Storia della letteratura italiana/Scienza nuova
La scienza moderna inizia a svilupparsi in Europa in un periodo di grandi cambiamenti. La riforma protestante, la scoperta dell'America da parte di Colombo, la caduta di Costantinopoli, l'Inquisizione spagnola, nonché la riscoperta di Aristotele nel XII-XIII secolo, fanno presagire grandi cambiamenti sociali e politici. Si crea così un ambiente adatto, nel quale è possibile mettere in discussione la dottrina scientifica, in modo simile a quello che Lutero e Calvino avevano fatto per la dottrina religiosa.
L'avanzamento della scienza moderna
[modifica | modifica sorgente]In questi decenni gli studiosi osservano come i lavori di Tolomeo in astronomia, Galeno in medicina e Aristotele in fisica non siano sempre in accordo alle osservazioni sperimentali. Per esempio, una freccia che vola attraverso l'aria dopo aver lasciato l'arco contraddice l'affermazione di Aristotele secondo cui lo stato naturale di tutti gli oggetti è a riposo (Nicola d'Oresme). Allo stesso modo, Vesalio, studiando cadaveri umani, riscontrò inesattezze nell'anatomia descritta da Galeno.
Il desiderio di controllare le verità fino ad allora indiscutibili e cercare le risposte per le nuove domande che ne sorgono, produce un periodo di grandi avanzamenti scientifici, che ora è noto come rivoluzione scientifica. L'inizio della rivoluzione scientifica è posto convenzionalmente da molti storici (come Howard Margolis) al 1543, quando è stampato il De Revolutionibus Orbium Coelestium di Niccolò Copernico. La tesi di questo libro è che la Terra si muove intorno al Sole. La rivoluzione culminerà con la pubblicazione di Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Isaac Newton nel 1687.
Altre scoperte scientifiche importanti si devono a Galileo Galilei, Christiaan Huygens, Johannes Kepler e Blaise Pascal. Nella filosofia della scienza furono invece attivi Francesco Bacone, Thomas Browne, René Descartes e Thomas Hobbes. Si svilupparono le basi del metodo scientifico: il nuovo modo di pensare metteva l'accento sulla sperimentazione e sulla ragione calcolante, non più rivolta alla ricerca delle essenze metafisiche, inducendo a considerare "scienza" solo quel complesso di conoscenze ottenute dall'esperienza e a questa funzionali. Secondo una celebre formula di Galilei:
Le filosofie della natura
[modifica | modifica sorgente]Il naturalismo rinascimentale interpreta il mondo come un tutto organico, e vede una profonda connessione tra il mondo della natura, quello dell'uomo e quello divino. Da questo sono scaturite prospettive filosofico-religiose (ermetismo, neoplatonismo), ma anche tecniche che si proponevano di interagire con le forze della natura, come per esempio la magia e l'alchimia.
Le filosofie della natura che si sviluppano nella seconda metà del Cinquecento mostrano l'esingenza di osservare la natura in modo diverso, libero dai lacci della religione e tenendo in maggiore attenzione le scoperte scientifiche contemporanee. Un atteggiamento che incontrerà le diffidenze sia negli ambienti cattolici sia in quelli protestanti.
Giordano Bruno e di Tommaso Campanella, pur conservando nelle loro filosofie elementi magici e metafisici, guardano alla realtà in una prospettiva naturalistica che è ancora distante da quella della scienza moderna. Galileo Galilei, invece, sviluppa e applica un metodo scientifico che si basa sulla verifica empirica e che cerca di interpretare la realtà attraverso la matematica. Lo scienziato pisano rifiuta l'idea che ci sia una comunicazione profonda tra l'uomo e la natura, ma osserva quest'ultima solo nel suo aspetto fisico, distaccandosi dalla magia e mantenendo una posizione cauta per quanto riguarda le questioni metafisiche.
Sia Bruno sia Campanella sia Galilei prestano però grande attenzione alla trasmissione del loro pensiero attraverso la scrittura, che diventa uno strumento importantissimo per modificare la visione del mondo. Tutti e tre finirano però per scontrarsi con la Chiesa controriformistica, che esercita un ferreo controllo su ogni forma di comunicazione.[2]
Una nuova geografia
[modifica | modifica sorgente]Il Cinquecento è però anche il secolo dei grandi viaggi e delle scoperte geografiche, in seguito alle quali cambia completamente la conoscenza che si aveva del nostro pianeta. La nuova cartografia che nasce in questi anni si basa unicamente sulla misurazione delle aree e sulla loro riproduzione in scala. Questo diverso modo vi vedere lo spazio e il territorio ha conseguenze sulla politica (gli Stati assoluti sfruttano questi strumenti per una più efficace attività di controllo) e anche sulla letteratura.
Cambia, in altre parole, il modo di intendere e di raccontare i viaggi. Nella seconda metà del Cinquecento si diffondono resoconti di viaggio che non hanno finalità scientifiche ma puramente narrative. Tra queste la più celebre è Delle navigazioni e dei viaggi (tre volumi pubblicati tra il 1550 e il 1559) di Giovan Battista Ramusio, che raccoglie relazioni di viaggiatori di tutte le epoche. Il libro di viaggio, in quanto genere letterario, si svilupperà però solo nel XVIII secolo. In questo periodo si hanno documenti, relazioni e lettere su viaggi, come per esempio i Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo di Francesco Carletti (1594), di professione mercante di schiavi. Bisogna infine ricordare Della entrata della Compagnia di Gesù e Cristianità in Cina del gesuita Matteo Ricci, che si stabilisce in Cina nel 1582 e svolge un'importante opera di mediazione tra cultura cinese e occidentale.[3]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Galileo Galilei, Il Saggiatore, cap. VI.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 427-428.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 427.