Storia della letteratura italiana/Matteo Maria Boiardo
Il ciclo carolingio e il paladino Orlando sono al centro dell'opera di un altro grande della letteratura italiana del Quattrocento, Matteo Maria Boiardo, attivo alla corte estense di Ferrara e autore dell'Orlando innamorato. Il suo poema cavalleresco fornirà a Ludovico Ariosto, anch'egli legato alla corte estense, lo spunto per la sua grande opera, l'Orlando furioso. Boiardo viene però ricordato anche per la raccolta di liriche Amorum libri, ispirata dall'amore per la nobildonna reggiana Antonia Caprara.
I signori di Ferrara avevano saputo favorire la formazione di una letteratura in volgare che, pur rifacendosi alla letteratura in toscano, puntava a conferire dignità anche al volgare ferrarese. Questa politica culturale fu inaugurata con la signoria di Niccolò III (1393-1441) e fu portata avanti dai successori Leonello (1441-1450), Borso (1450-1471) ed Ercole I (1471-1505). Principali animatori furono Donato Albanzani (Pratovecchio, prima del 1328 – Ferrara, dopo il 1411), Giovanni Aurispa (Noto, 1376 – Ferrara, 1459) e soprattutto Guarino Veronese (Verona, 1374 – Ferrara, 4 dicembre 1460) e il figlio Battista Guarino (Ferrara, 1435 – Ferrara, 1503), che diffusero il platonismo a Ferrara fondando una duratura tradizione nella corte.[1]
La vita
[modifica | modifica sorgente]Figlio di Giovanni e di Lucia Strozzi, sorella del poeta Tito Vespasiano Strozzi (Ferrara, 1424 – 1505 circa), Matteo Maria nasce a Scandiano, feudo comitale dei Boiardo, tra il 21 maggio e il 21 giugno del 1441. Trasferitosi colla famiglia a Reggio e rimasto orfano di padre nel 1451, va a vivere presso il nonno, Feltrino Boiardo, tornando dunque a Scandiano.
Suoi precettori sono il nonno (uomo di grande cultura, tanto che, settuagenario, si era iscritto a un corso di diritto canonico per curiosità e interesse di apprendere) e un certo Bartolomeo da Prato, cappellano e sacerdote. Boiardo è istruito alla letteratura classica: probabilmente ha qualche conoscenza rudimentale della lingua greca ma si dedica maggiormente alla latina, affiancando a queste un vivo interesse per Petrarca e Dante. Nel 1456 l'amatissimo nonno Feltrino muore e nel 1460 si spegne anche l'affezionatissimo zio Ascanio. Boiardo termina così la propria formazione e si dedica esclusivamente all'amministrazione del feudo di Scandiano.
Si presenta al Consiglio degli Anziani di Reggio garantendo il proprio interessamento a mantenere vivi i buoni rapporti tra la casata dei Boiardo e la città. Per appoggiarsi alla potente casata materna degli Strozzi sceglie di trasferirsi nella capitale del marchesato, Ferrara, dove si trasferisce nel 1461 andando a vivere alla corte di Borso d'Este. Qui incontra lo zio Tito Vespasiano Strozzi, Guarini, Bartolomeo Paganelli e altri celebri letterati del tempo. Si affeziona anche alle corti di Modena, tenuta da Ercole d'Este, e Reggio, appartenuta a Sigismondo d'Este. L'attrazione per questa seconda corte è legata alla relazione con Antonia Caprara, la "musa" ispiratrice della poesia di Boiardo. Si è risaliti all'identificazione della Caprara grazie a un registro parrocchiale: risulta infatti essere stata battezzata una donna con questo nome il 31 ottobre 1451 nella chiesa di San Giovanni di Reggio. Di questa fanciulla, a parte il nome, individuato anche tramite acrostici presenti nelle poesie degli Amorum libri, non si sa nient'altro. Descritta come bella e volubile nelle opere di Boiardo, si può dunque intuire che l'amore tra i due non fosse pienamente corrisposto.
Boiardo lascia l'Emilia nel marzo del 1471 per accompagnare Borso d'Este a Roma alla cerimonia in cui il papa Paolo II ufficializza l'ascesa di Borso come signore di Ferrara e l'elevazione degli Este al titolo di duchi. Nella primavera del 1473 Boiardo accompagna in una grandiosa cavalcata Ercole I, succeduto al fratello Borso, fino a Napoli per andare a prelevare la sua sposa Eleonora d'Aragona.
Nell'estate del 1473 esplode a Reggio la controversia del canale del Secchia: tale manufatto portava l'acqua dal fiume che scorre presso la città ai campi del contado, ma i reggiani erano stati danneggiati da un'azione dei carpigiani che, appoggiati dal loro signore, Marco Pio, avevano l'argine del canale sotto Casalgrande, di cui era conte proprio Boiardo, titolo, questo, ereditato analogamente a quello di conte di Scandiano. Boiardo chiede al Consiglio degli Anziani di Reggio l'autorizzazione a brandire le armi contro i signori Pii di Carpi per porre fine alla questione in quanto anch'egli risultava gravemente danneggiato dall'abuso.
Da ciò deriva un contrasto familiare: la vedova dello zio paterno Ascanio, Taddea Pio, sorella del signore di Carpi, si oppone al nipote per gli interessi dei parenti, in particolare dei nipoti e dei figli, altri parenti del ramo dei Boiardo che traevano vantaggio dalla rottura dell'argine a Casalgrande. L'irrisolvibile querelle porta a un tentativo di avvelenamento di Boiardo architettato dal cancelliere di Giovanni Boiardo, cugino del poeta, figlio del defunto Ascanio e di Taddea. Tuttavia un servo di Matteo, Boioni, chiamato a far parte del delitto, avverte il padrone: Boiardo ordina al delatore di fingere di assecondare l'invito dei cospiratori per poi catturare e imprigionare Boioni e procurarsi la prova del delitto, il veleno stesso, per portarlo di fronte al duca.
Ercole non può tuttavia soddisfare le istanze del Boiardo perché il potere dei Pii di Carpi è troppo ampio. Per tale motivo la colpa è gettata interamente su Boioni, esiliato e poi successivamente graziato. Le cause e le sentenze dei magistrati non accontentano Boiardo dato che, di fatto, la zia Taddea e il cugino Giovanni l'hanno vinta. Per risolvere qualsiasi futura questione decide di scindere il feudo in due parti: una, comprendente Arceto, attuale frazione di Scandiano, è data al cugino Giovanni, più vicina a Carpi e dunque agli interessi di Taddea Pio. Boiardo si tiene il resto del feudo. Muore nel 1494 ed è tumulato nella cripta di famiglia della chiesa di Santa Maria, a Scandiano. I Boiardo terranno il feudo fino al 1560.
Gli Amorum libri e le opere minori
[modifica | modifica sorgente]La raccolta degli Amorum libri (nota anche come Canzoniere) si compone di 180 testi, scritti fra il 1469 e il 1471, ordinati secondo uno schema preciso:
- il Libro I esprime la gioia per l'amore corrisposto;
- il Libro II affronta il dolore per il tradimento della donna amata;
- il Libro III dà voce all'aspirazione a un'elevazione spirituale.
Ciascun libro comprende 50 sonetti e 10 liriche di altro verso. I componimenti cantano l'amore per una certa Antonia Caprara, conosciuta dal poeta a Reggio. Seppure il principale modello sia il Canzoniere di Petrarca, si possono osservare differenze evidenti, sia nella vitalità della rappresentazione della natura (ricca di luci, colori, sensazioni), sia nel lingua usata, che conserva una forte impronta emiliana. Altri modelli sono Ovidio (da cui Boiardo prende il titolo dell'opera) e lo stilnovo. In ogni caso, gli Amorum libri sono l'opera lirica più alta che sia stata composta in quegli anni fuori dalla Toscana.[2]
A Boiardo si devono varie altre opere minori, per lo più legate alla vita di corte. Compone alcuni scritti encomiastici in latino, come i Carmina de laudibus Estensium, i Pastoralia e gli Epigrammata. Per Ercole I traduce alcune opere dal latino, compresi alcuni testi scritti originariamente in greco: la Ciropedia di Senofonte, le Vite di Cornelio, il Chronicon di Ricobaldo, il Timone di Luciano di Samosata. Per celebrare la guerra tra Venezia e Ferrara (1482-1484) compone dieci Ecloghe in volgare. Bisogna infine ricordare i Tarocchi, una serie di brevi versi da scrivere sulle carte da gioco.[3]
Orlando innamorato
[modifica | modifica sorgente]Per leggere su Wikisource il testo originale, vedi Orlando innamorato
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Il poema, senza dubbio il capolavoro di Boiardo, riprende con grande fantasia e gusto narrativo i temi e i personaggi dei romanzi cortesi, ancora molto diffusi e apprezzati a Ferrara e nell'Italia centro-settentrionale, tanto presso il pubblico colto quanto presso il popolo. Con l'Innamorato si completa la fusione tra i due principali filoni narrativi preesistenti nella poesia epica, ossia il ciclo carolingio (Carlo Magno e i suoi paladini) e il ciclo bretone (i cavalieri della Tavola Rotonda), iniziata nei secoli precedenti.[4]
Il poema in ottave, molto ampio, rimane incompiuto a causa della morte del poeta, avvenuta in un periodo assai grave per l'Italia, con la discesa dei francesi di Carlo VIII, cui fanno esplicito riferimento gli ultimi versi. Il poema ebbe grande successo, poiché interpretava con sensibilità umanistica i valori cortesi dell'epoca feudale ormai al tramonto. Ludovico Ariosto riprese la trama dell'Orlando innamorato per il suo Orlando furioso proprio nel punto in cui Boiardo s'era interrotto.
Composizione e struttura
[modifica | modifica sorgente]Boiardo inizia a lavorare all'Orlando innamorato nel 1476 e prosegue fino alla morte. Il poema si compone di tre parti o libri. I primi due, composti rispettivamente di 29 e 31 canti, vengono pubblicati a Reggio nel 1483. Il terzo, incompiuto, si ferma al nono canto.
Come Pulci, anche Boiardo riprende la materia del suo cantare dal ciclo carolingio e dalla tradizione popolare, trasfigurandola però in una direzione umanistico-cavalleresca. L'amore diventa il motore dell'azione, ed è tutt'uno con la cortesia, la cavalleria e l'eroismo, cioè quei valori ideali che la nuova cultura umanistica e cortese stava diffondendo in quegli anni. Questi valori moderni vengono celebrati attraverso i paladini che, presi dall'amore per la bella Angelica, la inseguono dando origine a una fitta rete di avventure.[5]
Il racconto procede attraverso mille avventure: si intrecciano tra di loro numerosi fili, corrispondenti ad altrettanti personaggi diversi, secondo il procedimento noto come entrelacement. La narrazione sembra potersi estendere all'infinito. Ogni vicenda viene seguita fino a un certo punto e poi abbandonata per passare a un'altra avventura, in un continuo andare e tornare da un'avventura all'altra.
Il poema presenta inoltre le caratteristiche di un testo scritto per coinvolgere gli ascoltatori: l'autore trasmette al pubblico la sua gioia di narrare, creando un rapporto di complicità. A questo effetto concorrono anche alcuni elementi provenienti dai cantari popolari che Boiardo ha mantenuto nella sua opera, come la ripetizione di formule stereotipate e l'affermazione che i fatti narrati sono tutti veri. L'autore fa inoltre scherzoso riferimento a una fonte scritta, un libro di Turpino.[6]
La lingua
[modifica | modifica sorgente]La lingua dell'Orlando innamorato riflette la vitalità della struttura narrativa. Boiardo è distante dalle rigide codificazioni classiche che, nel Cinquecento, saranno difese da Bembo. Su un fondo toscano innesta elementi provenienti dai dialetti della Val padana, a cui si aggiungono reminiscenze latine. Il risultato è un effetto di immediatezza che accompagna lo slancio della narrazione. Questo però sarà anche il motivo per cui i letterati cinquecenteschi guarderanno con sospetto all'opera di Boiardo, che verrà accusato di scarso rigore stilistico. Si spiega così l'oblio in cui, a partire dal XVI secolo, è caduto l'Orlando innamorato.[7]
Le tematiche: le armi e l'amore
[modifica | modifica sorgente]L'Orlando innamorato, come si è visto, è espressione piena del sistema di valori che dominavano le corti italiane del Quattrocento. Tutto il poema ruota attorno ai temi dell'amore e delle armi. Boiardo sente profondamente gli ideali cavallereschi di cui parla, ed è convinto che possano tornare a vivere nella corte ferrarese. Tuttavia, il mondo di cui canta non è più quello medievale. La cavalleria è stata svuotata dei princìpi religiosi e riempita dei nuovi valori diffusi dall'Umanesimo.
La prodezza dei cavalieri non è più un'espressione di forza e di superiorità, ma è l'affermazione della virtù dell'uomo libero, di chi è in grado di superare le traversie e vincere sulla Fortuna. È quindi una manifestazione di individualismo, che mira all'affermazione di sé e alla ricerca della gloria personale. La cortesia e la lealtà si traducono quindi negli ideali moderni di tolleranza verso i nemici e verso chi ha una diversa fede. Ma tutto questo non basta: l'ideale umano deve essere integrato e raffinato dalla cultura e dalle doti intellettuali (Orlando fa mostra di sapere discettare di filosofia, e questo lo rende superiore ai suoi avversari più rozzi).
Anche l'amore è ormai lontano dalla concezione medievale e cortese. Per Boiardo è un'ulteriore espressione, insieme alla cavalleria, del senso gioioso della vita che anima tutto il poema. Armi e amore sono tra di loro inscindibili e rispondono alla visione edonista e laica della vita tipica del Rinascimento. Questa trova una degna rappresentazione nel personaggio di Angelica: non più una figura idealizzata o stereotipata come nella letteratura precedente, ma una donna con una complessa psicologia, seducente e capricciosa, volta a soddisfare le esigenze della sua passione amorosa. Lo stesso nome Angelica può essere interpretato come un'allusione maliziosa alle donne angelicate della poesia stilnovista.[8]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 223.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, pp. 224-225.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 224.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 83.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, pp. 225-226.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 85.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 85-86.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 84-85.
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