Guida maimonidea/Medicina e composizione

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Indice del libro
Maimonide, scolpito sulla Menorah del Knesset, Gerusalemme
« Il medico tenga lontane dall'infermo le stimolazioni psichiche e le oppressioni dello spirito poiché in tal modo si allunga la salute del sano, il che deve precedere la cura del malato »
(Maimonide)

Nonostante l'incubo della distruzione dell'Andalusia ed i successivi e sofferti anni di peregrinazione per il Maghreb, il primo decennio di Maimonide in Egitto fu un periodo di grande crescita e prosperità. A Fustat la sua fama crebbe enormemente nell'area del mondo ebraico che si trovava sotto il dominio mussulmano. Inviò responsa a comunità in Egitto, Terra d'Israele, Siria, Yemen, Babilonia, e Maghreb. Negli anni successivi, tramite gli studiosi che erano immigrati dalla Provenza all'Egitto e i traduttori andalusi in Provenza, la sua reputazione attraversò i Pirenei e penetrò nel mondo ebraico aschenazita. I primi dieci anni della permanenza di Maimonide in Egitto, dal 1168 al 1177, viderono inoltre la sua più grande produzione letteraria; fu durante quegli anni che scrisse la Mishneh Torah. [1][2]

Un trattato del calibro della Mishneh Torah non può essere scritto di corsa. Come struttura grandiosamente organizzata le cui parti si complementano l'un l'altra nell'impresa di incapsulare l'intera tradizione talmudica fino all'epoca di Maimonide, la sua composizione richiedeva tutto il tempo necessario per produrre un'opera sistematica ed altamente concentrata. Nel 1199, ricordandosi di quel periodo, Maimonide descrisse il suo decennio di lavoro sulla Mishneh Torah in una lettera a R.[3] Jonathan Hakohen di Lunel ed al suo circolo: "Sono sicuro che capirete quanto io abbia faticato giorno e notte per quasi dieci anni a comporre [Mishneh Torah]. Uomini del vostro livello culturale apprezzeranno l'importanza di questa opera. Ho raccolto materiali che erano dispersi e separati tra colline e montagne, e li ho fatti pervenire uno da ogni città e due da ciascuna famiglia [Geremia 3:14] (Iggerot, pp. 542-543).

Mishneh Torah non è soltanto un immenso trattato; è anche uno splendido ed elegante trattato.[4] La sua componente estetica risiede nel non far allusione al grande impegno insito nella sua composizione. Al lettore casuale, il trattato appare semplice e chiaro, come un ballerino che esegua movimenti complessi senza mostrarne la fatica. Grandi dotti come i corrispondenti di Maimonide a Lunel, che sapevano come barcamenarsi nei meandri delle discussioni talmudiche, ne riconobbero la grande realizzazione in ogni singolo capitolo. Generazioni di studiosi si sforzarono di ricostruire, dopo la pubblicazione, le decisioni interpretative che avevano condotto Maimonide a trarre le proprie conclusioni, e di scoprire le nuove chiarificazioni ai concetti halakhici fondamentali che egli aveva inserito nel suo libro. Studiosi seri sapevano che per scrivere anche un solo capitolo dei mille che formavano la Mishneh Torah, Maimonide aveva dovuto acquisire una padronanza completa e concordante di tutta la letteratura halakhica sparsa — una padronanza che solo lui era riuscito a distillare in una tale opera così chiara e organizzata.[2]

A volte, come afferma anni dopo aver scritto Mishneh Torah, Maimonide stesso ebbe difficoltà a ricostruire il procedimento e le fonti che lo avevano condotto ad una data sentenza così semplice. In un acuto passo di una lettera a Pinẖas il dayyan (giudice), a seguito di un resoconto degli sforzi impegnati nel trattato e la necessità a volte di tarre le fonti di un singolo capitolo da dieci e più punti del Talmud Babilonese e del Talmud Yerushalmi, scrive quanto segue:

« Ti dirò quello che mi è capitato in merito a questo. Un devoto dayyan venne da me, portando un libretto [estratto] da questo trattato [cioè, dalla Mishneh Torah] che conteneva le "Leggi sull'omicidio" dal Libro degli Illeciti. Mi mostrò una halakhah e disse "Leggila". La lessi e gli dissi "Cosa c'è di incerto?" Mi disse: "Dove furono dette tali parole?" Io risposi: "Al loro posto, nel capitolo Elu Hen ha-Golin oppure nel [trattato] Sanhedrin, tra le leggi che riguardano l'omicidio." Mi disse: "Ho già riveduto tutto quello senza trovarle." Io gli dissi: "Forse sono nel Yerushalmi?" Mi disse: "Ho cercato ma non le ho trovate, non nel Yerushalmi né nella Tosefta." Riflettei per un po' e gli dissi: "Mi ricordo che queste parole furono esposte ad un certo punto nel [trattato] Gittin." Tirai fuori il Gittin e cercai, ma non trovai il riferimento. Ne fui traumatizzato e allarmato, e dissi: "Dove furono dette tali parole?" Ma poi, prima che potessi ricordarmi la loro fonte, egli se ne andò; e allora mi ricordai. Mandai un messaggero e lo feci ritornare e gli mostrai le parole affermate esplicitamente nella Ghemara di Yevamot... Egli se ne meravigliò e dipartì. »
(Iggerot, pp. 444-445)

Si deve tenere in mente che questa non era semplicemente una dimenticanza come succede a molti, e quindi anche a Maimonide. La sua lettera a Pinẖas veniva scritta in un periodo quando era estremamente indaffarato e oberato al punto di esaurimento. Non godeva più di momenti di tempo libero e di perseveranza che gli rendevano possibile di mantenere una mente acuta e fresca come quando aveva scritto il trattato. La Mishneh Torah fu composta durante una fase di dieci anni quando era libero di lavorarci giorno e notte; gli era stato possibile grazie a suo fratello David, che si era assunto il peso di sostenere la famiglia. Come dice Maimonide nella sua lettera a Japheth il dayyan: "Andò all'estero per commerciare, in modo che io potessi rimanere a casa e continuare i miei studi" (Lettere di Maimonide, p. 73).

La situazione di Maimonide cambiò radicalmente a causa della tragedia che capitò a suo fratello. Durante un viaggio d'affari in India nel 1177, David naufragò nell'Oceano Indiano, affondando con tutti i beni di famiglia; lasciò moglie e una giovane figlia che divennero responsabilità di Maimonide. La crisi che ne derivò viene descritta da Maimonide nella sua lettera a Japheth: "Ma il più grande colpo, che mi causò più dolore di qualsiasi altra cosa io abbia mai passato fino ad oggi, fa la morte dell'uomo più santo che abbia mai conosciuto, che affogò mentre era in viaggio nell'Oceano Indiano. Con lui affondò una grande fortuna che apparteneva a noi e ad altri. La sua piccola figlia e la sua vedova furono lasciate a me." (ibid., p. 72). Maimonide aveva dimestichezza con i metodi del commercio ed era coinvolto negli affari di suo fratello, ma era sempre stato preoccupato di tragitti verso l'India. In una lettera di commiato a suo fratello, prima che facesse uno di tali viaggi, scrisse: "Dio, che sempre sia glorificato, sa il dispiacere e la desolazione che provo alla partenza di mio fratello e mio amato amico. Che Dio mi protegga da sventure che possano capitargli e riunirmi con lui in Egitto" (Iggerot, p. 76).

Un prezioso documento rinvenuto da Goitein nella Geniza del Cairo è una lettera da parte di David a suo fratello, scritta nel 1171, sei anni prima della sua morte nel naufragio.[5] Fu inviata da Aidhab, una città portuale dell'Africa orientale dalla quale partivano navi verso l'India e la Cina. David, che stava allora per fare il suo primo viaggio in Africa orientale, navigò sul Nilo verso Luxor, un itinerario di circa cinquanta giorni. Da Luxor le carovane si dirigevano verso Aidhab, un faticoso percorso di oltre 400 chilometri attraverso il deserto. Un mercante ebreo che si era unito a David, lo persuase a lasciare la carovana organizzata e attraversare il deserto per conto suo. A causa della sua inesperienza, David accettò questa frettolosa avventura e alla fine raggiunse Aidhab dopo un viaggio difficile e pericoloso. Davide ed il suo socio arrivarono ad Aidhab prima della carovana, e quando questa arrivò, seppero che era stata attaccata da briganti ed alcuni carovanieri erano stati uccisi. Maimonide conosceva alcuni dei viandanti, e David era preoccupato che quando notizia delle uccisioni fossero giunte a Fustat, suo fratello si sarebbe preoccupato del destino di David. Si affrettò quindi a scrivergli. Dato che la città portuale sembrava non avere le merci desiderate, David aveva deciso di navigare verso l'India. Nella sua lettera si scusa col fratello di tale decisione nonostante le istruzioni contrarie del fratello, e conclude scrivendogli di non preoccuparsi del suo viaggio. Un successivo viaggio, come già detto, vedrà la realizzazione delle paure di Maimonide, e David morirà naufragando nell'Oceano Indiano.[5]

Più avanti nella propria lettera a Japheth il dayyan, Maimonide descrive lo stato mentale addolorato e suicida nel quale deteriorò dopo la morte del fratello: "Per quasi un anno dopo aver ricevuto la triste notizia, mi ranicchiavo sul divano, colpito dalla febbre, dalla disperazione e sull'orlo della distruzione" (Lettere di Maimonide, p. 74). Questa depressione, che ammutolì Maimonide per quasi un anno, appare ancora peggiore alla luce della discussione sul lutto nella Mishneh Torah: "Uno non dovrebbe indulgere in eccessiva afflizione sulla morte di un proprio caro, poiché si dice: Non piangete sul morto e non fate lamenti per lui (Geremia 22:10), cioè (non piangete su di lui) troppo, poiché tale è la via del mondo, e colui che si agita per le vie del mondo è uno stolto" (Leggi del Lutto 13:11) Questa raccomandazione stoica di accettare la morte come parte del corso normale del mondo, gli crollò davanti al suo enorme lutto personale. Anche dopo anni dalla tragedia, la vita di Maimonide non si era ripresa totalmente:

« Quasi otto anni sono passati e ancora piango per lui, e non c'è consolazione. Cosa mi può confortare? Mi crebbe sulle ginocchia, fu mio fratello, mio allievo. Andò all'estero per commerciare in modo che io potessi restare a casa e continuare i miei studi. Egli ben conosceva il Talmud ed era un esperto grammatico. La mia più grande gioia era vederlo. Ora ogni gioia si è spenta. È partito per la vita eterna e mi ha lasciato confuso in terra straniera. Ogni volta che mi capita di vedere la sua scrittura su uno dei miei libri, il cuore mi manca ed il mio dolore si risveglia. »
(Lettere di Maimonide, p. 73)

Molte persone in lutto provano un senso di colpa a seguito della morte di qualcuno che si ama profondamente, e pare che il dolore di Maimonide per la perdita del fratello ne fosse segnato pesantemente. Egli, fratello maggiore, era stato incapace di proteggere il più giovane fratello, che era stato per lui come un figlio; in verità, il fratello minore potrebbe essere considerato come se avesse sacrificato la vita per il maggiore: "Andò all'estero per commerciare, in modo che io potessi rimanere a casa e continuare i miei studi" (lett. "rimanere al sicuro a casa"). Non c'è da stupirsi che Maimonide rifiutasse di essere consolato e che qualsiasi incontro con il ricordo di suo fratello riaprisse la ferita.[4]

Per molti immigrati, gli stretti membri di famiglia possono servire da sostituto per quel senso di sicurezza precedentemente fornito dalla propria patria, dando un supporto sia emotivo che economico. La perdita del fratello minò i sentimenti emotivi di maimonide ed la sua sicurezza economica, in effetti creando un secondo esilio: "mi ha lasciato confuso in terra straniera." Da quel momento Maimonide portò le cicatrici di due grandi perdite: l'esilio forzato dall'Andalusia col susseguente pellegrinaggio per il Maghreb, e la morte del fratello. La prima comportò la perdita della madrepatria comunale e culturale, mentre la seconda gli provocò il collasso della struttura protettiva fornita ad un profugo dalla famiglia.[4]

Tuttavia gli effetti della tragedia si estesero oltre il senso esistenziale di estraneità e alienazione generato. Le dure conseguenze economiche provocarono un cambiamento significativo nella vita quotidiana di Maimonide. Da quell'anno in poi il tempo non fu più a sua disposizione, e i suoi resoconti di vita parlano ripetutamente degli oneri e delle fatiche che ne conseguirono. Rifiutò di ricevere uno stipendio per il suo incarico di rabbino e si dedicò alla medicina per sopravvivere. Esortò il suo discepolo Joseph, allora a Baghdad, di fare lo stesso, dopo averlo ammonito a non farsi mantenere dall'Esilarca o di accettare uno stipendio nel fornire consulenze halakhiche: "Sarebbe meglio per te guadagnarti un solo dracma come tessitore, sarto o falegname piuttosto che dipendere su una licenza dell'Esilarca. Se ti metti a discutere con uno di loro, perderai i tuoi guadagni. E se accetti favori da loro, sarai umiliato. Ti consiglio di dedicarti pienamente al tuo mestiere e praticare la medicina e allo stesso tempo continuare a studiare fedelmente la Torah" (Lettere di Maimonide, p. 83).

La medicina ed il sultano[modifica]

Maimonide ricevette la sua formazione medica in Spagna e nel Maghreb, prima di arrivare in Egitto. Nel suo libro sull'asma parla dei suoi contatti con medici del Marocco. Di una particolare malattia scrisse quanto segue: "Anch'io non l'ho vista in Occidente e nessuno dei miei insegnanti, coi quali studiai, asseriscono di averla vista. Tuttavia, qui in Egitto, nel corso di circa dieci anni, ho visto più di venti persone afflitte da questa malattia" (Scritti medici di Maimonide, Aforismi medici[6]

Maimonide quindi praticò la medicina già quando si trovava nel Maghreb, studiando con i suoi insegnanti (non identificati). La formazione medica in giovane età era un'usanza pedagogica tipica nell'ambito della classe istruita degli ebrei spagnoli durante il Medioevo. La conoscenza della medicina era una risorsa portatile che poteva accompagnare ed essere richiesta ovunque un membro di un gruppo di minoranza si trovasse. La vita di maimonide come profugo dimostra la saggezza nell'avere ricevuto tale formazione. Inoltre, le classi dirigenti spesso preferivano mettersi nelle mani di dottori ebrei e sceglierli come medici di corte poiché difettavano di una qualsiasi base di potere tra la popolazione in generale, ed erano quindi fidati.[1]

La competenza medica permetteva dunque alla élite ebraica un certo grado di influenza, per quanto limitata. Un chiaro esempio viene fornito da Hasdai Ibn Shaprut, che ottenne autorevolezza presso la corte andalusa di Abd al-Raẖman III nel X secolo. Quando Maimonide arrivò in Egitto, Netanel ben Moses (noto in arabo come Hibat Allah Ibn Jami` al-Isra`ili) era il capo della comunità ebraica e serviva anche quale medico di corte, nella cui capacità scrisse alcuni testi medici importanti. Date le opportunità economiche e politiche aperte alla professione medica e la tradizione degli ebrei eruditi, non c'è da meravigliarsi che anche Abraham figlio di Maimonide ricevesse una formazione medica, come ricevette anche il cognato Abu al-Ma`ali, suo nipote e suo allievo, Joseph ben Judah.[4][1]

Per maimonide tuttavia, la pratica della medicina fu più di un'opportunità politica o economica; ebbe anche un ampio significato religioso. Mentre riceveva la sua formazione medica, scrisse quanto segue nel suo Commentario alla Mishnah: "La pratica della medicina apporta molta virtù, conoscenza di Dio, e conseguimento di vera perfezione, e lo studio medico e la ricerca sono tra le occupazioni più grandi" (Otto Capitoli, cap. 5). Un corpo sano è necessario per ottenere la perfezione, che è la conoscenza di Dio, e la medicina pertanto è un modo di servire Dio.[4]

Inoltre il concetto di medicina di Maimonide — coerente con quello di Galeno (II secolo e.v.) e dei medici arabi influenzati da Galeno — vedeva un nesso stretto tra vivere sano e buona salute. Poiché molte malattie risultavano, come egli credeva, da una cattiva nutrizione, si originavano da un consumo indistinto di cibo, spinto solo dal piacere. L'uomo si distingue dagli altri animali in quanto può scegliere il proprio cibo non solo in base al relativo gusto ma anche con lo scopo più importante di promuovere il benessere fisico:

« Poiché se un uomo giunge a mangiare cibo piacevole, gustoso al palato e fragrante, facendosi quindi del male, fors'anche causandosi una malattia pericolosa o morte improvvisa — non differisce dalle bestie. Ciò non è l'azione di un uomo nella sua umanità... Piuttosto, sarà un'azione umana se consuma solo ciò che è utile, a volte mettendo da parte quello che è più saporito e mangiando quello che è sgradevole. »
(Otto capitoli, cap. 5)

Per Maimonide la medicina era prima di tutto la promozione della salute mediante pratiche preventive, cioè la nutrizione appropriata e un tipo di vita assennato. Esiste quindi uno stretto legame tra virtù e salute fisica — un nesso che impartisce una dimensione spirituale e religiosa alla pratica della medicina.[1] Tale concetto condusse maimonide ad includere halakhot di carattere medico nella Mshneh Torah, halakhot intesi ad offrire consiglio per un modo di vita corretto. Il valore preventivo di tale consiglio è enfatizzato dalla promessa che Maimonide incorporò nel capitolo sulla medicina che appare inserita nella sua opera halakhica: "Colui che vive secondo le direzioni che ho dato, ha la mia promessa che non sarà mai ammalato fino alla vecchiaia e la morte; non avrà bisogno di medici e godrà di buona salute per tutta la vita" (Leggi sulle Disposizioni Morali 4:20).

Alla base della connessione tra desiderio sfrenato e malattia sta il ragionamento che la distinzione tra corpo e anima è fittizia dal punto di vista medico. Il dottore deve trattare il paziente e non semplicemente la malattia, e deve fornirgli non solo una ricetta medica ma anche un'educazione su come dirigere i propri desideri e attributi personali. L'atteggiamento psicofisico verso la medicina crea il nesso tra Maimonide l'halakhista e filosofo, e Maimonide il medico. Ibn Sana` al-Mulk, un poeta mussulmano e qadi (arabo: giudice) e ammiratore contemporaneo di Maimonide, descrisse la sua posizione medica come segue: "Galeno guarì il solo corpo; Ibn Imran (=Maimonide) [guarisce] il corpo e anche lo spirito. Per la sua conoscenza, egli sta a capo dei medici della nostra età, e con la sua saggezza egli cura anche la malattia della stoltezza."[4]

Maimonide iniziò a praticare medicina nel 1178. Dopo alcuni anni, come racconta in una lettera scritta nel 1191, raggiunse il massimo della sua carriera medica quando fu nominato medico di al-Faḍil, visir di Saladino. Al-Faḍil, che visse dal 1135 al 1200, era la seconda figura più importante del governo Ayyubida in Egitto; servì Saladino in molti ruoli governativi, dalla riscossione delle entrate all'organizzazione dell'esercito. Quando Saladino stava svolgendo una campagna militare in Siria, al visir, insieme al fratello di Saladino, fu dato l'intero controllo dell'Egitto. Si narra che Saladino dicesse di dovere le sue conquieste non alla spada ma alla penna di al-Faḍil. Oltre a svolgere un ruolo politico centrale, il visir era uomo di lettere e patrono di studiosi, raccogliendo una collezione di manoscritti di grande importanza nella sua biblioteca.[4][1]

Un mebro di tale circolo fu il poeta arabo Ibn Sana` al-Mulk che, come già scritto, conosceva Maimonide come interlocutore e medico. Si può avere idea dell'atmosfera prevalente nei discorsi tra studiosi arabi ed ebrei tenuti presso il circolo di al-Faḍil, dalla relazione diretta del poeta, pubblicata da Franz Rosenthal.[7] Presso la casa del poeta, noto centro di buona conversazione, avvenne una discussione di questioni teologiche tra Abu al-Qasim al-Halabi, identificato come un pensatore sciita nato in Siria che era giunto in Egitto da Aleppo, e Maimonide. Purtroppo manca un riassunto di tale discussione, che avvenne verso il 1186, ma la relazione comunica l'atmosfera speciale che dominava il circolo di al-Faḍil. Si apprende anche che Ibn Sana` al-Mulk, membro della nobiltà sunnita, ospitò un importante personaggio sciita immigrato dalla Siria ed il grande immigrato ebreo andaluso per una discussione su profondi problemi di fede.[7]

Il medico del visir aveva accesso quotidiano al principe mussulmano e si guadagnava quindi la sua fiducia, protezione, ed influenza politica. Ma questo successo come medico fu pagato ad alto prezzo — Maimonide descrive la propria ascesa ed il relativo costo fisico e mentale in una lettera al suo amato discepolo, Joseph ben Judah:

« Ti informo che sono ora rinomato come medico tra i potenti, come il giudice superiore, gli emiri, ed il casato di al-Faḍil e gli altri principi del territorio, coloro a cui non manca niente. Ma per le masse, io rimango fuori portata, e loro non hanno nessun modo di avvicinarmi. E ciò mi costringe a passare un giorno intero al Cairo, curando i malati, e quando ritorno a Fustat, tutto quello che posso fare il resto del giorno e di notte è esaminare i testi medici che ho bisogno di consultare... Come risultato, non ho neanche un momento per studiare la Torah eccetto lo Shabbat, e quanto alle altre scienze, non riesco proprio a studiarle, e la cosa mi danneggia grandemente. »
(Iggerot, p. 313)

Di conseguenza, dopo la morte del fratello, Maimonide fu costretto ad abbandonare il tipo di vita che gli permetteva di dedicarsi giorno e notte a scrivere la Mishneh Torah, permettendosi ora di concentrarsi sulla Torah solo durante lo Shabbat. Prova di tale cambiamento appare nelle lettere di questo periodo, in cui si scusa ripetutamente per la lentezza e brevità dei suoi responsa. Quando uno dei suoi ammiratori in Egitto volle imparare la Torah da lui, Maimonide gli consigliò di venire solo nello Shabbat, poiché altrimenti era oberato di lavoro ed esausto: "Senza dubbio avrai già visto e sentito in che stato mi ritrovo, uno stato annientat[o] fra il mattino e la sera [Giobbe 4:20]. E quando arriva la notte... mi sento male, pieno di sospiri, incapace di star seduto a causa della mia stanchezza, in grado solo di giacere supino" (Iggerot p. 563). Quando i saggi di Lunel gli chiesero di tradurre la Guida in ebraico, egli rispose tristemente: "Ahimè, miei onorati amici, non ho neanche il tempo di scrivere un capitoletto ed è solo per rispetto alla vostra congregazione che mi sono sforzato di scrivervi questa lettera di mio pugno" (Lettere di Maimonide, p. 164). In un'altra missiva inviata a quei saggi, egli collega la perdita del tempo libero alla gabbia d'oro della sua carriera medica: "A complicare la mia condizione fisica, sono gravato da una moltitudine di pazienti, che mi esauriscono e non mi concedono respiro giorno e notte. Purtroppo devo pagare il prezzo della reputazione che si è sparsa perfino nelle nazioni confinanti" (ibid., p. 161). In questa situazione stressante, anche dichiarazioni e lettere importanti venivano spremute da Maimonide sotto pressione; come nel caso della Lettera sull'astrologia che inviò agli studiosi di Montpellier nell'anno 1185 o 1186: "Non me ne vogliate, maestri miei, per la brevità di queste note, come il mio testo rende chiaro che l'ho scritta per soddisfare una necessità presente. Dato che ero tanto occupato con affari di gentili. La Divinità ben sa che, se Rabbi Pinhas non avesse mandato un messaggero che insistette tanto con lui che egli ne fu confuso (2 Re 2:17) e non mi lasciò in pace finché non la scrissi, io non starei ora qui a rispondervi poiché non ho più tempo libero. Perciò, giudicatemi favorevolmente e con indulgenza" (Lettera sull'astrologia, p. 473)

Durante questi anni di lavoro eccessivo, Maimonide scrisse la più grande opera nella storia della filosofia ebraica, La Guida dei perplessi. È possibile che le limitazioni alle quali fu sottoposto mentre la scriveva abbiano avuto un effetto sul suo stile letterario. Nella sua lettera introduttiva alla Guida, Maimonide identifica il pubblico a cui fu rivolta: il suo allievo Joseph ben Judah e altri come lui.[8]

Joseph ben Judah nacque nella città di Sebta (Ceuta), in Marocco, ed emigrò ad Alessandria. Da lì, egli inviò a Maimonide una lettera in rima descrivendo il suo grande desiderio di acquisire saggezza. Maimonide non potè discernere il carattere di Joseph dal poema stesso, ma potè capire il suo intenso desiderio di apprendere e lo accettò come studente a Fustat. Joseph studiò astronomia e matematica con Maimonide, in seguito spostandosi sulla logica — tutte discipline che, a quel tempo, erano un requisito iindispensabile per la metafisica. Durante queste fasi propedeutiche alla metafisica, Maimonide capì che il desiderio di saggezza di questo studente era accompagnato da vero talento.[8] Da quel momento in poi, Maimonide iniziò ad introdurre Joseph ai significati nascosti della Scrittura e alla tradizione metafisica che conosceva: la falsafa aristotelica araba. Tale iniziazione graduale e oculata fu interrotta dalla necessaria partenza di Joseph per Aleppo. Laseparazione spinse Maimonide a scrivere la Guida, che inviò a Joseph pezzo per pezzo:

Brano della Guida dei perplessi in caratteri ebraici
« Quando Dio decretò la nostra separazione e ti trasferisti altrove, questi incontri mi stimolarono ad una risolutezza che mi si era affievolita. La tua assenza mi ha spinto quindi a comporre questo Trattato, che ho creato per te e per quelli come te, per quanto pochi possano essere. L'ho composto in capitoli sparsi. Tutti quelli che sono stati scritti ti raggiungeranno dove sei, uno dopo l'altro. Stammi bene. »
(Guida, Lettera dedicatoria)

Tuttavia la composizione della Guida come serie di epistole inviate ad un singolo studente, capitolo per capitolo, era motivata ben più che da circostanze storiche ed esigenze di scrittura. Questo singolare metodo di scrivere si adatta al carattere esoterico del trattato come opera diretta ad una sola e perplessa persona più che alle masse. Nella prefazione al libro, Maimonide descrive come gli accadde di scriverlo, lo presenta come continuazione di un processo di istruzione personale e misurata, e lo definisce come una raccolta di lettere inviate a Joseph e ad altri come lui, tutte con lo scopo di dirigere il libro esclusivamente ad una classe appropriata di lettori.[8] Similmente, l'invio del libro a Joseph in forma di dispense rappresenta un ingresso graduale nella metafisica ed implica che la struttura del libro — una serie di capitoli piuttosto che una presentazione chiara ed ordinata di un caso — intendeva celare il suo significato. Un lettore che si trova ad esaminare una lettera non indirizzata a lui, deve capire se egli sia tra gli individui perplessi che sono i legittimi destinatari del trattato. Allora, scrivere un libro come una serie di epistole fu un impegno a conservare l'iniziazione personale e graduale di Joseph ben Judah al mondo dei misteri mentre allo stesso tempo si rivolgeva non solo a lui ma anche ad altri in pari condizioni.[8]

La Guida quindi è un libro che in effetti è una lettera. Deve pertanto essere considerata unica nel suo genere, rappresentando un equilibrio tra la serena istruzione orale ed una più ampia diffusione tra tutti coloro che ne siano interessati. Coerentemente con tale impostazione dell'opera, Maimonide ebbe riserve circa la sua disseminazione tra il pubblico in generale e impose dei limiti alla sua tiratura. Si sottolinea ciò nell'ammonimento che inviò a Joseph insieme ad un gruppo di capitoli che gli spedì:

« Ti mando qui sei fascicoli della Guida che ho estratto dagli altri, ed essi completano la prima parte. Sono incerto se ti ho inviato già l'introduzione inclusa con quegli altri oppure no, e quindi te la mando ora. Sono stati copiati soltanto dai devoti dayyan e da Abu al-Maḥasin, trattali quindi con cura e non perderli, in modo che io non sia leso dai gentili o dai molti israeliti malvagi. »
(Iggerot, pp. 310-311)

Una copiatura ed una distribuzione avventate della Guida, che attacca le dottrine prevalenti del Kalam mussulmano e quelli che gli ebrei timorati di Dio credono essere i principi della fede ebraica, poteva danneggiare Maimonide. Questo genere letterario particolare, ed il modo oculato in cui il libro fu scritto e diffuso, dimostra chiaramente come Maimonide considerasse il libro ed il relativo pubblico. Tuttavia tali precauzioni non riuscirono a fornire quel grado di protezione sperato dall'autore. Una volta che le idee furono messe per iscritto e copiate, il libro non fu più sotto il controllo di Maimonide, ed iniziò ad entrare in possesso di coloro che non condividevano le ansie degli intellettuali ebrei nel mondo mussulmano. Videro la Guida come una grave minaccia all'integrità della tradizione ebraica.[8]

Di conseguenza, nel 1232, trenta anni dopo la morte di Maimonide, le sue paure si realizzarono: una violenta controversia sul suo lascito intellettuale scoppiò in Provenza. In questo Kulturkampf, gli opponenti di Maimonide imposero un bando contro chiunque leggesse la Guida, e copie del libro furono bruciate. I germi del conflitto erano già stati seminati quando Maimonide era ancora in vita, dato che la Guida era stata diffusa oltre i circoli degli intellettuali ebrei delle terre mussulmane. Raggiunse i sostenitori di Maimonide in Provenza, dove fu tradotta in ebraico e cadde nelle mani dei suoi avversari.[8] In contrasto con la sua specifica direttiva che la Guida non dovesse essere copiata e disseminata troppo estesamente, Maimonide sperava invece che la sua Mishneh Torah fosse disponibile a tutti gli ebrei, e si diede da fare affinché fosse copiata e diffusa. La versione originale autorizzata dell'opera, scritta di proprio pugno, era archiviata a casa di Maimonide. Da quella editio princeps, corretta a volte da Maimonide stesso, venivano eseguite ulteriori copie; tali manoscritti erano certificati come integri ed autorevoli da una dichiarazione scritta dell'autore che ne approvava e certificava la copia. Queste copie erano inviate a varie comunità e, mentre Maimonide era ancora in vita, il trattato raggiunse tutte le parti della diaspora ebraica, fino all'India. Maimonide seguiva attentamente e accuratamente il fato della Mishneh Torah ed era in grado di fornire un resoconto dettagliato della sua distribuzione, in un'epoca in cui manoscritti e lettere si spostavano al rallentatore. Tale fu infatti il suo resoconto agli studiosi di Montpellier dato verso il 1185, otto anni dopo il completamento della Mishneh Torah: "Sembra che essa (Mishneh Torah) vi arriverà prima di questa risposta, poiché è già diffusa largamente nell'isola di Sicilia, come anche in Occidente ed in Oriente e anche nel Meridione" (Lettera sull'astrologia, p. 464). La presenza del manoscritto della Mishneh Torah in Sicilia assicurava a Maimonide che sarebbe arrivata in Provenza prima della lettera che egli aveva spedito dal Cairo.[4][1]

L'arrivo della Mishneh Torah in Provenza suscitò un notevole trambusto, e l'opera fu ricevuta entusiasticamente nel circolo di studiosi associati con la sala di studio di R. Jonathan Hakohen di Lunel. Questi dotti intellettuali, che avevano corrisposto con Maimonide a riguardo di materie connesse alla Mishneh Torah, e le famiglie andaluse che erano immigrate in Provenza ed erano legate alla cultura natia di Maimonide, erano i suoi principali sostenitori tra gli ebrei che vivevano sotto il dominio cristiano. Ma c'erano coloro in Provenza che vedevano le cose in maniera differente. Mentre i suoi sostenitori consideravano Maimonide come alta autorità, altri rabbini e studiosi provenzali avevano grandi riserve circa la Mishneh Torah, le sue pretese di autorevolezza, e le sue prospettive religiose. A loro capo stava R. Abraham ben David (Ra`abad), un eruditissimo halakhista che era ben dotato ad affrontare la Mishneh Torah in tutta la sua profondità ed estensione, e che l'aveva annotata criticamente mentre Maimonide era in vita. Questi studiosi ed i loro successori si trovarono al centro della controversia che si sviluppò sul Libro della Conoscenza (la prima e più filosofica delle quattordici unità della Mishneh Torah), e sulla Guida.[9][10]

Non fu Maimonide ad avviare la spedizione della Guida in Provenza. Piuttosto, egli rispose alla richiesta di R. Jonathan Hakohen, che ebbe sentore del trattato dopo che insieme ai colleghi aveva già ottenuto copie della Mishneh Torah: "[Ti chiediamo]] di farci il favore di inviarci anche il libro Moreh Nevukhim [la Guida], della cui reputazione abbiamo sentito e che è rinomata in terra d'Egitto." E ancora: "Ti veniamo a chiedere di favorirci in merito anche ai tuoi altri libri, com'è vero che il nostro popolo vive ed i nostri defunti risorgeranno, e ci prostriamo in ammirazione davanti a tali opere. Quando le avremo, avremo tutto" (Iggerot, p.492).

Verso il 1197 Maimonide, che ormai non era più padrone del proprio tempo, inviò le prime due parti della Guida a Lunel, nella versione originale araba. I saggi di Lunel non conscevano l'arabo e diedero il testo a Samuel Ibn Tibbon affinché lo traducesse. L'alta reputazione di Samuel quale discendente di una rinomata famiglia andalusa di traduttori è citata in una lettera di ringraziamento che R. Jonathan Hakohen mandò a Maimonide dopo aver ricevuto le due parti della Guida. La lettera, di pugno dello scrivente, è conservata nella Geniza ed include il seguente brano:

« Hai aumentato la nostra saggezza e benessere, poiché ci hai inviato il libro Moreh Nevukhim... ma sarebbe per noi stato come una pietra nel mortaio, una rosa tra le spine, un libro dato ad analfabeti, se il nostro Creatore non avesse causato che ci fosse tra noi un saggio, dotto in tutta la saggezza, erudito da suo padre nella letteratura e lingua di Arabia, il figlio del glorioso saggio e famoso medico, il rabbino R. Judah Ibn Tibbon, lo Spagnolo. »
(Iggerot, p. 493)

Samuel Ibn Tibbon tradusse le prime due parti della Guida appena ricevute e fece alcune domande a Maimonide in merito alla traduzione. Maimonide aveva sentito buone cose sul conto di Judah Ibn Tibbon, padre di Samuel, dagli andalusi che erano giunti in Egitto, e capì dalle domande di samuel che il figlio, come il padre, era un traduttore eccellente come anche un buon filosofo, che era riuscito a comprendere la profondità del trattato.[11] La forte impressione positiva che il traduttore scelto a Lunel fece su Maimonide risulta evidente dalla sua risposta alle domande postegli:

« Quando le tue lettere in arabo ed in ebraico mi pervennero, mi fecero capire la tua vasta gamma di interessi e raffinatezza di stile. Quando poi ho appreso i tuoi dubbi in merito ad alcuni passi della mia estesa esposizione, La Guida dei perplessi, e gli errori dello scriba che tu vi hai individuato, io ripetei le parole dell'antico poeta: "se solo sapessero la sua discendenza, direbbero che il merito del padre è passato al figlio."
Benedetto il Signore che ha elargito una ricompensa al tuo erudito padre, e gli ha concesso tale figlio... Le questioni che mi poni sono tutte valide, e le omissioni che hai notato di una o più parole in molti punti sono corrette... Tu sei sicuramente ben dotato e qualificato a svolgere il lavoro di traduttore, poiché l'Onnipotente ti ha concesso un cuore atto a comprendere similitudini e parabole, gli epigrammi dei saggi e i loro indovinelli. Ho riconosciuto dalla tua corrispondenza che hai la capacità di scavare nelle profondità di una materia e rivelarne i significati nascosti. »
(Lettere di Maimonide, pp. 131132)

Questa lettera fu spedita il 30 settembre 1199; subito dopo Maimonide inviò a Lunel la terza parte della Guida. Samuel Ibn Tibbon tradusse anche quella, completando l'intero progetto il 7 Tevet (30 novembre) del 1204, appena pochi giorni prima della morte di Maimonide.[11] Il libro, inteso come lettera personale a destinatari scelti, venne aperta a tutti, inclusi quei lettori che non conoscevano l'arabo ed erano estranei alle questioni che avevano preoccupato coloro ai quali il libro era diretto. Non ci volle molto tempo prima che il libro diventasse simultaneamente l'opera più importante e stimata di filosofia ebraica medievale e un'opera che sollevò controversie e dure critiche al punto che i suoi lettori vennero banditi e copie del libro furono distrutte.[8]

Samuel Ibn Tibbon non si accontentò semplicemente di inviare domande a Maimonide. È chiaro dalla lettera di Maimonide che rispondeva alle sue domande, che Samuel voleva incontrare Maimonide faccia a faccia ed era pronto a viaggiare dalla Provenza a Fustat per farlo. Tale incontro presumibilmente era per lui importante non solo per risolvere questioni di traduzione, ma anche — in verità, primariamente — per discutere il significato ed i segreti della Guida.[11] Maimonide rispose che un viaggio così lungo non sarebbe stato utile, poiché gli mancava il tempo di intrattenersi in tali conversazioni. Al massimo, Samuel sarebbe riuscito solo a fargli una breve visita di cortesia, del tutto inutile. Potrebbe essere, come alcuni hanno proposto,[4] che Maimonide rifiutasse la richiesta di Ibn Tibbon per non dovergli spiegare il modo in cui doveva intendere i misteri della Guida. Samuel, come si vedrà, era il primo interprete della Guida come trattato in cui il significato nascosto contende con quelle convinzioni abitualmente ritenute fondamentali nella tradizione ebraica. Le domande poste da Ibn Tibbon aveva permesso a Maimonide di capire in che direzione stesse andando la sua interpretazione, e Maimonide preferì lasciare la materia nell'oscurità. Qualsiasi assenso sull'interpretazione di Ibn Tibbon, anche se dato oralmente e privatamente, sarebbe stato immediatamente pubblicizzato, e ci sono buone ragioni per credere che Maimonide avesse delle apprensioni a permetterlo.[4][8] È ovvio pensare che, senza tali apprensioni, Maimonide avrebbe trovato il tempo di incontrare il traduttore e discutere le sue questioni nonostante le proprie restrizioni di tempo libero. Ma Maimonide preferì addurre tali restrizioni di tempo come ragione del rifiuto di incontrarlo e, facendolo, fornisce uno scorcio interessante dei suoi ultimi anni di vita:

« Risiedo a Misr (Fustat) ed il Sultano risiede ad al-Qahira (Cairo); questi due luoghi distano due giorni di Shabbat [oltre due chilometri] tra di loro. I miei doveri verso il Sultano sono alquanto pesanti. Sono obbligato a visitarlo ogni giorno, al mattino presto; e quando egli o uno dei suoi figli, o le persone del suo harem, sono indisposti, non oso lasciare il Cairo, ma devo stare al palazzo per la maggior parte della giornata. Accade anche frequentemente che uno o due dei funzionari reali si ammalino, ed io devo pensare a curarli. Di regola vado al Cairo molto presto al mattino, ed anche se non accade nulla di particolare, non ritorno a Fustat fino al pomeriggio. E allora son quasi morto di fame. Trovo le mie sale d'aspetto piene di gente, sia ebrei che gentili, nobili e comuni, giudici e amministratori, amici e nemici — una moltiudine mista, che aspetta il mio rientro.
Scendo dalla mia cavalcatura, mi lavo le mani, vado dai miei pazienti e chiedo loro di sopportarmi mentre mangio qualcosa, unico pasto che consumo in ventiquattro ore. Poi mi dedico ai miei pazienti., che vanno e vengono fino a notte, e a volte, ti assicuro solennemente, fino alle due di notte e oltre. Discuto e prescrivo mentre sto sdraiato dalla fatica, e quando cade la notte sono così esausto che non riesco nemmeno a parlare. »
(Lettere di Maimonide, p. 134)

Il medico di corte che esercita presso il più alto potere deve essere pronto a prendersi subito cura di qualsiasi dolore, infermità, o ansia del sovrano e del suo entourage. Nell'atmosfera di sospetto e di complotto che prevale al palazzo, un dottore accusato di negligenza medica — fortuita o intenzionale — correrebbe un grande e serio rischio. La preparazione e disponibilità richiesta da tale professione, e i conseguenti effetti negativi per la vita di Maimonide, sono chiaramente manifesti nel succitato brano epistolare.

Inokltre, la pratica della medicina mise fine alla forza creativa di Maimonide. Dopo aver completato la Guida nel 1191, i suoi impegni letterari furono diretti esclusivamente alla medicina, e negli ultimi tredici anni di vita, scrisse solo trattati medici. Dieci di tali opere sono attribuite con certezza a Maimonide; un'altra è attualmente sottoposta a scrutinio da parte degli esperti maimonidei di medicina.[12] Quattro opere mediche trattano di formazione medica: Estratti da Galeno; Commentario sugli Aforismi di Ippocrate; Glossario di Nomi di Farmaci; Aforismi Medici di Mosè. Questi scritti mostrano una forte influenza di Ippocrate e di Galeno e della medicina araba che li seguiva. La tradizione medica era dominata dalla "teoria dei fluidi e degli umori". La più ambiziosa di queste opere fu Aforismi Medici di Mosè, in cui l'autore aveva lo scopo di organizzare la conoscenza medica in una serie di capitoli ben ordinati, permettendo quindi ai lettori di trovare ciò di cui necessitavano nel vasto corpus di Galeno. Come in altri suoi scritti, Maimonide non ebbe paura di criticare Galeno in quei punti dove pensava che errasse, anche se considerava Galeno il più grande medico di tutti i tempi. Scrivere tale libro gli prese parecchio tempo: Maimonide sembra lo avesse iniziato non più tardi del 1188 e continuasse a scriverlo fino al giorno della sua morte.[12]

Altri cinque volumi di medicina furono scritti in risposta a richieste di importanti ed influenti mussulmani che chiedevano assistenza in problemi medici. Il Trattato sull'asma fu in risposta ad un membro della nobiltà mussulmana che Maimonide non nomina. Quest'uomo, di circa quarant'anni e residente ad Alessandria, chiese a Maimonide di aiutarlo col suo problema. Anche il Trattato sulle emorroidi fu scritto in risposta ad un nobiluomo mussulmano afflitto da tale problema. Maimonide scrisse due trattati in risposta a richieste del Principe al-Afdal, il figlio maggiore di Saladino. A quel tempo, il principe viveva fuori dall'Egitto, e Maimonide l'aveva curato in passato per stitichezza, cattiva digestione, e depressione. Uno dei trattati che ora gli inviò era intitolato Regime di salute. Maimonide credeva che la malattia fosse provocata, in gran parte, da cattiva nutrizione, che porta a difetti nel processo digestivo iniziale nello stomaco e, successivamente, a carenze nella digestione che ha luogo, secondo Galeno, nel fegato e altri organi. Gran parte del libro è quindi dedicato ad una guida generale sulla nutrizione giusta. Per esempio, raccomanda di evitare grassi, frutta cruda, e farina bianca, consigliando di non mangiare prima di andare a dormire. È preferibile mangiare ad orari preordinati e solo quando si ha fame, e di non mangiare fino al punto di essere completamente sazi. È bene esercitarsi prima di mangiare e di esser cauti nel esercitare un'attività eccessiva dopo i pasti. Il vino aiuta la digestione se bevuto in quantità moderate durante il pasto.[12]

La seconda opera inviata al Principe al-Afdal fu Sulle cause dei sintomi. Il principe stava facendo pressioni affinché Maimonide lo andasse a curare personalmente, e Maimonide, coerente con la tradizione di lusingare i potenti, gli disse che nulla lo avrebbe deliziato di più che mettersi in viaggio e andare a curarlo. Purtroppo però, la vecchiaia e la difficoltà del tragitto gli impedivano di farlo. Invece di andare da lui personalmente, Maimoniode inviò al principe un trattato medico. È evidente da tale trattato che a Maimonide venne chiesto, tra le altre cose, di valutare i consigli medici forniti dai dottori della corte del principe. Le decisioni di Maimonide in merito ai disaccordi tra gli altri dottori rivelano un aspetto importante del suo pensiero medico. Era del parere che l'intervento medico potesse spesso essere pericoloso se basato solamente su congetture e speculazione. In tali casi, era preferibile permettere alla natura di fare il suo decorso. Ciò era vero nel caso del principe, dato che Maimonide capiva che i suoi problemi erano di ordinaria amministrazione e un intervento frettoloso avrebbe provocato effetti collaterali. Oltre ai problemi ordinari del principe, questi soffriva di emorroidi e irregolarità cardiache, e Maimonide raccomandò un elisir escogitato dalla scuola di Ibn Sina (Avicenna). Raccomandò al principe — che pare essere stato un vero ipocondriaco — di seguire un regime quotidiano fisso, che includesse amici piacevoli, letture, musica e riposo, tutte cose che gli avrebbero lenito la depressione.[12]

Un altro trattato scritto da Maimonide per un nobile mussulmano è intitolato Trattato sulla coabitazione. Il nobiluomo, non identificato, chiese l'aiuto di Maimonide perché era preoccupato circa un abbassamento delle prestazioni sessuali. Maimonide credeva che un'eccessiva attività sessuale fosse impropria, specialmente se fatta solo per una ricerca di piacere, e potesse essere dannosa alla salute. Così, per esempio, quando il Principe al-Afdal confidò a Maimonide la propria riduzione di attività sessuale, quest'ultimo lo esortò a continuare tale riduzione senza darsi pensiero. Ma il nobiluomo non meglio identificato fece capire a Maimonide di non essere per nulla interessato ad una risposta di tal genere. Aveva infatti un harem di diverse donne che egli doveva soddisfare, e chiese urgentemente a Maimonide di farlo migliorare nella sua potenza sessuale. Il saggio scritto in risposta fornisce una vasta gamma di consigli per aumentare tale potenza: cibi che incrementano la produzione di sperma e cibi che dovrebbero essere evitati; certi elisir che aumentano l'abilità sessuale; unguenti, bagni, e massaggi a specifiche parti del corpo; partner che sono particolarmente raccomandati e partner che dovrebbero essere evitati; e la necessaria preparazione mentale. È ovvio assumere che il trattato fosse stato scritto dalla prospettiva di un medico che capisce che qualunque cosa consigli non cambierà mai le abitudini basilari del paziente. In queste circostanze, il meglio che si possa fare è aiutarlo a vivere la propria vita senza frustrazioni e amarezze.[12][4]

Su richiesta del suo più grande patrono alla corte del Sultano, il visir al-Faḍil, Maimonide scrisse un libro intitolato Trattato sui veleni e i loro antidoti. Inteso per un vasto pubblico, il libro dettaglia, tra le altre cose, i modi di prevenire e curare i morsi di serpente. Fu scritto durante il Ramadan, come atto di carità elargito dal sovrano ai propri sudditi.[12]

Dalla sua lettera a Samuel Ibn Tibbon, si capisce che la rinomanza di Maimonide come medico andò ben oltre il palazzo e la classe superiore dei mussulmani che serviva.[11] In una lettera scritta otto anni prima a Joseph ben Judah, Maimonide dichiara per la prima volta di essere diventato medico di corte. Descrive il suo lavoro come dottore e scrive affermando di servire esclusivamente la classe governante superiore: "Ma per quanto riguarda le masse, sono al di là della loro portata, e non hanno modo di avvicinarmi." Secondo questa lettera, quando ogni giorno ritornava a Fustat dopo aver lavorato al palazzo, dedicava il suo tempo agli studi medici per migliorare le sue prestazioni. Durante lo stesso periodo, quando aveva ancora la facoltà di rifiutare le richieste di servizi medici alle masse, ebbe tempo di scrivere la Guida dei perplessi.[11] Nel 1199, quando scrisse la lettera a Samuel Ibn Tibbon, la diga si era sfondata e Maimonide aveva perso qualsiasi controllo sul proprio tempo. Quando ritornava dalle sue prestazioni in corte, trovava una grande folla in attesa del suo rientro e che cercava le sue consulenze mediche. Trattare i disturbi di questi pazienti procedeva fino a notte, e Maimonide esausto visitava i malati stando sdraiato sul suo divano.[12]

Alla fine del 1204, il 20 Tevet, Maimonide morì. Secondo il resoconto di al-Qifti, fu sepolto a Tiberiade: "Aveva chiesto in anticipo ai suoi eredi che lo trasportassero, una volta che lo spirito l'avesse lasciato, al Mar di Galilea e lì lo seppellissero, in un luogo dedicato alle tombe degli ebrei e dei loro grandi studiosi della Torah, e ciò fu fatto per lui." (Iggerot, p. 578, note).[4]

Note[modifica]

  1. 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 Joel L. Kraemer, Maimonides: The Life and World of One of Civilization's Greatest Minds, Doubleday, 2008, Parti 3-4, pp. 125-292 e passim.
  2. 2,0 2,1 Sarah Stroumsa, Maimonides and His World: Portrait of a Mediterranean Thinker, Princeton University Press, 2009, pp. 125-152.
  3. Quando apposta, l'abbreviazione "R." sta per "Rabbi/Rabbino".
  4. 4,00 4,01 4,02 4,03 4,04 4,05 4,06 4,07 4,08 4,09 4,10 4,11 Moshe Halbertal, Maimonides. Life and Thought, Princeton University Press, 2014, pp. 56-74.
  5. 5,0 5,1 Shlomo Dov Goitein, "Moses Maimonides, Man of Action: A Revision of the Master's Biography in Light of Geniza Documents", Hommage a Geroges Vajda, Peeters Press, 1980, pp. 155-167.
  6. Maimonides` Medical Writings, voll. 1-7, cur & trad. Fred Rosner, Maimonides Research Institute, 1984. Questa vasta opera è citata o parafrasata nel testo ogni volta che vengono riportati pareri medici maimonidei.
  7. 7,0 7,1 Franz Rosenthal, "Maimonides and a Discussion of Muslim Speculative Theology", Jewish Tradition in the Diaspora, Judah L. Magnes Memorial Museum, 1981, pp. 109-112.
  8. 8,0 8,1 8,2 8,3 8,4 8,5 8,6 8,7 Kenneth Seeskin, Maimonides: A Guide for Today's Perplexed, Behrman House, 1991, pp. 4-7.
  9. David Hartman, Crisis and Leadership: The Epistles of Maimonides, Jewish Publication Society, 1985, Introd., pp. 3-12 & passim.
  10. Leo Strauss, "Notes on Maimonides` Book of Knowledge", Studies in Mysticism and Religion Presented to Gershom G. Scholem, Magnes Press, 1967, pp. 269-283.
  11. 11,0 11,1 11,2 11,3 11,4 Carlos Frankel, From Maimonides to Samuel Ibn Tibbon, Magnes Press, 2008, pp. 97-101 (in ebr.)
  12. 12,0 12,1 12,2 12,3 12,4 12,5 12,6 Herbert Alan Davidson, Moses Maimonides the Man and His Works, Oxford University Press, 2005, cap. 8, pp. 429-482.