australe si trattava di una potente aviazione. In realtà in queste unità c'erano anche Sovietici e Cubani, per esempio nel reggimento elicotteri c'erano tre squadroni, uno sovietico con i Mi-24, uno cubano con i Mi-35 e uno misto con Mi-8 e 17 e personale africano, cubano e sovietico. Anche i reggimenti di aerei avevano queste particolarità, uno con uno squadrone di MiG-21 con personale angolano e due con i Cubani, e l'altro con 1 squadrone MiG-17 angolano, uno di Su-20 misto sovietico-angolano e uno con i MiG-21 sovietici per ricognizione. Poi c'erano i caccia MiG-21 di due squadroni cubani non integrati con le FAPLA. Le basi, tra l'altro difese da una contraerea potente con batterie di missili SA-3, erano diverse: Luanda, Negage, Lubango, Kuito (Bie), Huambo, Menongue, Namibe-Mocamedes, Saurimo, Luena, Cuito Canavale e oltre 200 strisce d'atterraggio. Per prepararsi al meglio i cieli venivano controllati da baatterie di SA-3 e di SA-6 mobili, sotto il cui ombrello si mossero da metà dell'anno non meno di 20 brigate angolane, sia pure con la perdita di due Mi-25 d'appoggio. Le direttive d'attacco erano per due obiettivi, come spiegato prima: Cazombo (9 brigate e un battaglione corazzato) e Mavinga, ben 11 brigate e un battaglione corazzato, dato che questo era il più importante obiettivo. Dopo che il 7 settembre le forze comuniste superarono le difese dell'UNITA, venne richiesto l'aiuto del Sudafrica. Questo schierò il No.4 Sqn con gli Impala Mk.II a Mpacha e Rundu, più il No.1 Sqn con i Mirage F.1AZ a Ondangwa e Caprivi. Subito iniziarono gli attacchi aerei contro le truppe angolane di terra, soprattutto a Nord del fiume Lomba. Alla fine Mavinga venne mancata per circa 12-15 km dall'avanzata, ma la SAAF si rese partecipe di azioni che riuscirono, senza perdite proprie, a colpire duro gli Angolani. I Sudafricani scoprirono ben presto che i Sovietici e Cubani iniziarono un ponte aereo per rifornire le loro unità avanzate, oramai a corto di munizioni e isolate a terra dagli attacchi dell'UNITA alle loro linee logistiche. Sarebbero stati usati gli elicotteri Mi-8 e 17, scortati da coppie di MiG-21 in quota, e di Mi-25 più vicino ad essi. Notare che non c'erano ancora in zona i MiG-23. Dati i pericoli del fuoco contraerei leggero gli elicotteri erano in volo a 1.000-2.000 m, ma non si rendevano conto dei pericoli posti dalla SAAF. I MiG-21 volavano a circa 5-6.000 m e dietro gli elicotteri, zig-zagando dietro di loro.

Un certo numero di elicotteri, circa 10 tra Mi-24, 35 e i trasporti vennero portati a Cuito Canavale perché Menongue era troppo lontana. Volando senza praticamente punti di riferimento l'unico modo, in un'epoca pre-GPS era seguire il corso dei fiumi locali e delle poche piste, rendendosi però prevedibili nella rotta.

La tentazione di attaccarli era troppo forte, dato che senza di loro le truppe a terra avrebbero avuto dei problemi enormi a continuare un'avanzata che era già fin troppo difficile. Fu Savimbi che propose l'idea ma stranamente i Sudafricani non erano particolarmente entusiasti, forse perché temevano attacchi sulle loro basi avanzate. Ma se avessero attaccato abbastanza di sorpresa da non dare l'idea di chi fossero gli assalitori, la cosa si poteva ancora tentare. Pretoria acconsentì e la SAAF pensò di usare gli Impala piuttosto che i Mirage, per ragioni difficili da capire ma che probabilmente erano legate alla disponibilità di basi avanzate. Volando a circa 15 m dal terreno non si sarebbero fatti vedere fino alla salita finale, tutt'altro che rapida, verso i bersagli. Non avevano AAM ma solo i cannoni DEFA di bordo. La zona dell'imboscata era a 35 minuti di volo da Rundu e quindi servivano i serbatoi ausiliari, salendo poi ancora con questi a bordo (per non lasciare tracce?) a velocità ridotta, ma ancora sufficiente per raggiungere gli elicotteri, di loro piuttosto veloci. Vennero organizzate operazioni con 4 coppie di Impala e 2 Puma per il servizio SAR, mentre un DC-4 svolgeva ruoli ELINT e un Kudu come aereo da ponte-radio. Vennero selezionate sei rotte d'avvicinamento e mantenuto il silenzio radio.

L’MB.326, che vinse nel ’64 il concorso per il nuovo addestratore avanzato, venne prodotto in quantità rilevanti come biposto Mk I e poi come monoposto Mk II, rispettivamente in 151 e almeno una settantina di esemplari. Questi vennero usati come intercettori degli elicotteri sovietici, che in quota sarebbero stati facili bersagli, specie se attaccati di sorpresa. Non è così difficile, perché statisticamente la maggior parte dei piloti, persino sugli aerei da caccia, è stata colpita da qualcuno che non ha visto e quindi alle sue spalle. La prima azione avvenne il 27 settembre 1985 con decollo alle 16 da Rundu su segnalazione che da Cuito Canavale si erano levati in volo 2 Mi-24. I due sudafricani attaccarono gli elicotteri in cabrata. Il primo venne colpito ed incendiato dall’aereo di Pienaar, e spiralò verso terra dopo avere lanciato i razzi per alleggerirsi. Era una buona manovra, ma i Sudafricani non volevano testimoni. L’altro pilota, Mare, si diresse contro il secondo elicottero, il quale però si era accorto di qualcosa, tanto che iniziò una rapida discesa e una virata di 180°; l’Impala lo colpì con i suoi micidiali cannoni DEFA che, nonostante abbiano qualità balistiche superate per l’epoca moderna, erano nondimeno eccellenti armi. Il tiro, da circa 500 m e con una virata ad oltre 4 g colpì l’elicottero sotto il rotore principale. Bastarono solo 19 colpi, praticamente mezzo secondo di fuoco, per far sì che l’elicottero russo buttasse il muso verso terra ed esplodesse al suolo dopo avere perso ogni controllo. Pienaar colpì invece ancora una volta il suo bersaglio, già in fiamme e che cercava almeno di atterrare, ma non gli diede scampo e i colpi dei cannoni gli staccarono le pale dell’elica, facendolo esplodere al suolo.

Dopo questo truce attacco a sorpresa contro un avversario ignaro e in una guerra non dichiarata, con lo scopo evidente non solo di distruggere le macchine ma anche di annientare le persone (niente testimoni), i Sudafricani ritornarono in zona poco tempo dopo, il 29 settembre. All’epoca, stavolta alle 9, una formazione di elicotteri Mi-17 e Mi-24 decollarono da Cuito e si diressero in zona di battaglia, al solito con i cargo in avanti e separati tra di loro di circa 1.000 m, e le cannoniere dietro ad un km e separate tra di loro di 500 m. Sopra la formazione c’erano due MiG-21, che pattugliavano però a quote piuttosto alte e dietro gli elicotteri.

I due piloti coinvolti nell’ingaggio erano stavolta Westoby e DeHeever. Il primo dei due salì in quota e si ritrovò circa 300 più alto dell’ultimo dei due Mi-24, prima di colpirlo con una lunga raffica. L’elicottero cominciò a bruciare ma confermando la sua robustezza, non ne volle sapere, per il momento almeno, di cadere, anzi continuò a volare abbastanza veloce da staccare l’aereo sudafricano, anche perché questo, avendo sparato dopo una rapida salita, ebbe un problema (forse d’ingestione dei gas di scarico) e gli si spense momentaneamente il motore. DeHeever sorpassò il Mi-24 incendiato e stando attento a non essere colpito dalla sua mitragliatrice, attaccò l’altro elicottero, distruggendone i rotori e facendolo precipitare al suolo.

Ora toccava ai due Mi-17, oramai consapevoli che qualcosa era successo ai loro guardiaspalle. Soprattutto perché il pilota del Mi-24 ancora in aria li avvisò ch'erano sotto attacco, prima di precipitare a sua volta. Ma Westoby fu lesto nel colpire uno dei due elicotteri mentre questo stava già manovrando per evitare l’attacco, causandone la caduta fino a terra. L’altro fu più fortunato e riuscì ad eseguire una ripida picchiata e poi una forte virata, il che gli consentì di mandare a vuoto DeHeever. Ora l’elicottero era tanto basso che non risultava più facile da inseguire per il pilota sudafricano. I due della coppia attaccante decisero di chiamare rinforzi rompendo il silenzio radio, così si fece sotto la seconda coppia di Impala, che alcuni minuti dopo trovò l’elicottero superstite nuovamente ad una certa quota per evitare minacce da terra. Ma non era ancora il tempo per farlo e così si ritrovò sotto attacco da parte di questa nuova coppia dopo avere visto allontanarsi la prima delle due. L’elicottero si rese conto dell’attacco e si portò a bassa quota con una rapida picchiata, ma si fracassò al suolo.

Apparve anche la terza coppia di Impala che si imbatté nei due MiG di scorta, abbassatisi ad appena 70 m di quota, la quota più bassa a cui venne mai osservata l’aviazione comunista durante la guerra (eccetto che con gli elicotteri). Non videro gli Impala o in ogni caso non fecero che un passaggio prima di ritornare ad alta quota, grossomodo nella zona in cui avevano visto le fiamme dei tre elicotteri distrutti. Non è chiaro se i piloti del Mi-17 siano sopravvissuti all’atterraggio forzato, o se vennero catturati dai guerriglieri. In ogni caso almeno le comunicazioni radio avrebbero dovuto essere sentite da qualcuno. Invece pare che nessuno seppe spiegarsi la perdita di questi sei elicotteri mentre l’UNITA, d’accordo con i Sud Africani, dichiarò che la causa erano stati i suoi missili SAM. Di questi pare che fosse in corso anche la fornitura, tramite la solita azione della CIA, dei nuovi Stinger americani, apparsi in Angola quindi forse persino prima che in Afghanistan.

Quanto al successo dell'azione, esso si basava senz'altro sulla sorpresa: avessero saputo i sovietici della presenza degli Impala, avrebbero probabilmente fatto volare ancora più in alto i loro elicotteri, o più in basso i loro caccia, o tutt' e due le cose. I piccoli, robusti e agili Impala erano velivoli ideali per la lotta anti-elicottero, come del resto capita a un po' tutti gli addestratori a reazione, abbastanza veloci e al contempo agili e ben armati, più idonei dei grossi jet a seguire gli elicotteri a bassa quota (lo stesso si potrebbe dire dei caccia della II GM: se i Sudafricani avessero avuto dei P-51 Mustang, probabilmente avrebbero usato quelli). Qui si trattava poi di colpire elicotteri in volo, ignari dell'accaduto, ad alta quota da parte di aerei in volo radente (con cabrata finale e attacco ravvicinato). Quando questi cominciarono a sentirsi in pericolo cominciarono subito a causare problemi anche agli Impala. E dire che i Mil sono elicotteri grossi e, specie ad alta quota e a pieno carico, poco manovrieri, mentre la velocità, per quanto notevole per la loro classe, è pur sempre trascurabile rispetto a quella di un aereo. La mancanza di visibilità posteriore, persino in elicotteri come i Mi-24 con il loro spazioso abitacolo in tandem, li rende vulnerabili ad attacchi in coda una volta sorpresi. Non è nemmeno una cosa dovuta solo al fatto che sono 'prodotti orientali' perché alle Falklands vari Puma e un Agusta 109 vennero distrutti dai cannoni ADEN di due Sea Harrier pur se volavano a bassa quota, e in seguito l'unica vittoria argentina ebbe luogo proprio su di un elicottero Scout (abbattuto da un FMA Pucarà, altro aereo ideale per la caccia all'elicottero). Con l'avvento dei missili le cose si sarebbero messe anche peggio: la coppia di Blackhawk distrutti per errore dagli F-15 sull'Irak (scambiati per 'Hind'), quando avrebbero potuto benissimo essere avvicinati e identificati correttamente (non era in corso nessuna guerra in quel periodo); oppure l'imboscata da parte dei MiG serbi(?) agli elicotteri dell'ALE in Bosnia, dove un AB 205 venne disintegrato da una fulminea scarica di cannone da 23 e un missile AA-8, sono una prova di come l'elicottero sia estremamente vulnerabile qualora sorpreso in quota e ignaro del pericolo. Casomai ci si può stupire che dopo il primo attacco nessuno abbia visto o sentito nulla, incluse le più vicine di oltre 50 postazioni radar disseminate sul Paese. Quanto alle armi, i due cannoni DEFA, per quanto obsoleti, erano ideali per distruggere anche elicotteri robusti. Gli Hind erano capaci di resistere al fuoco delle armi più leggere, ma specialmente sui complessivi meccanici non potevano fare altrettanto con proiettili di così grosso calibro, che sarebbero stati sufficienti per abbattere anche un bombardiere B-17 con la loro potenza distruttiva.

Dopo questo disastro vennero proibiti i voli di altri grossi Mil e invece vennero largamente impiegati i piccoli Alouette che servirono per evacuare i consiglieri militari sovietici dal campo di battaglia, lasciando le unità angolane ancora più in difficoltà, ma considerando che di fatto esse fossero già praticamente perdute, circondate dagli ‘indiani’ nella savana e la boscaglia. Tutto questo causò un ulteriore collasso per le provate unità delle FAPLA, che in tutto persero 32 carri, 100 APC e 2.500 uomini durante la campagna. A questo si aggiunsero le perdite dichiarate dall’UNITA di 8 MiG-17 e 21 più uno di ciascuno distrutti al suolo, sei Mi-24/35 e tre Alouette III, nonché un An-26 che il 7 dicembre stava tentando di atterrare a Mavinga. Benché la partecipazione delle SADF fosse ufficialmente negata, l’ONU accusò Pretoria di essere coinvolta nella guerra in Angola e richiese il pagamento di 32 mln di danni di guerra proprio per le azioni del 1985. In verità questi danni erano persino sottostimati. Del resto i Cubani non dichiaravano quante perdite ebbero durante la guerra e non erano certo i Sovietici o i Tedeschi ad essere più loquaci, mentre rimpiazzavano almeno le perdite materiali subite da loro e i loro alleati di Luanda.

Sostiene del Pino[6]

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Più esplicito fu invece il Generale Rafael del Pino, Comandante dell’aviazione ed Eroe nazionale. Fu davvero un fatto clamoroso, quindi, che quest’uomo scappò in Florida nel 1986. In base alle sue dichiarazioni, molte cose vennero alla luce. Per esempio che, nonostante lui fosse dichiarato incapace di pilotare aerei dal 27 gennaio, fino al 28 maggio del 1985 lui era il vice comandante dell’aviazione angolana e ovviamente negava che vi fosse un qualcosa di vero sulle sue condizioni di salute. Tanto che appena un mese prima della sua fuga era stato mandato in URSS per comandare l’esercitazione annuale per il tiro dei missili aria-aria. Lui era anche scettico sulla reale motivazione della presenza dei cubani in Angola: ufficialmente era per lottare contro il regime razzista dei Sudafricani. In pratica era per altre ragioni, più pragmatiche. Che l’Angola era un punto strategico di grande importanza e una delle poche basi sovietiche nell’emisfero australe. Mentre nel contempo Cuba era debitrice di 10 mld di dollari ai sovietici per le forniture di armi e così divenne naturale mandare soldati in zona piuttosto che un’armata di soldati di Mosca. Così i Cubani compensavano l’impegno economico che Mosca dava al regime di Castro. Poi c’era il problema della disoccupazione, che a Cuba era molto alta e che poteva essere drenata verso l’Africa, e al contrario c’era una grande difficoltà ad ordinare il ritiro delle truppe facendole ritornare in patria a non fare nulla.

Se questo è vero per le truppe, mandate là come ‘lavoro sociale’ in un certo qual modo, per gli ufficiali era una specie di punizione per non avere la fiducia dei loro superiori. O anche per avere perso una guerra come quella di Grenada. Questa fu una campagna troppo impari contro gli americani (vedi ‘Gunny’) che organizzarono una forza d’invasione impossibile da ributtare a mare, anzi fu anche troppo quello che si riuscì a fare contro di loro (incluso l’abbattimento di alcuni UH-60 nuovi di zecca e di due AH-1 Seacobra). Ma gli ufficiali di ritorno vennero degradati a reclute e dopo quest’umiliazione mandati in Angola. Quindi il prezzo di una geopolitica miope ricadde tutta sulle loro spalle. Quanto al rapporto con il governo angolano, questo era regolato più che dagli ideali, dai soldi. Luanda aveva risorse naturali importanti, in particolare diamanti. Pagavano tutto quello di cui i Cubani avevano bisogno inclusa una ‘paghetta’ di 600-1.200 Kuanzas a seconda del grado. Per questo si parlava oramai apertamente di come in Angola i Cubani (e certo anche gli altri consiglieri militari) fossero di fatto mercenari, supportanti un regime molto ricco costituito da un gruppo di potere che aveva davvero poco di marxista. La volontà di combattere dei Cubani non era quindi certo quella di ferventi rivoluzionari: mandati là a guadagnarsi il pane, pagati con i soldi angolani e con le armi sovietiche (pagate anch’esse in parte da Luanda), oppure per punizione. Le perdite però non erano per questo basse: fino all’epoca si parlava già, ma le cifre erano segrete, di circa 10.000 perdite tra morti, dispersi, prigionieri e feriti nei 10 anni di guerra. Non erano perdite limitate per combattere una guerriglia. Peggio che mai, era scoraggiante il fatto che le famiglie, qualora i soldati cadessero in zona di guerra, venissero private anche della possibilità di riavere i loro morti. Nessun cubano tornava dall’Angola se non da vivo. Oltre 50.000 cubani in appena 3 anni erano così diventati disertori, e per combattere questa piaga il governo cubano aveva formato un’unità speciale chiamata ‘Boinas Moradas’. Infine c’erano i problemi dati da una certa difficoltà relazionale con i colleghi sovietici, che una volta arrivati a Cuba si comportavano più come se fossero stati mandati in vacanza (per 3 anni) che come parte di un lavoro impegnativo e soprattutto, rischioso. Anche del Pino confermava che vi era un comitato multinazionale per l’Angola, qui però affermava che fosse costituito da Cuba, Angola e URSS, ciascuno con il suo rappresentante, ma che la decisione finale su cosa fare era comunque in mani principalmente sovietiche.


La guerra del 1987-88[7]

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La guerra in Angola ha avuto il suo culmine nella fase del 1987-88, quando l'UNITA di Savimbi ha combattuto in campo aperto contro le forze di Luanda, i 54.000 cubani e parecchi consiglieri militari dell'Est, oltre che il movimento della SWAPO che, filo-angolano, operava in Angola essendo esule della Namibia. C'era anche l'ANC, i guerriglieri sudafricani del movimento di Mandela. Dato che dall'inizio degli anni '80 l'UNITA aveva controllato sempre maggior territorio angolano, soprattutto nella zona sud-orientale. Era appoggiato dal Sudafrica e gli USA, questi ultimi molto interessati a cacciare i sovietici dall'Angola e le sue basi aeree e navali. I Comunisti cominciarono a lanciare una serie di offensive per riconquistare l'immenso territorio dell'organizzazione paramilitare. Visto che la situazione, pur essendo mantenuta sotto controllo, era sempre più difficile, l'UNITA tra l'altro ebbe missili Stinger, dall'aprile del 1986, più o meno nello stesso periodo in cui apparvero in Afghanistan e poi, a quanto pare, anche in Iran (Irangate). L'UNITA ne aveva indubbiamente bisogno dato che l'aviazione nemica era decisamente pericolosa e non poteva essere contrastata solo con le solite armi ZU-23 e SA-7 catturate ai regolari angolani. Le FAPA, ovvero l'aviazione angolana era rinforzata da piloti russi e cubani, e questi ultimi avevano anche una quantità di aerei e reparti in zona di guerra.

Agosto 1987. Le truppe dell'MPLA erano arrivate al fiume Lomba, 40 km distante dallo strategico nodo di Mavinga, sempre nel sud del Paese. A quel punto dalla Namibia, dove di fatto occupava il territorio, i Sudafricani cominciarono ad agitarsi e decisero di mobilitare una consistente forza di spedizione per appoggiare l'UNITA. Il 9 settembre gli Angolani tentarono di superare il fiume, ma vennero respinti da un nutrito fuoco d'artiglieria. Erano i Sudafricani e le loro armi a lunga gittata, di cui si parlerà poi. Dal 4 settembre la piccola ma efficiente SAAF aveva mandato in Namibia settentrionale 12 Mirage F.1AZ del 1° Sqn, più 4 Buccaneer del 24°, e tre Camberra del 12°. Il tutto venne basato a Grootfontein, che però era molto lontano dal confine. Così a Rundu vennero schierati 8 Mirage F.1CZ da caccia. In tutto c'erano anche reparti da trasporto con vari C-130, C-160 e Puma, più aerei leggeri Bosbok e elicotteri Alouette III. I problemi, a parte il clima torrido, erano molti. La SAAF nella sua base maggiore si trovava troppo all'interno della Namibia. La piccola base di Rundu era vicina al confine, ma ancora a 250 km di distanza dall'offensiva e senza attrezzature sofisticate, era piccola e priva di piazzole per il decentramento degli aerei. Per giunta, i Sudafricani erano costretti a sfidare non la reazione contraerea della guerriglia della SWAPO, ma una forza ad armi combinate che disponeva di una potente componente di difesa aerea, oltre che di un'aviazione di supporto sulla carta decisamente più potente. La situazione era talmente difficile che gli Impala sudafricani vennero tenuti stavolta fuori dai giochi, dopo che negli anni precedenti erano stati molto attivi grazie alla semplicità delle strutture necessarie per il loro supporto logistico. In questo contesto era necessario volare a bassa quota per sopravvivere alla reazione nemica, limitando l'autonomia a causa dei consumi più elevati che volare bassi e veloci comportava. Era necessario almeno disporre di una base aerea avanzata in Angola, ma questo era politicamente considerato inopportuno. Già in zona operavano i cargo e i velivoli ad elica della SAAF, ma su piste rudimentali in terra battuta, che erano più facili da giustificare (o ignorare).

La FAPA (Forza Aerea Popolare dell'Angola) aveva molti aerei e molti consiglieri militari dell'Est e di Cuba. Le missioni volate dalle sole basi di Cuito Carnevale e Menongue in questa fase arrivarono a 2.933, di cui 1.108 d'attacco al suolo. Erano numeri molto importanti, ma i risultati non furono pari alle aspettative. Temendo di subire perdite dai missili Stinger, i piloti comunisti tendevano ad attaccare con quote di rilascio delle armi di 1.800 metri, e talvolta addirittura di 4.800. Mimetizzati nella boscaglia, gli uomini di Savimbi e i Sudafricani erano questi invisibili e subirono poche perdite. I Sudafricani ebbero solo 4 morti e la distruzione di un blindato a causa dei bombardamenti, ma senza nemmeno che le armi cadute fossero destinate a loro. I velivoli comunisti erano circa 20 MiG-23 G e circa 15 MiG-21MF, più circa 6 Su-22. In ogni caso, nonostante questa prudenza eccessiva e deleteria per i risultati effettivi, i reparti aerei di Cuito Carnevale e delle altre basi aeree erano nella condizione di ridurre al silenzio l'artiglieria di Pretoria anche solo con la loro presenza. I Sudafricani non avevano armi antiaeree campali adatte ad affrontare questa minaccia e così le loro operazioni risultavano spesso compromesse dall'attività aerea nemica. I caccia sudafricani avevano poca autonomia in zona, anche volando con i serbatoi subalari, e i Cubani che volavano sui MiG-23 non erano particolarmente interessati a trovarseli contro, così di tutta quest'attività aerea rimasero solo due contatti tra le opposte aviazioni, alquanto inconcludenti.

Diverso il discorso per l'attacco al suolo. I Sudafricani disponevano di 12 Mirage F.1AZ, poi 8 e infine 4 col progredire della campagna. Gli attacchi dei Mirage erano portati secondo la tipica specialità sudafricana, il volo radente, a 15-30 metri di quota fino agli ultimi secondi. Spesso seguiva un'azione di attacco in picchiata oppure anche in cabrata, con il rilascio delle bombe in tale condizione di volo per evitare di sorvolare dei bersagli considerati piuttosto pericolosi. Con 144 missioni per 683 sortite iniziate il 16 settembre, i Mirage F.1AZ si fecero valere infliggendo dure perdite alle truppe di terra. Sebbene fossero la versione alleggerita, con il solo radar telemetrico, del Mirage F.1C, gli AZ, specializzati per l'attacco erano velivoli efficaci (anche i Libici ne ebbero un certo quantitativo, si tratta dei soli altri utenti della versione in parola). In tutto sganciarono 3.068 bombe. Molte di queste erano armi a frammentazione, assolutamente micidiali contro truppe allo scoperto. 1.658 da 250 e 433 da 120 kg (le prime in genere in 4 esemplari, le seconde in 6 per aereo) erano di questo tipo. Al loro interno c'erano rispettivamente 38.000 e 19.000 sferette di acciaio da 8,5 mm, che saturavano letteralmente una vasta aerea con un effetto di 'shrapnel' contro chiunque fosse nel raggio di decine e anche centinaia di metri. Spesso avevano anche spolette di prossimità che permettevano l'esplosione ad una certa quota dal terreno, causando danni su di un'area ancora più vasta. Per il resto c'era stato anche lo sganciamento di 872 bombe da 250 kg e 105 da 120 kg HE. La reazione contraerea era un pericolo costante, ma tenendo la pancia a terra i Sudafricani riuscivano ad evitarla. Con questa 'guerriglia aerea' sudafricana i comunisti furono costretti a spostare in avanti i loro sistemi contraerei, ma con questo si esponevano ad improvvisi attacchi delle artiglierie da 155/45 G 5 da 30 km (37 con i proiettili 'base bleed') e i razzi Valkiri da 127 mm (gittata 22 km), in entrambi i casi superiore ai pur prestanti omologhi sovietici, inclusi gli M46. La collaborazione tra le armi, sia aeree che terrestri, è stata eccezionalmente buona in campo Sudafricani, mentre i comunisti ebbero molti problemi, tanto che alle volte si ritrovarono a bombardare i loro stessi avamposti, confusi dai servizi di guerra elettronici sudafricani che davano falsi obiettivi.


Quanto alle azioni aeree, le missioni sudafricane dovettero confrontarsi con armi come gli SA-8B e gli SA-13, ma riuscirono a volare abbastanza bene e bassi da superare tali difese, anche con l'aiuto di una componente ECM di cui tuttavia poco si sa. La prima missione venne eseguita da ben 9 Mirage F.1AZ e i 4 SM.50 Buccaneer, mentre si pensava anche di mandare in azione i Camberra che però non vennero usati per problemi meteo e che nemmeno successivamente ebbero un impiego, mancata quest'occasione. Altre missioni, dopo questa del 16 settembre, vennero volate il 20, 24 e 25 settembre. L'MPLA era già in ritirata e dal 26 settembre vennero iniziate missioni ancora più numerose per colpirle in ritirata. Le missioni hanno a quanto pare raramente visto l'aggancio di radar nemici, come accadde una volta a un Buccaneer, che però riuscì a rompere il contatto del 'Land Roll' ad un SA-8. Tra le incursioni si cominciò a vedere le azioni contro le posizioni vicino a Cuito Carnevale dal 12 ottobre, come la missione di Buccaneer ottenne la distruzione di un deposito di 28.000 l di carburante (non molto per una missione di Buccaneer, ma la guerra è anche un fatto di logoramento delle risorse sul campo). Ora cubani e MPLA erano asserragliati a Cuito Canevale, mentre i guerriglieri dell'UNITA e alcuni battaglioni sudafricani erano avanzati cercando di stringere l'assedio alla piazzaforte, battuta dai cannoni a lungo raggio che distrussero tra l'altro due Mi-35 al suolo. I reparti aerei comunisti continuarono le loro azioni in maniera piuttosto improduttiva, con 4 elicotteri, 5 MiG-21, un MiG-23, un Su-22 e un trasporto An-12 persi a causa delle unità contraeree dell'UNITA. Nel frattempo avvenne anche la distruzione del ponte sul fiume Cuito Canevale con una bomba guidata di tipo non specificato, forse un AS-30 modificato. Questo ponte collegava le due sponde della piazzaforte e quindi era un obiettivo importante. Vennero usati dei traghetti, colpiti e sostituiti, per ovviare a tale perdita.

La piazzaforte era presidiata nella parte orientale da 5 brigate e un gruppo tattico, più quelle della parte occidentale. I Sudafricani, che non avevano la consistenza di una brigata, e l'UNITA ebbero a quel punto l'obiettivo di distruggere le unità assediate nella piazzaforte, che pure erano circondate da una forza molto minore, che semplicemente per la sua elusività non si riusciva a raggiungere e a colpire. Queste azioni avvennero soprattutto tra gennaio e febbraio. Il 19 una bomba esplose in una banca della Namibia e i Mirage attaccarono per ritorsione Lubango, che era base della SWAPO, nonostante la sua difesa contraerea molto consistente, dal giorno dopo. Una prima missione venne fatta entro le 9.25, poi altri 4 caccia ritornarono sulla zona alle 13.16, e 4 alle 14.32 contro, nel primo caso, un radar in zona di Lucosa, e poi altri bersagli nella zona. Un Mirage venne mancato da una coppia di missili SA-9 di cui uno andò fuori bersaglio di circa 10 metri da uno dei caccia. Non bastando, alle 17.32 altri 4 aerei decollarono per colpire un convoglio vicino a Cuito Canevale; dopo il secondo passaggio su questo un SA-13 Gopher colpì il Mirage di Ed Every, uccidendolo sullo schianto successivo. Era alla 54a missione di guerra. Anche un AM-3C Bosbock venne colpito da un missile SAM, stavolta un SA-8, l'unica altra perdita sudafricana. La percentuale delle perdite subite dai Sudafricani contro nemici così ben armati è realmente bassa, specie se si pensa ai danni subiti dai Tornado in Desert Storm.

Il 4 marzo 1987 c'erano solo 4 Mirage a Grootfontein, e il 25 vennero ritirati anche loro. Nel frattempo c'era stata una perdita per incidente, con lo schianto al suolo il 19 marzo di un Mirage, forse per errore di manovra. Così le missioni dei Mirage ebbero termine, e assieme agli altri aerei, i Buccaneer, che portarono un totale di 99 missioni, inflissero parecchie perdite alle forze terrestri nemiche, che subirono qualcosa come 5.000 perdite.

Non furono solo i Mirage e i Buccaneer ad operare in zona. Per esempio, c'erano i Mirage IIIRZ in operazioni di ricognizione, mentre i C-130B volarono 412 missioni con il trasporto di 5.448 t di materiali trasportati e 4.730 uomini; i C-160 volarono per 169 missioni con il trasporto di 1.435 t di materiali e 2.097 militari. Il tutto avveniva di notte e a quote non maggiori di 150 metri, con piste di volo rudimentali che spesso avevano solo dei bidoni accesi per la segnalazione. L'assenza di ostacoli permetteva di volare sicuri anche a bassa quota, almeno in teoria; ma l'assenza di punti di riferimento rendeva terribilmente difficile orientarsi sul piatto territorio dell'Africa meridionale, spesso con condizioni di visibilità difficili a causa di tempeste di polvere o di maltempo delle stagioni delle piogge. L'avvicinamento era spesso fatto ad appena 15 metri, il che lasciava solo sperare di trovare l'obiettivo e che il radar altimetro funzionasse bene, tra alberi talvolta anche alti e che rendevano difficile vedere questi segnali di fuoco. Alle volte gli aerei colpivano le cime anche se senza conseguenze catastrofiche, e subito dopo l'atterraggio azionavano l'inversore del passo dell'elica per frenarsi il prima possibile. L'unico aiuto che avevano era l'avviso alla torre di controllo gestita dall'UNITA, che veniva contattata 5 minuti prima. Prima che avesse finito di decelerare i bidoni venivano già spenti per evitare la scoperta da parte dei 'rossi'. C'erano anche due o tre missioni per notte, decollando da Rundu per qualche obiettivo dell'Angola meridionale. Alle volte venivano anche eseguiti aviolanci o infiltrazioni di forze speciali. I Puma erano meno usati del solito, per lo più per missioni Medevac, collegamento e infiltrazione commandos. In genere volavano di notte. Le segnalazioni erano spesso difficili da capire, da terra: può sembrare facile vedere di notte dei fuochi, ma in Angola meridionale c'erano circa 60.000 fuochi di bivacco e le 'incomprensioni' erano più che concrete. All'epoca non c'era il GPS né gli aerei avevano FLIR o sistemi d'ausilio per la navigazione: solo l'INS e il metodo 'carta e tempo', con il rischio di atterrare tra un accampamento nemico, o di volare troppo alti e beccarsi un missile. I Puma, tra l'altro, consentivano di volare in zona anche nella stagione delle piogge che resero impraticabili le piste di volo in terra battuta. Quanto ai velivoli da trasporto 'rossi', la loro attività non fu minore e anzi, erano l'unico mezzo sicuro per operare in zona rispetto ai ben più vulnerabili convogli di terra. Vennero volate letteralmente migliaia di missioni con i Mi-8, Mi-17, C-212, An-26 e An-12. Tutti gli An-12 erano pilotati da equipaggi sovietici, mentre molti degli altri velivoli erano usati con equipaggi cubani. Spesso gli elicotteri erano usati per evacuare per via aerea i consiglieri militari e le truppe cubane e dei Paesi dell'Est. Alla fine, nonostante tutti gli sforzi, l'iniziativa restava in mano all'UNITA e Castro si rese conto che non aveva modo di risolvere, nonostante l'armata stanziata in Africa, gli eventi sul campo, in termini militari e aprì alla trattativa, più per trattare il proprio disimpegno che per mettere pace all'Angola, rimasto fuori dai riflettori una volta spariti i Cubani e i sovietici, e rimasto in guerra con i proventi dati dalla vendita dei diritti dei ricchi giacimenti di diamanti e altri minerali preziosi lì presenti.


MiG vs Mirage

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Quanto ai reparti da caccia, il 3° Sqn schierò 8 Mirage F.1CZ a Rundu, iniziando per primi le loro azioni di combattimento fin dal 4 settembre.

Il 27 settembre 4 Mirage vennero fatti decollare per intercettare i MiG cubani. Era il primo pomeriggio e la temperatura sulla pista assolata era di almeno 45°. Dopo il decollo i Mirage sudafricani volarono radenti al terreno per non farsi avvistare dai radar, fino a che non venne dato l'ordine di salire di quota e attaccare i caccia nemici. Stavolta i MiG-23 erano solo due, con una formazione di 4 aerei. Ma i piloti cubani si rivelarono avversari temibili. Il Mirage di Arthur Piercy stava volando a circa 1.600 km/h quando vide un velocissimo MiG sfrecciargli incontro. Il sudafricano, - all'attivo 47 missioni di guerra-, si trovò davanti il Flogger e la sua prima impressione, oltre che di sorpresa, fu la bellezza del suo oppositore. Poi questo virò contro il Mirage, così fece Piercy ed entrambi si avvicinarono head-on, frontalmente. Erano entrambi tanto veloci, che la larga virata quasi li portò fuori dalla vista l'uno dell'altro. Il MiG era armato di missili a medio raggio, differentemente dal Mirage. Con gli aerei in avvicinamento frontale, Piercey gliene vide sparare uno contro di lui (vi sono testimonianze anche del lancio di altre due armi, probabilmente un misto di AA-7 e AA-8).

Quando si è sotto tiro diretto di un missile, piuttosto che dargli le spalle, è meglio volargli contro. Per varie ragioni: anzitutto non lo si perde mai di vista, e poi si può contromanovrarlo con un'accelerazione molto inferiore. È come un torero che evita un toro, insomma, per questo moltissimi aerei ingaggiati da SAM sono riusciti a sopravvivere. Se si scappa, è bene farlo purché si pensi di essere al limite del raggio di tiro nemico: perché il missile è più veloce, ma è anche caratterizzato dal 'fiato corto', per cui o riesce ad agguantare il bersaglio nell'arco di secondi, oppure la sua velocità cadrà tanto da essere lasciato indietro. Ma quello che potrebbe essere valido per un AAM a corto raggio non lo è per uno a più lunga gittata, per cui dare le spalle ad un missile è pericoloso, anche perché spesso lo si perde totalmente di vista. Non solo, ma se si manovra con qualcuno che ti insegue e che può virare dietro di te, è facile per questo starti in scia con il minimo sforzo. Una virata a 5 g può evadere invece l'attacco di un missile molto più agile (i SAM/AAM hanno carichi di manovra molto superiori rispetto ad un caccia, anche 50 g), purché fatta al momento giusto, senza né aspettare troppo (quando si farebbe in tempo a scansarsi), né muoversi troppo presto, quando il missile farebbe ancora in tempo a capire il tuo movimento e a virare verso di te. Tutto questo Piercy lo sapeva, ma nella realtà non era facile puntare verso qualcosa che stava venendoti addosso con il compito di ucciderti. Piercey evitò il missile manovrando all'ultimo momento. L'ordigno, descritto come un 'palo del telegrafo' (quindi era sicuramente un AA-7/R-23 o -24, in una delle pochissime azioni di successo di cui si abbia notizia: una testimonianza storicamente preziosa), gli passò sul lato destro. Piercey credette di averla fatta franca, ma dovette tuttavia ricredersi quando di lì ad un istante avvertì un forte colpo. La variabile che dà problemi all'aereo, nella 'corrida' contro i missili, si chiama spoletta di prossimità, che consente di causare danni anche a distanza: come la testa del toro può sempre colpire lateralmente grazie alle corna, la testata di un missile ha la capacità di interagire anche ad una certa distanza (parecchi metri). L'AA-7 ha una potente sezione esplosiva pesante circa 40 kg così, all'ultimo istante utile, 'azzannò' la coda del Mirage.

I Sudafricani lanciarono un missile R-550 che però non ebbe successo: i veloci MiG, meno agili dei Mirage nella maggior parte delle condizioni di volo, erano più rapidi nell'accelerare e disimpegnarsi grazie alla loro potenza bruta.

Il Mirage si buttò in verticale, dopo avere chiamato per radio il capo-coppia annunciando di avere dei problemi. Riprese il volo orizzontale appena in tempo, si ritrovò a bassa quota, e prontamente fu illuminato da un radar (che non si sapeva essere di caccia o di sistemi terrestri). Piercey continuò a volare verso la base scendendo bassissimo per sganciarsi dall'osservazione nemica, ma non sembrava che vi fossero gravi danni a bordo. Il robusto Mirage sembrava rispondere bene. Tuttavia, le schegge avevano fatto saltare l'ogiva posteriore della coda e soprattutto, danneggiato i circuiti. Andarono in avaria vari sistemi, tra cui quello idraulico di riserva, alimentazione motore (che però era possibile mantenere anche con l'afflusso per gravità), e poi quello dell'olio, che avrebbe causato un problema di controllo della manetta (provvista di un sistema d'emergenza elettrico, ma molto lento). Inoltre il Mirage si stava lasciando dietro una scia di carburante. La situazione si stava facendo seria e Piercey rischiava di diventare il primo pilota sudafricano sicuramente abbattuto da un caccia nemico. La base però era a pochi minuti di volo e riuscì a raggiungerla. La corta pista, di poco oltre 2 km, non era così rassicurante in caso di problemi: Piercey tentò di attivare i freni d'emergenza, ma senza risultato. Nonostante il peso leggero, il Mirage bucò speditamente la barriera d'arresto (forse per via del muso così appuntito) e quella di fine pista, dopo di che uscì sopra il terreno sabbioso. Ma trovò una roccia e il carrello collassò per la forza dell'impatto. Cosa che ebbe una conseguenza grave: il sedile si attivò e Piercey, che sembrava averla scampata senza altri guai, venne improvvidamente eiettato attraverso il tettuccio e ricadde pesantemente. Si rese conto di avere un braccio rotto e quel che è peggio, di non sentire più le gambe. Era davanti al suo caccia e sotto di questo si stava sviluppando un principio di incendio, dovuto al carburante fuoriuscito, proprio sotto alle riservette dei cannoni. Se fosse continuato un altro poco, forse le munizioni si sarebbero attivate e Piercey, proprio sulla linea dei cannoni, avrebbe avuto il raro destino di essere mitragliato dal suo stesso aereo! E nel contempo non poteva muoversi da lì, intrappolato ancora nel suo sedile. Fortunatamente il personale di terra arrivò in tempo per spegnere le fiamme. Piercey fu ospedalizzato per mesi, ma purtroppo non si riuscì a riparare il danno all spina dorsale e rimase su di una sedia a rotelle. Nel frattempo il suo caccia venne cannibalizzato per ricostruirne un altro, incidentatosi in precedenza[8].

Solo il 10 febbraio vennero avvistati altri MiG, visto che questi ultimi cercavano di disimpegnarsi quando il controllo radar gli diceva che stavano avvicinandosi i Sudafricani. La formazione era di 8 MiG-23 con altri due che facevano la scorta, in quanto i primi avevano un carico di bombe a bordo e le stavano usando per colpire le forze UNITA 350 km all'interno dell'Angola. I due MiG di scorta si diressero contro i Mirage e coprirono la ritirata dei loro compagni. Nonostante il lancio di due missili Magic passati vicino ad uno degli aerei cubani o angolani, non vi fu alcun successo dei sudafricani e tutti i Flogger si ritirarono senza perdite.

Il 25 febbraio, l'ultimo incontro, ma stavolta con i Mirage F.1 del 1° Sqn. Essi erano in volo di copertura per la loro artiglieria, quando alle 17.05 vennero avvistati due MiG-23, che però scapparono con la loro superiore accelerazione. Alle 18.30 la successiva missione dei caccia Mirage, che a loro volta localizzarono i MiG, i quali scapparono via con il postbruciatore, nonostante due missili V-3B Kukri e il fuoco dei cannoni da 30 mm, che sparati da una distanza eccessiva non raggiunsero i loro elusivi bersagli, allontanati dalle 13 tonnellate di spinta che lasciarono indietro rapidamente i Mirage.

Gli anni successivi[9]

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Negli anni '90 l'Angola iniziò la transizione da un governo comunista ad uno 'democraticamente eletto', grazie ai cambiamenti intervenuti nel frattempo. La Namibia aveva dichiarato la sua indipendenza che era stata riconosciuta il 1 aprile, così le SADF sudafricane, volenti o nolenti, si dovettero ritirare dal fronte Sud, secondo quanto concordato negli accordi di Ney York, mentre le MPLA abolirono il sistema monopartitico in giugno e in dicembre abbandonarono il Marxismo. Alla fine del 1991 tutto era compiuto, e l'ultimo dei soldati cubani lasciava il Paese.

C'era molto scetticismo sul futuro dell'Angola, terra ricca ma fragile, e come tale, preda facile di avvoltoi. Nel frattempo anche gli amici di Javimbi (che non era un capitalista, ma un socialista) cominciavano a voltargli le spalle e a rimuovere dall'agenda l'intera guerra d'Angola. Tra i pochi che non vollero, Micheael Johns, dell'Heritage Foundation, l'ideologo della Dottrina reaganiana, che continuava a chiedere supporto per Savimbi, non fidandosi delle mosse cubane e sovietiche. Ma oramai i tempi erano cambiati.

Nel sud-Angola, nei primi anni '90, l'MPLA continuò ad attaccare l'UNITA con diverse offensive, anche combattute con gli ultimi sovietici e cubani disponibili. Le offensive non andarono a buon fine, ma Savimbi ebbe due ferite nelle battaglie di gennaio e febbraio 1990, anche se non erano gravi. Andò a Washington a perorare la sua causa avvisando che l'URSS continuava a dare supporto all'MPLA minacciando gli affari americani e il 'nuovo corso' annunciato dallo stesso Gorbachev. Savimbi mantenne il supporto di alcune lobbies negli USA, che già, dopo l'abolizione dell'Emendamento Clark, dal 1985 avevano dato a Savimbi e ai suoi combattenti circa 60 mln di dollari per anno (300 in tutto), di cui parecchi denari per le spese personali dello stesso leader. Nell'ottobre 1991 Savimbi aveva fatto una visita negli USA e non si dimostrò certo saggio a spendere quasi 473 mila dollari in una settimana. Inoltre c'erano dei problemi anche sul rispetto dei diritti umani, ora che anche l'UNITA veniva accusata di non rispettare.

Nel frattempo anche il presidente dos Santos aveva incontrato Savimbi, a Lisbona, firmando gli Accordi di Bicesse il 31 maggio 1991, che avrebbe portato ad una democratizzazione e ad una pacificazione della nazione, smobilitando 152.000 uomini in armi e fondendo UNITA e governativi in un nuovo esercito di 50.000 effettivi, di cui 40.000 dell'esercito, 6.000 della Marina e 4.000 dell'aviazione. Ma mentre i governativi rispettarono largamente quest'accordo, l'UNITA non lo fece. L'Angola ebbe la sua prima elezione il 29-30 settembre 1992 e Dos Santos ottenne il 49,57% dei voti. Savimbi, presentatosi anch'egli alle elezioni, arrivò al 40,6%. Non essendoci la maggioranza assoluta, fu richiesto un secondo scrutinio per decidere il vincitore. Savimbi non accettò tuttavia la regolarità delle elezioni e mandò il suo vice a Luanda per discutere i termini del ballottaggio. Ma il 31 ottobre 1992 i governativi attaccarono la delegazione dell'UNITA in quello che divenne poi noto come 'il massacro di Halloween'. E lo fu davvero. Molti civili avevano ricevuto delle armi dalla polizia giorni prima e attaccarono con queste le case dei supporter UNITA. Centinaia di loro vennero uccisi oppure catturati. Questi non ebbero sorte migliore, il governo organizzò un 'servizio' di autocarri che andarono al cimitero di Camama e lì i prigionieri vennero uccisi e messi in fosse comuni. Questo orrore non terminò subito, perché il 2 novembre venne ucciso anche Chitunda, il vice-presidente UNITA.

Ovviamente, tutto questo portò ad un ritorno delle ostilità. Nel 1993 Savimbi, tutt'altro che indebolito, al contrario ottenne diversi successi sul campo, prendendo il controllo di parecchie località come Caxito, Huambo e altri capoluogo di provincia che non aveva mai avuto dal '76, movendosi contro Kuito, Luena e malange. USA e S.Africa non davano più aiuti all'UNITA, non così lo Zaire. Tra i successi di quella prima parte del 1993, la battaglia di 55 giorni su Huambo, nella 'guerra delle città'. Vi fu un massacro consumato nel silenzio internazionale: oltre 10.000 vittime, centinaia di migliaia di rifugiati. Il Governo a sua volta iniziò la pulizia etnica di Ovimbundu, Luanda, Bakongo, vi fu il 'Venerdì di sangue' quando un altro massacro governativo venne compiuto il 22 gennaio. Il 27 vi fu un incontro tra governo e UNITA in Etiopia, ma senza risultato. L'ONU, con la risoluzione 864, sanzionò l'UNITA il 15 settembre 1993, e ne decretò l'embargo su armi e carburante. Clinton il 23 settembre mise nero su bianco che l'UNITA era diventata un pericolo per gli obiettivi della politica estera USA. Anche questi erano gli effetti del cambio epocale, ora che Savimbi non serviva più per gli scopi americani e sudafricani diventava invece addirittura una minaccia. All'epoca l'UNITA era ad un passo dal successo finale: controllava il 70% del territorio angolano, mettendo in minoranza di oltre 2:1 lo stesso governo. Ma senza più aiuti sufficienti, successe che nel 1994 l'MPLA riconquistò il 30% del territorio arrivando al 60% totale. A quel punto, con parecchie sconfitte rimediate in pochi mesi, anche Savimbi dovette, nel novembre di quell'anno, cercare di stabilire trattative per la pace. Ora infatti lui stesso dichiarava che questa era la fase più critica dell'intera storia dell'UNITA.

Con gli accordi di Lusaka, in cui Savimbi si fece rappresentare dal Segretario generale ONU (forse temeva altri agguati), il 31 ottobre 1994, si concluse per il momento la crisi. 5.500 uomini dell'UNITA avrebbero disarmato e raggiunto la polizia nazionale, 1.200 avrebbero invece raggiunto la forza di polizia di reazione rapida angolana, e i generali UNITA sarebbero diventati ufficiali nelle F.A. I mercenari esteri sarebbero espatriati mentre sarebbe stata posta fine alla compera di armi straniere. I guerriglieri UNITA avrebbero anche avuto la loro parte dei commerci e nelle attività minerarie, 7 ministri, ambasciatori, governatori locali ecc. I prigionieri sarebbero stati rilasciati e vi sarebbe stata un'amnistia generale. Mugabe e Mandela fecero da padrini all'accordo e il secondo invitò anche Savimbi in Sud Africa (ma lui non ci andò). Con quest'accordo vennero anche create le condizioni perché l'ONU sorvegliasse la pacificazione.

Purtroppo, quest'accordo, per quanto partecipato e ragionevole, non ebbe vita lunga. Nemmeno l'offerta di vice-presidente (di Dos Santos), fatta il 18 giugno, cambiò molto le cose. Il controllo sulle armi non ebbe totale successo, e il governo angolano comprò 6 Mi-17 e poi degli L-39, 3 Su-17 ex-Kazakhstan, 2, più altre commesse minori da varie nazioni, dall'Ucraina allo Zimbabwe. Dato che nel frattempo erano scoppiate le crisi del Congo, zaire e Liberia, però, l'Angola venne presto dimenticata e lasciata a se stessa. L'UNITA, che non si era sciolta del tutto, comprò a sua volta oltre 20 FROG-7 e 3 FOX7 (nordcoreani) nel 1999. Nel frattempo Savimbi e Dos Santos l'8 febbraio 1996 si accordarono per un governo di coalizione, che poi organizzò la deportazione di minoranze etniche responsabili dell'aumento della criminalità. Benché vi fosse un aiuto internazionale nell'installare un Governo d'Unità e di Riconciliazione Nazionale nell'aprile 1997, l'UNITA non consentì che l'MPLA prendesse il controllo di una sessantina di città. L'ONU votò il 28 agosto 1997 una risoluzione contro l'UNITA con la Risoluzione 1127 e fece diventare il territorio controllato da questa una zona di no-fly-zone. Il 12 giugno 1998 vennero anche congelati i suoi conti bancari.

Erano stati spesi 1,6 mld di dollari dall'ONU nella fase tra il 1994 a il 1998, per mantenere la forza di pace, ma il 4 dicembre 1998 i governativi attaccarono l'UNITA negli altipiani centrali, il giorno prima del quarto Congresso dell'UNITA. Il giorno dopo Dos Santos dichiarò che la guerra era l'unica possibilità per ottenere la pace nella nazione, e chiese all'organizzazione MONUA (ONU) di partire dalla nazione, cosa che accadde entro il febbraio successivo. Ma Savimbi non era più così amato, e accadde persino che diversi comandanti UNITA erano rimasti così disaffezionati dell'andamento delle cose, che avevano formato il gruppo militare UNITA Renovada. Migliaia di guerriglieri disertarono nel 1999-2000.

Nel frattempo gli Angolani del Governo lanciarono l'Operazione Restore, nel settembre 1999, catturando anche Bailundo, fino all'anno prima il QG di Savimbi. 15 ottobre 1999, altra risoluzione ONU che diede a Kofi Hannan l'incarico di aggiornare la situazione ogni 3 mesi. Dos Santos, l'11 novembre venne offerta un'amnistia, a dicembre venne dichiarata la distruzione dell'80% dell'UNITA e la cattura di 15.000 t di materiale militare.


L'UNITA continuò con successo ad estrarre i diamanti e a venderli, finanziando la sua opera di resistenza con la continuazione della guerra, anche se oramai non aveva più appoggi esteri, così come del resto -forniture di armi a parte- non li avevano gli Angolani. Tuttavia De Beers firmò un contratto per i suoi diamanti e la fornitura di armi continuò, tramite lo Zaire. Alla fine il giro d'affari di queste estrazioni arrivò durante gli anni '90 a circa 500 mln di dollari dal solo 1992. L'ONU stimò che il valore delle estrazioni di diamanti angolani arrivò a circa 4 mld di dollari entro il 1998, e l'UNITA ne prese circa il 93%, nonostante l'embargo internazionale. 'Bloody diamond', come il film con di Caprio, è diventato un termine per spiegare come in varie parti dell'Africa vi siano state guerre supportate dalle preziose pietre estratte dal sottosuolo.

Tuttavia, una compagnia privata di 'advisor', la Executive Outcomes, che aveva combattuto supportando l'UNITA prima delle elezioni del 1992, cambiò casacca e supportò invece le MPLA verso la fine di quel decennio, grazie ad un contratto in cui sarebbero stati pagati da De Beers. Questo aumentò molto l'efficacia delle MPLA e secondo un esperto ONU, l'operazione, costata una cinquantina di mln di dollari, fu la migliore spesa mai fatta dal governo angolano.

Nel frattempo era anche successo che nella regione del Cabinda dei ribelli avevano combattuto contro le imprese straniere, come la Chevron Oil. Le tre organizzazioni coinvolte continuarono la loro attività di rapimenti fino alla cattura dei capi delle stesse, nel 1999.

Negli ultimi anni vi furono molti traffici di armi clandestini, specialmente dall'Europa orientale e Russia, la quale spedì per esempio un carico di 500 t di munizioni da 7,62 mm (Ucraine) per i governativi angolani. Questo causò un 'Angolagate' perché vi era anche l'opera intermediaria di un agente di navigazione britannico. Era il settembre 2000 e i giorni successivi l'MPLA riuscì a sconfiggere l'UNITA riuscendo anche a raggiungere la zona d'estrazione dei diamanti (Lunda Norte e Sul). Nel frattempo, l'Angola aveva comprato altri 6 Su-17 il 3 aprile 2000, pagandoli alla Slovacchia con il petrolio. Il 24 febbraio 2001 un carico di 636 t di armi venne bloccato dalla Spagna alle Canarie. L'agenzia governativa Simportex era incaricata di comprare armi dalla Rosvooruzhenie russa, una compagnia statale di export militare.

L'UNITA attaccò diverse città angolane a maggio, per dimostrare di essere ancora una realtà forte, per esempio Caxito il 7 maggio. Ma fu un massacro, con 100 persone uccise, 60 bambini e 2 adulti rapiti. Vi furono altri attacchi che portarono De Beers ad allontanarsi dall'Angola a causa dei rischi eccessivi.

Peggio ancora, vennero anche lanciati missili contro gli aerei dell'UNWFP, il programma ONU per i rifornimenti di cibo, con il danneggiamento di un Boeing 727 ad uno dei motori, mentre si avvicinava a Luena. Eppure era in volo a ben 5.000 m di quota, per cui dev'essere stata un'arma più potente di un normale MANPADS, forse un SA-9.

Savimbi, capo carismatico dell'UNITA, venne ucciso alla fine dai soldati angolani: era avvenuto il 22 febbraio 2002 nella provincia di Moxico, e il controllo dell'UNITA venne preso dal vice A.Dembo, che tuttavia morì per il diabete appena 12 giorni dopo. Così fu la volta di P. Lukambo, che portò finalmente a trattative di pace definitive. Non fu facile, ma vi fu un incontro a Cassamba il 13 marzo 2002, e un memorandum venne scritto il 4 aprile 2002 a Luena. L'ONU passò la Risoluzione 1404 il 18 aprile 2002 e prolungò l'operazione UNAVEM III di 6 mesi. Con una serie di altre risoluzioni venne 'normalizzata' la situazione, l'UNITA si dichiarò un partito politico e smobilitò ufficialmente le sue forze.

La guerra civile nel 2002 terminò, con un totale di 500.000 vite umane perse in 27 anni di guerra. Un bilancio totalmente negativo: 4,28 milioni di profughi (un terzo del totale della popolazione), la mancanza di cure mediche per l'80% della popolazione, quella dell'acqua potabile per il 60%, il 30% della mortalità prima dei 5 anni, speranza di vita media di 40 anni, migliaia di persone colpite da mine, armi leggere ecc con gravi mutilazioni. L'UNITA, decaduta progressivamente a livelli 'morali' ben poco commendevoli, ha usato secondo HRW 3.000 bambini-soldato. I Governativi ne hanno usati altri 6.000, vi sono stati anche migliaia di matrimoni di bambine con i militanti UNITA. Per non parlare degli stupri e di altre privazioni. Ancora nel novembre 2002 c'erano bambini-soldato nelle truppe governative, di cui 190 vennero riconosciuti dall'ONU. Nel frattempo c'era il problema mine: ben 15 milioni vennero deposte durante la guerra, che hanno fatto strage soprattutto dei profughi, di cui 98.000 furono 'creati' dalla sola parte della guerra tra il 1 gennaio e il 28 febbraio 2002. Un'operazione HALO iniziò già dal 1994 a sminare il territorio, e attualmente vi sono circa 1.100 angolani e sette stranieri. Solo nel luglio 2007 vennero distrutte 30.000 mine. Ci si aspetta che l'operazione finirà entro il 2014. Nel frattempo la crisi economica stava scemando: l'inflazione era del 410% nel 2000, ma quest'altro frutto avvelenato della guerra civile, era calata a 'solo' il 110% nel 2001, e nel 2005, con la stabilizzazione dell'economia, era diminuita ad un 'ragionevole' 18,5%. Nel frattempo l'economia era migliorata così come i depositi economici.

Dos Santos è ancora il presidente dell'Angola, il quale ha ora rapporti stretti anche con la Cina, e attualmente supera anche la Nigeria come esportatore di petrolio dell'Africa sub-Sahariana, che adesso è il protagonista della sua crescita del 25%, che ha attirato anche immigrati dal resto dell'africa sub-sahariana. Nel frattempo i Cinesi hanno investito 5-7 mld di dollari in cambio di petrolio. Invece l'estrazione dei diamanti, a causa della caduta della domanda, è stata molto ridotta. Le elezioni del 5 settembre 2008 hanno rappresentato un segnale di cambiamento, ma fino ad un certo punto, perché gli osservatori internazionali hanno riportato brogli e restrizioni varie. Sperabilmente, in futuro l'Angola riuscirà a continuare quella che dopo gli anni '70, è rimasto il periodo di pace più lungo per questo martoriato angolo del continente.

Situazione attuale[10]

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Le F.A. Angolane, attualmente con il ministro della Difesa Kundy Pahiama, ha ancora un servizio di leva obbligatorio di ben 24 mesi, più l'addestramento basico. Sono disponibili 2.548.455 uomini tra l'età di 17 e 49 anni, di cui adatti però solo 1,282 mln; le donne sono 2,462 mln, di cui 1,256 adatte per il servizio militare. Che qualcosa non funzioni in termini demografici anche qui è evidente, perché attualmente, le persone che raggiungono l'età militare sono 126.694 maschi e 123.586 donne ogni anno, con un deficit di queste ultime che segue un generale 'trend' di questi ultimi anni e decenni. Il personale sotto le armi è di 110.000 effettivi, le spese per il servizio militare sono 183,58 mln (al 2004), un budget ridotto, ma pur sempre pari all'8,8% del PIL (al 2005). Attualmente il comando è posto sotto il comando del Capo di CSM, a sua volta sotto il Ministro della Difesa.

Attualmente l'Angola ha 12,127 mln di persone, su di un'area di 1,246 mln di km2, spese per 2 mld di dollari, PIL 24,35 mld di dollari o il 8,8% del totale. Gli aeroporti totali sono 243. Il PIL pro-capite è di 3.800 dollari, le minoranze sono attualmente : Ovimbúndú 36%, Kimbundu 27%, Luvale (Lwena) 4%, Chokwe 4%, Kwanyama 4%, Kongo 3%, Mestiço 2%, altri 20%. Le coste sono 1.600 km, vie d'acqua interne 1.300 km.

Le forze di terra hanno 3 divisioni, a cui sono devoluti il grosso delle forze militari, circa 100.000 effettivi tra uomini e donne. La Marinha de Guerra, MdG, ha solo 3.000 effettivi con piccole navi e battelli, mentre l'aviazione, una volta potente, ne ha ancora 7.000 circa. Alcune truppe angolane sono adesso in Congo come parte delle forze di peacekeeping.

  • Armi: AK-47, AKM, AK-74, G-3, RPK, PK
  • Corazzati: 200 T-55, 50 T-62, 50 T-72, 600 BRDM-2, 250 BMP-1 e -2, di cui 62 ex-polacchi; 170 BTR-152, 60, 80.
  • Artiglieria: 500 D-30 da 122 mm, 48 M-46 da 130 mm, 4 D-20 da 152 mm, alcuni 2S1, 2S3, 50 BM-21, 40 RM-70, 500 mortai da 120 mm
  • Artiglieria a.a.: 500 lanciamissili SA-3, 7, 9, cannoni S-60 e M1939, mitragliere varie come quelle da 23 mm.
  • Missili e armi c.c.: 100 lanciamissili AT-4 Spigot, cannoni SR, RPG.


La Força Aérea Popular de Angola/Defesa Aérea e Antiaérea ha circa 285-348 aerei, è nata il 21 gennaio 1976, inizialmente con mezzi ex-portoghesi. Le basi sono Luanda, Belas, Luena, Kuiro, Lubango e Mocamedes. Attualmente è stata ridenominata da FAPA/DAA a FANA. Pochi gli aerei ancora efficienti e per lo più in funzione di trasporto e collegamento.


Caccia: 14 (15) Su-27 più 4 U, 18 MiG-23 (su 55 ML +2U consegnati), 25 MiG-21 di cui 5 U e 20 MF sul totale consegnato di 30 'L', 12 F, 50 MF, 6 U.

Attacco: 8 Su-25 (su 12 consegnati), 22 Su-22 Fitter-F (su 30?); si parla anche di 12 Su-24MK consegnati nel 2000

Addestramento: 12 PC-7, 6 Yak-11, 5 EMB-312

Pattugliamento: 2 EMB-110, 1 F27

Trasporti: 1 Il-76, 3 An-32, 12 An-26 (su 30 consegnati), 11 C-212 (su 17), 8 IAR BN-2 Islander, 10 An-12, 4 PC-6, 1-9 L-100 e C-130, 1 Do-228, 3 Cessna 172, 1 Do 28, 1 EMB-135, 1 EMB-120

Elicotteri: 15 Mi-25/35, 47 Mi-8 e 10 Mi-17 (di 57 e 12), 2 SA 315 Alouette II, 15 IAR Alouette III (in tutto gli Alouette sono stati 64), 10 SA-365C Dauphin (12 dal 1986), 7 SA 342, 8-12 Bell (o AB)212, in servizio dal 2002, 13 Panther (16 dal '93) e 7 Gazelle (13 dal 1986)


Altri aerei recentemente in servizio: 1 Beech 200, 1 Boeing 707, 2 Embraer EMB 120 Brasilia, 1 Gulfstream III, 1 Ilyushin Il-76 Candid, 1 Tupolev Tu-134 Crusty, 1 Yakovlev Yak-40 Codling, 5 Mikoyan-Gurevich MiG-15 Fagot, 25 Mikoyan-Gurevich MiG-17 Fresco, 4 Pilatus PC-9, 1 Mil Mi-6 Hook


Infine la piccola Marina.

Personale: 1.500 (1981;1988), 1.250 (1989), 3.000 (1992), 2.000 (1996), 890 (2001), 2.400 (2006)

Tra le navi entrate nel tempo in servizio: 7 pattugliatori 'Argos', ex-portoghesi, da 180 t e 17 nodi, oramai tolte dal servizio (anni '80-90) dopo essere entrate in servizio nel '63-64. C'erano molte navi pattuglia di 20-40 t con armi da 20 e 37 mm, in servizio tra il 1976 e gli anni '90, ex-tedesche e portoghesi, 1 grosso pattugliatore Zhuk, un Poluchat (90 t), 4 pattugliatori spagnoli Alcotan Type 30, in servizio dai primi anni '90 (un cannone da 20 mm e 1 x 12,7 mm, 110 t, 26 nodi); 4 motosiluranti 'Shersen', tolte dal servizio nel 1996, 6 'Osa II' tra i primi anni '80 e la fine degli anni '90; 2 dragamine sovietici da 88 t, 3 navi da sbarco portoghesi da 636 t e 57 m, 11 nodi, 1 Polnocny-B polacco da 874 t e 75 metri, apparentemente ancora in servizio; una corvetta Flowler ex-britannica da 1.020 t, 13 piccole navi ausiliarie e da sorveglianza, di stazza dell'ordine delle 80 t[11].



  1. Grils, Almerigo: La lunga marcia di Savimbi, RID Gen 1986
  2. Da wiki.en
  3. da wiki.en
  4. Grilz, Almerigo, op.cit.
  5. SAAF abbatte sei Mil, dal sito Acig
  6. Articolo Acig.org
  7. Poggiali, Luca: La campagna d'Angola, 1987-88, JP-4 Gen 1992
  8. [1]
  9. Dati wiki.e
  10. Dati da wiki.en
  11. [2]

Bibliografia

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Grilz, Almerigo: La Lunga marcia di Savimbi, RID gen 1986, p.40-53

Cooper, Tom: SAAF abbatte 6 Mil, ACIG articles section.