Armi avanzate della Seconda Guerra Mondiale/Italia 5
Certamente il Regio Esercito non conobbe molti elementi innovativi durante la guerra, e venne compromesso dalle insufficienti capacità di produzione, al solito, oltre che di carenze qualitative non indifferenti; ma forse stupirà che tra questi pochi elementi di qualità vi fossero anche i mezzi corazzati; stupirà eventualmente di meno considerando che tra questi mezzi corazzati 'avanzati' molti sono cannoni semoventi, il che è nella tradizione dell'artiglieria italiana, tenuta in grande considerazione nella tradizione dell'arma. Tanto che quasi tutte le categorie d'artiglieria c'erano progetti italiani tra i migliori, anche se spesso c'era molto da recriminare quanto a tempistica e produzione complessiva.
Ecco un primo, sommario elenco dei mezzi di tipo avanzato, o quanto meno moderno, costruiti in Italia:
- Carri armati M15/42 e P.40
- Semoventi da 20/65, 75/18, 75/34, 75/46, 90/53, 105/25 e 149/40 mm;
- Artiglierie trainate da 75, 90, 105, 149 e 203 mm.
I primi carri
[modifica | modifica sorgente]Tra i carri armati l'evoluzione fu graduale: durante la I GM apparve un enorme mezzo, tra i più grossi dell'epoca, il Fiat 2000. Fa impressione pensare che si trattava di un carro armato da 40 t nel 1918, ma era così. Un mezzo pesante quanto il Leopard 1 di 40 anni dopo. Ma del resto, all'epoca c'era persino in costruzione il super-carro tedesco da 150 t, oltre ad alcuni altri mezzi quali il Char 2C francese.
Nondimeno, ne vennero realizzati solo due, tanto che è difficile parlare di produzione di serie. Inoltre non fecero in tempo a partecipare alla guerra. Erano mezzi avanzati, con torretta girevole armata di un obice da 65 mm ad alto angolo d'elevazione (per battere obiettivi montani), un potente motore sistemato sotto il vano di pilotaggio e corazza assai spessa (15 mm laterale, 20 frontale). Avevano molti pregi e nell'insieme superavano i carri britannici 'a losanga' con cannoni in posizioni laterali e meccanica meno avanzata. Erano però anche molto lenti e alti, bersagli perfetti per le artiglierie campali che già avevano massacrato i carri franco-britannici, e non immuni dai fuciloni controcarri da 13 mm e cannoni leggeri da trincea (anche se era previsto resistesse al pezzo da 37 mm). Il fatto è che i tempi non erano maturi per mezzi tanto grandi e tanto costosi, oltre che pesanti. Inoltre, questi mezzi non fecero in tempo ad entrare in servizio durante la guerra, quindi non è del tutto corretto nemmeno definirli come appartenenti a quella guerra, anche se è vero che vennero costruiti durante il conflitto. I carri britannici da 'sole' 27 tonnellate erano in verità già i veicoli di maggior impegno tra quelli costruibili in buon numero, e con la loro cingolatura 'a losanga' erano capaci di muoversi attraverso ostacoli e trincee impossibili per gli altri mezzi (cominciando da quelli francesi), almeno fino a quando gli FT-17 non dimostrarono che era possibile superare le trincee e i fossati anticarro entrandoci dentro e poi risalendoli.
Al dunque, nel dopoguerra si preferì il francese FT-17, che venne riprodotto come Fiat 3000, almeno sulla carta con alcune migliorie, ma di fatto non tanto migliore. Ne vennero prodotti qualche centinaio, gli ultimi armati con un cannone da 37 mm. Il problema dell'armamento fu sempre presente in questi carri in quanto le mitragliatrici da 6,5 mm originarie erano inaffidabili e i cannoni dopo poco tempo vennero destinati agli M11/39. Alla fine ebbero delle mitragliatrici affidabili, ma quando erano del tutto superati. Combatterono in Sicilia, mentre dei 2 Fiat 2000 s'é persa ogni traccia fin da vari anni prima.
Per uno stacco definitivo da questi progetti vi fu l'L29, che era un carro derivato dalle piccole 'tankette' britanniche; si evolse fino al CV-38, carro leggero da 3,5 t con un'altezza di appena 1,28 m e una buona mobilità. Ma sebbene fosse praticamente identico in caratteristiche base al più grosso Panzer Mk 1 tedesco (corazza 13 mm, velocità 40 kmh, armamento 2 mitragliatrici leggere), la mancanza di una torretta lo faceva essere non tanto un carro, quanto una sorta di 'mitragliatrice binata semovente'. Buono per l'esplorazione e per conflitti limitati (come in Etiopia), molto meno se si trattava di affrontare avversari ben organizzati e armati, per i quali questi carri erano solo un fastidio. Eppure, nel 1939 c'erano circa 2.500 carri armati, ed eccetto 100 M11, gli altri erano gli L3, CV-29, 33, 35 e 38 che fossero.
Poi si fece un ulteriore passaggio seguendo l'impostazione con un mezzo con 3 uomini d'equipaggio. Ecco l' M11/39. Esso aveva peso di 11 t anziché 3, un cannone da 37 in casamatta anziché le 2 Breda da 8 mm, che erano spostate nella torretta superiore, girevole a 360 gradi. Non era un gran miglioramento questo nuovo M11/39, così venne prodotto in soli 100 esemplari e usato in Africa, dove si dimostrò efficace contro i più veloci ma troppo leggeri carri inglesi; ma con il suo nuovo e più grande scafo fu possibile poi realizzare l'M13/40, che era armato con un più potente 47 mm ma in torretta, mentre le due Breda tornavano in casamatta. La corazza passava frontalmente fino a 42 mm anziché 30, e sui fianchi i 15 mm dell' M11 (vulnerabili anche alle mitragliatrici pesanti) diventavano 25 mm. Al dunque l'M13/40 venne prodotto fino a metà del '41 in quasi 800 esemplari. Dopo seguì l'M14/41 migliorato, con motore diesel (introdotto dall'M11) da 145 anziché 125 hp e velocità massima passata da 30 a 33 kmh. Era anche più affidabile e venne prodotto in 1.100 esemplari.
Nell'insieme erano carri molto ben armati (4x 8 mm, cannone da 47, 3.000 colpi e 104 proiettili) per la loro taglia, piuttosto piccoli, ben corazzati (fino a 42 mm) ed economici, con una lunga autonomia garantita dai diesel. Ma in pratica si dimostrarono carri stretti, costruiti con corazzature in lega scadente, scarsamente affidabili e molto lenti. Stranamente, mentre le corazze di acciaio al silicio e manganese venivano usate per questi mezzi, acciaio di alta qualità veniva usato per le corazzate; 14.000 t per ciascuna 'Littorio', più che sufficienti per tutti i carri italiani, le cui corazze tendevano a frantumarsi anche contro colpi che non avrebbero nemmeno dovuto perforarli. Ci vollero circa 2 anni per rimediare alla scarsa affidabilità di motori e corazze, e allora fu troppo tardi. Sulla carta non erano peggio, o particolarmente peggio, dei carri inglesi e tedeschi eccetto che in mobilità; ma in pratica erano carri manchevoli, anche se avevano una valida granata HE (cosa non comune all'epoca) per impieghi anti-personale e postazioni d'artiglieria, mentre la presenza di una mitragliatrice contraerea era pure un fatto all'epoca originale[1].
Gli ultimi carri bellici
[modifica | modifica sorgente]Questi piccoli carri vennero ampiamente usati in guerra, prima venendo malamente sconfitti nel '40-41 dagli Inglesi (Operazione Compass), poi operando meglio e ottenendo vari successi, quindi definitivamente surclassati dai nuovi carri anglo-americani. Equipaggiarono la brigata corazzata Babini, poi le divisioni Ariete, Centauro e Littorio, oltre alle loro 'duplicazioni' rifondate in Italia dopo la disfatta africana.
Il loro modello migliorato era l'M15/42 da 15 t, con corazza spessa fino a 45 mm, cannone da 47 lungo 40 anziché 32 calibri, motore a benzina da 192 hp per migliori prestazioni. Ma i 115 esemplari vennero usati solo in Italia, erano giunti troppo tardi per l'Africa. Combatterono in Italia, prima contro, poi per i Tedeschi. Su uno di questi, in una famosa fotografia, Benito Mussolini arringava la folla in un piazzale del Nord Italia.
Il successivo salto, pur tenendo conto delle tecnologie oramai ben conosciute (treni di rotolamento, corazza imbullonata) fu il carro P.40, da 26 t, influenzato anche dal T-34 sovietico. Prima della conoscenza con questo carro, e anche dopo (con la riprogettazione delle corazze in maniera inclinata) somigliava ad un enorme carro 'M', anche se in proporzione dato che ora l'armamento era di un pezzo da 75 mm.
Era un mezzo sufficiente ma non eccellente per il 1943, ma afflitto dal motore da 420 hp diesel, che impiegò molto per arrivare ad una affidabilità ragionevole (senza mai eccellere). Di fatto il P.40/26 venne prodotto in circa 100 esemplari, ma solo la metà ebbero il motore, e vennero usati dai Tedeschi e dai Repubblichini dopo il 1943. Era piuttosto lento e con una corazza da 50 mm, non particolarmente ben protetto per gli standard dell'epoca, ma pur sempre abbastanza valido sulla carta, con un cannone da 75 lungo 34 calibri. I Tedeschi lo consideravano inferiore ai loro Panzer IV, (e il suo contemporaneo era il Panther, parimenti influenzato dal T-34). In particolar modo era criticata la corazzatura, la scarsa velocità e, soprattutto, la torretta a soli 2 posti, come tutti i carri italiani della seconda guerra mondiale mancava quindi la possibilità per il capocarro di concentrarsi esclusivamente sul coordinamento del proprio mezzo in battaglia. Inoltre il P 26/40 aveva dei portelli piuttosto piccoli (quindi l'abbandono del mezzo in fiamme era difficoltoso) e un ergonomia interna persino peggiore di quella, molto spartana e difettevole, dei T-34. Quanto ai 61 carri P26/40 'motorizzati' costruiti dopo l'8 settembre 1943 (gli altri vennero usati come postazioni)ne vennero usati 28 dalla Ordnungspolizei e 20-22 dalla brigata SS Kartsjager, utilizzati per compiti prevalentemente antipartigiani, ma non si sa chi usò questi carri armati per primo, visto che i Tedeschi ne trovarono alcuni in cattivo stato[2]. Il P.40 era destinato anche a qualche evoluzione: il P.43, da approntarsi entro l'ottobre del '43, doveva pesare 30 t e avere corazze frontali spesse fino a 80-100 mm, motore tedesco a benzina da 480 hp e lo stesso armamento, per un totale di 30 t. Non venne mai completato, come nemmeno il P.40bis con armamento più potente. In particolare il cannone 75/34 degli esemplari prodotti sparava un discreto proiettile a carica cava, ed ottimi proiettili anti personale, ma già nel '42 era diventato evidente che i migliori risultati si ottenevano con cannoni ad alta velocità, in grado all'occorrenza a sparare anche proiettili a carica cava; il P.40bis e il P.43 avrebbero dovuto avere armi di questo tipo: o l'eccellente cannone contro carro-contro aereo 75/46 italiano, o il pezzo da 90 nelle varianti corta 90/43 o lunga 90/53 (il 90/71 era in studio durante il conflitto). Un'altra ipotesi d'armamento, presa in considerazione a livello ipotetico fu l'utilizzo dei Pak 40 che la Germania iniziava nel '43 a fornire all'Italia, questo eccellente cannone a tiro teso e rapido fu però mal compreso ed utilizzato dal Regio Esercito, che destinò più di metà della fornitura all'artiglieria costiera, contro sbarco, soprattutto in Grecia.
Un altro carro era stato realizzato, ma solo come prototipo, il 'Sahariano' da 13 t, con sistema di rotolamento e progettazione generale tali da farlo sembrare un Crusader britannico, che con la sua mobilità aveva impressionato gli Italiani. La sua costruzione, però, coincise con la fine della guerra in Africa e il mezzo rimase senza seguito. Era se non altro in termini meccanici, un deciso passo avanti rispetto alle sospensioni affidabili, ma di tipo a basse prestazioni, che gli italiani avevano sui loro carri armati. L'armamento era in questo caso provvisoriamente limitato al 47 mm, in versione però con canna allungata a 40 calibri. Il dibattito su quale sarebbe dovuto diventare l'armamento standard di questo carro si trascinò in maniera inconcludente e stucchevole fino all'armistizio, fu anche brevemente preso in considerazione un cannone da 75mm ad altissima velocità in studio come arma antiaerea per la marina, ma la produzione di questo pezzo, una volta avviata, sarebbe stata molto inferiore alla bisogna, visto che era destinato sia alla protezione antiaerea di alcune grandi unità in costruzione o in riarmo (portaerei, incrociatori, caccia torpediniere) sia per piccoli natanti di scorta e, soprattutto, per i porti, sempre più spesso attaccati dagli apparecchi anglo-americani.
Semoventi d'artiglieria
[modifica | modifica sorgente]Quanto ai semoventi, questi erano tutti, sistematicamente, su scafo di carri armati: M13, M14, M15 e persino P.40. Non mancarono anche i semoventi da 47/32 mm, che erano basati sullo scafo del carro L6/40, veicolo che doveva succedere agli L3, ma giunse solo dopo anni quando era superato. Circa 200 carri di questo tipo vennero prodotti, ma soprattutto ne vennero prodotti altri 280 come semoventi da 47 mm con il cannone da carro armato, sistemato su di una casamatta corazzata, ed usato grossomodo dal 1942. Alcuni altri carri senza torretta erano invece usati come trattori portamunizioni. era un mezzo limitato, ma almeno in certe situazioni era meglio di niente, un carro 'L' con la potenza di fuoco di un 'M'.
Per quanto riguarda i semoventi M40, essi erano basati inizialmente sul carro M13/40.
Nel gennaio del '41 ne comparve un tipo con il cannone da 75/18 mm, progettato dalla Fiat-Ansaldo su disegni del col Berlese, era basato su di un obice da 75/18 mm, presumibilmente il Mod 35 da montagna, da 9,5 km di gittata. La disposizione era in una casamatta blindata e molto bassa. Il sistema d'artiglieria in parola era filosoficamente un'innovazione. Nel senso che si trattava della prima volta che si trattava di artiglieria divisionale. Ma il progetto era ben diverso da quello di sistemi come l'M7 Priest: uno scafo basso, casamatta bassa e squadrata, cannone brandeggiabile solo in maniera limitata. Era del tutto analogo allo STUG III tedesco, a cui gli Italiani si ispirarono. Questo però rendeva certo meno efficiente il mezzo come semovente d'artiglieria puro: con circa 50 granate da 6 kg e 7-8 km di gittata massima, non era molto potente. Ma il fatto di avere una corazza di qualità elevata (almeno frontalmente), spessa 50 mm, pensata per resistere al 40 mm inglese, era chiaro che si pensava a questo tipo di 'artiglieria divisionale' anche come mezzo controcarri e come cannone d'assalto. E infatti, a causa delle limitazioni degli 'M', spesso venne usato come mezzo controcarri e d'assalto. Aveva granate HE, AP, e infine HEAT e poteva porre minacce anche ad un carro come l'M3 o l'M4 Sherman.
Dopo la prima serie, prodotta in 60 esemplari nel 1940, ne seguirono molti altri, essenzialmente su scafo M41. In genere c'erano 4 semoventi per batteria, con un carro comando armato di mitragliatrice da 13 mm in casamatta anteriore (i modelli M41 e M42, prima c'erano le solite due da 8 mm), e provvisto di radio (RF 1 CA e quella a lungo raggio RF 3M2) e telemetro. La corazza anteriore scendeva però da 50 a 30 mm, cosa che costrinse a ripiegare sui soliti sacchetti di sabbia e cingoli, come nel caso dei carri M. Un gruppo aveva due di queste batterie, più il reparto comando con 2 carri comando, e un reparto munizioni e viveri con 2 semoventi e un carro comando di riserva, oltre a (in teoria almeno) due semoventi di rifornimento su scafo L35 con rimorchietti per cento colpi, in misura di ciascun semovente del gruppo. Due gruppi costituivano la dotazione di divisione. Essendo di calibro ridotto, come anche la gittata, questi mezzi (in un'epoca in cui oramai c'erano i cannoni da 105 mm come standard divisionale), erano più che altro usati per il fuoco d'appoggio ravvicinato e anche la lotta controcarri.
Nel 1943, Nicola Pignato riporta che di questi semoventi ne vennero prodotti 188. Di questi carri, che seguivano i 60 del 1941 e i 132-146 nel 1942 (forse tutti su scafo M.41), ve n'erano i primi 24 con lo scafo M42. Il 15 marzo 1943 venne provato il semovente con il pezzo da 75/34 mm, preceduto a suo tempo da un modello del '42 con il cannone Mod. 37 da 75/32 mm non entrato in servizio né in produzione. I semoventi iniziarono la loro attività all'inizio del '42, per cui per la battaglia di Bir El Gobi l'Ariete dovette ancora usare solo i vecchi cannoni trainati.
Combatterono poi, specie ad El-Alamein e in Tunisia, dimostrandosi meno vulnerabili dei carri e con una maggiore potenza di fuoco, anche se erano più vulnerabili in una battaglia manovrata con un brandeggio dell'arma limitato. Per molti anni anche gli storici inglesi non si sono resi molto conto di come certi successi dell'Ariete non dipendevano tanto dai suoi anemici carri, quanto da questi semoventi, dei quali però ce ne furono sempre troppo pochi.
Nel 1943 combatterono in Italia, ma soprattutto persero la battaglia di Roma contro i Tedeschi. Questi fecero continuare la produzione per proprio conto, presumibilmente su scafo M42. Ne vennero realizzati 55 con il pezzo da 75/18 e 80 con quello da 75/34 mm.
Il passo successivo fu l'obice da 105/25 mm, che non pare sia mai passato in produzione se non come arma semovente. Esso era pesante 15,7 t, con scafo basato su quello dell'M42, ma allargato a 2,4 m (chiamato quindi M42L 'Largo' o M43), corazza aumentata a 50+20 mm anteriore, parziale introduzione (finalmente) della saldatura per migliorare la protezione a parità di peso. Aveva 48 colpi da 105 mm tra cui quelli HEAT che potevano perforare presumibilmente qualunque carro dell'epoca, anche se la ridotta velocità iniziale rendeva il tiro possibile a distanze difficilmente maggiori di 1 km.
La produzione fu di 30 mezzi a tutto l'agosto 1943, assegnati al 600° gruppo di artiglieria dell'Ariete II, che combatté a Roma contro i Tedeschi nel settembre del '43, venendo tuttavia respinto dai cannoni controcarri. Basso, potentemente armato, piuttosto riuscito, era forse soprattutto un cacciacarri e un cannone d'assalto. Gli ordinativi arrivarono a 454, ma i primi 30 (+ il prototipo approntato nel gennaio del '43) vennero completati solo entro la fine di giugno 1943. Non si sa quanti di questi semoventi vennero prodotti dopo l'agosto del '43 ma i Tedeschi continuarono a farli uscire dalle fabbriche fino alla fine del '44, chiamandoli STUG M43 (i) con la specifica di quale bocca da fuoco avessero. Al 105 mm seguì, su richiesta tedesca, il 75/46 mm Ansaldo, arma contraerea adattata al tiro controcarri in quest'installazione, evidentemente apprezzandone la maggiore precisione (simile a quella del Pak 40 da 75) rispetto all'obice. Ne vennero ordinati decine, ma entro il 1 aprile del '45 se ne allestirono solo 40. Ma solo 11 ebbero questo cannone ad alta velocità, gli altri si dovettero accontentare di una vecchia idea ritornata in auge, ovvero il cannone da 75/34 a medio-alta velocità.
A parte questi semoventi, ve ne furono di altri, anche se ebbero operativamente meno successo. Uno fu il semovente da 149/49, stavolta non su scafo M ma su quello del P26/40. Esso aveva il più potente cannone dell'Esercito italiano, il 149/42 che sparava granate da 45 kg a quasi 24 km. Ne venne approntato un unico esemplare, che ebbe una messa a punto molto lunga: iniziando nell'aprile del '42, terminò nell'agosto del '43. Poteva essere messo in batteria in 3 minuti anziché 17, ma nonostante tutto non venne omologato per la produzione (e in ogni caso era troppo tardi). I Tedeschi non gli diedero molta importanza, anche se lo rinominarono Semovente M43 da 15 cm (i). Gli Americani invece se ne interessarono. Lo portarono ad Aberdeen e ci studiarono su, contribuendo a far nascere i semoventi M107 da 175 mm. Il pregio di questa realizzazione da ben 24 t era di offrire mobilità e anche abbastanza protezione al pesante cannone da 149 mm, ma a dire il vero il mezzo era praticamente privo di protezione per i serventi, mentre a bordo c'erano solo 6 granate il che significava la necessità di mezzi portamunizioni. Inesistente la difesa ravvicinata. Era in sostanza un affusto cingolato, piuttosto che un vero semovente, differentemente dall' Hummel che- seppure con un obice da soli 13 km di gittata, era abbastanza ben protetto e con 18 colpi al seguito.
Un concetto tanto estremo venne portato anche per lo scafo M41, stavolta con il pezzo più pesante possibile, l'ottimo 90/53 mm contraereo, qui usato essenzialmente in compito controcarri. Era stato pensato soprattutto come misura di protezione dai carri T-34 sul fronte orientale, ed ebbe una lunga gestazione e varie rielaborazioni per aumentare la difesa dei serventi. Questi erano adesso perlopiù sistemati dietro il cannone, in sedili corazzati solidali con l'affusto. Il semovente era teoricamente potente contro i carri armati, con il cannone capace di perforare 100 mm (forse a 30 gradi) a 1 km, il che rese inutile sviluppare un proiettile HEAT. Ma lo scafo non era certo quello di un M36 o di un Jadpanther. Era troppo lento, anche se pesava solo 16 t. La blindatura era completa solo per il pilota e comunque non superava i 30 mm, non c'erano armi difensive, le granate a bordo erano solo 6-8 e così era necessario usare un carro leggero L6 in versione portamunizioni con 40 colpi all'interno e 26 in un rimorchietto. Insomma, se a tutto questo si somma la velocità effettiva di 25 kmh, non stupirà che vennero costruiti solo 30 mezzi, mai usati in Africa e tantomeno in Russia. Il compito di far muovere l'efficace cannone da 90 mm in maniera celere fu lasciato agli autocarri pesanti (nella nota specialità, specialmente italiana, degli 'autocannoni') che li usarono come armi controcarri, da campagna, e contraerei, ma che erano troppo pesanti e vulnerabili all'azione nemica.
I due gruppi che ebbero l'M42 da 90 mm in dotazione l'usarono in Sicilia, tentando di contrastare il passo agli Alleati. Erano efficaci contro gli Sherman, ma non poterono far molto per cambiare le cose oramai compromesse.
Un altro veicolo che rimase prototipo fu l'antenato dell'attuale SIDAM, e uno dei primi veri semoventi contraerei. Esso aveva scafo del carro M15 ma sulla sua sommità, protetti da una elaborata scudatura, c'erano -a mò di ZSU-23-4- di 4 cannoni Isotta Fraschini da 20 mm, in una torretta poligonale ma a cielo aperto. Esso era simile per il resto al carro armato M15, a parte la soppressione delle armi da 8 mm frontali. Avrebbero dovuto produrne addirittura uno per plotone carri, ma in realtà ne venne realizzato solo il prototipo, appena prima dell'Armistizio, confiscato subito dai Tedeschi che si studiarono il concetto. Era infatti un carro ben armato, con i serventi ben protetti dal fuoco nemico eccetto che direttamente nel settore superiore, differentemente da molti veicoli semoventi c.a dell'epoca. Stupisce poi che vi fossero ben 4 armi da 20 mm in uno scafo piuttosto piccolo come questo, nel Crusader contraero ce n'erano solo 2 per esempio.
Veicoli su ruote
[modifica | modifica sorgente]Tra le blindo e i mezzi ruotati vari, non c'erano molte novità: alla blindo AB40 con armi da 8 mm era seguita l'AB.41 con torretta del carro L6, o quantomeno con lo stesso armamento: cannone da 20 e mtg da 8 mm. In seguito arrivarono autoblinde più economiche, visto che l'AB.41,oltre ad essere scarsamente armata, era con una meccanica complessa e onerosa. Vennero realizzati anche autoprotetti sullo scafo della vettura 'Sahariana' AS.37, uno dei migliori mezzi dell'Esercito in servizio dal 1942, con la meccanica della blindo, e varie combinazioni d'armamento. La blindo AB.41 fu finalmente fornita (il prototipo, armato solo con armi da 8 mm, era del '39) alla fine del '41 dando finalmente agli italiani dei reparti blindo e un successore alle vetuste, a suo tempo ottime blindo Lancia Ansaldo IZ della I GM, ancora usate in piccolo numero. Si pensò anche alla blindo AB.43 con torretta bassa e cannone da 47/40 mm come sul carro Sahariano, ma i Tedeschi rimisero in produzione queste nuove blindo ancora col cannone da 20. In tutto ne vennero prodotte, tra SPA, AB.40, 41, 43 circa 900 mezzi.
Una blindo particolare, certamente minore, fu la AS.37,
Da ricordare i prototipi delle cingolette CVP. Gli Italiani, scarsamente mobili, erano rimasti impressionati dall'uso delle migliaia di cingolette Vickers, simili meccanicamente ai carri leggeri, con la funzione di piattaforme per mitragliatrici, mortai, lanciafiamme, e di mezzo da trasporto truppe generico. Già nel 1937-38 si era proposto per l'Ansaldo Mo. 36 (un antenato dell'M11) un tipo scoperto che trasportava, sia pure sacrificati, 7 persone pilota incluso, con una linea piuttosto alta rispetto alle cingolette; non ebbe seguito, ma dopo il 1940 vennero apprezzate le cingolette britanniche, che erano un prezioso supporto per la fanteria inglese e in missioni di ricognizione a breve raggio. Si provò a clonarle con la Fiat Cingoletta 2800 o CVP.4 (per il peso delle tonnellate), con motori di potenza non ben chiara, ma da 66-80 hp per oltre 60 kmh, con Breda Mod. 38 da 8 mm in casamatta anteriore; poi c'era il prototipo Ansaldo per la CVP.5 o L.40, da ben 5,5 t in quanto basata sullo scafo del carro leggero L.6/40 con un motore SPA da 88 hp: la velocità era ridotta a 50 kmh, ma c'era una 13,2 mm in casamatta e una 8 mm per la difesa anche contraerei: praticamente si trattava della versione scoperta dell'L6, soluzione piuttosto costosa anche se ben protetta rispetto alle cingolette vere e proprie per i maggiori spessori delle corazze. Ma questi prototipi del '42 non passeranno in produzione facilmente, essendo troppo bassa la priorità. Come facile da prevedere, il meno macchinoso tipo Fiat, praticamente una clonazione diretta del mezzo inglese, venne scelto per la produzione. Esso continuò con varie modifiche per accontentare le interminabili richieste dell'Esercito, ma nell'estate venne sospeso. Poi, pare che dopo l'armistizio vi sia stata una produzione (non si sa quante) per conto dei Tedeschi.
I trasporto truppa furono per lo più realizzati con soluzioni come la SPA con apposito telaio, o altri tipi secondari. La SPA 37 era il sostituto di fatto degli autocarri leggeri, le Autocarrette OM Mod. 32, 25 e 37, o dei Lancia SPA CL.39, che potevano essere anche armati di mitragliatrici. Ma dal '38 ci si rese conto che ci sarebbero voluti anche dei mezzi blindati. Nel gennaio 1941 si ordinarono 200 autoprotetti S.37 su scafo SPA TL.37, un trattore d'artiglieria. C'erano anche altri prototipi, però scartati a favore di questa soluzione abbastanza piccola e semplice. I semicingolati in futuro avrebbero dovuto essere i Fiat 727 e Breda 61, mezzi tedeschi prodotti su licenza. Ma per i mezzi da trasporto truppe c'era l'esigenza di 2.699 esemplari, i primi 200 per l'appunto del tipo S.37. La produzione di questi durò fino al '42. La meccanica era quella del trattore TL.37, ma per ottenere prestazioni adeguate venne poi quella, sugli esemplari di serie, dell'autocarro AS.37, per una velocità massima dell'ordine dei 50 kmh con un motore SPA da 52 hp, e le ruote sia motrici che sterzanti. La blindatura era di 6-8 mm, ma il cielo del mezzo era aperto. I soldati trasportati erano al massimo 7. L'armamento comprendeva una Breda da 8 mm. Era certo un mezzo per impieghi secondari, non esattamente di prima linea; potremmo definirlo una specie di VTL Lince d'annata. Era possibile anche munirlo di lanciafiamme Mod. 35, e spesso fece parte delle colonne anti-partigiani in Iugoslavia. Ma spesso era usato come mezzo ambulanza, trasporto materiali, unità comando. Ne vennero derivati anche l'autoblindo ABS.37 con la torretta da 8 mm binata dell'AB.40, ma rimase senza esito. Anzi, l'unico prototipo approntato aveva una mitragliera da 20 mm Breda, e venne inviato, stante la carenza di autoblindo, in 'valutazione' in Africa nell'estate del' 41. A dicembre venne catturato a Sidi Rezegh e qui finì la storia, anche se poi l'allettamento dato da un mezzo tanto economico come blindo fu tale che la Viberti, ai tempi della RSI, costruì una blindo leggera simile ma con torre da 20 mm, anche se realizzata solo in due esemplari. Durante la guerra le pur poche S.37 vennero usate ampiamente nei Balcani come mezzi di scorta convogli, operando con carristi, bersaglieri e motociclisti. I Tedeschi catturarono dopo l'armistizio 37 veicoli, gli W g S 37 (i), mezzi da trasporto truppe ruotati. I partigiani iugoslavi anche, e forse pure quelli italiani ne ebbero, mentre nella RSI tale mezzo continuò ad essere ampiamente usato, per la relativa sicurezza che dava, come mezzo antipartigiani.
- Dimensioni: lunghezza 4,95 m, larghezza 1,92 m, altezza 2,13 m
- Peso e protezione: 4.780-5.550 kg, corazze da 6 mm inferiore, 8 mm pareti e frontale
- Prestazioni: 52 kmh, autonomia 600 km (290 l), pendenza 36°
- Armamento: normalmente una Breda Mod. 37 da 8 mm.[3]
Non vi furono mai semicingolati, all'epoca gli unici sistemi realmente efficaci per la fanteria (costavano meno dei cingolati). Infine da ricordare i treni blindati e con artiglierie. Tra i primi c'erano soprattutto sistemi costruiti in funzione anti-partigiana in territorio balcanico. Si arrivò anche a costruire treni interamente blindati, come per esempio le LiBli, con motrice pure blindata, armati con combinazioni varie come per esempio due torrette di carro M con pezzi da 47 mm, e altre armi quali mortai o una mitragliera Breda da 20 mm, oppure la versione su rotaia della blindo AB.41. Le prime di queste unità rimasero in produzione dalla fine del '43 a tutto il '44. La resistenza Jugoslava richiedeva indubbiamente molto sforzo per essere contenuta.
Per meglio rispondere alle esigenze di movimento a lungo raggio nel deserto gli Italiani ad un certo punto ebbero, a parte alcuni mezzi ad alta mobilità propri o catturati al nemico (inclusi tipi francesi, sia autocarri che autoblindo), due mezzi specifici, realizzato partendo dallo scafo della blindo SPA AB.40 e 41, e del trattore d'artiglieria SPA TL.37 'Sahariano'. La realizzazione ebbe luogo con due tipologie, carrozzeria lunga e corta. Quella 'corta' era il trattore modificato, la 'lunga' proveniva dalla blindo. Circa 300 mezzi dovrebbero essere stati ordinati, ma non c'è certezza in merito; la camionetta su scafo di blindo venne presentata al Centro Studi della Motorizzazione, come prototipo il 9 luglio 1942 e omologata il 12 dicembre. Tuttavia un primo lotto di 20 sarebbe stato distribuito, data la fretta della situazione, già dall'agosto 1942 al X Reggimento Arditi. Era piuttosto tardi per gli esiti della guerra in Africa. Si trattava di un mezzo a cabina scoperta, con file di fustini di carburante sui lati, realizzato per la meccanica dalla SPA, per la carrozzeria dalla Viberti. La potenza era data da un motore di circa 100 hp (esistono fonti discordanti), trazione integrale 4x4, 145 litri di carburante più una ventina di fusti opzionali da 20 litri in rastrelliere laterali, che rendevano peraltro il mezzo molto vulnerabile al fuoco nemico. La carrozzeria era spessa solo 4 mm, anche se forse nella parte anteriore era anche di 6-8 mm. Tra le armi possibili c'era il cannone da 20 mm Breda Mod 35 con 1.200 colpi o mitragliatrici di vario genere e forse anche mortai. In tutto, considerando anche la SPA Abm.42 Mod II, per le esigenze territoriali italiane (senza fustini e grelle per la sabbia) si sarebbero costruiti 200 mezzi, usati anche in Italia dopo gli inizi del 29 novembre 1942 con il Raggruppamento Sahariano. In seguito vennero impiegate in Sicilia, per la difesa di Roma, catturate dai Tedeschi e usate anche dalla RSI (che andò a combattere anche in Russia e sul fronte Occidentale). Le ultime 7 vennero cedute al Reparto Mobile di Pubblica Sicurezza nel '48, basato a Forlì e ultimo utente di questo mezzo prodotto in quantità comparabili alla valida (ma troppo complicata e poco armata) AB.40 e 41 da cui derivava.
- dimensioni: lunghezza 5,6 m, larghezza 2,1 m, altezza senza armi 1,62 m
- Motore: SPA100 da 100 hp (?)
- Prestazioni: 50-84 kmh a seconda del terreno, 300 km di autonomia normale, 1.500 massima (2 km-litro), guado 0,7 m e gradino 30 cm[4]
Tra i prototipi valutati anche la Caproni-Vespa, in competizione con il Lince. Essa era una macchina simile all'Ape, ma con 4 ruote disposte a rombo, provata dal 2 febbraio 1942. Era un mezzo originale, armato in un secondo tempo con un'arma da 8 mm, ma non passò in produzione. Aveva un motore Lancia Astura da 82 hp, era lunga 3,9 m per 2 di larghezza, alta 1,85 m, pesava 3,4 t, corazza spessa (26 mm frontale e 14 laterale), 80 kmh e 200 km di autonomia su strada[5].
Un altro tipo fu la Lancia Ansaldo Lince, che era la copia di quella blindo leggera inglese, la Daimler BSA Scout Car Mk 1 Dingo, che era un blindato da esplorazione leggera di grande successo. Era stato richiesto come blindo da esplorazione già nel 1937-38 con una corazza che, malgrado le piccole dimensioni, arrivasse ad almeno 25 mm, per fronteggiare il fuoco controcarri sull'arco frontale. Dei tre prototipi presentati nel 1938, vinse il tipo BSA, che ebbe il nome 'Dingo' ereditato dal concorrente perdente presentato dalla Alvis, una delle altre concorrenti. La vittoria comprendeva anche la richiesta successiva di alzare a 30 mm la blindatura e 14 mm laterale, cosa che rendeva questo piccolo mezzo paragonabile ad un carro incrociatore di seconda generazione. Era un mezzo con casamatta anteriore con arma da 7,7 mm, altissima mobilità, un vero capolavoro in termini di meccanica compatta, con cambio sequenziale Wilson idraulico con 5 marce senza frizione, 4 ruote motrici e tutte sterzanti. Vennero catturate fin da Dunquerke e alla fine della guerra ce n'erano ancora 200 in servizio nella Wermarcht, anche se ai guidatori non piacevano quanto agli inglesi, che invece ne erano entusiasti per la sua mobilità e capacità di ricognizione e sopravvivenza ai colpi leggeri, evitando al contempo i proiettili più potenti con la sua velocità e bassa sagoma.
Agli Italiani tale mezzo, prodotto in 6.626 esemplari in varie versioni (che avevano solo il limite di non essere anfibie, accontentandosi di 'soli' 109 cm) dagli inglesi, fece molta impressione. E così nel '41 ne vollero una copia esatta, che venne approntata dopo un anno circa, nel novembre del '42. Ne vennero costruite poi, ma solo durante l'occupazione tedesca, 263 dalla Lancia e 129 dall'Ansaldo-Fossati. I Tedeschi ne ebbero 160 circa, chiamati iePzSpahwg 202 (i) Lince. Questo mezzo fu dunque il più prodotto dopo l'8 settembre. Dalla valida mobilità, era tuttavia considerato un po' troppo leggero come mezzo da combattimento, mentre come esplorazione si preferivano magari le jeep o mezzi analoghi. Venne usata soprattutto per compiti di ordine pubblico, ma non ci sono molte informazioni sul suo uso nella RSI, a parte che c'era un mezzo anche del tipo comando-radio.
Le caratteristiche della Lince e della Daimler Dingo:
- dimensioni: lunghezza 3,24-3,17 m, larghezza 1m75-1,71 m, altezza senza armi 1,65-1,50 m, altezza dal suolo 37-20 cm
- Peso: 3.140-3.050 kg
- Motore: Lancia Astura a 8 cilindri da 60 (o forse 82) hp a 1.500 giri, 2.650 cc, 70 litri--Daimler HP a 6 cilindri da 2.500 cc, da 55 hp a 4.200 giri-min, 82 litri
- Prestazioni: 86-89 kmh, 350-322 km di autonomia, consumo 5 km/litro-3,9 km/l[6]
Come si vede la Lince era più potente e marginalmente più efficiente, anche se era più grossa, mentre l'armamento era sempre di un'arma leggera (da 8 mm) ma con 2.000 colpi, sistemata in casamatta anteriore a sinistra, anziché il Bren inglese da 7,7 mm con 240-420 colpi e due lanciafumogeni; come si vede il Dingo non era molto adatto per le azioni di fuoco prolungate rispetto alla Lince. Ma tutto questo fa parte delle occasioni perdute, perché dopo 3 anni di guerra gli Inglesi avevano migliaia di queste efficienti macchine in servizio, mentre gli Italiani ancora aspettavano la produzione in serie delle loro copie.
Fanteria e artiglieria
[modifica | modifica sorgente]Quanto ai materiali di artiglieria e fanteria, c'erano armi di diverse generazioni. Una era quella delle pistole e mitra Beretta, armi molto apprezzate. La mancata distribuzione ai reparti di queste armi è sintomatica delle deficienze organizzative e concettuali del regio esercito, in particolare il Moschetto Automatico Beretta, modello 1938 (Mab '38) fu acquistato sin dal suo apparire dalla PAI (polizia dell'africa italiana) mentre iniziò ad essere diffuso (ed in piccole quantità, partendo dai sottufficiali) tra paracadutisti e marò solo verso l'inizio del 1942, ancora al principio del 1943 pochissimi soldati italiani avevano visto questo, particolarmente ben riuscito, ibrido tra una pistola mitragliatrice calibro 9 para e un moschetto. Il Mab '38 era comunque un'arma costosa e lenta da produrre, solo tra il 1942 e il 1943 iniziarono ad essere disponibili versioni via via semplificate. Un'altra pistola mitragliatrice di ottima qualità era la FNAB '43, che fu utilizzata quasi esclusivamente dopo l'8 settembre, dalla repubblica sociale (X Mas e Paracadutisti), dai partigiani (come preda) e da alcuni reaprti d'elitè tedeschi operanti in Italia; era una pistola mitragliatrice vera, simile alle migliori realizzazioni sovietiche in materia, ma lenta e costosa da produrre poteva portare un complesso sistema di calcio ribaltabile, e risultava notevolmente più precisa e dalla buona gittata di altre armi simili. Sia il Mab '38 che la FNAB 43 sono accreditate di gittate utili attorno ai 200 metri, ma, con precisione nulla, utilizzate anche per distanze superiori, fino a 400 metri, un risultato eclatante per armi di calibro 9 mm. Solo dopo l'8 settembre fu prodotta (ed in quantità ridottissime) un'altra pistola mitragliatrice, con funzione di arma di difesa per carristi ed artiglieri, la TZ '45, era piccola e compatta, facile da produrre, dotata di una sicura d'avanguardia e affidabile, oltre che facilmente occultabile e leggera; era anche molto meno potente ed affidabile delle altre realizzazioni in questo settore di armi, con una gittata utile nel tiro preciso di poche decine di metri ed una fastidiosa tendenza all'inceppamento se surriscaldata o utilizzata per sparare lunghe e reiterate raffiche. Storia particolare quella dell' Armaguerra og 44, che anticipava addirittura il concetto di ottutatore telescopico, con la massa battente spostata sopra la canna, concetto che poi conobbe grande fortuna con l'UZI, il "san Luigi" Franchi ecc.
Meno validi erano gli oramai vecchiotti fucili Mod. 91, adottati molti anni prima, quando erano un progetto d'avanguardia, ma oramai piuttosto obsoleti, nel 1938 si tentò di sotituirlo con una versione modernizzata con la cartuccia da 7,35 anziché 6,5 mm, per problemi di standardizzazione si tornò rapideamente al 6,5 mm a guerra iniziata (nel '39 per la precisione, quando cioè la guerra era già iniziata ma l'Italia era in non belligeranza). Anche i reparti (soprattutto Alpini)che usarono il 7,35 in azione se lo videro togliere per ritornare al vecchio 6,5, di cui vi erano enormi depositi; questo creò malumori e lamentele, perché i soldati del "Monte Cervino" avevano apprezzato il nuovo calibro, che rendeva il moschetto leggermente più preciso e, soprattutto, aumentava il potere d'arresto e la letalità dell'arma. Nel 1943 il regio esercito, anche grazie alle forniture alleate, convertì parte dei suoi moschetti '91/38 per accettare l'ottimo 7,7 mm britannico (che, con una complicazione tipica di quegli anni, era anche il calibro standard della Regia Aeronautica sin dagli anni '20), fu un esperimento di breve durata (e in retrospettiva uno spreco di denari ed energie, comprensibile solo per l'attaccamento ideologico-sentimentale ad un'arma autarchica, da tutti deprecata ma con cui veniva identificato il fante italiano), armi più moderne erano già in corso di fornitura direttamente dagli alleati anglo-americani.
Sin dall'inizio del '900 si erano sperimentate armi automatiche per la fanteria in Italia, come ad esempio l'inefficiente Cei-Rigotti (un fucile automatico sviluppato tra gli anni '90 del XIX secolo e il 1911, ma sempre tendente ad incepparsi e inaffidabile in condizioni fangose ed umide), negli anni '20 vi furono altri prototipi, come in particolare il MTB 1925, o MTB 25, in calibro 6,5x52 Carcano depotenziato, dalla Meccanica Bresciana Tempini (prodotto in pochi prototipi), di quest'arma, come anche del Moschetto Automatico Terni mod. 1921, e mod. 21/23 (meno di una dozzina di prototipi), venne anche proposta nel 1924 l'adozione di una nuova rivoluzionaria munizione da parte dell'ingegnere e capitano Ipazio Masella, il calibro 6,5x34. Si trattava di un calibro che mescolava una modernità assoluta (ovvero la decisione di passare al calibro intermedio, tipico di tutti i fucili d'assalto odierni) con una tradizionalità (era ottenuto dal vecchio 6,5x52 Carcano semplicemente accorciato, mantenendo la punta semisferica e non conico-ogivale che dal 1908 andava diffondendosi negli eserciti europei). Ipazio Masella nel 1924 progettò anche una mitragliatrice e un moschetto automatico in questo calibro, che però non furono mai costruiti (pare) nemmeno come prototipi e rimasero sul tavolo da disegno. I lavori di progettazione continuarono con ben tre ipotesi costruttive: l'armaguerra Mod. 39 (prescelto per la produzione in serie) in cal. 6,5x52 o 7,35x51, i progetti Scotti Mod. X (1932) e Mod. IX (1931)in cal 6,5 (impiegati in operazione in Etiopia in alcune decine d'esemplari, del Mod. X furono prodotti circa 250 esemplari) e il Breda mod. 1935 PG in cal. 6,5 (esportato, 450 esemplari, in cal 7,92x57 Mauser alla Costa Rica nella versione completamente automatica), vi furono poi due prototipi Beretta in cal 6,5 il F.A. (fucile automaticco) modello 31 e il F.A. modello 37.
L'arma migliore tra questa era probabilmente la prima, che entrò anche in produzione in poche centinaia di esemplari, senza giungere sul fronte prima dell'armistizio. Il prototipo Breda era decisamente pesante e complesso per un fucile automatico, e per questo venne scartato dal regio esercito, ma era un'arma molto moderna per vari versi, in particolare nella versione da esportazione (significativamente migliore di quella richiesta dal Regio Esercito e proposto in calibro 7,92x57 Mauser) che fu una delle prime armi a poter far fuoco sia in automatico che con raffiche controllate di 4 colpi. Il Mod. x Scotti era ottimo in poligono e in condizioni normali molto efficiente, ma richiedeva continue lubrificazioni, anche se il lubrificante era semplice, spartano ed autarchico olio d'oliva gli Alpini si preoccuparono molto perché in condizioni di grande freddo si rivelava estremamente suscettibile all'inceppamento o addirittura al congelamento dell'olio. Inoltre alcune parti dell'otturatore erano molto attrattive per il fango, come già nel Mondragon e nel francese RSC 17 cui si ispirava. Il vincitore del concorso del 1939 per l'adozione di un fucile automatico fu, come già anticipato, l'Armaguerra Mod. 39 della Società Anonime Revelli Manifatture Armaguerra di Genova, arma molto complessa meccanicamente (e costosa) ma relativamente affidabile, fu però un'arma "vittima" della decisione di passare dal vecchio (e superato, poiché contemporaneamente molto usurante per la canna e la meccanica dell'arma e poco performante e letale) calibro 6,5x52 Carcano al 7,35x51, un calibro molto moderno ed efficiente. Però questa decisione, presa a ridosso dell'ingresso in guerra (1938-1939) comportò dei problemi progettuali notevoli e soprattutto spaventò l'alto comando italiano per le problematiche legate alla logistica. Fu quindi stabilito di rimanere al calibro 6,5, dopo però tutta una serie di tentennamenti e discussioni che paralizzarono il rinnovamento delle armi da fanteria italiane, dove dominavano ormai i pirincipi quantitativi. Furono prodotti circa 2.000 armaguerra mod. 39 in cal. 7,35 che rimasero in magazzino, mentre ne furono ordinati solamente 10.000 in cal. 6,5, di cui poche centinaia furono prodotti prima dell'8 settembre 1943 (non venendo distribuiti) e poi altri dopo tale data (che videro un utilizzo modesto da parte della R.S.I.). Era un'arma efficiente, abbastanza precisa (soprattutto in cl. 7,35), di facile utilizzo, ma formata da numerosissimi pezzi, similmente al Pedersen (il concorrente battuto dall'M1 Garand nel concorso interno dell'US Army); questo fattore ne complicava sia la produzione, sia la manutenzione per le truppe, rendendo compelssa la pulizia e costituendo un elemento di fragilità intrinseca. Va anche notato che l'Italia era dotata di troppi calibri differenti, addirittura due 9x19 diversi (il parabellum depotenziato per le pistole e quello potenziato per i MAB), e un calibro difforme per le mitragliatrici medie e i fucili, contrariamente alla norma vigente nelle altre potenze. Il problema della proliferazione dei calibri era reale e creava grossi problemi alla logistica.
Viceversa rimasero in dotazione, ma poco diffusi nei reparti (soprattutto tra i finanzieri della guardia di confine, ed alle forze di polizia, inclusa persino la guardia forestale) varie pistole mitragliatrici della prima guerra mondiale come i MAB-18, anche nella versione migliorata MAB-18/30. Gli anni della guerra videro inizialmente una riduzione, in sede degli alti comandi, della richiesta di armi nuove ed adeguate alle mutate esigenze operative, nella convinzione che la quantità fosse meglio della qualità, solo a ridosso dell'8 settembre, e soprattutto dopo quella data, si ricominciò una forte attività progettuale, che (oltre alle già ricordate FNAB 43 e TZ 45) portò alla progettazione di un'avveneristica pistola mitragliatice (l'Armaguerra OG-43 e OG-44) e di un'altra arma molto economica da produrre e di discreta resa, da parte dell'Isotta Fraschini (e strutturata per i caricatori tedeschi e non per quelli italiani). Inoltre anche il movimento partigiano costruì delle fabbriche clandestine, in particolare nel biellese, che produssero diversi cloni dello Stern britannico e il "Mitra Variana" prodotto in poche decine (o forse centianai) di esemplari in condizioni molto particolari dentro fabbriche camuffate e con materiale di recupero o sottratto dalla Repubblica Sociale. Mancavano quasi completamente, tanto prima quanto dopo l'8 settembre, le armi di precisione e i mirini ottici relativi, e anzi non vi era cura verso il "cecchinaggio" considerato difensivista e per questo osteggiato "ideologicamente" dalle direttive "offensiviste" proprie del regime.
I fucili mitragliatori Breda 30 erano un'arma prodotta in gran quantità, ma si trattava di un prodotto notevolmente insoddisfacente per il fuoco di supporto alle squadre di fanteria, con un funzionamento molto difettoso e complesso. In verità la mitragliatrice Breda mod '30 era una delle peggiori mitragliatrici leggere in circolazione, inferiore persino a parecchi modelli della prima guerra mondiale, come le Lewis inglesi e i BAR (americani, ma molti diffusi, su varianti migliorate prodotte su licenza, in Europa: Belgio, Cecoslovacchia, Lituania, Svezia, Polonia ecc.), praticamente, anche se di moderna concezione, si poneva nelle prestazioni come pari delle Madsen, ovvere delle più primitive mitragliatrici leggere al mondo, utilizzata nel 1940 ancora da Norvegia, Danimarca e Brasile (ma in tutti e tre i casi in via di radiazione e con compiti di seconda linea). Anzi il fucil-mitragliatore o mitragliatrice leggera Breda mod. 30 aveva battuto in un concorso ministeriale le FIAT (mod. 26 e mod. 28, quest'ultimo una versione modernizzata della prima), armi analoghe e i Terni mod.30 leggermente superiori (e molto meno complessi dal punto di vista meccanico) e quasi all'altezza di quanto si produceva in quegli anni a livello internazionale. Tutte e tre queste armi, per deficenza concettuale e ordine del R.E. erano però predisposte all'uso di lastrine e non di caricatori, inoltre non erano dotate di maniglione. Questo concorso fu accusato, fuori dai denti, di corruzione e di appoggi politici tra la Breda ed alcuni settori politici del regime, contribuendo (assiema alla sconfitta contro il prototipo Breda, poi Breda-SAFAT, per l'Aeronautica alla fine degli anni '20) a portare la FIAT fuori dalla progettazione di armi automatiche. Va anche aggiunto che il fucile automatico Breda Mod. 1935 PG era anche convertibile (come fu negli esemplari esportati in Costa Rica, circa 700) in un'arma dalle caratteristiche simili al BAR americano (ovvero completamente automatico) con l'interessante caratteristica di disporre di un selettore di fuoco a 3 opzioni: automatico, semi automatico o a raffica controllata di 4 colpi (primo esempio al mondo di raffica controllata), non fu però prodotto, anche per la complessità meccanica dell'arma e l'elevata quantità di pezzi (comunque paragonabile a quella della, complicatissima, Breda mod. 30). Non aveva però la possibilità di sostituire la canna (a differenza della Breda mod. 30) caratteristica considerata fondamentale dallo stato maggiore, malgrado il BAR americano avesse il medesimo difetto e sia rimasto in servizio fino alla guerra del Vietnam (negli USA, guerriglie ed eserciti del terzo mondo l'utilizzarono fino agli anni '80-'90) con ottimi successi.
Molto più apprezzate le mitragliatrici Breda 37, che erano affidabili e sicure, sebbene condividessero con il mod. 30 il complesso sistema di lubrificazione e di ingresso dei proiettili. Il problema era anche quello di avere un peso di ben 40 kg, (ma solo 17 kg scariche e senza il trepiede speciale), decisamente troppo per seguire facilmente le truppe, ma erano armi potenti (in calibro 8x59 mm) e relativamente precise. Ancora peggio andava con le mitragliatrici FIAT 14/35, armi che (finalmente) eliminavano il sistema di lubrificazione, ma pesanti (17 kg scarica) e comunque ricavate dalla vecchia FIAT mod 1914 della prima guerra mondiale, dotata ora di raffreddamento ad aria e munizioni potenti (8x59 mm). Singolarmente la FIAT 14/35 fu destinata, pur pesando meno ed avendo una meccanica semplice, più spesso alle opere difensive e alla difesa costiera della Breda 37, preferita dalle truppe e dai comandi perché, in fin dei conti, si più pesante e complicata, ma anche più prestante.
Rimanevano in uso, anche in prima linea soprattutto in colonia, molte mitragliatrici italiane (in cal. 6.5) ed austriache (in cal 8)della prima guerra mondiale, con raffreddamento ad acqua. Sempre in seconda linea rimanevano in servizio alcune SIA mod. 1918, una modesta mitragliatrice leggera, ottima e maneggevole se impiegata da posizione, ma scomoda (con un lunghissimo caricaatore a mezza luna) e molto individuabile sul campo. Inoltre il Regio esercito non concepiva ancora la squadra di fucilieri come al servizio della mitragliatrice d'assalto (cosa invece tipica dell'esercito tedesco) e faceva, concettualmente, grande affidamento sulle cariche alla baionetta e gli attacchi infiltranti a piccoli gruppi votati al corpo a corpo con le bombe a mano, dando poca importanza all'esigenza di disporre di mitragliatrici leggere affidabili, impiegandole, invece, come armi di supporto e difensive.
Armi diverse erano anche i lanciafiamme,installati anche a bordo dei carri leggeri L3 (in un'apposita versione). Il lanciafiamme Mod 35 pesava 27 kg con 11,8 l di capacità del serbatoio, gittata di circa 23 m, con un'autonomia di fuoco rimarchevole di 18-20 secondi. Il carro L3 ne aveva un tipo molto potenziato con rimorchietto blindato da 500 kg, come poi avverrà con il carro Churchill inglese; ma i tipi successivi sistemeranno i serbatoi sopra il cofando motore. Uno dei carri lanciafiamme italiani tentò animosamente di serrare le distanze, con la sua bassa sagoma, vicino ad un T-26 repubblicano, che però lo fece a pezzi molto prima a cannonate da 45 mm, prima di essere distrutto a sua volta dall'artiglieria campale.
Quanto alle bombe a mano, c'erano solo armi offensive della generazione Mod 35.Diversi tipi, caratterizzate da scarsa efficacia, dalla necessità di colpire qualcosa (erano ad impatto, non a tempo) per detonare, dal fatto di non poter essere usate in ambienti chiusi e anche nevosi-fangosi. Inoltre la struttura era di costoso alluminio e ancorché sicure, erano troppo complesse per quel che offrivano. C'erano nondimeno ben 8.651.000 esemplari alla fine del '39, 12.680.000 nell'ottobre del '40, nel gennaio 1942 si superavano oltre 15 milioni di armi, mentre la produzione mensile non superò mai le 500.000. Molte anche le bombe straniere, francesi di preda bellica o tedesche, usate. Solo nel '43 arrivò una bomba a mano difensiva, con raggio delle schegge di oltre 30 m, pesante 1,7 kg, come i tipi in uso in tutti gli altri eserciti, specie quello francese. Nonostante i rapporti sull'efficacia delle bombe a mano Breda, al dunque l'effetto delle varie tipologie era più che altro psicologico. La bomba Breda 35 lasciava nel terreno un cratere di ben 20 cm di diametro e 10-15 cm di profondità, scagliando 300 circa schegge, necessariamente leggere, che già a 3 metri dallo scoppio erano incapaci di ferire gravemente gli avversari. L'applicazione dell'involucro in acciaio permise alla Breda 40 di aumentare del 50% la propria efficacia, ma gli studi per dotare le bombe di manico per tiri a lungo raggio vennero interrotti nel '43 adottando la bomba Mod. 24 tedesca come Mod. 43. La bomba Breda venne usata anche come base della bomba controcarri dirompente Mod 42, praticamente un contenitore con un kg di esplosivo con un manico e la bomba fissata lì vicino. Quanto ai rapporti, la Breda in Spagna era giudicata la migliore, come effetti e affidabilità di scoppio, la SCRM era meno affidabile, la OTO era leggera, con scarsissima efficacia pratica, ma dato il peso ridotto, quella con la maggior gittata e la preferita dai soldati. Pesavano tutte circa 200 grammi con cariche di scoppio di 43-70 grammi, distanze di lancio di circa 35 m. Se si considera un paragone, la Mod. 24 tedesca pesava 500 gr, di cui 165 di carica, e anche se si poteva usare bene solo da in piedi, la distanza di lancio arrivava agevolmente a 40 metri con personale ben addestrato[7].
A livello superiore c'erano un lotto di fuciloni controcarri Solothurn svizzeri (detti anche Soletta, dal nome italiano del cantone in cui erano prodotti), di cui 179 vennero reperiti dai Tedeschi anche a seguito dell'armistizio. Essi erano capaci di perforare (nelle prime versioni) 30 mm a 500 m, ma erano anche pesanti 50 kg, per cui spesso venivano usati con automezzi vari o carri leggeri L3. Anche se la capacità di perforazione era piuttosto limitata, il proiettile poteva essere esplosivo-perforante, quindi a differenza della maggior parte dei fucili anticarro se il colpo passava poteva realmente mettere combattimento il carro colpito. Un altro fucile anticarro che trovò un certo impiego nell'esercito italiano fu il wz 35 (kb ppanc wz 35 per i polacchi, fucile controcarro 35(P) per il regio esercito), un'arma anticarro leggera, dal rinculo modesto (aveva un calibro di 7,92) e di facile utilizzo. Dopo la resa della Polonia sia i tedeschi che i sovietici li riutilizzarono, mentre alcuni furono inviati in Fillandia (forse) e almeno 800 furono girati al regio esercito. Era (giustamente) considerato eccellente dall'esercito polacco, che riponeva in quest'arma la maggiore fiducia, tanto da considerarlo un segreto di stato, questa coltre di segretezza rese difficile l'addestramento dei soldati polacchi, e molti fucili rimasero inscatolati mentre le divisioni tedesche avanzavano su Varsavia. Utilizzando il suo particolare proiettile perforante 7,92x 131,2 DS era capace di bucare 15 mm a 30° di inclinazione a circa 300 metri, oppure 33 mm a 100 metri, oppure 40 mm a meno di 40 metri. La Scotti nel 1941 tentò di riprodurlo in un modello migliorato, in calibro 8x112 mm (o 8x132 mm, pare che entrambi i calibri furono studiati, ma solo il primo venne realizzato in prototipo), dalle prestazioni gorssomodo identiche. Si trattava di un'arma più che discreta, ma nel 1942 stavano entrando in servizio negli eserciti alleati carri armati dotati di corazzature a prova di fucile contro carro, quindi lo Soctti fu abbandonato dopo aver costruito solo pochi prototipi. Curioso era anche il tipo di munizionamento, accanto a normali proiettili perforanti e esplosivi-incendiari (pensati per i veicoli non corazzati), e a quelli che, similmente ad alcuni studiati per il wz 35, dovevano causare il distacco di parti interne delle corazzatura (che così si sarebbero trasformate in proiettili all'interno dell'abitacolo), vi era un macchinoso (ed inefficiente) proiettile perforante-lacrimogeno. Il concetto era far penetrare il proiettile nel carro nemico, dove, emettendo una (in verità molto limitata) carica lacrimogena avrebbe costretto gli occupanti ad uscire dalla protezione del mezzo.
Le mitragliere Breda da 20 mm erano armi diffuse ed apprezzate, usate anche dal nemico quando le poteva catturare; meno diffuse ed apprezzate, seppure più economiche, le Scotti paricalibro. La loro affidabilità meccanica era probabilmente inferiore, come accadeva con le armi d'impiego aeronautico. Queste mitragliere erano state pensate per l'impiego antiaereo, ma risultarono molto utili anche per l'impiego anti carro, specie a corto raggio, perché impiegavano il medesimo proiettile dei Soletta/Solothurn svizzeri, uno dei più pesanti pensati per armi 20 mm nella seconda guerra mondiale. Il difetto di questa scelta era un volume di fuoco limitato, anche se pochi colpi a segno potevano bastare per far precipitare un apparecchio nemico. I cannoni da 47 mm controcarri, un progetto Bolher austriaco, rimasero i cannoni controcarri standard per la guerra intera, come anche l'armamento dei carri armati. Avevano un peso ridotto a 280 kg ed erano someggiabili, nonché una valida granata antipersonale. Ma la loro capacità perforante divenne col tempo del tutto inadeguata (43 mm a 500 m), anche se si tentò di fare qualcosa con munizioni migliorate, specie introducendo una HEAT scarsamente efficace. Uno dei difetti di quest'arma (una via di mezzo tra un vero cannone contro carro e un cannone da trincea della prima guerra mondiale) era che non poteva essere trainata da un automezzo, e quindi vi veniva caricata sopra. Un altro grave problema era la mancanza di scudatura a protezione dei serventi, difetto, quest'ultimo, molto grave perché ben noto ai carristi nemici che in alcune occasioni (come a Bedda Fromm nel 1940) decimarono letteralmente i serventi con le mitragliatrici.
L'artiglieria nel 1940 comprendeva qualcosa come oltre 12.000 pezzi oltre il 47 mm di calibro. Era un parco enorme, ma i pezzi moderni erano solo alcuni cannoni contraerei da 75/46 o da 90/53 e obici da 75/18. Il resto era ancora residuato bellico della guerra precedente, per lo più austro-ungarico. Quest'ultimo materiale fu una iattura per l'artiglieria italiana, perché era molto valido e superiore a quanto disponibile a livello nazionale, ma questa disponibilità di artiglierie moderne inibì il rinnovamento, comunque necessario, per i decenni successivi e molti progetti non passarono in produzione se non con tempi lunghissimi e in piccole quantità. Il calibro divisionale era ancora il 75 mm, anziché il 105 mm oramai affermato in buona parte del mondo (ma anche l'artiglieria sovietica era rimasta legata al 76,2 mm, solo che si trattava della migliore arma di questa categoria mai prodotta). L'artiglieria di corpo d'armata e d'armata era altrettanto obsoleta. Per rimpiazzare queste artiglierie si era pensato a diversi nuovi armamenti che offrivano prestazioni valide ma si perse troppo tempo nell'incertezza su cosa e come ordinare. Oltre tutto l'impiego dell'artiglieria era piuttosto convenzionale, i reparti d'artiglieria erano tradizionalmente d'eliè e dotati di ufficiali competenti, ma a livello di strategie si reterava l'uso della prima guerra mondiale, raramente ricorrendo a grandi concentrazioni di pezzi per appoggiare un assalto con un fuoco breve ed intenso, e ancora più raramente (per non dire mai), facendo il "contrario", ovvero dislocando parti dell'artiglieria di corpo d'armata e d'armata direttamente con le punte più avanzate impiegate nell'assalto, assegnandola a gruppi di combattimento, in modo da poter disporre di un'artiglieria pesante per l'appoggio con il tiro diretto. Ambedue queste tattiche erano invece molto praticate dai tedeschi e dai sovietici e solo verso il 1942 si iniziarono a praticare anche nel Regio Esercito (ma con parsimonia e come iniziative dei comandanti periferici, non secondo precise direttive del comando centrale).
I nuovi modelli erano gli obici Mod 35 da 75/18 mm someggiabili, da 9,5 km e 1,050 t, i Mod. 37 da 75/32 con una gittata di oltre 12 km, peso 1.200 kg e angolo di 50° (brandeggio), fino a 45° elevazione (come il Mod 34, solo che la v.iniziale era di 624 ms anziché 425); e molto più diffusi, i Mod. 37 da 149/19 erano obici per equipaggiare l'artiglieria dei 26 Corpi d'armata.
Fatto strano, differentemente dalla maggior parte degli altri cannoni, questi vennero utilizzati in quantità, anche se in pratica solo dal '43. Vennero previsti questi obici dopo che la scelta venne fatta a metà anni '30 (dopo vari tentativi precedenti, quantomeno dal 1929) tra questo obice e un concorrente dell'Ansaldo da 149/20 mm. Aveva un peso di 6.600 kg in batteria (nella versione modernizzata Mod 42/50), dove veniva ricomposto dopo avere viaggiato scomposto in due carichi. La gittata era di circa 15 km con proiettile 'leggero' da 37 kg, 13,2 km con quello da 42,5 kg. La situazione del parco artiglierie da 149, essenzialmente pezzi Skoda più o meno modificati, era nel 1937 indicati in 192 da 149/12 mm, e 360 da 149/13 mm. Erano previsti 636 obici da 149/19 per rimediare a questa situazione di obsolescenza e scarsità numerica. In seguito le commesse vennero aumentate. In qualche modo, nel frattempo, la quantità di obici da 149 venne aumentata tanto che al giugno 1940 c'erano oltre 1.100 artiglierie di questo calibro. Si sperava di costituire 105 batterie per il 1943, ma a quanto pare i pezzi prodotti nell'autunno del '42 erano solo 147. Nel '43 sarebbero stati riequipaggiati almeno 24 (o 26) gruppi con quest'arma, ma non ebbero mai impiego fuori dell'Italia, quando cominciarono a combattere in Sicilia. In seguito molti vennero catturati dai Tedeschi: 121 esemplari, a cui seguirono altri 13 prodotti direttamente per i Tedeschi. In tutto ne vennero ordinati, con tutti i programmi in corso, quasi 1.400, di cui circa 300-350 costruiti in tutto entro il '43. Tra le munizioni usate c'erano, dal maggio del '43, anche quelle a carica cava EPS. Nel dopoguerra l'obice continuò ad operare e venne anche proposto di rialesarlo a 155 mm per adeguarlo all'obice da 155 M114 di fornitura americana. Il pezzo OTO era piuttosto pesante, molto preciso, di gittata leggermente maggiore del pezzo americano, anche se meno rapido nel mettersi in posizione. Fu radiato solo nel 1974[8].
Altre armi impressionanti erano i cannoni da 149/40 o 149/42, che erano armi a lunga gittata (oltre 23,5 km), ma piuttosto pesanti. Pochi quelli prodotti, dell'ordine delle decine; ne fu usato un gruppo in Africa e ben 4 in Russia, dove andarono tutti perduti. Erano armi molto ricercate per il tiro di contro batteria; l'artiglieria italiana in generale, infatti, era molto manchevole in questo ruolo, sia perché la maggior parte delle armi italiane erano più vecchie di quelle straniere (e quindi con una gittata più ridotta), sia perché in genere l'artiglieria pesante italiana veniva schierata più in retrovia rispetto a quella di nemici ed alleati. Il risultato era sovente che le batterie di artiglieria divisionale si trovavano sotto il tiro dell'artiglieria d'armata nemica senza poter far nulla perché fuori tiro.
L'obice Ansaldo da 210 mm era pure della metà degli anni '30; giudicato per lungo tempo troppo pesante, era infatti difficile da usare con i trattori dell'epoca come anche con i ponti del genio, pur smontato in due carichi. Esso aveva un peso di circa 16 t e una gittata, con la granata da 100 kg, di circa 15,5 km. Solo pochi pezzi vennero realizzati durante la guerra, di cui 8 sopravvissero e vennero riutilizzati assieme agli M115 da 203 mm americani, fino a che alcuni anni dopo vennero radiati. Esistono ancora tutti gli 8 sopravvissuti alla guerra, mentre altri erano stati persi in Russia. Erano anch'essi armi potenti e moderne, ma al solito, troppo pochi e troppo in ritardo.
I cannoni Ansaldo da 90/53 Mod 41 erano gli epigoni di alcune artiglierie pensate soprattutto per la Marina (erano i pezzi da 90/50 mm), armi leggermente più potenti degli 88 tedeschi (come del resto anche gli altri pezzi da 90 mm); assieme ai più leggeri pezzi Ansaldo da 75/46 mm tentarono di aggiornare l'artiglieria antiaerea italiana, ma non ci riuscirono mai del tutto. Avevano gittata contraerea fino a 12 e 8 km rispettivamente e un'alta velocità iniziale. Dall'inizio del '42 cominciarono anche ad arrivare appositi autocannoni su scafo di camion pesanti Lancia 3 Ro, SPA Dovunque 41, Breda 52. Usati efficacemente dal maggio '42 contro i carri del Commonwealth, inquadrati in gruppi su due batterie di quattro pezzi (2 gruppi e quindi 16 cannoni per divisione), erano armi contraerei, controcarri e all'occorrenza da campagna. Ma la combinazione con il grosso autocarro era troppo visibile, lenta e vulnerabile. La loro nascita era dovuta all'aver visto il successo degli '88 tedeschi su installazioni campali o su semicingolati, e al servizio di Bir el Gobi fatto da appena 3 autocannoni con i vecchi pezzi da 102/35, eppure più che sufficienti per dichiarare ben 15 carri britannici KO. Da El Alamein si salvarono solo 3 cannoni, che vennero aggregati al gruppo Cantaluppi. Le caratteristiche del cannone erno: peso proiettile 10,1 kg HE, ben 12,1 kg perforante (con nucleo metallico), v.iniziale (perforante) 758 m.sec, gittata max 14 km, quota max 12 km, cadenza 20 c.min, perforazione: 100 mm a 500 m (altre fonti dicono 1000) se con angolo a 90°, o 80 mm a 30°, il che significava prestazioni buone ma non eccezionali, forse per via delle munizioni. Infatti l'88 tedesco, invariabilmente comparato come 'inferiore' al 90 mm italiano (e balisticamente lo era), era capace di perforare 100-120 mm a 1000 m e 30°. A 1.500 m il pezzo italiano perforava 80 mm o 60 a 30°. Questo significa che era anche inferiore al pezzo americano M5 controcarri da 76 mm che arrivava a 84 mm a 1.840 m (Armi da guerra 46), per cui la mancata costruzione di una granata HEAT a causa della sufficiente capacità di quella perforante non è del tutto giustificabile. L'88 tedesco la possedeva, e in ogni caso non aveva problemi a perforare 100 mm a 1.830 m. Quindi la raccomandazione di tirare da forti distanze (almeno 1.500 m) non era poi così saggia, se anziché i Crusader c'era da vedersela con gli M4 Sherman (51 mm a 56° frontali, 76 mm torretta). Un ulteriore difetto del munizionamento (in parte risolto nel corso del conflitto e nel prototipo del 90/71 mai entrato in servizio) era la deficienza della granata antiaerea contro apparecchi metallici dotati di corazza, in effetti negli anni '30 aerei come il B-17 e il B-24 (ma anche i P-47) erano considerati quasi fantascienza, e quando i proiettili anti aerei furono progettati la maggior parte degli aerei da bombardamento era bimotore mentre i caccia erano di struttura mista legno-metallo. Il peso del complesso era di 11.500 kg.
In ogni caso questi cannoni fecero del loro meglio e furono armi efficaci, anche se il munizionamento non le valorizzava come doveva. Spesso il tiro era eseguito con una centralina di tiro c.a. con la batteria al completo sia contro aerei che contro i carri armati[9]. Il Mod 41, derivato dai pezzi da 90/50 navali precedenti, sostituiva il meno potente Ansaldo Mod 34, arma moderna ma un po' superata al tempo stesso. Questo era nato nel '34, ma stranamente, pur avendo esattamente le stesse caratteristiche dimensionali del Pak 40 tedesco, mai venne adottato a compiti campali veri e propri. Solo pochi erano in servizio allo scoppio della guerra, pur con una rispettabile gittata di 8.500 m antiaerea, che superava quella dei vecchi cannoni da 75, 76 e 102 mm largamente usati. Nel '42 non ce n'erano che 226 e altri 45 del Mod. 40 da postazione fissa. Venne usato anche dai Tedeschi dopo l'Armistizio, nonché dagli Alleati. Ma nel frattempo era il Mod 41, del 1941, ad essere diventato il cannone più importante, tanto che circa 200 erano disponibili nel '42 e soprattutto 539 lo erano nel settembre del '43, a parte i 29 per autocarri e qualche superstite dei semoventi da 90. Le munizioni pesavano in tutto 17,7-18,7 kg l'una, e almeno 315 vennero usati dai Tedeschi come Flak 41(i) o con altre denominazioni. Dal' 52 in Italia cominciò a cedere il passo all'M1 americano, maggiormente automatizzato, mentre dal 1950 non era più in servizio l'88 tedesco, penalizzato dalla scarsità delle munizioni in quel calibro (ma in Jugoslavia l'arma è rimasta in servizio per decenni). L'esperimento del 90/70 mm postbellico non ebbe esito pratico ed operativo, anche se balisticamente era notevole, come del resto lo erano i precedenti 90/70 americano e 88/71 tedesco. Tra l'altro le granate di 90 mm erano accusate di frammentarsi in pezzi troppo piccoli per essere efficaci quanto dovevano contro i bombardieri pesanti e per questo venne pensata, per il 90/70, un "marchingegno infernale", ovvero una granata che conteneva al suo interno una sorta di mini cannone a canne multiple da 30 mm; quando la granata esplodeva i proiettili esplosivi da 30 mm venivano sparati in tutte le direzioni.
Un altro cannone che doveva sostituire, completando una vera e propria gamma, era il pezzo da 105/40, della OTO, approntato dopo lunghe e tribolate fasi di sviluppo, senza molta priorità. Esso era pesante, nella sua configurazione iniziale, circa 3.700 kg e tirava un proiettile da 17,5 kg a 16,5 km, ma soffriva di una rapida usura, solo nel 42-43 arrivarono miglioramenti tali da produrre una batteria sperimentale, e di questo elegante cannone, più volte rivisto, vennero ordinati ben 620 pezzi. Ma l'Armistizio pose fine alla speranza di averli, e nessuno della batteria sperimentale sopravvisse. Era un cannone dall'aria simile a quella dei pezzi tedeschi, con un freno di volata a spargisale, ruote stampate, canna piuttosto lunga. Piuttosto pesante per tirare, sia pure a 720 m.sec, una granata relativamente leggera (ma non per il calibro), analogamente a simili progetti tedeschi, non suscitò l'entusiasmo generale, se i primi, approntati nel '36, non avevano dato 7 anni dopo ancora luogo alla produzione in serie. Così il cannone di corpo d'armata rimase il vecchio 105/28 di progettazione francese, valida ma oramai piuttosto vecchia arma, ora se non altro affiancata dal pezzo OTO da 149 mm, che era ben superiore al vecchio obice da 149/13. Del 105/28 in Italia ce n'erano all'inizio della guerra oltre 900, ma la cifra è incerta. Ce n'erano quasi 600 (tra cui forse anche quelli di preda bellica francese e greca) nel tardo '42 e 27 gruppi d'artiglieria ancora nel giugno del '43, che equipaggiavano tutti i Corpi d'Armata, mentre altri erano usati come cannoni controcarri con granate EP. Le munizioni delle artiglierie italiane, grazie alla generazione Mod. 32 consentirono molti miglioramenti rispetto a quanto possibile con le vecchie armi, per esempio la Mod. 32 per il 105/28 arrivava a oltre 13,6 km con 2,3 kg di HE, anche se poi il tipo più usato arrivava a circa 12,8 km. Sempre meglio di quelli di vecchio tipo, ancora largamente in uso, da meno di 11 km. La granata perforante da 105/28 Mod. 43 EP pesava 14 kg, v.iniziale 602 m.sec, gittata max. teorica 12.360 m, 100 mm di corazza con impatto a 30°, per velocità inferiori a 500 m.sec. La direzione di appena 14 gradi, e la cadenza di appena 1-2 c.min, oltre al peso di quasi 2,2 t rendevano tuttavia piuttosto aleatorio l'uso dell'arma contro i carri armati nemici[10].
Mortai
[modifica | modifica sorgente]Quanto ai mortai, eredi del consistente corpo Bombardieri della Grande guerra, che ebbe armi fino al 400 mm, questi erano molto numerosi e forse in molti casi autori di vari successi dell'Esercito. uno di questi era il Mod. Brixia, da 45 mm, che erano mortai complicati per usare una granata da meno di 0,5 kg a circa 500 m. Altri mortai da 50 mm similari avevano una granata di circa 1 kg e pesavano di meno. Il Brixia se non altro aveva una gittata piuttosto tesa e se fosse un mortaio o una sorta di cannone da trincea modernizzato non è del tutto chiaro. Quel che è certo è che fosse un'arma troppo pesante per quel che offriva. C'era anche una versione da 35 mm per l'addestramento, con munizioni inerti. Nel '43 c'era anche qualche mortaio da 60 mm francese, molto superiore. Nel settore dei mortai da 81 mm, c'erano armi grossomodo simili a quelle originali Brandt e usate pressoché universalmente negli eserciti. Le granate erano da 3 o 6 kg con gittate fino a 3 km, e i Tedeschi valutavano questi mortai medi come superiori ai pezzi da 80 mm che avevano loro (mentre consideravano la MG 42 superiore alla Breda, al converso); un nuovo mortaio da 81 mm venne introdotto, era un'arma formidabile per il suo calibro. Capace di sparare teoricamente fino a 30 colpi al minuto su gittate fino a 6 km, con raffreddamento ad acqua, quest'arma della CEMSA L.P. (non è chiaro quando venne prodotta, ma sicuramente dopo il Mod 35 da 81 ), era davvero un'arma moderna, ma pesava circa 135 kg. Al dunque, a parità di gittata era meglio usare calibri maggiori. I 120 mm sovietici erano superiori, e gli Italiani dopo averli visti ne vollero adottare un tipo analogo. A dire il vero l'interesse, soprattutto per le granate chimiche, dell'Esercito era nato già nel 1930 con un prototipo Brandt francese, che tuttavia evidenziò vari inconvenienti. La cosa venne ripresa nel '36 e vennero valutati vari tipi francesi, spagnoli e anche un tipo autarchico SASIB, che aveva una gittata di 7 km con la più lunga canna disponibile, quella da 17 calibri. Questo sarà quello scelto in seguito alla dimostrazione di potenza dei mortai da 120 Mod. 38 sovietici, ma l'ordine all'Ansaldo e Innocienti per questo tipo, con un totale ordinato di 500 pezzi, venne passato solo nel gennaio del '43. Era un'arma piuttosto strana, con alimentazione a retrocarica, non si sa quanti ne vennero realizzati.
I mortai da 45 mm, capaci di sparare anche in depressione, avevano una granata con ben 3 sicure, ma erano anche incapaci di sparare granate abbastanza efficaci, da 430 gr di cui 70 di esplosivo. I pezzi Mod. 35 da 81 avevano munizioni da 3,3 kg con 400 gr di esplosivo oppure quella a 'grande capacità' da ben 6,8 kg di cui 2 di esplosivo. La disponibilità di armi di questo tipo era, nel 1940, enorme: ben 7.511 Brixia da 45 mm, e 2.177 da 81 mm, con 9.621.000 e 1.105.000 colpi rispettivamente. I mortai avevano anche altri compiti. Quelli chimici, anche se non vennero usati in concreto, vertevano su bombe in acciaio da 0,41 kg di iprite o oltre mezzo kg di fosgene o 0,32 kg arsine. Strano ma servivano oltre 200 granate con il Fosgene per contaminare un ettaro di terreno non fangoso, almeno così era recitato dai regolamenti, 200 con l'arsine o oltre 1.000 di yprite. A Roma furono costituiti almeno 3 battaglioni da 81 mm con compiti 'chimici', poi vennero sciolti nel '42 e costituiti come 9 compagnie da posizione.
I mortai vennero usati anche come armi contraeree di sbarramento, con almeno 30 batterie costituite nel '42. Esse avevano 2 plotoni, 8 sezioni, 16 mortai l'una. Ma durarono poco, quasi tutte vennero ricostituite con i cannoni Breda da 37/54 mm (5 batterie) o i pezzi da 88 tedeschi (11). Avevano munizioni che esplodevano a mezz'aria, oppure quelle speciali con una quota di 800 m o poco oltre, dispiegavano il paracadute, scendevano a 5-6 ms, con un cavo d'acciaio di 4 mm di 100 m attaccati ad una carica esplosiva o incendiaria, su cui andava a sbattere l'aereo che incontrava l'arma nella sua discesa. Non si sa se ebbero mai successo o anche impiego, ma questo impiego era fattibile con migliore efficacia dai razzi come quelli usati dagli inglesi in batterie multiple, anche da navi (erano gli U.P. da 51 o 76 mm). Erano previsti compiti del genere anche per i pezzi da 120 mm, ma questi non pare siano mai entrati in servizio[11].
Varie
[modifica | modifica sorgente]Quanto alla dotazione di armamenti e sistemi vari, ecco il sacco dei Tedeschi con i numeri ufficialmente riportati (ma inferiori alla realtà, per esempio si riportano solo il 10% dei 130.000 veicoli del Regio Esercito) contro quello che era un esercito di quasi 4 milioni di soldati, nonostante le perdite subite in 3 anni di lotta[12]:
- 16.236 pistole, 1.285.871 fucili, 13.906 mitra, 39.007 mitragliatrici, 179 fuciloni controcarri, 1.173 cannoni controcarri, 1.581 cannoni contraerei
- Mortai: 8.736, artiglierie 5.568
- 977 corazzati di cui 355 semoventi
- 2.800.000 bombe a mano, 1.700.000 granate d'artiglieria, 900.000 t di munizioni di fanteria.
- 2422 auto, 13.128 automezzi, 762 trattori, 320 auto speciali, 123.114 m3 di carburante, 67.400 cavalli e muli, 867.000 t di viveri, 12.650 t materiale sanitario, 908 m3 vini e liquori, 923.000 cappotti, 2.130 motocicli, 17.760 tende, 1.553 barche da ponte, 173 lanciafiamme ecc.
- ↑ Per referenze vedi Landi L, Guglielmi D, Carri M in Africa Settentrionale, numeri di luglio e agosto 2000
- ↑ Ronconi G. L'impiego del P.40 dopo l'armistizio Storia Militare Agosto 2000
- ↑ Sgarlato N: S.37: l'altra blindo italiana Eserciti nella Storia lu-ago 2007
- ↑ Sgarlato N: La camionetta Sahariana, Eserciti nella Storia mar apr 2007
- ↑ Sgarlato N: L'autoblindo Caproni Vespa Eserciti nella Storia ago-set 08
- ↑ Sgarlato N: La Dingo e Lince, Eserciti nella Storia mar apr 2006
- ↑ Cappellano F: Le bombe a mano del R.Esercito, Storia militare gen 1999
- ↑ Pignato N L'obice da 149/19 mod 37 Storia militare n.150
- ↑ Del Rosso A: Gli Autocannoni in A.S. Storia militare Dic 2005
- ↑ Pignato N: Il 105/28 nel Regio Esercito, Storia militare nov 2008
- ↑ i mortai: Cappellano F. Mortai del Regio esercito Storia militare agosto 1997
- ↑ Pignato N. L'esercito italiano nel '43 Storia militare set 94