La Coscienza di Levinas/Capitolo 12
Soggettività, Sostituzione, Godimento, Prossimità
[modifica | modifica sorgente]Una delle caratteristiche distintive della filosofia che si intende post-heideggeriana è il suo rifiuto dell'idea di soggetto, ma sebbene nel 1947 in Dall'esistenza all'esistente Levinas rinunci notoriamente alla possibilità di tornare a una filosofia pre-heideggeriana,[1] egli non è nemmeno disposto ad abbandonare il concetto di soggettività. In quel libro, infatti, cercava di restituire sostanzialità al soggetto umano che attraverso l'idealismo si era sempre più spiritualizzato. Lo fece sostenendo che la posizione del soggetto, il suo qui, inteso come l'evento della sua posizione, era una condizione dell'interiorità.[2] Sulla base di un esame del rapporto dell'inconscio con la coscienza e del sonno con la veglia, la sostantività emerge come "la possibilità di esistere sulla soglia di una porta dietro la quale ci si può ritirare".[3] Critica la descrizione fatta da Heidegger del Dasein come un essere-nel-mondo per aver trascurato il fatto che accettare l'esistenza non è la stessa cosa che entrare in un mondo.[4] L'insistenza sulla soggettività si fa più intensa man mano che il pensiero di Lévinas si rivolge sempre più a temi etici. In una riunione della Société française de Philosophie nel 1962, annunciò polemicamente: "è necessario difendere la soggettività" (il faut défendre la subjectivité).[5]
Finché il soggetto è stato definito dall'interiorità, l'esigenza etica che l'altro ci pone appare come un'interruzione o un disturbo della nostra solitudine. Nelle sezioni di Totalità e Infinito dedicate all'etica, l'attenzione cade sul racconto dell'esperienza in cui un soggetto apparentemente autosufficiente, non dissimile dall'individuo liberale inteso dalla filosofia moderna, poteva veder sfidare dall'esterno la propria compiacenza dall'altro nella relazione faccia-a-faccia. Ma la questione del perché un soggetto potesse spingersi fino a sacrificare la sua stessa esistenza per l'altro attraverso un tale incontro rimane senza risposta. Lévinas ha costantemente contestato come unilaterale il prevalere all'interno della filosofia moderna dell'idea di un soggetto interessato alla propria esistenza e del cosiddetto conatus essendi,[6] ma è chiaro che la sfida non sarebbe stata completa senza l'introduzione di un'esposizione radicalmente nuova della soggettività che offrisse il proprio resoconto di come tali sacrifici siano possibili. Nel 1974 in Altrimenti che essere, Lévinas si è posto il compito di dare un tale resoconto della soggettività, pur comprendendo che così facendo stava semplicemente completando l'esposizione della responsabilità che aveva iniziato tredici anni prima in Totalità e Infinito. Questo soggetto, responsabile prima di ogni contratto o iniziativa propria, è diverso dal soggetto tradizionale. Non è fin dall'inizio per sé, quanto per-l'altro. Una volta compreso che Totalità e infinito presenta solo una parte dell'intera argomentazione di Lévinas, diventa chiaro che la tendenza di molti dei suoi commentatori e critici a concentrarsi su questo unico libro equivale a una grave distorsione del suo lavoro.
In quanto segue insisterò sempre sul fatto che quando si legge Lévinas bisogna resistere alla tentazione di imporre ai suoi termini una rigidità che manca loro. Molte delle parole chiave sembrano essere in movimento, con il risultato che bisogna rispettare l'ambiguità che ne deriva. L'ambiguità nasce dalla questione in questione. Lo illustro prima in una discussione riguardo alla distinzione fatta da Lévinas tra il me (le moi) e il sé (le soi) che si trova nella seconda sezione di questo Capitolo[7] e poi la riprendo nella terza sezione rispetto al suo resoconto del rapporto tra dolore e godimento. Per accogliere l'introduzione di questa nuova esposizione della soggettività in Altrimenti che essere e nei testi correlati, Lévinas è stato costretto a introdurre un nuovo lessico. Anche questi termini sono caratterizzati da movimento. Nel corso di questo Capitolo spiegherò l'importante lavoro svolto da tre termini che lo stesso Lévinas ha individuato per dar loro una particolare attenzione: sostituzione, intrigo e prossimità.[8] Ne ho aggiunto un quarto: vulnerabilità. Nella quinta e ultima sezione completerò la mia indagine su ciò che Lévinas chiamava la "preistoria del Me", che iniziò in Dall'esistenza all'esistente, mostrando fino a che punto il resoconto della soggettività in Altrimenti che essere ha radicalmente trasformato il precedente.[9] Concluderò proponendo alcune riflessioni sulla sfida che la filosofia di Lévinas pone ai modi di pensare convenzionali.
Questa dualità del me e del sé non è enfatizzata in Totalità e Infinito nella misura in cui lo è negli altri scritti distintivi di Lévinas, ma è perfettamente compatibile con ciò che vi si dice. Ad esempio, già nel 1934 in "Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo", presentava un resoconto dell'esperienza del dolore nei termini di una differenza tra il me e il corpo che anticipa la dualità del me e del sé.[10] Quel resoconto è ripetuto nei suoi dettagli essenziali in Totalità e Infinito ma senza che egli ne tracci esplicitamente la distinzione.[11] Similmente, la dualità è implicita quando Lévinas riprende la nozione di interiorità e si interroga sulla sua relazione con il volto dell'altro, ma non viene tematizzata.[12] Questa è forse una delle ragioni per cui tale dualità non ha ricevuto maggiore attenzione nella discussione in altre lingue. Un altro motivo di questa negligenza è che, per quanto Lévinas abbia trovato scomodo presentarla in francese, è ancora più difficile per il traduttore trasmetterla, soprattutto perché la misura in cui Lévinas in ogni singolo caso ha voluto sottolineare la distinzione non è sempre chiaro. Inoltre, come spiegherò, a volte distingueva Moi da moi e Soi da soi. Come le sue distinzioni tra Autre e autre e tra Autrui e autrui, è molto più facile spiegare cosa è in gioco in quelle differenze in alcuni momenti piuttosto che in altri, dove la distinzione comincia a sembrare arbitraria. Sosterrò qui che i termini non possono essere fissati in giustapposizione l'uno con l'altro perché ciò che segnalano non è fisso. In altre parole, la fluidità del linguaggio di Levinas nasce dalla fluidità di ciò che i termini descrivono. Solo l'io [je] si presenta come un punto fisso e poi solo fino al punto in cui il soggetto perde il suo posto nell'espiazione per l'altro.[13] Ciò significa che nel pensare al moi e al soi bisogna guardarsi dal metterli in relazione come se fossero statici e indipendenti l'uno dall'altro, quando in realtà sono coinvolti l'uno con l'altro, complici. Il sé "non è in uno stato, non è in posizione, non è a riposo in sé assicurato in sé come da una condizione".[14]
Contrassegnare i termini moi e soi in una discussione in italiano su Lévinas, come sarò costretto a fare per amore della mia argomentazione, esagera l'artificialità dell'idioma che già possiedono nei testi francesi originali.[15] È, insomma, una sfida per i traduttori e un oltraggio per i redattori. Enfatizzarli in questo modo flirta con il pericolo molto reale di far sembrare che il me e il sé siano indipendenti l'uno dall'altro, contrariamente all'intenzione di Levinas. Quando ha scritto della dualità tra me e sé nel dolore, per esempio, non ha ipostatizzato entrambi i termini, ma ha richiamato l'attenzione su una dualità che sorge nell'esperienza di guardare al proprio dolore, così come si può guardare al proprio godimento anche mentre vi si è immersi. Appare anche nel modo in cui ogni sforzo si trasforma in fatica. In Dall'esistenza all'esistente, il contesto principale in cui ha esplorato il modo in cui il me possiede un sé, è attraverso un resoconto di come nello sforzo uno "si lancia in avanti per la fatica e ricade su di esso" in una peculiare forma di abbandono che equivale a "una dislocazione del me dal sé".[16] Ma in questo processo "il me ritorna inevitabilmente e irrimediabilmente al sé".[17] Questo ripiegamento sul suo sé, che Lévinas contrapponeva espressamente all'estatico Da-sein heideggeriano, conferisce all'"io" il suo carattere sostantivo che giustifica l'uso del termine ipostasi.[18]
Per evitare di ipostatizzare il me e il sé, e per mantenere l'attenzione sulla dualità come evento, a volte ho lasciato cadere l'articolo determinativo che altre volte sembra indispensabile, come i traduttori di Lévinas hanno avuto la tendenza a fare. Ma la difficoltà va oltre. Ad un certo punto in Altrimenti che essere, Lévinas scrive: "Je suis ‘en soi’ par les autres". Tradurlo come "Io sono in ‘sé’ tramite gli altri" non renderebbe ciò che Lévinas stava cercando di dire. Per rendere una buona traduzione, si potrebbe tentare "Io sono ‘in me stesso’ tramite gli altri".[19] Ciò è del tutto appropriato, a meno che non si creda che Lévinas abbia deliberatamente scelto di evocare il soi. Forse bisognerebbe dire: io sono me stesso attraverso gli altri. Almeno questo trasmette la fluidità dei termini come si riflette nel modo in cui la frase si disfa prima di raggiungere la sua fine. In ogni caso, il punto centrale è evidenziare non i relata, ma la loro relazionalità sotto forma di una certa intimità. In Dall'esistenza all'esistente scrive: "il me possiede un sé, in cui non solo si riflette, ma con il quale è coinvolto come un compagno o un partner".[20] Sé e me sono intrecciati e non possono essere facilmente separati l'uno dall'altro. Se si ignora questa dualità, si perde tutta una dimensione del pensiero di Lévinas. Il fatto è che tradurre bene Levinas è impresa idiomaticamente ardua ed esasperante, ma alla fine une jouissance et une nourriture!
Quando Lévinas ha introdotto questa dualità tra il me e il sé nei suoi primi lavori, lo ha fatto in ogni caso per evidenziare il modo in cui nella loro compagnia erano incatenati insieme. Nel 1934 in "Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo", si concentrò sull'esperienza del dolore dove, nonostante il tentativo della mente di superare tale dolore, essa apprende che "Essere veramente se stessi non è elevarsi al di sopra delle contingenze, per sempre estranee alla libertà del Me; è prendere coscienza dell'ineluttabile incatenamento unico ai nostri corpi".[21] Nel 1935 in Dell'evasione si oppose alla concezione del me come autosufficiente, che caratterizzò come un prodotto dello spirito della filosofia borghese.[22] Richiamò l'attenzione su come nella vergogna e nella nausea emerga "una sorta di dualità" nella necessità "di spezzare l'incatenamento più radicale, più irrinunciabile, il fatto che il me [moi] è se stesso [soi-même]".[23] E in Dall'esistenza all'esistente, si propose di esplorare "l'incatenamento di un me al suo sé" che avviene dietro o prima "dell'antica opposizione tra me e il mondo".[24] Partendo dall'esistenza anonima del c'è e dall'insonnia, che segna "l'estinzione del soggetto", cercava di tracciare l'avvento del soggetto.[25] Le analisi che Lévinas offriva, metteva in luce una "mutazione anfibologica da evento a entità".[26] Questa mutazione produce la dualità che viene vissuta mentre il me è inchiodato o incatenato a un sé.
L'esperienza della noia esemplifica questa "duplice solitudine" in cui il sé come "altro da me" "mi accompagna come un'ombra".[27] Questa stessa "identità indistruttibile" del me e del sé è vissuta anche come ripugnanza.[28] Certo, già in Dall'esistenza all'esistente suggeriva che il rapporto con l'altro (autrui) "stacca il me dal suo sé":[29] "il raggiungere l'Altro... è, sul piano ontologico, l'evento della più radicale rottura delle stesse categorie del me, perché spetta a me essere altrove che nel sé".[30] Ma questo era solo un punto di partenza per Levinas. Il suo interesse già in Dell'evasione era sulla nostra aspirazione ad uscire dall'essere: l'essere "appare come una prigionia da cui bisogna uscire".[31] Chiama quel tentativo di uscita eccedenza e utilizza nuovamente questo neologismo nella Prefazione a Dall'esistenza all'esistente, dove sottolina che l'eccedenza deve mantenere un punto d'appoggio nell'essere.[32] In seguito abbandonò la parola, ricorrendo invece alla parola trascendenza da cui l'aveva originariamente distinta, ma questa struttura rimase il filo conduttore del suo pensiero dall'inizio alla fine. Le sue indagini sulla morte, l'eros, la fecondità e l'etica furono in ogni caso governate dalla necessità di trovare concretizzazioni di questa struttura formale. L'esperienza mistica, al contrario, non è una trascendenza in questo senso, perché in essa il soggetto è travolto, arrivando alla "morte della sua sostanza".[33] Per raggiungere la trascendenza, il me deve essere mantenuto.[34] In Il Tempo e l'Altro definisce questo "il vero problema della conservazione del me nella trascendenza".[35] A quel tempo credeva che cogliere l'alterità dell'altro avrebbe "frantumato la definitività del me" e per questo sarebbe venuto meno dell'eccedenza nel senso pieno del termine.[36] Il massimo che era disposto a dire delle esperienze in cui un rapporto con l'altro (autrui) "stacca il me dal suo sé" era che risvegliavano la nostalgia dell'evasione.[37] Ma questo desiderio di evasione è soddisfatto solo "se ci portiamo dietro". Ecco perché è la fecondità che è la concretizzazione dell'eccedenza — "una trascendenza totale, la trascendenza della transustanziazione"[38] — in Totalità e Infinito e non la relazione etica dell'Altro, ecco perché la sezione in cui viene descritto si chiama "Au-delà du Visage" (cfr. APPENDICE C: Totalité et Infini).[39]
La dualità del sé e del me ha un risalto in Altrimenti che essere che consente di vedere il libro come una continuazione diretta di Dall'esistenza all'esistente. In Altrimenti che essere, Lévinas non solo si è basato molto sulle analisi precedenti in cui la dualità di me e sé è venuta alla luce, come quando ha fatto specifico riferimento alle analisi fenomenologiche dello sforzo e della fatica che aveva fornito in Dall'esistenza all'esistente mentre si preparava a sviluppare il suo nuovo resoconto della soggettività,[40] ma ha anche evidenziato esplicitamente i termini sé e me stessi. Questo perché una parte importante dell'argomentazione di Altrimenti che essere è dedicata a mostrare come l'incontro con l'altro, che io vivo come un comando, sia in realtà una liberazione dal mio apparente incatenamento a me stesso. Vale a dire, la cosiddetta libertà del "soggetto costituito, volitivo, imperialista" deve essere smessa perché io scopra la mia responsabilità.[41] Per enfatizzare il punto, Lévinas ha usato il sostantivo "liberazione" (affranchissement, affrancamento), la parola che si userebbe per descrivere l'emancipazione di uno schiavo.[42] L'asservimento da cui sono liberato è l'asservimento al sé e ai legami con cui il sé è inchiodato a me. Questo soddisfa quindi la promessa di "uscire dall'essere attraverso un nuovo percorso".[43]
La continuità nel linguaggio a questo punto aiuta a vedere le differenze tra i due resoconti e in particolare come la maggiore attenzione alla responsabilità come "mia" responsabilità abbia aiutato Lévinas a rivedere la sua precedente posizione secondo cui la frantumazione del mio compiacimento non soddisfaceva la condizione della trascendenza vera e propria, cioè dell'eccedenza. Il cambiamento è marcato quando leggiamo in Altrimenti che essere che non è nell'incontro con l'Altro che si spezzano le catene ma nella sostituzione: "La sostituzione libera il soggetto dalla noia, cioè dall'incatenamento a se stesso, dove il Me soffoca nel suo Sé (en Soi) a causa della modalità tautologica dell'identità".[44] Certo, questa formulazione può essere letta come se la sostituzione fosse un evento o parte di una narrazione del tipo dato in Totalità e Infinito, ma Lévinas lo nega esplicitamente.[45] Leggiamo nel saggio "Sostituzione" del 1968: "Il sorgere del sé (soi-même) nella persecuzione, la passività anarchica della sostituzione, non è un evento di cui potremmo raccontare la storia, ma una congiunzione (conjuncture) che descrive il me".[46] La sostituzione è "un evento incessante",[47] ma avviene, per ricordare una frase di Dall'esistenza all'esistente, dietro, al di là o davanti "all'antica opposizione tra me e il mondo".[48] Un'affermazione simile è fatta in Altrimenti che essere, dove scrive che il "se stesso (soi-même)", come "l'altro nello stesso", "precede questo ordine empirico, che è una parte dell'essere, dell'universo, dello Stato, ed è già condizionato in un sistema".[49] Il punto è che "non si tratta di eventi che accadono a un Me empirico — cioè a un Me già postulato e pienamente identificato — come una prova che lo porti a prendere più coscienza di sé, e lo renda più incline a ‘mettersi al posto degli altri’".[50] Nel processo di liberazione dall'incatenamento che lega il me al sé, il sé si libera dall'identità dell'identificazione e si ritrova come-per-l'altro. Per esprimere questa esposizione inedita della soggettività, Lévinas si rivolge alla frase di Rimbaud "Io è un altro (je est un autre)",[51] una frase che sembra essere stata scelta in parte perché riecheggiava deliberatamente la formulazione usata in Totalità e Infinito per descrivere fecondità come a segnalare il dislocamento della fecondità come luogo dell'eccedenza: "l'io è, nel bambino, un altro".[52] Ma il messaggio più importante è che il soggetto non è mai stato così autosufficiente come suggerito in Totalità e Infinito. È solo in termini di sostituzione che si può dire come sia possibile il sacrificio fino a dare la propria vita per un altro.[53]
Tanto amata e valutata da Levinas, riporto qui appresso l'intrigante citazione di Arthur Rimbaud, tratta dalla sua lettera del 15 maggio 1871 a Paul Demeny (cfr. APPENDICE E: Lettres du voyant) in cui esprime la sua vocazione di poeta:
Si deve sottolineare che, sebbene Lévinas abbia concluso che l'etica è la prima filosofia, non potrebbe mai servire come punto di partenza. La sua pretesa è che gli si è imposto il linguaggio etico, il linguaggio della responsabilità: "una descrizione che all'inizio conosce solo l'essere e al di là dell'essere si trasforma in linguaggio etico".[54] Non è in forza dell'esperienza etica in quanto tale che l'etica diventa prima filosofia, ma perché la trascendenza come eccedenza, la struttura formale che da sempre guida la filosofia, trova la sua concretizzazione nella mia responsabilità per l'Altro così come si attua nel mondo che il Me esce dall'essere mantenendo un punto d'appoggio nell'essere. Questo è possibile solo in quanto donando sé stesso e tutto ciò a cui è attaccato, il sé si spoglia del Me, cosa che può fare solo perché è un altro.[55]
Nel corso dell'indagine sulla dualità del me e del sé nell'ultima sezione, ho tracciato un contrasto tra l'affidamento di Lévinas all'evidenza dell'esperienza in Totalità e Infinito e il modo in cui in Altrimenti che essere individuava la sostituzione al di fuori dell'ordine empirico. Parte del forte richiamo immediato di Totalità e Infinito è che ci si può identificare con l'esperienza del volto dell'Altro, sfidando ognuno di noi a dare. È, ad esempio, un'esperienza che facciamo per le strade delle grandi città tutti i giorni della settimana. È forse perché l'esperienza non gioca lo stesso ruolo nel libro successivo che molti commentatori, anche quando simpatizzano con Lévinas, tengono a debita distanza Altrimenti che essere nel corso delle loro esposizioni della sua filosofia. Anche negli ultimi anni, quando nelle interviste era chiamato ad esprimersi in modo chiaro e sintetico, egli stesso tendeva a ricorrere alle formule sviluppate in Totalità e Infinito.
Tuttavia, in Altrimenti che essere, Lévinas nega esplicitamente che il suo ricorso al linguaggio etico dipenda da un appello all'esperienza morale: nasce invece dalla "sovradeterminazione delle categorie ontologiche".[56] Affermò che gli si era imposto il linguaggio etico, il linguaggio della responsabilità: "una descrizione che all'inizio conosce solo l'essere e al di là dell'essere si trasforma in linguaggio etico".[57] La sua insistenza su questo punto era in larga misura una conseguenza del suo sospetto nei confronti del concetto stesso di esperienza. Riconosceva che per uscire dalla filosofia dell'essere in nome di una filosofia del bene al di là dell'essere, sarebbe necessario andare al tempo stesso al di là della fenomenologia e del concetto di esperienza che vi si trova. Già in Dall'esistenza all'esistente, nell'ambito delle sue analisi fenomenologiche dell'esperienza dello sforzo, avvertiva che non si avrebbe dovuto usare la parola esperienza per descrivere il rapporto con l'alterità dell'altro perché quel rapporto "va oltre il mondo".[58] Ma nel contesto di Altrimenti che essere, c'è un motivo in più: conclude lì che ciò che in Totalità e Infinito è stato presentato come un comando dall'altro è, infatti, come abbiamo visto prima, una liberazione. Ciò che il soggetto sperimenta non è l'ultima parola perché c'è tutta una dimensione che sta al di fuori del soggetto e oltre l'essere.
Tuttavia, una parola di prudenza è d'obbligo per evitare di esagerare il contrasto tra Totalità e Infinito e Altrimenti che essere. In primo luogo, c'è stato un dibattito di lunga data sul fatto che Totalità e Infinito inizi davvero dall'esperienza o se si tratti fondamentalmente di un resoconto trascendentale: la mia posizione è che abbia tentato di combinare entrambi per liberarsi da questa dicotomia che definisce tanta parte della filosofia moderna.[59] Anche se è consuetudine nel contesto di Totalità e Infinito parlare, come ho fatto prima, di un'esperienza etica dell'Altro, Lévinas è stato fin dall'inizio più circospetto: "La relazione con l'infinito non può, certo, essere affermata in termini di esperienza, poiché l'infinito trabocca dal pensiero che lo pensa... ma se esperienza significa appunto relazione con l'assolutamente altro, cioè con ciò che sempre trabocca dal pensiero, la relazione con l'infinito realizza l'esperienza nel senso assoluto della parola".[60] È dunque solo sulla base di questa importante qualificazione che si può parlare dell'incontro con l'Altro come "esperienza par excellence" e poi solo per dire che l'esperienza "non viene dalle nostre profondità a priori" ma dal di fuori.[61]
Questa formulazione segue l'appropriazione da parte di Lévinas della prova dell'esistenza di Dio presentata da Descartes nella Terza Meditazione, secondo la quale non si può produrre l'idea di un Dio infinito da fuori di sé, portando alla conclusione che deve essere stata impiantata in noi dall'esterno.[62] Ma questo presenta sia un passo avanti che un passo indietro nella sua trasformazione dell'idea di soggettività. Da un lato, nel momento più delicato, Lévinas mette in guardia dall'utilizzare il concetto di esperienza per descrivere l'incontro perché così facendo si rischierebbe di ridurre l'altro a ciò che può essere affrontato nei termini stessi del soggetto. Il rifiuto del concetto di esperienza in questo contesto va quindi di pari passo con il rifiuto dell'idea del soggetto come soggetto dell'esperienza. Dall'altro, non solo quando dispiega le risorse della Terza delle Meditazioni di Descartes per formulare un'idea dell'"altro nel medesimo"[63] che riecheggia l'Infinito nel finito di Descartes, ma anche quando attinge alla Prima Meditazione con la sua discussione del genio del male,[64] Lévinas sembra dare nuova vita al cartesianesimo ed è inevitabile, anche se sotto forma di una conseguenza involontaria, che in tal senso il soggetto cartesiano della Seconda Meditazione riappaia in una forma o nell'altra. Lo fa nella forma del soggetto autosufficiente e compiacente che Totalità e Infinito prende come punto di partenza. Tuttavia, nella sua discussione revisionaria del cogito, Lévinas insiste sul fatto che non sono me, ma l'altro che è all'inizio dell'esperienza e che se il me possiede l'idea dell'infinito, è perché ha "già accolto l'Altro".[65] Il punto di Lévinas è ancora una volta che c'è bisogno di andare dietro o al di fuori del soggetto, sia esso il tradizionale soggetto cartesiano o il Dasein heideggeriano, che, sebbene inquadrato esplicitamente contro il cartesianesimo, tuttavia dal punto di vista di Lévinas conserva alcuni dei suoi elementi in quanto inizia la sua analisi troppo tardi. Sia il cartesianesimo che l'heideggerianismo trascurano quella che Lévinas chiamava la "preistoria del Me",[66] che era stata al centro dell'attenzione di Lévinas, come abbiamo visto, dal 1934 culminando nell'esposizione della sostituzione in Altrimenti che essere, sebbene l'idea di cosa significasse dare una preistoria fosse cambiata nel corso dell'inchiesta.
Relativamente pochi commentatori hanno cercato di indagare la concezione del sé che sta dietro l'insistenza di Lévinas nella Prefazione a Totalità e infinito che il libro offrisse un resoconto della "soggettività come accoglienza dell'Altro, come ospitalità".[67] A dire il vero, in Totalità e Infinito Lévinas credeva che si potesse sviluppare un resoconto dell'accoglienza del volto usando ancora il linguaggio dell'intenzionalità.[68] Al contrario, in Altrimenti che essere i termini della discussione erano cambiati: "Io sono non nell'approccio chiamato a svolgere il ruolo di un percettore che riflette o accoglie, animato con intenzionalità, la luce dell'aperto e la grazia e il mistero del mondo".[69] Il linguaggio dell'intenzionalità, anche se è un'intenzionalità rovesciata, è ancora troppo vicino alla fenomenologia di Husserl e Heidegger. Ancor più seriamente, Lévinas esprimeva la preoccupazione che, se uno avesse "preso possesso di sé stesso" per accogliere il prossimo, ne avrebbe sentito inevitabilmente la mancanza.[70] Ciò si riflette nel fatto che mentre in Totalità e infinito "il soggetto è ospitante",[71] in Altrimenti che essere il soggetto è un ostaggio.[72] Che cosa significhi essere ostaggio si spiega ancora in termini di ospitalità: "l'uno per l'altro che, nel soggetto, non è proprio un assembramento, ma un'incessante alienazione dell'ego (isolato come interiorità) da parte dell'ospite che gli è affidato – l'ospitalità – l'uno per l'altro dell'ego, liberato più passivamente di qualsiasi passività dagli anelli di una catena causale".[73] Ma mentre in Totalità e Infinito "l'accoglienza ospitale primaria", attribuita problematicamente alla Donna, sembra presupporre una dimora e un'abitazione,[74] in Altrimenti che essere "ritornare a sé non è stabilirsi a casa (chez soi), anche se spogliato di tutte le proprie acquisizioni. È essere come uno straniero, braccato nella propria casa, contestato nella propria identità e nella propria stessa povertà".[75] In altre parole, Altrimenti che essere si sforza di spiegare meglio cosa significhi dire che il soggetto ha già accolto l'Altro.
Anche altre apparenti differenze tra i due libri principali sono meglio spiegate mostrando come Altrimenti che essere va oltre ciò che è stato discusso in Totalità e Infinito nella continuazione della sua ricerca per dare una preistoria del Me. La seconda sezione di Totalità e Infinito, "Interiorità ed Economia", che tratta di "rapporti analoghi alla trascendenza",[76] è più lunga della sezione "Il Volto e l'Esteriorità", che la segue, ma i lettori non sempre le danno la stessa attenzione. I più sembrano non voler aascoltare Lévinas che scrive di godimento e abitazione, perché ciò mal si concilia con l'immagine dell'autore che metteva in luce "l'irreale realtà degli uomini perseguitati nella storia quotidiana del mondo, la cui dignità e senso non sono mai stati mantenuti nella metafisica, una realtà alla quale i filosofi si velano il volto".[77] Anche quei lettori che riconoscono nella discussione dell'interiorità un esame di "rapporti analoghi alla trascendenza" preferiscono passare rapidamente alla discussione della trascendenza stessa.[78] Anche la lettura di Altrimenti che essere tende ad essere unilaterale in quanto l'attenzione standard sul suo resoconto del dolore e della sofferenza ignora il grado in cui una discussione sul godimento è parte integrante di tale resoconto. Ma non si possono correggere con successo questi errori di enfasi senza riconoscere che la discussione sul godimento è integrata nella discussione sul dolore e la sofferenza in Altrimenti che essere. Infatti, l'analisi della sensibilità e della vulnerabilità in Altrimenti che essere parte dal godimento, come già in Totalità e Infinito.[79]
Dopo aver scritto Totalità e Infinito, Lévinas non ha lasciato da parte il godimento nel modo in cui ha fatto con la fecondità. In Altrimenti che essere scrive che il per-l'altro della responsabilità evita di diventare un per-sé attraverso il dolore e che questo costituisce l'avversità del dolore nella sua ambiguità.[80] L'ambiguità del dolore risiede nel suo rapporto con il godimento, che non è avulso dalla sensibilità ma "un momento ineluttabile" di essa.[81] Nel negare che il dolore sia assunto "come esperienza del dolore da parte di un soggetto che sarebbe per sé stesso", Levinas insisteva sulla sua imminenza "nella sensibilità vissuta come benessere e godimento". Il per-l'altro sorge nel godimento "in cui il me si afferma, si compiace e si postula". Lo fa nella misura in cui "il dolore viene a interrompere un godimento nel suo stesso isolamento e così strappa me stesso via da me".[82] Ma ciò non significa che Lévinas abbia assegnato la sofferenza al sé e il godimento al Me o al me. Entrambi appartengono alla dualità del me e del sé. Come in Totalità e Infinito, il godimento odierno è perseguitato da una preoccupazione per il giorno dopo,[83] così il dolore è incombente nel godimento: c'è "una vulnerabilità alla ferita nel godimento, che permette al ferimento di raggiungere la soggettività del soggetto compiacente in sé e postulandosi per se stesso".[84]
Questo ferimento è inteso come vulnerabilità, seguendo la sua etimologia dal latino vulnerabilis. Vulnerabilità come sostantivo si trova già in Totalità e Infinito, anche se solo una volta e poi per descrivere il regime di tenerezza associato all'amato.[85] Nel 1970 vulnerabilità era diventata una parola cruciale nel lessico di Lévinas: si dice che l'apertura all'altro prenda la forma della vulnerabilità.[86] In Altrimenti che essere è intesa come un'estrema passività situata sul corpo sotto forma di una sensibilità che è per l'altro e insiste sul fatto che la vulnerabilità comprende sia la sofferenza che il godimento.[87] Infatti, la sensibilità come vulnerabilità presuppone il godimento:[88] "Il godimento nella sua capacità di compiacersi in se stesso, esente da tensioni dialettiche, è la condizione del per-l'altro coinvolto nella sensibilità, e nella sua vulnerabilità come esposizione dell'Altro".[89] Di qui l'insistenza nel levarmi il pane di bocca dove mi spoglio di ciò che godo.[90]
Queste formulazioni mostrano che la dualità del dolore e del godimento costituisce un'ambiguità che richiama l'ambiguità dell'amore in Totalità e Infinito dove nella fecondità il godimento dell'Altro va oltre il volto, ma nello stesso tempo si fa necessità.[91] L'ambiguità sta qui nel fatto che la vulnerabilità della sensibilità appartiene a un corpo che, oltre a soffrire per l'altro, può affermarsi "nel suo conatus e nella sua gioia".[92] "Poiché è nella misura in cui la sensibilità è compiaciuta in se stessa – ‘avvolta su se stessa’, ‘è me’ – che nella sua benevolenza per l'altro, rimane per l'altro, malgrado se stessa, non-atto, significazione per l'altro e non per sé".[93]
Tuttavia, l'ambiguità più significativa, seppur legata a questa prima, non è quella tra dolore e godimento all'interno della dualità del me e del sé, ma l'ambiguità tra il me all'interno di quella dualità e il Me. All'inizio di Altrimenti che essere ci viene detto che l'identità di colui che sostituisce gli altri è il Sé e che questo equivale a "una sconfitta per il Me", la sua stessa rovina.[94] Ciò sembra essere confermato da altri passaggi. Ci viene detto che, nell'ossessione, il Me è ridotto "a un sé al di qua della mia identità, prima di ogni autocoscienza, e mi denuda assolutamente".[95] Definisce questa una defezione: "La defezione dell'identità è un per-l'altro in mezzo all'identità".[96] Un altro termine che usa, per allontanarsi dalla sostanzialità del soggetto che aveva precedentemente difeso, è "de-posizione", come, ad esempio, quando scrive del ritorno del Me al Sé nella de-posizione del Me.[97] Ma man mano che l'analisi va più in dettaglio, l'affermazione viene modificata a favore di "un'ambiguità insormontabile" che è la condizione stessa della vulnerabilità.[98] L'ambiguità viene esplicitata nel modo più chiaro quando, a seguito di una discussione sul per-l'altro della responsabilità, Lévinas chiede se "l'interdizione a rimanere in sé (en soi)" non torni nella "posizione, e, nel dolore stesso, nell'autocompiacimento che si gonfia di sostanza e orgoglio?" La sua immediata risposta è che questo ritorno "significa un residuo di attività che non può essere assorbito nella passività soggettiva, . . . o a sua volta, ambiguamente, il percorso infinito dell'approccio".[99] L'ambiguità nasce perché anche se la funzione della parola vulnerabilità nel lessico di Lévinas è "presentare la mia relazione con un altro non come un attributo della mia sostanzialità" ma come "il fatto della mia miseria",[100] la "passività soggettiva" non può essere separata da "una sostanzialità ultima del Me (Moi) anche nella vulnerabilità stessa della sensibilità, e allo stesso tempo".[101]
Ciò è importante perché a volte potrebbe sembrare che Lévinas in Altrimenti che essere stesse sacrificando la sostanzialità del soggetto che cercava di salvare in Dall'esistenza all'esistente. La tentazione di farlo è più evidente quando si legge in Altrimenti che essere: "Contrariamente al pensiero occidentale che unisce soggettività e sostanzialità, qui il coincidere non è la norma che comanda già tutto il noncoincidere, nella ricerca che provoca".[102] Il noncoincidente significa che dobbiamo pensare il sé "al di fuori di ogni sostanziale coincidenza di sé con sé".[103] La sostanzialità è associata anche in questo ultimo libro con il godimento e l'autocompiacimento della soggettività, che si dice essere "la sua stessa ‘egoità’, la sua sostanzialità",[104] ma si uniscono attraverso la posizionalità del corpo, motivo per cui la vulnerabilità deve essere intesa ad abbracciare la gioia così come il dolore.
La sostanzialità del Me è, secondo Lévinas, necessaria per la responsabilità e per la comprensione della responsabilità come trascendenza nel senso di eccedenza. Certo, ci sono passaggi in cui il Me si distingue nettamente dal me. Così, ad esempio, spiega che l’io nella frase di Dostoevskij "Ciascuno di noi è colpevole davanti a tutti, per tutti e per tutto, e io più degli altri" corrisponde a un me che ha smesso di considerarsi un caso particolare del Me in generale.[105] La base di questa affermazione è esposta più dettagliatamente in "Senza Identità". La discussione è diretta alla constatazione che la mia responsabilità si estende fino al punto in cui sono responsabile anche della responsabilità degli altri: "È per questa responsabilità supplementare che la soggettività non è il Me, ma me (la soggettivité n'est pas le Moi, mais moi)".[106] Qui il Me è separato dal me. Tuttavia, il paragrafo iniziava con l'osservazione che nessuno può togliermi la mia responsabilità: "quella responsabilità alla quale il Me non può sottrarsi – il me al quale l'altro non può sostituirsi – designa l'unicità dell'insostituibile".[107] Qui sembra che il Me che non può spogliarsi della responsabilità sia me. In altre parole, il Me è e non è me. Chiaro? Beh, insomma...
Comunque, altri brani lo confermano. Scrive infatti che la responsabilità "va fino alla fissione, fino alla denucleazione del me. E qui sta la soggettività del me".[108] Dénucléation è apparentemente una parola usata per riferirsi al carotaggio che i medici eseguono quando, ad esempio, rimuovono un bulbo oculare dall'orbita lasciando tutto intatto. Lévinas usa questa stessa parola per descrivere il respiro come una dénucléation della sostanzialità del soggetto,[109] sebbene in questo contesto abbia anche un'associazione con la trascendenza.[110] Questo è da un lato. Ma, dall'altro, la sostanzialità che scaturisce dall'identità del soggetto "proviene dall'impossibilità di sottrarsi alla responsabilità".[111] Il punto è, ancora una volta, che non si può separare del tutto il Moi dal moi. Formano una dualità in cui l'uno confluisce nell'altro.
Il Moi raggiunge sempre il moi[112] e questo ritorno del Me è il suo ritorno "alla ‘integrità’ ontologica, alla sua perseveranza nell'essere, e alla sua salute",[113] che sono parte integrante di chi siamo. Anche se la sostituzione si trova dietro l'opposizione tra me e il mondo, è in quanto essere al mondo con un corpo che si confronta con le cose del mondo che io posso avere qualcosa e io solo se ho posso dare:[114] "Solo un soggetto che mangia può essere per-l'altro".[115] Per questo insiste sul fatto che la trascendenza richiede ambiguità: è perché la trascendenza in quanto al di là dell'essere è anche essere-nel-mondo.[116] "L'alterità nell'identità è l'identità di un corpo esposto all'altro, che diventa ‘per l'altro’, la possibilità di dare".[117] Incarnato perché possa offrirsi, soffrire e donarsi, il sé stesso è "ridotto al sé e per così dire contratto, espulso nel suo sé fuori dall'essere".[118]
Nel tentativo di essere fedele alla novità della sua nuova concezione della soggettività, Lévinas nelle sue opere successive ha cercato di investire altre parole di nuovi significati. Lo abbiamo già visto fare questo con il termine vulnerabilità. Ho mostrato che ha fatto di tutto per dire che l'esposizione all'oltraggio, al ferimento e alla persecuzione era un'esposizione al ferimento nel godimento. Questo è ciò che lo qualifica come una "vulnerabilità del me".[119] Mi tocca nel mio compiacimento. Ma la vulnerabilità si estende al trauma dell'accusa subita da un ostaggio fino al punto in cui quell'ostaggio si identifica con gli altri, compresi i suoi persecutori.[120] La sostituzione, richiamando la frase citata in precedenza da Dall'esistenza all'esistente, è "sul piano ontologico, l'evento della rottura più radicale delle categorie stesse del me, perché è per me essere altrove che nel sé".[121] Dove succede? Nella responsabilità e nel sacrificio di sé — questi sono inerenti al sé come lo è l'invecchiamento. Incarnato, il sé è "un sé malgrado sé (un soi malgré soi)" con cui intende che c'è un "contro sé nel sé (le contre soi en soi)" che emerge nell'afflizione del lavoro e dell'invecchiamento.[122]
Il sé di Altrimenti che essere non è il sé di Dall'esistenza all'esistente perché non può più essere pensato come solitario. Nel 1975 Lévinas lo spiegava così: "Il ‘me’ affiora solo nella sua unicità nel rispondere per l'altro in una responsabilità da cui non c'è evasione, in una responsabilità da cui non potrei liberarmi. Il ‘me’ è un'identità di se stessi che si realizzerebbe attraverso l'impossibilità di lasciarsi sostituire — un dovere oltre il debito — e quindi una pazienza la cui passività nessuna assunzione o presa su di sé potrebbe negare".[123] C'è un evento di identificazione a cui si fa riferimento in Dall'esistenza all'esistente che si dice sia "un peso e una responsabilità", ma è ancora inteso come "incatenamento a sé: il me è irrimediabilmente sé".[124] Al contrario, in Altrimenti che essere la sostituzione, come abbiamo visto, si dice liberi il soggetto dall'incatenamento a se stesso "dove il Me soffoca nel suo Sé (en soi) per la via tautologica dell'identità".[125] Sembra che ci stiamo avvicinando all'identificazione di ciò che aggiunge Altrimenti che essere e sta in gran parte in questa passività estrema, "una passività più passiva di ogni passività".[126]
Negli ultimi scritti di Lévinas, la passività è intesa insieme alla prossimità. Certo, sarebbe un errore accostare semplicemente il linguaggio della prossimità in Altrimenti che essere con il linguaggio della separazione che domina Totalità e Infinito, dove, per esempio, l'ospitalità è intesa in termini di separazione.[127] Ma la separazione non scompare da Altrimenti che essere con l'arrivo del termine prossimità come dimostrano frasi tipo "sostituzione nella separazione"[128] e "la traccia della separazione nella forma dell'interiorità".[129] Pensare la prossimità come una soppressione della distanza implicita anche in una nozione allargata di intenzionalità significa rimanere legati al suo senso ontologico.[130] La distanza tra il soggetto e l'altro aumenta nella misura in cui aumenta la prossimità, perché la responsabilità aumenta quanto più si risponde d'essa.[131] Prossimità, la prossimità dell'uno all'altro, è un disturbo.[132] Non è "uno stato, un riposo ma un'inquietudine",[133] dove l'inquietudine (inquietude) è la stessa parola che usa in Dall'esistenza all'esistente per descrivere quel rapporto che il me ha con il suo sé.[134] Ma la prossimità come struttura formale trova la sua concretizzazione – e quindi il suo significato o direzione – nella relazione con il prossimo.[135] È "godere e soffrire dell'altro".[136] Dall'esistenza all'esistente descrive una solitudine fondamentale.[137] Ma nelle opere successive si leggono frasi che non avrebbero senso nel contesto di una tale solitudine: "la differenza che si apre tra me e sé, la noncoincidenza dell'identico, è una totale nonindifferenza nei confronti degli umani".[138] L'uno-per-l'altro della sostituzione supera radicalmente ogni concezione di solitudine ed è sorprendente che le parole "solitudine" e "solitario" non si trovino da nessuna parte in Altrimenti che essere.
Come ho mostrato in precedenza, in Altrimenti che essere, Lévinas riconobbe che la sua nuova concezione della soggettività richiedeva uno spostamento del concetto di esperienza. In una serie di conferenze tenute più o meno nello stesso periodo, annunciò: "Non c'è esperienza etica; c'è un intrigo. L'etica è il campo delineato dal paradosso di un Infinito in relazione, senza correlazione, al finito".[139] Come ho mostrato, Lévinas ha avuto fin dall'inizio delle riserve sul modo in cui il concetto di esperienza è collegato a una concezione limitata della soggettività e le ripete qui: "La parola ‘intrigo’ denota ciò a cui si appartiene senza avere la posizione privilegiata del soggetto contemplante".[140] Inoltre, spostando l'idea di esperienza, spostava anche l'idea di una condizione trascendentale poiché entrambe sono legate allo stesso senso di un io:[141] l'eccesso dell'intrigo rompe l'unità dell'"Io penso".[142] Ma la posta in gioco in questo cambiamento di terminologia va più in profondità di una sfida alla concezione tradizionale del soggetto autosufficiente o compiacente. Abbraccia e lega insieme molti degli altri temi che ho già discusso in questo Capitolo.
Lévinas ha usato spesso la parola intrigue in modo tale che "intrigo" sia la traduzione più naturale e appropriata, ma a volte ha un senso più tecnico. In Dio, la morte e il tempo scrive dell'"intrigo o intreccio di Me-stesso (Moi-même)".[143] La comprensione di intrigo come "intricato" con l'intreccio interrelazionale che implica è suggestiva. Autorizza l'idea che l'intrigo possa essere inteso come un groviglio. Lévinas introdusse la parola intrigo nel suo lessico nel 1965 nel saggio "Enigma e Fenomeno", dove si riferiva a "il Dio ‘che rimane con gli oppressi e gli umili’ (Isaia 57:15)" come "la forma originaria della trascendenza" e come "il nodo di un intrigo separato dall'avventura dell'essere".[144] Ciò che si raccoglie in quel nodo è descritto verso la fine dello stesso saggio: "Il desiderio, o la risposta a un Enigma o morale, è un intrigo a tre personaggi: il Me si avvicina all'Infinito andando generoso verso il Tu, che è ancora mio contemporaneo, ma, nella traccia di Illeità, si presenta da una profondità del passato, mi affronta e mi si avvicina".[145] Successivamente Lévinas andò oltre nello spiegare questo groviglio dicendo che illeità si riferisce "all'Infinito e alla trascendenza divina diversa dall'alterità dell'Altro (autrui) che mi manda a servire il mio prossimo".[146] In altre parole, c'è un altro dall'Altro ed è l'illeità. C'è, in fondo, un comando, ma non viene dall'Altro in quanto tale, ma da "una profondità" che non può essere ridotta all'esperienza vissuta da un soggetto compiacente. Su questa base Levinas ammette che "l'intrigo dell'alterità" è "etico fin dall'inizio".[147]
Per difendere la soggettività così come l'intende Lévinas, bisogna imparare un altro modo di pensare. Veniva già segnalato in Totalità e Infinito con gli avvertimenti che appena si è fuori dalle categorie dell'essere bisogna abbandonare la logica formale.[148] Attraverso l'introduzione dell'idea di intrigue si può definire il carattere di questo pensare. Io lo chiamo un pensare intrigante, aggrovigliante. Lévinas lo pratica quando prosegue la sua discussione sul rapporto dell'intrigo e dell'illeità in Dio, la morte e il tempo dicendo: "L'intrigo ci lega a ciò che si distacca da sé: ci lega all'as-soluto, ma senza relativizzarlo. Questo modo di distaccarsi all'interno della relazione è ciò che caratterizza Illeità".[149] Ma è anche così che Lévinas vedeva l'intrigo o l'intreccio di me e sé, che ora si può dire essere una "relazione analoga alla trascendenza", dove la trascendenza è ora attraverso il resoconto della sostituzione pensata come eccedenza e non su un modello ancora derivato da Descartes come in Totalità e Infinito. Lo scarto (écart) tra il me e il sé dà origine a "un'identità impossibile" tale che "il ritorno a sé" caratteristico del pensiero occidentale si rivela "una deviazione interminabile".[150] La deviazione assume la forma di responsabilità: "la differenza che si apre tra me e sé, la noncoincidenza dell'identico è una totale nonindifferenza nei confronti dell'uomo".[151]
In Totalità e Infinito Levinas parte da dove Essere e tempo di Heidegger ci ha lasciato, come esseri-nel-mondo. Lévinas parte da un io indipendente, compiacente e felice, anche se con una felicità ossessionata dal senso del giorno successivo. Questo io viene messo in discussione dall'Altro: prima l'appiglio nell'essere, e poi l'allontanamento da esso. Ma questa sequenza è solo un espediente e Altrimenti che essere la sfida direttamente, abbandonando non solo quella narrativa ma tutta la narrazione. Risponde alla domanda su come lo straniero mi avesse spossessato anche del mio conatus essendi suggerendo che, ricondotto al sé, lo straniero non mi è mai estraneo ma vicino, vicino al punto di contatto, in virtù del mio essere un ostaggio per tutti gli altri.[152] E questo è possibile perché anch'io sono straniero, straniero sulla terra, straniero anche a me stesso perché nello scarto tra me e sé il Me è un ostaggio che ha già accolto l'Altro.[153]
Note
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi Serie delle interpretazioni e Serie letteratura moderna. |
- ↑ Emmanuel Levinas, Existence and Existents, trad. (EN) Alphonso Lingis (Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 2001), 4.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 70.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 104.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 105.
- ↑ Emmanuel Levinas, Basic Philosophical Writings, curr. A. Peperzak, S. Critchley, e R. Bernasconi (Bloomington: Indiana University Press, 1996), 23.
- ↑ Cfr. R. Bernasconi, "Levinas and the Struggle for Existence", in Eric Sean Nelson, Antje Kapust, e Kent Still (curr.), Addressing Levinas (Evanston, IL: Northwestern University Press, 2005), 170–184.
- ↑ Distinzione nella traduzione in (IT) tra il me/Me (le moi) e il sé/Sé (le soi) che non ho fatto nei precedenti Capitoli, ma che ho ritenuto necessario, anzi fondamentale, fare in questo Capitolo specifico.
- ↑ Emmanuel Levinas, Of God Who Comes to Mind, trad. (EN) Bettina Bergo (Stanford, CA: Stanford University Press, 1998), 80.
- ↑ Emmanuel Levinas, God, Death, and Time, trad. (EN) Bettina Bergo (Stanford, CA: Stanford University Press, 2000), 175.
- ↑ Emmanuel Levinas, Unforeseen History, trad. (EN) Nidra Poller (Urbana: University of Illinois Press, 2004), 17–20.
- ↑ Emmanuel Levinas, Totality and Infinity, trad. Alphonso Lingis (Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 1969), 238.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 155.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 158.
- ↑ Emmanuel Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, trad. (EN) Alphonso Lingis (Leiden: Martinus Nijhoff, 1981), 153.
- ↑ Nei precedenti Capitoli mi sono barcamenato tra questi e altri relativi pronomi come meglio potevo, cercando di interpretare il sentimento levinasiano. Cerco di fare o stesso in questo Capitolo.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 19, 24.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 79.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 82–83.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 122.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 16.
- ↑ Emmanuel Levinas, Unforeseen History, trad. Nidra Poller (Urbana: University of Illinois Press, 2004), 18–19.
- ↑ Levinas, On Escape, 50.
- ↑ Levinas, On Escape, 55. Corsivo nell'originale. Si veda il commento su questa frase di Elizabeth Louise Thomas, Emmanuel Levinas. Ethics, Justice, and the Human beyond Being (New York: Routledge, 2004), 23–24.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 82–84.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 64.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 79.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 90.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 37.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 90.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 85.
- ↑ Levinas, On Escape, 55.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, xxvii.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 274.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 276.
- ↑ Levinas, Time and the Other, trad. (EN) Richard A. Cohen (Pittsburgh, PA: Duquesne University Press, 1987), 77.
- ↑ Levinas, Time and the Other, 86.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 90.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 267.
- ↑ R. Bernasconi, "No Exit: Levinasʼs Aporetic Account of Transcendence", Research in Phenomenology 35 (2005):111.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 191n41.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 112.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 124.
- ↑ Levinas, On Escape, 73.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 124.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 13, 19.
- ↑ Levinas, Basic Philosophical Writings, 90.
- ↑ Levinas, Basic Philosophical Writings, 91.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 82.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 116.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 115–116.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 118. Si veda la citazione di Rimbaud a seguito.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 267.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 115. R. Bernasconi, "To Which Question Is Substitution the Answer?", in The Cambridge Companion to Levinas, curr. Simon Critchley & Robert Bernasconi, 234–251 (Cambridge, UK: Cambridge University Press, 2002).
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 193.
- ↑ Bernasconi, "No Exit: Levinasʼs Aporetic Account of Transcendence", 113–114.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 120, 115.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 193.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 31.
- ↑ Su questo dibattito, cfr. R. Bernasconi, "Rereading Totality and Infinity", in The Question of the Other, curr. Arleen B. Dallery & Charles Scott, 23–34 (Albany, NY: SUNY Press, 1989); e J. Dudiak, The Intrigue of Ethics (Bronx, NY: Fordham University Press, 2001), 252–294. Per una lettura di Altrimenti che essere che lo vede come una radicalizzazione degli sforzi di Lévinas per sfuggire al trascendentale, cfr. A. Schnell, "Lʼincondition. Autrement que fonder ouau-delà du transcendental", in Relire Autrement quʼêtre ou au-delà de lʼessence dʼEmmanuel Levinas, curr. D. Cohen-Levinas & A. Schnell (Parigi: Vrin, 2016), 75.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, xiii.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 196.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 210–212. Cfr. R. Bernasconi, "The Silent Anarchic World of the Evil Genius", in The Collegium Phaenomenologicum: The First Ten Years, curr. Giuseppina Moneta, John Sallis, e Jacques Taminiaux, 257–272 (Leiden: Martinus Nijhoff, 1988).
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 25.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 90–92.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 93.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 175.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 27. Cfr. A. Doukhan, Emmanuel Levinas. A Philosophy of Exile (Londra: Bloomsbury, 2012), 35.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 299.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 82.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 88.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 299.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 118, 136.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 79.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 155. Cfr. S. Sandford, The Metaphysics of Love (Athlone Press, 2000), 44–49.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 92.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 109.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 67–68. Per un'esposizione penetrante del Me del godimento in Totalità e Infinito, si veda la discussione alternativa di Jean-François Courtine: Courtine, Levinas. La trame logique de lʼêtre (Parigi: Hermann, 2012), 29–43.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 109.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 53.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 50.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 72.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 55.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 150.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 64. Cfr. F.-D. Sebbah, Testing the Limit. Derrida, Henry, Levinas and the Phenomenological Tradition, trad. (EN) Stephen Barker (Stanford, CA: Stanford University Press, 2012), 210; e K. Novotny, "Corps et Affectivité dans Autrement quʼêtre ou au-delà de lʼessence", in Relire Autrement quʼêtre ou au-delà de lʼessence dʼEmmanuel Levinas, curr. D. Cohen-Levinas & A. Schnell, 121–133 (Parigi: Vrin, 2016), 131.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 256.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, trad. (EN) Nidra Poller (Urbana: University of Illinois Press, 2003), 64.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 63.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 64.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 74.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 64.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 254.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 79.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 80. Corsivo nell'originale. la frase "avvolta su se stessa" è un'autocitazione. Levinas l'ha usata in enrambe le sue opere principali per descrivere godimento (Levinas, Totality and Infinity, 143; Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 73).
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 15.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 92. Corsivo nell'originale.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 153.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 50. Cfr. R. Rat, Un-common Sociality. Thinking Sociality with Levinas (Stockholm, Sweden: Södertörn Philosophical Studies, 2016), 39–40.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 79–80.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 142.
- ↑ Levinas, Entre Nous, trad. (EN) Michael B. Smith & Barbara Harshaw (New York: Columbia University Press, 1998), 83.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 142.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 114.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 114.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 64.
- ↑ Levinas, Entre Nous, 84.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 68.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 68.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 138.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 181.
- ↑ Emmanuel Levinas, Proper Names, trad. (EN) Michael B. Smith (Stanford, CA: Stanford University Press, 1996), 63–64.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 14.
- ↑ Levinas, Entre Nous, 84.
- ↑ Levinas, Entre Nous, 169.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 109.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 74.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 152.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 60. Emmanuel Levinas, Outside the Subject, trad. (EN) Michael Smith (Stanford, CA: Stanford University Press, 1993), 39.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 105. Questa riduzione al sé viene esplorata da Rodolphe Calin (Levinas et lʼexception du soi [Paris: Presses Universitaires de France, 2005], 227–290).
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 14.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 15 and 111. Cfr. P. Ricoeur, "Otherwise: A Reading of Emmanuel Levinasʼs Otherwise Than Being or Beyond Essence". Yale French Studies 104 (2004):92.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 85.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 51.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 20.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 89.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 124.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 146.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 300.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 54.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 79.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 16, 89.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 139–140.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 89.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 82. Cfr. anche Emmanuel Levinas, Collected Philosophical Papers, trad. (EN) Alphonso Lingis (Leiden: Martinus Nijhoff, 1987), 121.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 105.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 100.
- ↑ Levinas, Otherwise Than Being or Beyond Essence, 90.
- ↑ Levinas, Existence and Existents, 85.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 66.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 200.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 198.
- ↑ Levinas, Entre Nous, 75.
- ↑ Levinas, Entre Nous, 62.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 19.
- ↑ Levinas, Basic Philosophical Writings, 71.
- ↑ Levinas, Basic Philosophical Writings, 76.
- ↑ Levinas, Outside the Subject, 46–47.
- ↑ Levinas, Entre Nous, 160.
- ↑ Levinas, Totality and Infinity, 115.
- ↑ Levinas, God, Death, and Time, 198.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 67.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 66.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 56.
- ↑ Levinas, Humanism of the Other, 66.