Guida maimonidea/Divinità e aristotelismo
Come Maimonide era assillato dalla mancanza di un sistema unificato per insegnare la Legge ebraica, così anche era rattristato dal fatto che gli ebrei non avessero dimestichezza con la filosofia. Ribadiva continuamente l'irresolutezza e sconsideratezza, la mancanza di giudizio e raziocinio dei suoi contemporanei.[1] La maggioranza sentiva un divario tra fede e conoscenza, tra i contenuti della rivelazione e le teorie della filosofia. Maimonide tuttavia scrisse:
La gente, tuttavia, era contenta del significato letterale, e non approfondiva il pensiero nascosto e sottile.[3]
Per Maimonide anche l'Haggadah[4] era fonte di saggezza filosofica: tutto quello che offriva in forma di allegoria si accavallava con la conoscenza insegnata espressamente nel pensiero filosofico astratto. Le meditazioni e le ricerche di Maimonide si focalizzavano principalmente sul mostrare la congruenza tra il pensiero biblico-talmudico e quello filosofico. L'immagine del mondo che descrisse poteva essere valida solo se il suo riflesso nello specchio della filosofia somigliava il suo riflesso nello specchio della letteratura ebraica. Ora le dottrine della filosofia erano chiare; tuttavia, i testi della letteratura ebraica erano in parte chiari e in parte — a causa della loro forma allegorica — ambigui. Doveva quindi analizzare e interpretare tali scritti.[3]
Molta gente credeva che Dio avesse una figura e una forma, e pensavano di contraddire le Scritture se non credevano così. Attribuivano a Dio tutto ciò che era perfezione, anche se, rispetto a Dio, la maggior parte delle cose che la gente crede essere perfetta in realtà è difettosa. "La Sacra Scrittura parla nella lingua degli esseri umani in modo da essere comprensibile anche ai principianti, ed insegnabile a donne e bambini, in verità a tutta la nazione, che non è capace di intendere le parole nel loro vero significato." (Ibid. I, 33) E Maimonide si impegnò in una lunga discussione sulle espressioni antropomorfiche della Bibbia. Questa discussione intendeva "creare la chiave per aiutare a raggiungere quei luoghi i cui portali sono serrati."(Ibid. I, Premessa)
Tutte le asserzioni che umanizzano Dio, dice Maimonide, sono circonlocuzioni. Secondo la tradizione biblica, uno conosce Dio attraverso una cognizione spirituale, e non con visioni sensoriali. Persino la minima allusione ad un concetto sensoriale viene eliminata dalla nozione di Dio, come anche da concetti tipo anima, angelo, ricompensa, e punizione nell'aldilà. Maimonide non accetta scuse riguardo ad un antropomorfismo basato sull'ignoranza (Ibid. I, 36).
Pensare è un qualcosa che Maimonide vede non come attività casuale, bensì come l'esistenza stessa.
Tutti gli esseri consistono di materia e forma. L'uomo ha varie capacità nell'anima. La sua forma speciale, l'anima, che costituisce la sua essenza, è la ragione. Tale "anima" non è qualcosa con cui si è nati in sostanza: viene data all'uomo puramente come facoltà, come semplice possibilità. Alla nascita, l'uomo riceve solo la disposizione alla ragione, la ragione potenziale. A lui è poi lasciata l'iniziativa di formare il proprio "io", di acquisire la propria anima. Ma come avviene questa formazione dell'anima? Il pensiero attualizza la facoltà, e l'acquisizione della conoscenza trasforma l'anima da una possibilità ad una realtà. La ragione acquisita, che non è altro se non l'interezza della conoscenza che uno ha internalizzato, è la vera essenza dell'uomo. I contenuti della conoscenza non sono quindi esternalità che uno ha assimilato, ma in una certa misura, i componenti costitutivi dell'io, la vera realtà dell'uomo. I contenuti della conoscenza sono le essenze delle cose che uno pensa. L'io spirituale dell'uomo, la sua essenza, è quindi identica con la totalità delle essenze che ha interiorizzato. Quando l'uomo pensa a Dio, la sua essenza è identica all'idea di Dio.[3]
Maimonide considerava il pensare di per se stesso non come un'attività umana interiore: la ragione potenziale, come tutto ciò che esiste solo potenzialmente, richiede una potenza al di fuori di se stessa, una potenza che la fa passare dalla condizione di possibilità a quella di realtà. Tutta la possibilità è passiva, e non si può mai risvegliare dalla sua rigidità senza un fattore movente. Una più alta potenza, l'"intelletto attivo", produce l'attualizzazione della ragione umana e porta il nostro pensiero da semplice capacità di pensare a realtà. Questa dottrina del pensiero originò dalla veduta contemporanea (medievale) del mondo da parte di Maimonide, veduta che egli costruì con gli elementi dei filosofemi aristotelici/neoplatonici.[3]
L'uomo è chiamato microcosmo, un "piccolo mondo". Ma nessuno ha mai sentito parlare di un asino o di un cavallo riferendocisi come "piccolo mondo". Non è quindi la struttura organica dell'uomo bensì la sua ragione inerente che costituisce la sua somiglianza al tutto universale. Poiché proprio come l'uomo è guidato dalla ragione, così il cosmo è guidato da Dio. Maimonide considera l'universo come un insieme organico le cui parti sono coerenti, come in un organismo umano. La terra è il centro dell'universo circondato dal innumerevoli sfere celesti che sono in moto costante. Ogni movimento, ogni evento che accade nel mondo, si origina nelle moto delle sfere: "E come l'uomo muore istantaneamente quando il suo cuore si ferma, così anche il mondo, se le sfere stessero ferme, verrebbe a morire e tutto ciò che contiene verrebbe a cessare" (Moreh Nevukhim I, 72). Ma qual è la causa del moto delle sfere?[5]
Maimonide pensava che le idee sostenute da Aristotele circa il moto delle sfere, e dalle quali otteneva la convinzione dell'esistenza di esseri razionali immateriali, fossero molto vicine alla verità, sebbene fossero solo asserzioni per le quali non esisteva ancora un'evidenza valida. Maimonide considerava queste idee più metodiche e meno aperte a contestazioni di altre affermazioni di pensiero. Inoltre, erano in accordo con le Scritture ed i Midrashim (Ibid. II, 4). I suoi ragionamenti in merito erano i seguenti:[6] è chiaro che ciascuna sfera possiede veramente un'anima. Ma chiunque senta ciò per la prima volta avrà difficoltà a comprendere, o semplicemente rifiuterà di comprendere. Perché? Perché quando sente la parola "anima", si immaginerà che la sfera abbia un'anima come un uomo o un asino o un toro. Tuttavia, il significato è questo: l'orbitare della sfera implica che ha un principio a causa del quale essa si muove — e tale principio è, senza dubbio, un'anima. Vero, il moto circolare avviene a causa di una condizione che le richiede di muoversi in tal maniera. Però questa condizione non sarebbe presente nella sfera se non ci fosse una ragione che la occupasse. Ma non tutto ciò che ha una ragione, per cui concepisce qualcosa, e che ha un'anima, per cui si muove, in realtà si muove quando concepisce qualcosa; poiché la sola concezione non provoca moto. Se qualcuno concepisce molte cose e può muoversi verso di esse, ciò nondimeno non si muoverà verso di esse a meno che un desiderio impellente per le cose concepite non insorga in lui. Si muoverà solo per raggiungere ciò che ha concepito. La sfera desidera l'oggetto del suo amore, che è Dio. Dio, il motore immobile, muove le sfere in quanto le sfere aspirano a diventare simili a ciò che son venute a conoscere: cioè l'essere concepito che è completamente immateriale e in cui non c'è assolutamente nessun cambiamento né generazione di condizione, e da cui emana sempre il bene.[6][5]
Il fatto che le stelle differiscano l'una dall'altra in velocità e lentezza di moto cokme anche in direzione, è prova che ci sono molte sfere. Ci sono probabilmente tanti esseri razionali immateriali quante sono le sfere. Ogni sfera anela all'essere razionale che è la sua causa e determina il suo moto. Esistono nove sfere, cioè: la sfera senza stelle che circonda il cosmo, la sfera delle stelle fisse, e le sfere dei sette pianeti. Ogni sfera ha il suo spirito di sfera, un essere razionale, dal quale emana, e che desidera e cerca di raggiungere, che la presiede e la muove. Il decimo essere razionale è l'"intelletto attivo". La sua relazione col nostro mondo è la stessa della relazione che ogni essere razionale immateriale ha con la propria sfera. La sua esistenza è comprovata dal fatto che il nostro pensiero passa dalla semplice capacità e possibilità del pensare alla realtà, e dal fatto che anche le forme che sono meramente possibili nella materia di questo mondo possono diventare reali. Poiché tutto ciò che passa dalla possibilità alla realtà deve avere qualcosa al di fuori di se stesso che lo porta alla realtà, e questo deve necessariamente essere dello stesso tipo di ciò che è portato alla realtà. Dato che il falegname non costruisce il mobile perché egli è un artigiano ma perché la forma del mobile era presente nella sua ragione. La relazione della ragione vera presente in noi (proveniente dall'emanazione dell'intelletto attivo) con l'intelletto attivo è lo stesso della relazione della ragione presente in ogni sfera (ed emanante dallo spirito che la controlla e per mezzo della quale ragione la sfera pensa e concettualizza lo spirito, aspira a divenire come esso, e si muove) con lo spirito della sfera. Il controllo di tutti gli eventi "è trasferito dall'effetto di Dio sugli esseri razionali secondo il loro ordine; da esseri razionali, alcune delle loro proprietà e quella della luce fluiscono nei corpi delle sfere", e da loro al nostro mondo crescente e decadente.[6]
Gli esseri razionali operano mediante l'emanazione, che è paragonabile ad una sorgente acquifera che sgorga in tutte le direzioni. L'efficacia è perenne. Il mondo si è originato attraverso un'emanazione da Dio, e tutto ciò che accade nel mondo si genera da Lui attraverso l'emanazione. Il funzionamento del mondo inferiore, il nostro mondo di crescita e corruzione, accade quindi mediante forze che emanano dalle sfere. "Quaggiù non vi è pianta o erba che non abbia una stella in Cielo, una stella che la tocca e le dice: Cresci!" Così narra una parabola talmudica.[6] Secondo l'opinione di Maimonide tutto è regolato da Dio attraverso le forze che la Bibbia chiama angeli. I filosofi parlano di esseri razionali immateriali, che la Bibbia chiama angeli. Tali esseri razionali sono intermediari tra Dio e l'Essere. Tramite loro le sfere si muovono, e questo moto è la causa di tutta la crescita e la decomposizione.[5]
L'idea che gli eventi naturali siano un'emanazione ininterrotta da Dio, che i movimenti cosmici siano determinati da un incessante anelito verso il più alto, un desiderio di divenire come il più alto, corrisponde al carattere stesso di Maimonide: è un pathos — nel senso greco: una grande passione — che regola il mondo. E l'idea passionale dell'universo trova una corrispondenza e un'eco nel carattere passionale di Maimonide.[5]
Diverse volte mainmonide si era trovato a combattere su due fronti: in Fes contro l'odio ed il fanatismo degli Almohadi, e nella Lettera allo Yemen contro le pressioni maomettane e lo zelo eccessivo di certi ebrei. Ed ora, ancora una volta, nella sua lotta filosofica, Maimonide si ritrovava un conflitto da due parrti. Ottenere una veduta del mondo da fonti filosofiche e dalla tradizione ebraica costituiva un prologo piuttosto che un epilogo al suo pensiero. D'altra parte, gli ebrei nella loro fede ingenua rifiutavano tale concetto; ma c'erano anche passi degli insegnamenti aristotelici che sollevavano violente proteste da parte di Maimonide stesso.
L'Ebraismo insegna che Dio ha intimato l'esistenza del mondo dal nulla, e che soltanto Lui esisteva e niente al di fuori di Lui, che Egli ha poi portato tutto l'Essere nell'esistenza secondo il Suo volere e gradimento. Maimonide non include questo precetto nella tabella dei dogmi che presentò nella sua opera giovanile; ma in maturità comprese che la fede nella creazione del mondo "è la seconda dottrina principale dopo quella dell'Unità di Dio."[6][5][3] Aristotele tuttavia, nel suo concetto del mondo, insegnava che l'universo, il cielo e la terra, il tempo ed il moto, sono eterni e perenni, non crescono e non decadono. Insegnava che le forme entrano nelle cose una dopo l'altra, perdendo una forma ed assumendone un'altra. Quest'ordine del mondo superiore e inferiore, diceva, non si fermerà mai. Né alcunché si genera in tale ordine senza che la sua genesi si basi sulla sua natura. Ed è impossibile che la volontà di Dio cambi, o che Egli improvvisamente deisderi creare il mondo in un dato punto del tempo. Invece Dio ha generato il cosmo mediante la Sua volontà, ma non l'ha creato da uno stato in cui precedentemente non esisteva nulla.[5]
Maimonide capiva che gli argomenti di Aristotele non danno nessun tipo di prova. Aristotele, "che insegnò agli uomini come ragionare o invalidare una prova e quali siano i prerequisiti di una prova valida", non poteva aver considerato come prove questi argomenti inadeguati. Maimonide pare sia stato l'unico del suo tempo a giudicare Aristotele in questo modo. Gli studiosi suoi contemporanei credevano che Aristotele avesse già provato la perpetuità del mondo. Molti di "coloro che si repitavano filosofi" accettavano le opinioni di Aristotele in questo campo e credevano che tutto ciò che aveva detto in merito fosse provato definitivamente e indubitabilmente. Dicevano che fosse impossibile polemizzare contro di lui o congetturare che qualsiasi cosa gli fosse sfuggita o che avesse fatto un qualche tipo di errore. Maimonide era ora costretto a prendere posizione contro coloro che avevano frainteso Aristotele.[6][3]
Secondo lui, Aristotele stesso non aveva affermato d'avere offerto alcuna prova in tale materia. "Purtroppo però le passioni hanno avuto la meglio tra molti partiti, anche tra i filosofi, e vogliono quindi insistere che Aristotele abbia risolto questo problema mediante la prova. Ciò può essere la loro opinione, ma non gli è mai passato in testa di aver mai provato alcunché. Solo i suoi seguaci hanno osato affermare tale convinzione."[6] Maimonide stesso era dell'idea che la questione se il mondo fosse creato o esistesse eternamente non potesse essere risolto col ragionamento. "Molti che si reputano pensatori, sebbene non capiscano nulla delle scienze, emettono un verdetto decisivo sulla perennità del mondo, perché ciò è stato loro tramandato da dotti rinomati, che dicono che il mondo è sempiterno, e rifiutano le parole di tutti i profeti, perché sono strutturate come una proclamazione nel nome di Dio piuttosto che mediante un metodo didattico."[6] La vera contraddizione con la dottrina ebraica, come la vedeva Maimonide, non era nell'affermazione che il mondo fosse eterno, né nella confusione del "punto temporale", ma nella relativa convinzione che il mondo necessariamente proceda da Dio, che il mondo sia determinato dall'esistenza di Dio "come l'effetto dalla sua causa. Poiché consegue dall'opinione della perennità del mondo che Essere necessariamente proceda da Dio. La relazione tra il Creatore e la creatura è, presumibilmente, basata sulla necessità. È quindi impensabile che qualunque delle cose esistenti possa essere alterata nella propria natura." (Moreh Nevukhim II, 21, 25).
Cosa infine regoli l'universo, il libero arbitrio o la necessità; che Dio debbe essere concepito come il sovrano supremo che regola il mondo seconda la Sua volontà o se Egli sia inalterabilmente legato all'ordine eterno della natura — Maimonide comprese che tale alternativa era il problema cardinale, che deriva dall'alternativa della creazione del mondo o dalla sua perpetuità. Presentato con questo dilemma, Maimonide non venne influenzato da pregiudizi religiosi. Rispetto ai mutaziliti, filosofi arabi che cercavano di provare a tutti i costi la creaturalità del mondo,[7] Maimonide controbattè: "Non voglio illudermi così tanto da considerare come prova i metodi sofistici."[6] Il suo rifiuto di credere nell'eternità del mondo non era fondata sulla spiegazione biblica che il mondo era stato creato:
Tuttavia, l'incorporeità di Dio è comprovata, "e ne consegue necessariamente che tutti i passi la cui comprensibilità letterale è confutata da quella prova debbano essere interpretati differentemente... d'altra parte, la perennità del mondo non è stata provata, e non c'è bisogno di eliminare dai versetti biblici il loro significato letterale e rinterpretarli in modo da far pendere la bilancia a favore dell'opinione che possa forse essere deciso in maniera opposta da qualche altro tipo di argomentazione." Maimonide intraprese quindi un'analisi di questa asserzione indimostrata di Aristotele, che "rovescia la religione dalle sue fondamenta e nega tutti i miracoli delle Scritture."[6]
L'argomento principale di Aristotele è che il moto non può essere concepito come se fosse venuto ad essere, poiché la genesi del moto è essa stessa, come transizione da possibilità a realtà, un moto; di conseguenza, il presunto primo moto dovrebbe precederne un altro, e così via, ad infinitum. La fragilità di tale argomento, che costituisce il trasferimento di una legge operativa negli eventi del mondo interiore al problema della genesi del mondo, fu dimostrata da Maimonide nel modo seguente:
Mentre questa riflessione critica indica un errore metodologico di Aristotele, Maimonide solleva una questione originale in un argomento differente. L'intuizione che la creatura sia incapace di conoscere la creazione, la genesi dell'Essere, era profondamente radicata nella mente di Maimonide, che aveva percepito i limiti dell'intelletto sin da ragazzo. A quel tempo, aveva descritto il problema dell'esistenza individuale come pietra di confine sull'orlo della possibilità di una soluzione filosofica. Ora introduceva il problema in forma differente, per frantumare il razionalismo della "dottrina dell'eternità" e convalidare le parole dei profeti. In accordo con la situazione del problema, il problema stesso diventa una questione di genesi.[3]
"Qual è la causa della varietà delle specie e degli individui nelle specie?" Maimonide chiede ad Aristotele in un dialogo immaginario. Dimostra che la teoria dell'emanazione, che tenta di spiegare il mondo secondo leggi necessarie, è incapace di comprovare la presenza di diversità tra gli esseri esistenti. Perché esistono "innumerevoli stelle nell'ottava sfera, che sono tutte sferiche, alcune grandi, altre piccole, qua una stella, là un'altra che sembra essere un cubito distante dalla prima, là dieci, raggruppate fitte e densamente insieme, e poi un ampio tratto dove non c'è nulla? Qual è allora la causa determinante di una parte con dieci stelle e un'altra senza assolutamente niente? Inoltre, il corpo dell'intera sfera è semplice, non avendo diversità alcuna. Per quale ragione una porzione della sfera è più adatta all'esistenza della stella di un'altra? Tutto ciò e cose simili sono veramente improbabili; invero, è pressoché impossibile credere che tutto questo, come pensa Aristotele, derivi da Dio sotto l'aspetto della necessità" (Moreh Nevukhim II, 19).
Tuttavia, se uno crede che ciò sia così a causa della volontà di un essere volente, ma che siamo ignoranti delle ragioni che hanno indotto la Sua saggezza a realizzarlo, allora tutti questi problemi svaniscono. Una volta che si crede nella creazione del mondo, allora il miracolo è concepibile; ma appena si dice che il mondo deve essere così, allora come risultato sorgono delle domande le cui risposte includono la negazione e la smentita delle parole bibliche.[6] "Ecco perché uomini prestigiosi hanno passato, e passeranno, i loro giorni a meditare su questi problemi. La ragione è che tutto quello che i filosofi hanno detto in contraddizione con la nostra fede collasserebbe nel nulla se la creazione del mondo fosse provata. Similmente, se riuscissero a confermare l'opinione di Aristotele con delle prove, allora la nostra Scrittura crollerebbe nella sua interezza, e la faccenda sarebbe definita a favore di altre dottrine" (Ibid. II, 25). Questa è la ragione per cui Maimonide sospende la conoscenza, onde poter far posto al miracolo.[5]
Nonostante l'intuizione dell'importanza di questa decisione, Maimonide considerava le sue tesi mere confutazioni degli argomenti opposti, e non prove positive. Poiché era diventato a lui chiaro che la questione rimaneva insoluta in filosofia, egli decise a favore dell'insegnamento proposto dalla profezia, "che rende chiare quelle cose che all'indagine manca la forza di conoscere" (Ibid. II, 16). Quando Maimonide ebbe concluso questa contemplazione, dichiarò con sicurezza di avere eretto un enorme bastione tutt'intorno alla Torah, rendendo impossibile a chiunque di lanciarci contro una pietra (Ibid. II, 17). Il percorso del proprio pensiero condusse Maimonide dal problema dell'intenzionalità a quello della creazione. La questione dell'esistenza individuale concreta ancora lo assillava e fu ciò che egli segnò come limite della ragione. Il criterio dell'intenzionalità veniva ora congiunto a quello della genesi. Sebbene la filosofia fosse riuscita, diceva, a spiegare la genesi dell'esistenza individuale nel mondo terreno, era nondimeno incapace di spiegare la varietà del mondo astrale. Maimonide quindi sentì che tutto quello che Aritotele affermava sulle cose "sottostanti la sfera della luna... è vero oltre ogni dubbio." D'altra parte, nessuno sa nulla di ciò che sta in Cielo, a parte quel poco che offrono gli assiomi matematici. "Tuttavia, affaticare la mente con qualcosa che nessuno può afferrare e sulla quale non si hanno i mezzi per ottenerne conoscenza, indica una mancanza di giudizio o un tipo di follia. Peraltro, dobbiamo arrestarci davanti al limite delle nostre abilità. Quello che non può essere compreso attraverso il ragionamento deve essere lasciato a colui che riceve ispirazione sublime da Dio." (Ibid. II, 24). Pertanto solo la profezia è in grado di risolvere l'enigma dell'esistenza individuale concreta.[5]
Lettera di istruzioni
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Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Questo capitolo è propedeutico al capitolo 8 della seconda parte Rinuncia e compimento.
- ↑ I riferimenti di Moreh Nevukhim (ebraico: מורה נבוכים - Guida dei perplessi) sono estratti dall'edizione di Varsavia, originariamente stampata nel 1872, cfr. ediz. anastatica online (cfr. Bibliografia).
- ↑ 3,0 3,1 3,2 3,3 3,4 3,5 3,6 Abraham Joshua Heschel, Maimonides, Farrar, Straus and Giroux, 1983, pp. 141-156.
- ↑ Haggadah o Aggadah (ebraico: הַגָּדָה, "narrazione", plurale: Haggadot) è una materia esplicativa della letteratura rabbinica, spesso in forma di racconti, aneddoti, leggende, o parabole. Vaste porzioni del Talmud sono aggadiche. Cfr. Yosef Hayim Yerushalmi, Haggadah and History, Jewish Publication Society of America, 1974.
- ↑ 5,0 5,1 5,2 5,3 5,4 5,5 5,6 5,7 Nei successivi paragrafi ed in base al testo primario di Moreh Nevukhim, si sono consultate anche le seguenti fonti secondarie: Aviezer Ravitzky, "Maimonide Concealed Teaching in The Guide of the Perplexed: The Interpretation in the Past and Present", Al Da`at ha-Maqiom: Studies in the History of Jewish Thought, Keter Press, 1991, pp. 142-181 (in ebr.); Shalom Rozenberg, "Biblical Interpretation in the Guide", Jerusalem Studies in Jewish Thought, State University of N.Y. Press, 2000; Kenneth Seeskin, Searching for the Distant God: The Legacy of Maimonides, Oxford University Press, 2000; Yair Lorberbaum, "On Allegory, Metaphor, and Symbol in The Guide for the Perplexed", Studia Judaica 16, 2008, pp. 95-106.
- ↑ 6,00 6,01 6,02 6,03 6,04 6,05 6,06 6,07 6,08 6,09 6,10 Estratto in sintesi e parafrasi da Moreh Nevukhim II, 4, 11-13, 15-19.
- ↑ J. van Ess, articolo sul "Mutazilismo" in: The Encyclopedia of Religion, Macmillan Reference USA, 1987, X, pp. 220-229.
- ↑ Quinta sezione della prima lettera scritta da Maimonide a Samuel Ibn Tibbon. Cfr. Joel L. Kraemer, op. cit., pp. 442-443.
- ↑ Abu Bakr Muhammad ibn Zakariyya`al Razi, noto agli europei come Rhazes (ca. 854-925 o 935) fu filosofo, medico e alchemista, uno degli importanti "liberi pensatori" della civiltà islamica. Cfr. J.L. Kraemer, loc. cit.
- ↑ Si veda A. Altman & S.M. Stern, Isaac Israeli: A Neoplatonic Philosopher of the Early Tenth Century, Oxford University Press, 1958.
- ↑ La citazione biblica viene di solito interpretata negativamente, ma Maimonide la usa in senso positivo. Joseph ibn Saddiq era anche lui di Cordova, quindi Maimonide potrebbe facilmente averlo conosciuto, a parte il fatto che Maimonide e famiglia lasciarono Cordova quando ibn Saddiq aveva solo dieci anni; è pertanto difficile accettare che lo conoscesse e conoscesse i "suoi discorsi". La migliore spiegazione, se si accetta la data di nascita di Maimonide del 1137/1138, è che lo conobbe dopo il 1148. Cfr. J.L. Kraemer, op. cit., n. 75, pp. 590-1.
- ↑ Il libro è noto anche col titolo al-Siyasa al-madaniyya (Il regime politico). Si veda la traduzione di sezioni fatta da Fauzi M. Najjar, in Medieval Political Philosophy: A Sourcebook, R. Lerner & M. Mahdi (curatori), pp. 31-57.