Storia della letteratura italiana/Giulio Cesare Croce
Giulio Cesare Croce occupa un posto a parte nelle letteratura italiana tra Cinquecento e Seicento. È infatti un poeta popolare, lontano dalla vita degli intellettuali di corte, ed è autore di numerosi scritti, molti dei quali in dialetto bolognese. Le sue opere danno voce alla cultura popolare dell'epoca, con il suo moralismo, il suo buon senso e l'amarezza per la realtà quotidiana.[1] La sua fama è legata a due opere che hanno avuto grande fortuna popolare: Bertoldo e il suo seguito, Bertoldino.
La vita
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Gran parte delle notizie biografiche su Giulio Cesare Croce sono tratte dalla sua opera autobiografica Descrittione della vita del Croce.
Nato a San Giovanni in Persiceto nel 1550, figlio di un fabbro e fabbro egli stesso, Croce non ha avuto maestri e si può definire uno degli autodidatti di maggior successo della letteratura italiana. Non è entrato mai a pieno titolo nei circuiti dei letterati dell'epoca, anche se ha avuto contatti documentati con Giovan Battista Marino e altri importanti letterati dell'epoca.
Essere letterato tra Cinquecento e Seicento significa fare vita di corte, avere dei mecenati o essere completamente autosufficienti. Croce non è mai stato un letterato in senso stretto e ha cercato il suo pubblico fra le persone comuni. La sua ispirazione e le sue motivazioni vengono dal basso, dal pubblico dei mercati, dove a volte persone in grado di leggere comprano le sue opere, il che le rende un'importante testimonianza della sensibilità delle classi più umili dell'età barocca.
In una letteratura che dal Medioevo era rimasta insensibile ed estranea ai problemi dei ceti meno abbienti, ma che anzi prendeva di mira la goffaggine e la rusticità del "popolo", Giulio Cesare Croce mette in risalto l'astuzia e il buon senso del contadino nei confronti dei cortigiani, in una forma di compensazione e di rivalsa rispetto alle angherie che questi era storicamente condannato a subire.
Muore in povertà a Bologna nel 1609.
Libri e commedie
[modifica | modifica sorgente]Croce ha lasciato più di 600 opere, scritte alcune in italiano e altre in diversi dialetti (tra i quali il bolognese e il bergamasco) e lingue europee. È stato uno dei maggiori esponenti italiani della letteratura carnevalesca, filone importante della letteratura europea, identificata per la prima volta dal critico russo Michail Michajlovič Bachtin. È una letteratura che si caratterizza per il collegamento stretto con la cultura rurale e in particolare col rito del carnevale, e tra i suoi esponenti conta Luciano di Samosata, François Rabelais, Miguel de Cervantes e Fëdor Dostoevskij. La sua produzione letteraria conta due romanzi (Bertoldo e Bertoldino), diverse commedie e numerosissimi libretti brevi, in prosa e poesia, che coprono vari generi letterari della letteratura popolare, oggi caduti in disuso. D'altra parte, come scrive Giuseppe Petronio, l'opera di Croce può essere considerata come
Bertoldo e Bertoldino
[modifica | modifica sorgente]Per leggere su Wikisource il testo originale, vedi Le sottilissime astuzie di Bertoldo
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L'opera di Giulio Cesare Croce riprende temi popolari del passato, come la storia di Bertoldo narrata nel Dialogus Salomonis et Marcolphi, che ebbe varie versioni nel Medioevo e le cui vicende erano di volta in volta ambientate alla corte di re Alboino sia a Verona sia a Pavia. Nella sua versione scritta più organica (Le sottilissime astutie di Bertoldo, 1608),[1] Croce veronesizza la storia e porta a Roverè il paese di provenienza di Bertoldo. Nelle avventure di questo contadino – che grazie al suo buon senso riesce a tenere testa al re Alboino, che lo accoglie alla sua corte – Croce sovverte le figure tipiche della cultura alta, aggredendo i valori nobiliari. A questo però si associa la moderazione dell'autore, che presenta questo atteggiamento in chiave negativa, condannando l'eccessiva rozzezza contadina. Le differenze sociali sono viste, in ultima analisi, come qualcosa di ineluttabile, a cui bisogna guardare sempre con il dovuto buon senso.[1]
Per leggere su Wikisource il testo originale, vedi Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino
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Al Bertoldo, lo stesso autore aggiunse un seguito, Le piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino (1608) che racconta di Bertoldino, figlio di Bertoldo, alle prese con la madre Marcolfa. Successivamente, l'abate Adriano Banchieri elabora un ulteriore seguito, Novella di Cacasenno, figliuolo del semplice Bertoldino (1620). Da allora l'opera di Croce è spesso unita a questa novella ed è pubblicata col titolo Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, da cui sono stati liberamente tratti tre film, nel 1936, nel 1954 e nel 1984 (quest'ultimo diretto da Mario Monicelli).
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ 1,0 1,1 1,2 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 417.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 418.
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