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Greco antico/Numerazione

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Nell'antica Grecia pare[pare?] esistessero due tipi di numerazione, entrambe in base dieci. La più antica (numerazione attica) venne usata correntemente fino al V secolo a.C., quando entrò in uso la numerazione ionica che prese il sopravvento in età alessandrina.

La numerazione attica

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Nella numerazione attica (o erodianica) il sistema era puramente additivo ed esisteva un numero limitato di simboli di valore costante. Il numero 1 era rappresentato con un trattino verticale, ripetuto fino a quattro volte per rappresentare, appunto, i numeri da 1 a 4. A questo simbolo se ne aggiungevano altri appositi per il 10, il 100, il 1000 e il 10000.

1 = · ( | (cerchietto, archetto, trattino)
10 = - o (trattino orizzontale, cerchietto più grande)
100 = ד 
1000 = Ψ (albero)
10 000 = C (capanna, dall'egizio?)

Ad esempio per rappresentare il numero 7699 bisognava usare 31 simboli:

9 (1) + 9 (10) + 6 (100) + 7 (1000)

Il problema era la smisurata ripetizione di segni identici.

Nel VI secolo a.C. ci fu una sostanziale semplificazione della notazione. Furono introdotte cifre speciali per 5, 50, 500, 5000: una base 5 ausiliaria per supportare la base 10. Così nel caso del 7699

1 (5000) + 2 (1000) + 1 (500) + 1 (100) + 1 (50) + 4 (10) + 1 (5) + 4 (1)

15 segni e non più 31. Tale evoluzione alleggeriva la notazione, ma era un regresso per quel che riguardava il calcolo: infatti inserendo cifre speciali supplementari all'unità e ad ogni potenza della sua base, si diminuirono le possibilità operatorie (resti e riporti sottostavano a più regole) e ci si costrinse al ricorso di tavole per contare e abachi (supporto esterno).

Inoltre fu usato il metodo dell'acrofonia, cioè si usava come segno di un numero l'iniziale del nome del numero stesso, ad esempio 5 = pente = Π, 10 = deka = Δ, mentre il 50 era dato da una sovrapposizione delle due lettere. In questo modo si andò oltre l'ideogramma.

La numerazione ionica

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Nella numerazione ionica (o alfabetica) si faceva uso di tutte le lettere dell'alfabeto greco. Richiedeva tuttavia ben ventisette simboli, tre in più di quanti ne contenesse l'alfabeto classico, motivo per cui si utilizzavano delle lettere presenti nell'alfabeto arcaico: il digamma (ϝ), che in età medievale viene sostituito da stigma (ϛ), il qoppa (ϟ) e il sampi (ϡ).

α: 1 ι: 10 ρ: 100
β: 2 κ: 20 σ: 200
γ: 3 λ: 30 τ: 300
δ: 4 μ: 40 υ: 400
ε: 5 ν: 50 φ: 500
ϛ (stigma): 6 ξ: 60 χ: 600
ζ: 7 ο: 70 ψ: 700
η: 8 π: 80 ω: 800
θ: 9 ϟ (qoppa): 90 ϡ (sampi): 900

La scrittura di un numero si otteneva per giustapposizione di questi simboli, con un principio di posizione analogo a quello della numerazione decimale: ad esempio, il numero 123 si scriveva come ρκγ e non γρκ, sebbene questo possa sembrare equivalente visto che i simboli hanno un valore fisso.

Era possibile anche scrivere numeri più grandi di 999: per le migliaia fino a 9000 si precedeva uno dei numeri unitari con un apostrofo ('), così ad esempio 1000 diventava 'α, mentre per le decine di migliaia si usava il simbolo M, ad esempio 320000 diventava Mλβ.

I greci rappresentavano anche le frazioni utilizzando l'apostrofo, posizionandolo però alla fine del numero anziché all'inizio. Così, per esempio, diventava β'. Questa notazione andava bene finché il numeratore era unitario, perché quando non lo era si prestava a facili ambiguità. Ad esempio, ξβ' è oppure . A causa di questo, nel tempo si utilizzarono altri metodi, come ad esempio porre un trattino sopra al numeratore per distinguerlo, finché Diofanto di Alessandria non introdusse una rappresentazione del tutto analoga alla nostra, ma con le posizioni di numeratore e denominatore invertite.