Ispirazione mistica/Capitolo 14

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Il Cabalista, di Ephraim Moses Lilien (1905)

Hasidismo: Un nuovo paradigma[modifica]

Per approfondire, vedi Rivelazione e Cabala, Messianismo Chabad e la redenzione del mondo e Ebraismo chassidico.

Lo Tsadik come fondamento del mondo[modifica]

Dopo l'età d'oro di Safed nel XVI secolo, la Cabala si diffuse ulteriormente nella società ebraica europea nei secoli XVII e XVIII, trasformata attraverso gli insegnamenti di Isaac Luria. Le associazioni di cabalisti continuarono a incontrarsi in piccoli gruppi proprio come ai tempi di Luria; il simbolismo e la teosofia di Luria penetrarono tutta la vita ebraica, anche tra i noncabalisti. Gli insegnamenti esoterici furono trasmessi da maestro a discepolo, da una generazione all'altra. I cabalisti erano un'élite di persone colte, interessate al simbolismo astratto di Dio e ai reami divini; lo scopo delle loro meditazioni era influenzare le relazioni di potere all'interno del reame divino e stimolare la venuta del messia. Sebbene nel sedicesimo secolo Rabbi Judah Loew di Praga (il Maharal) avesse aperto la strada alla semplificazione della Cabala e a renderla rilevante per l'uomo comune, la maggioranza dei cabalisti aderiva ancora al vecchio modello.

Lo stile di vita dei cabalisti era chiamato hasidut (pietà) e i membri delle comunità cabalistiche erano spesso chiamati hasidim, il termine usato per mistici e devoti in molti periodi storici. “Their purpose was to hasten redemption of the Shekhinah by withdrawing themselves from this world – the world of evil and exile – and seek proximity to the higher realms, of good and redemption”.[1] I hasidim cabalisti erano caratterizzati dal loro status di élite, dallo stile di vita ascetico e da pratiche complesse e segrete. Poiché il movimento hasidico che più tardi si sviluppò nella Polonia del XVIII secolo condivideva per i suoi aderenti la stessa terminologia dei hasidim cabalisti, gli studiosi hanno spesso chiamato i hasidim cabalisti "hasidim vecchio stile".

In un certo senso, il hasidismo era una continuazione della Cabala, ma ne tolse l'eccessivo simbolismo, il rigido ascetismo e le complicate forme di culto e meditazione. Al posto delle penitenze ascetiche della Cabala, il hasidismo sottolineava un culto basato sulla gioia. La via per raggiungere Dio si trasformò da dottrina segreta per l'élite in un movimento popolare incentrato sui maestri viventi, o tsadikim, che fungevano da intermediari per i loro discepoli con i reami divini.

Il hasidismo, quindi, era (e continua ad essere) l'anello più recente nella catena del misticismo ebraico che si estende dall'antica letteratura e pratiche heikhalot e merkavah, alla prima e successiva Cabala, fino al diciottesimo secolo e al mondo moderno. Tuttavia è anche rivoluzionario in quanto applica i principi cabalistici alla popolazione in generale, portando il divino in ogni aspetto della vita in modo che tutta l'esistenza sia toccata dalla dimensione spirituale e ogni persona abbia il potenziale per essere redenta.

La Cabala era stata screditata in una certa misura a causa della sua associazione con Sabbatai Zevi. Tuttavia, molti ebrei erano ancora profondamente influenzati dalla pretesa messianica di Sabbatai e dal suo uso del simbolismo cabalistico nello spiegare la sua missione di liberare il bene e il santo dal reame del male. Spesso c’era confusione nella mente delle masse su quali aspetti degli insegnamenti di Sabbatai potessero essere preservati e quali invece dovessero essere respinti. La paura di essere collegati a Sabbatai e ai suoi seguaci spinse la Cabala ancora più nella clandestinità, nella sicurezza di piccoli gruppi elitari di cabalisti in cui tutti si conoscevano intimamente.

E, per quanto Sabbatai fosse ufficialmente denigrato, e perfino pronunciare il suo nome fosse diventato un tabù, il concetto del maestro incarnato in Sabbatai – come un essere quasi soprannaturale che, attraverso la sua influenza spirituale, poteva salvare le anime – anticipò il concetto hasidico dello tsadik. In effetti, è probabile che se Sabbatai non fosse esistito, non ci sarebbero stati precedenti per l'accettazione di un mediatore umano con il divino nella misura in cui fu adottato nel hasidismo. È come se, per una certa ironia della storia, fosse lui stesso il modello dello tsadik.

Contesto sociale[modifica]

Gli ebrei avevano iniziato a emigrare in Polonia, Russia e Ucraina nel XVI secolo, come rifugio dall'oppressione che stavano subendo nell’Europa meridionale. Trovarono un'atmosfera di tolleranza e prosperità in cui la vita ebraica fiorì e lo studio della Torah raggiunse grandi vette con illustri insegnanti. Verso la metà del XVII secolo, tuttavia, le condizioni in Polonia cominciarono a degenerare e nel XVIII secolo la vita era diventata estremamente dura. Nel 1648 il conte ucraino Chmielnicki guidò bande armate di cosacchi in una serie di pogrom contro gli ebrei – tra i 100 000 e i 500 000 furono uccisi (nessuno comunque conosce il numero esatto). Seguirono invasioni dalla Svezia e da altri paesi, in cui furono sempre presi di mira gli ebrei. Molte città furono completamente distrutte. La comunità ebraica fu notevolmente indebolita e la vita ebraica andò in declino. Ci fu una vasta oppressione da parte dei nobili e dei funzionari della chiesa, poiché gli ebrei divennero praticamente schiavi, vulnerabili e incapaci di difendersi. Il fascino di figure messianiche come Jacob Frank e Moses Hayim Luzzatto si fece sentire, ma fu limitato a piccoli gruppi di discepoli o comunità specifiche. L'uomo comune non aveva nessuno a cui rivolgersi.

Decadimento spirituale[modifica]

Il declino della vita ebraica era visibile anche nel decadimento spirituale interiore, nella corruzione della leadership religiosa e nell'alienazione della gente comune. Tradizionalmente i rabbini avrebbero dovuto fornire guida alla comunità nelle questioni della vita quotidiana e nel culto prescritto. Tuttavia, nel corso del tempo, lo studio della Torah era degenerato in infinite discussioni cavillose su punti delicati del testo e della legge, e i bisogni religiosi della gente comune venivano trascurati. I rabbini studiavano i testi religiosi per ostentare la loro conoscenza e non per aiutare la gente. Servivano i bisogni dei ricchi e trascuravano gli am ha-arets (il semplice “uomo della terra”). In alcuni casi avevano addirittura acquistato le loro posizioni da funzionari governativi. Le preghiere avevano perso la loro scintilla di spiritualità. Si ripetevano in modo superficiale e mancava la devozione interiore.

Lo studioso Samuel Dresner ha condotto uno studio approfondito del primo hasidismo e dell'ambiente religioso e sociale dell'epoca. Attraverso le sue traduzioni degli scritti di Ya’akov Yosef di Polnoy (1710–1784), uno stretto discepolo del Ba’al Shem Tov (il primo maestro chassidico), possiamo ottenere un quadro della degenerazione della vita ebraica durante questo periodo. Racconta la seguente parabola sulla perdita dell'ispirazione spirituale:

« An apprentice learned his trade from a blacksmith. After he had mastered it, he made a list, point after point, of how to go about his craft. But he neglected to note down that he should first ignite a spark for the fire, as this was obvious.
When he went to work at the king’s palace, he was unable to perform his duties as he had forgotten to light the spark. Finally he returned to his master, who reminded him of the first principle, which he had forgotten. »
(Ya’akov Yosef, Tsofenat paneah[2])

Il fuoco della devozione si era spento a causa della mancanza di guida spirituale. Ya’akov Yosef scrisse in modo eloquente del terribile abisso, del baratro che divideva gli studiosi religiosi dal popolo. Parlava degli abusi dei rabbini e dell'“orgoglio dei dotti” e sottolineava che c'era un urgente bisogno di un legame per sanare questa spaccatura. Usò l'esempio della Shekhinah, lo spirito santo che è in esilio dal suo amato, per illustrare quanto fosse profondo e devastante l'abisso e come influisse anche sul divino. Perché se le persone non hanno un'adeguata guida spirituale, non ci sarà nessuno che le avvicini a Dio. Dio desidera l'amore del Suo popolo, quindi la corruzione della leadership spirituale significa che Dio stesso sperimenta la perdita della loro devozione, “poiché la Shekhinah è in esilio, perché non abbiamo nessun leader, nessuno che ci dia forza”.[3]

Il Ba’al Shem Tov[modifica]

Firma del Besht
Firma del Besht
Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Ba'al Shem Tov.

Fu in questa atmosfera che tra gli ebrei apparve un diverso tipo di maestro spirituale: il mistico che si staccò dalla complessità della Cabala e dallo studio religioso tradizionale, che offrì la liberazione all'anima dell'uomo comune, che riaccese il fuoco della spiritualità. Si trattava di Israel ben Eliezer, noto come Ba’al Shem Tov (maestro del buon nome), spesso chiamato semplicemente Besht, acronimo del suo nome.

I primi anni di vita del Ba’al Shem Tov sono oscurati dalla leggenda, non diversamente dalle storie dei primi anni di vita di molti santi e santoni in diverse culture. Le prime storie registrate su di lui sono conservate in una raccolta chiamata Shivhei ha-Besht (tradotta in inglese come In Praise of the Ba’al Shem Tov). Nato nel 1698 a Okup, un piccolo villaggio al confine russo-polacco, Israel rimase orfano in tenera età. Da ragazzo sembrava piuttosto ordinario e perfino poco intelligente, e quando crebbe non mostrò affatto la genialità o la comprensione dei testi religiosi che sarebbero richieste ad un uomo pio. Si accontentava invece di vagare nelle foreste godendosi la solitudine e la compagnia degli animali. Una volta terminata la scuola, al giovane Israel fu offerto un lavoro come aiutante nella sinagoga locale.

Alla maggior parte delle persone appariva come un sempliciotto. Anche il suo futuro cognato cercò di scoraggiare la sorella dallo sposarlo, nonostante un contratto firmato dal padre, poiché pensava che il giovane Israel ignorasse il Talmud e la legge ebraica. Dopo il matrimonio, Israel trascorse un lungo periodo da recluso, cosa che lo preparò al suo ruolo di maestro spirituale. In Praise of the Ba’al Shem Tov narra la storia:

« He lived in a small village and made his living by keeping a tavern. After he brought brandy to his wife he would cross the river Prut and retire into seclusion in a house-like crevice that was cut into the mountain. He used to take one loaf of bread for one meal and eat once a week. He endured this way of life for several years. On the eve of the holy Sabbath he used to return home. His brother-in- law, Rabbi Gershon of Kotov, thought him to be an ignorant and boorish person, and he used to try to persuade his sister to obtain a divorce from him. But she refused since she knew his secret but did not reveal it to anybody. »
(Ben-Amos e Mintz, trad. & cur., In Praise of the Ba’al Shem Tov, §19, p. 34)

Successivamente, il Ba’al Shem Tov si trasferì da Okup in un'altra città dove lavorò come assistente dell'insegnante locale. E poi, quando rivelò la sua vera statura spirituale, si trasferì a Miedzybozh, nell'Ucraina occidentale, dove assunse il ruolo di maestro spirituale per un piccolo gruppo di discepoli che scelsero di vivere vicino a lui, e per molti altri che lo avrebbero visitato di tanto in tanto. Visse lì fino alla sua morte nel 1760.

« From the mid-1730’s on,... the Ba’al Shem Tov appears to be at the center of a group of men who see him as a source of inspiration and authority. These men, referred to in Shivhei ha-Besht as anshei segulato [his treasured people] all outranked him in family background, social status, and education... They saw him as having extraordinary mystical and spiritual qualities, as being endowed with inspiration and the gift of prophecy. »
(Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 66)

Una storia in In Praise of the Ba’al Shem Tov mostra la riverenza con cui veniva tenuto il Besht. Inizia con il Besht che rivela la sua vera identità a uno studente di Rabbi Gershon. Gershon quindi ordina allo studente di andare dalla grande setta di cabalisti della città (che lui chiama hasidim) e anche dal rabbino della comunità e dire quanto segue:

« “There is a great light living near your community, and it will be worthwhile for you to seek him out and bring him to the town.”
When all the hasidim and the rabbi heard these things, they decided that it must refer to the Besht. . . . All of them went to his village to invite him to come to town. The Besht had foreseen what would happen and he went toward the town as they were going out to see him. When they encountered each other they all went to a certain place in the forest where they made a chair out of the branches of trees. They placed him on the chair and they accepted him as their rabbi. And the Besht said Torah to them. »
(Ben-Amos e Mintz, trad. & cur., In Praise of the Ba’al Shem Tov, §15, p. 31. Con “torah” qui probabilmente s'intende un'interpretazione scritturale)

Il tema di una grande anima dissimulata da sempliciotto rustico risuona in molti periodi della storia spirituale ebraica. Molti dei maestri dell'ebraismo sono comparsi sulla scena della vita senza che la loro elevata natura spirituale fosse rivelata. Ad esempio, il profeta Mosè, nel momento in cui Dio lo chiamò a diventare il salvatore degli Israeliti, disse a Dio che era inarticolato, balbuziente, un semplice pastore non certo qualificato per essere una guida di uomini.

Lo Zohar contiene anche molte storie simboliche che mostrano il vero maestro spirituale travestito da semplice “uomo della terra”. Nella serie di racconti che abbiamo letto in precedenza, appare come un mulattiere che accompagna due dotti rabbini in un viaggio. Quando ascolta la loro discussione, interrompe con un'interpretazione più profonda delle Scritture, e loro riconoscono che non è un normale conducente di animali. In un'altra storia, il maestro spirituale appare come un fanciullo. È solo quando parla con grande saggezza agli studiosi riuniti che riconoscono che non è un fanciullo ma il loro grande maestro. Ci sono molti altri esempi simili nella letteratura religiosa ebraica (e cristiana....).

Ba’alei shem: Maestri del Nome[modifica]

Per approfondire, vedi Tzadikim Nistarim.

Dando uno sguardo più da vicino al Ba’al Shem Tov, dobbiamo esplorare il significato del suo nome. Il termine ba’al shem era usato già nel XVI secolo per un tipo di cabalista che utilizzava tecniche cabalistiche o “magiche” per proteggere le persone dai demoni e dagli spiriti maligni e per alleviarle da malattie e altri tipi di disgrazie. La fede nei demoni era comune sia tra gli ebrei che tra i non-ebrei in Europa, ed essi cercavano sollievo da fenomeni inspiegabili di cui attribuivano la colpa ai demoni. C’era una convinzione universale che oltrepassava i confini della religione e della classe secondo cui “demonic powers have a vast potential for impairing the health and welfare of human beings. As if that did not suffice, it was further believed that magical means could be used to mobilize these demonic powers and press them into the service of humans”.[4]

C'erano molti ba’alei shem che vagavano di villaggio in villaggio offrendo sollievo dalla sfortuna e dall'influenza dei demoni. Erano spesso chiamati cabalisti pratici – coloro che potevano applicare i misteri della Cabala a fini pratici. Oggi potremmo chiamarli maghi o guaritori; esorcizzavano gli spiriti maligni e insegnavano incantesimi che avrebbero protetto i neonati, le donne incinte e le coppie appena sposate dai poteri demoniaci. Conoscevano anche i rimedi naturali per molte malattie. I ciondoli e gli amuleti che crearono utilizzavano varie permutazioni e configurazioni dei nomi di Dio, degli angeli e delle preghiere.[5] Il ba’al ha-shem apparso nel tuo villaggio sarebbe intervenuto personalmente presso i cieli per tuo conto, oppure potresti acquistare i libri di incantesimi che vendeva e provare le formule tu stesso, da solo.

Esistono numerose leggende infondate secondo cui Israel ben Eliezer era un membro dei nistarim, una società nascosta di ba’alei shem, e aveva ereditato alcuni dei loro manoscritti segreti. Che ci sia o meno del vero in queste leggende dei nistarim, sembra certo che Israel ben Eliezer, il Ba’al Shem Tov, iniziò la sua carriera come uno dei ba’alei shem che operavano miracoli. Ma poiché si riteneva che avesse straordinari poteri soprannaturali, fu chiamato Ba’al Shem Tov, il "maestro del buon nome" di Dio, considerato più elevato e spiritualmente più evoluto rispetto ai normali ba’alei shem che derivavano la loro conoscenza dallo studio intellettuale dei testi cabalistici e magici, non dalle proprie esperienze spirituali e interiori.

Testimoni descrivono gli straordinari poteri spirituali del Besht che attirarono molti seguaci: visione remota, capacità di predire il futuro, leggere le vite passate delle persone, ascoltare decreti divini e così via. Questi erano considerati doni della divina provvidenza, da utilizzare a beneficio della popolazione tutta.[6] Anche le guarigioni avvenivano non solo attraverso incantesimi e sortilegi, ma attraverso le sue esperienze di preghiera estatica, stato in cui entrava quando pregava con totale devekut (adesione a Dio).

Sembra abbastanza certo che la ragione per cui oggi ricordiamo il Ba’al Shem Tov è che egli non era solo un portatore di incantesimi ma un canale verso i reami divini, guida e protettore delle anime, un anello importante nella catena di trasmissione della conoscenza spirituale lungo le generazioni.

Discepoli[modifica]

Per approfondire, vedi Dovber di Mezeritch, Abraham Gershon di Kitov e Ya’akov Yosef di Polnoy.

Il Besht aveva molti discepoli, ma ce n'erano tre o quattro che gli erano eccezionalmente vicini. Questi erano Rabbi Gershon, suo cognato, che inizialmente non era consapevole della sua grandezza spirituale, Rabbi Dov Baer, noto come il Maggid (predicatore) di Mezherich,[7] e Rabbi Ya’akov Yosef di Polnoy. Erano tutti studiosi rinomati che inizialmente si facevano beffe dell'approccio devozionale e non scolastico del Ba’al Shem. Ma tutti furono profondamente commossi dal maestro quando entrarono in contatto con lui. E mentre Dov Baer divenne il successore del Besht, fu Ya’akov Yosef a registrare molti dei detti e delle omelie del suo maestro.

La “conversione” o iniziazione di Rabbi Ya’akov Yosef rivela la capacità del maestro di influenzare il discepolo nel profondo. Non comportava un nuovo corso di studi o l'accettazione di nuovi dogmi, ma un cambiamento completo nella personalità e nello stile di vita di Rabbi Ya’akov Yosef:

« [Ya’akov Yosef] fino ad allora era stato un uomo duro, intraprendente, rigoroso nell'osservanza personale, dedito allo studio, distaccato dalla gente e dai suoi problemi, prone a scatti d'ira e alle affermazioni di autorità... Il cambiamento che il Besht operò nella sua anima fu il punto di svolta della sua vita. Raggiunse il nucleo del suo essere, gli aprì gli occhi su ciò che era stato e rivelò ciò che doveva diventare. »
(Dresner, The Zaddik, p. 48)

Ci sono diverse storie e tradizioni che descrivono questa conversione. Il Ba’al Shem Tov entrò nella città di Sharogrod dove Ya’akov Yosef era rabbino e, con il suo dono della narrazione, attirò presto un pubblico. Ya’akov Yosef venne a sapere del Ba’al Shem e sentì che stava disturbando la pace radunando così tante persone attorno a sé. Andò ad affrontarlo ma il Ba’al Shem gli raccontò diverse storie: prima una, poi un'altra, poi un'altra ancora. Dopo tre racconti, Ya’akov Yosef “entrò in conversazione con lui e immediatamente ‘fu unito’ a lui”.[8]

“Entrare in conversazione” con il suo maestro descrive la loro comunione interiore, da anima ad anima, nella quale egli si “univa” a lui. Ciò implica un'iniziazione spirituale, dove il discepolo si fonde con il suo maestro a livello spirituale e quindi ha sempre la sua guida e protezione interiore.

Secondo un’altra leggenda, il Ba’al Shem Tov raccontò a Ya’akov Yosef la storia di un rabbino che aveva picchiato crudelmente un portatore d’acqua, e che poi soffrì per anni perché non riusciva a trovare l’uomo per chiedergli scusa. Ya’akov Yosef si riconobbe nella descrizione del rabbino altezzoso e crudele, e fu profondamente commosso dalla conoscenza da parte di Ba’al Shem della sua colpa più segreta. Possiamo leggere nelle parole stesse di Rabbi Ya’akov Yosef ciò che accadde dopo uno dei suoi primi incontri con il Ba’al Shem Tov, quando si ritrovò a dubitare della spiritualità del Besht:

« Afterwards, during the prayer, I wept as never before in my life, and I realized that it was not my weeping. Later, when the Besht traveled to the land of Israel, I was left desolate until he returned. Then I began to travel to him and remained for some time with him. The Besht used to say that it was necessary to elevate me. After I had been with him for about five weeks, I asked, “When, sir, will you elevate me?” »
(Ben-Amos e Mintz, trad. & cur., In Praise of the Ba’al Shem Tov, p. 62, cit. in Dresner, The Zaddik, p. 45 (dall'ebraico))

Rabbi Dov Baer, il Maggid di Mezherich, fu testimone dello stato di estasi del Besht durante la sua prima visita a lui. Fu questa esperienza che portò questo grande studioso e mistico, cabalista e asceta che era stato un predicatore professionista e leader delle preghiere in molte comunità, nell’orbita del Ba’al Shem Tov, al quale divenne totalmente devoto.

Secondo la tradizione, il Maggid incontrò probabilmente il Besht nel 1753. Le circostanze non sono del tutto chiare, ma In Praise of the Ba’al Shem Tov narra che il Maggid non stava bene, a causa delle eccessive austerità e dei digiuni che praticava, e un altro hasid gli consigliò di cercare una cura dal Besht. Rimase vicino al Besht durante il suo periodo di convalescenza, e in un'occasione il Besht lo chiamò per leggere la Cabala con lui. Il Maggid lesse un paio di pagine e il Besht lo interruppe dicendo:

« Not like that, I shall read it out to you! He began to read, and while he read he trembled. He rose and said: “We are dealing with the affairs of the merkavah and I am sitting down.” So he stood up and continued to read.
As he was talking he lay me down in the shape of a circle on the bed. I was not able to see him anymore. I only heard voices and saw frightening flashes and flares. And so it was for about two hours. I grew very frightened and that fear caused me to feel faint. »
(Ben-Amos e Mintz, trad. & cur., In Praise of the Ba’al Shem Tov, §62, p. 83, con rif. alla versione in Etkes, The Besht, p. 183)

Il difetto del Maggid era che cercava di interpretare il testo intellettualmente, ma quando il Besht prese il libro e lo lesse, dimostrò la necessità di avvicinarlo nel senso di una rivelazione. Il Besht lo portò al livello interiore che Mosè aveva sperimentato sul Monte Sinai – dove udì suoni e vide fulmini dentro di sé – e che Ezechiele aveva percepito nella sua ascesa spirituale. E fu allora che il Maggid divenne discepolo del Besht, in virtù dell'esperienza interiore che gli trasmise.

In un'altra occasione, in uno dei giorni santi, il Maggid si ammalò e lasciò presto la sala di preghiera, continuando le sue preghiere in una piccola stanza vicina. Prima di una parte del servizio, il Besht entrò nella stanza per indossare il suo kittel, la veste normalmente indossata nei giorni più sacri:

« And the Maggid said that he realized the Besht was inspired by the Shekhinah, and that he was not in this world. And when the Besht put on his kittel, it wrinkled around his shoulders. The great Maggid grasped the kittel in order to straighten it, and when he touched the Besht he himself began to tremble. He held on to the table that was there and the table began to tremble with him as well. The Besht went away, but this kept on until he prayed to the Blessed Lord, that he free him from this trembling, for he could no longer endure it. »
(Ben-Amos e Mintz, In Praise of the Ba’al Shem Tov, §36, p. 51)

Ci sono altre storie che descrivono gli stati estatici in cui entrava il Besht durante le sue preghiere. Sembrava non essere in questo mondo e gli altri venivano attratti da lui dalla forza del suo magnetismo.

C'è inoltre una leggenda secondo cui, mentre il Besht stava pregando durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario ebraico, la sua coscienza entrò nei mondi interiori e vide che c'era un duro decreto divino contro gli ebrei perché le loro preghiere erano state bloccate ad un livello intermedio e non avevano raggiunto Dio. Racconta la sua esperienza:

« I had just one more gate to pass in order to arrive before the blessed Lord, blessed be He, and in that palace I found the prayers of fifty years which had not risen to their destination, and now that we had prayed on this Yom Kippur with proper kavanah all the prayers ascended and each prayer glowed as the bright dawn. I asked the prayers, “Why did you not rise beforehand?” They replied, “We were ordered to await Your Eminence to guide us.” I said to them, “Come with me.” And the gate was open. »
(Tradotto (EN) in Etkes, The Besht, p. 92, con rif. a Ben-Amos e Mintz, trad. & cur., In Praise of the Ba’al Shem Tov, §41, p. 56)

Poi descrive il superamento di un altro ostacolo quando un angelo arriva e chiude il cancello e non permette alle preghiere di salire. Allora chiede aiuto al Messia, che gli dà due nomi santi. Ciò gli permette di rilasciare il chiavistello e aprire il cancello e guidare nelle preghiere. Di conseguenza, il decreto negativo contro il popolo fu annullato.

Questa leggenda rafforza il ruolo del Ba’al Shem Tov come guida spirituale degli ebrei, che assicura alle loro preghiere di raggiungere a destinazione – un modo simbolico per descrivere il suo ruolo di protettore del popolo, usando lo stesso simbolismo delle preghiere che salgono da un reame superno al successivo e che troviamo nella letteratura heikhalot. Anche il messia funge da aiutante del Ba’al Shem. È il Ba’al Shem che assume il ruolo di redentore. Sembrava considerarsi anche “un ponte e un tramite tra l’esistenza terrena e i mondi superiori”.[9]

Soprattutto, il Ba’al Shem Tov incarnava le qualità dell'amore e dell'impegno al benessere dei suoi discepoli. Quando conversava con loro, provavano un senso di comunione totale, di fusione di anima in anima, e quindi nell'anima divina. Tale è il significato della seguente storia raccontata sul Besht:

« Every evening after prayer the Ba’al Shem went to his room. Two candles were set in front of him and the mysterious Book of Creation [Sefer yetsirah] put on the table among other books. Then all those who needed his counsel were admitted in a body, and he spoke with them until the eleventh hour.
One evening when the people left, one of them said to the man beside him how much good the words which the Ba’al Shem had directed to him had done him. But the other told him not to talk such nonsense, that they had entered the room together and from that moment on the master had spoken to no one except himself. A third, who had heard this, joined in the conversation with a smile, saying how curious that both were mistaken, for the rabbi had carried on an intimate conversation with him the entire evening. Then a fourth and a fifth made the same claim, and finally all began to talk at once and tell what they had experienced. But the next instant they all fell silent »
(Narrato in Dresner, The Zaddik, pp. 189–190)

Leggendo i resoconti di Ya’akov Yosef, Dov Baer e altri, si ottiene un quadro completo dell'uomo:

« Above all, one gets a sense of the Ba’al Shem Tov’s ability to blur the borders between the divine and the human, between the fantastic and the real. . . . He was a man whose soul ascended to heaven, conversed with the inhabitants of the higher worlds, and learned their wisdom; he strolled in the Garden of Eden, but inspired his followers on earth with a profound sense of freedom, imagination, and creativity powered by the infinite resources of language as the link between man and God. He saw himself as part of the mystical chain of people who cross the line between earth and heaven – prophets and kabbalists, thinkers and visionaries, redeemers and messianic figures – and return inspired with novel ideas that reconfigure the relations between the heavenly and the earthly, new knowledge of God, and original insights that transform the world. »
(Elior, Mystical Origins of Hasidism, pp. 66–67)

Lettera del Besht a Rabbi Gershon[modifica]

L'unico documento sopravvissuto scritto di pugno dal Besht – le sue uniche parole che possono essere assolutamente autenticate – è una lettera eloquente che scrisse al rabbino Gershon di Kotov, suo cognato e suo stretto discepolo. In esso il Besht racconta il suo viaggio spirituale verso regni superiori:

« For on the day of the New Year of the year 5507 [September 1746] I engaged in an ascent of the soul, as you know I do, and I saw wondrous things in that vision that I had never before seen since the day I had attained to maturity. That which I saw and learned in my ascent it is impossible to describe or to relate even from mouth to mouth. But as I returned to the lower Garden of Eden I saw many souls, both of the living and the dead, those known to me and those unknown. They were more than could be counted and they ran to and fro from world to world through the path provided by that column [the inner path of the successive sefirot] known to the adepts in the hidden science [Kabbalah]. They were all in such a state of great rapture that the mouth would be worn out if it attempted to describe it and the physical ear too indelicate to hear it. Many of the wicked repented of their sins and were pardoned, for it was a time of much grace. In my eyes, too, it was a great marvel that the repentance was accepted of so many whom you know. They also enjoyed great rapture and ascended, as mentioned above. All of them entreated me to my embarrassment, saying: “The Lord has given your honor great understanding to grasp these matters. Ascend together with us, therefore, so as to help us and assist us.” Their rapture was so great that I resolved to ascend together with them. »
(Traduzione originale (EN) pubblicata in Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, pp. 184–185)

Qui racconta a Rabbi Gershon della sua ascesa interiore attraverso regioni più elevate e della sua visione di molte anime che ascendono e si muovono, tutte in uno stato di gioia. Anche i peccatori erano in uno stato di gioia perché erano stati perdonati mediante la grazia. Successivamente descrive l'ascesa ancora più in alto con loro. Incontra il messia e prova una gioia ancora più grande, al punto che pensa di essere morto, ma poi scopre di essere ancora vivo. In tono toccante chiede al Messia: “Quando verrà il Maestro?” e il messia risponde:

« You will know of it in this way; it will be when your teaching becomes famous and revealed to the world, and when that which I have taught you and you have comprehended will spread abroad so that others, too, will be capable of performing unifications and having soul ascents as you do. Then will all the kelipot be consumed and it will be a time of grace and salvation. »
(Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 185)

Il Besht diventa angosciato quando sente questo, poiché si rende conto che potrebbe passare molto tempo prima che il suo insegnamento sia conosciuto nel mondo. Come consolazione, gli vengono insegnati alcuni rimedi specifici e combinazioni di nomi santi che potrebbero aiutare le persone della sua generazione. Egli spera che, insegnando questi metodi ai suoi pari, anch'essi saranno in grado di raggiungere gli stadi che lui ha raggiunto e di impegnarsi nelle ascensioni dell'anima come ha fatto lui. Ma, si rende conto, "no permission was given to me to reveal this secret for the rest of my life. I did request that I be allowed to teach it to you but no permission at all was given to me and I am duty bound on oath to keep the secret".[10] Nessuno era pronto a ricevere l'insegnamento. Nessuno era ad un livello spirituale pari a quello del Besht. Quindi, parafrasando diversi passi biblici, consigliò al cognato:

« Let your ways be set before the Lord and never be moved,[11] especially in the Holy Land. Whenever you offer your prayers and whenever you study,[12] have the intention of unifying a divine name in every word and with every utterance of your lips. For there are worlds, souls, and divinity in every letter. These ascend to become united one with the other and then the letters are combined in order to form a word so that there is complete unification with the divine. Allow your soul to be embraced by them at each of the above stages. Thus all worlds become united and they ascend so that immeasurable rapture and the greatest delight is experienced. »
(Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 186)

Quest'ultimo paragrafo è una bellissima sintesi di come il Besht prese le pratiche del Nome dai cabalisti e le trasformò. Poiché il linguaggio umano ha origine da un suono spirituale non detto, si insegna che le lettere dell'alfabeto fisico portino, in potenziale, il potere spirituale della loro origine nei reami superiori. Quando dice che “there are worlds, souls, and divinity in every letter” intende dire che le lettere del nostro linguaggio umano possono essere una finestra su una realtà superiore, "allowing the light of the life-giving divine infinity to shine through".[13]

Il linguaggio umano e la parola divina sono in un rapporto dialettico continuo. Quando una persona “si unisce” alle lettere, queste portano la sua anima alla loro fonte superna. Così le parole delle preghiere diventano un veicolo per elevare l'anima dal mondano allo spirituale.

Questo racconto ricorda l'Apocalisse di Enoch, scritta negli ultimi secoli AEV e trovata tra i Rotoli del Mar Morto, in cui Enoch eleva la sua coscienza interiore e incontra il messia, che è chiamato l'Eletto. Assomiglia anche ai resoconti dei mistici merkavah del loro viaggio interiore verso gli heikhalot spirituali.

È interessante notare che anche qui il Besht è inclusivo. Vede le anime dei peccatori così come quelle dei virtuosi, tutte che sperimentano grazia e gioia, ed è sua missione aiutarle a trovare la salvezza. Ha anche il desiderio di condividere l'esperienza dell'ascesa interiore con i suoi colleghi e correligionari, ma non gli viene dato il permesso di farlo. Vuole che il messia venga e allievi il dolore del popolo, ma gli viene detto che non è ancora il momento. Come minimo può insegnare a Rabbi Gershon e ad altri come pregare, come unirsi con le lettere delle preghiere ed elevare le loro anime al di sopra del livello mondano.

In precedenza, il Besht si era impegnato in determinate attività e preghiere destinate a realizzare il messia. Ciò era in linea con le pratiche cabalistiche che tentavano di creare armonia all'interno dei reami divini e correggere la disarmonia primordiale che si sentiva essere lo stato attuale del mondo, simboleggiato dalla caduta iniziale di Adamo e dalla dispersione delle scintille di luce divina nei reami della materia.

La lettera del Besht, scritta tra il 1740 e il 1746, segna definitivamente il momento in cui egli rinunciò a questa ricerca di salvezza collettiva. Da allora in poi si concentrò sulla salvezza individuale delle anime dei suoi seguaci, e così divenne il primo degli tsadikim hasidici, quei maestri spirituali che ministrano agli individui, allontanandosi dal modello cabalistico di correzione dei mondi e dei reami della divinità.

La dottrina dello Tsadik[modifica]

Il concetto di tsadik nel Chassidismo si sviluppò attorno alla maestria spirituale del Ba’al Shem Tov, sebbene il termine non fosse usato per il Besht durante la sua vita.[14] Tuttavia, egli fu l'esempio vivente su cui si basano tutte le successive definizioni e descrizioni scritte. Furono il Maggid di Mezherich e Ya’akov Yosef che per primi articolarono il concetto di tsadik dal 1760 in poi. Entrambi attinsero a molti riferimenti scritturali, rabbinici e cabalistici per spiegare il concetto, ma alla fine l'espressione letteraria nacque dalla loro dinamica relazione di vita con il loro maestro, il Ba’al Shem Tov.

Alla fine molti maestri hasidici successivi che fecero risalire la loro eredità spirituale al Ba’al Shem Tov e il Maggid Dov Baer aggiunse ulteriori scritti sull’importanza dello tsadik. In ogni lignaggio hasidico c'era un singolo individuo carismatico che era l'incarnazione dell'ideale.[15] Il corpus letterario che si sviluppò nel hasidismo sull'importanza dello tsadik non era né astratto, né sepolto sotto strati di oscuro simbolismo. Tutta questa letteratura era basata direttamente sulle esperienze personali degli scrittori riguardo a maestri spirituali viventi.

Una delle metafore chiave usate da Ya’akov Yosef per lo tsadik deriva da un detto biblico tratto dal libro dei Proverbi, "tsadik yesod olam" (lo tsadik è il fondamento o la pietra angolare del mondo).[16] Questa affermazione fu interpretata dai rabbini dell'antichità nel senso che lo tsadik è il pilastro, l'asse, la prima pietra o il centro sacro del mondo. In altre parole, il mondo poggia su un unico pilastro. Poiché yesod (fondazione) è anche il nome della nona sefirah nel sistema cabalistico delle sefirot ed è considerato il canale attraverso il quale l'abbondanza divina fluisce sulla terra, si ritiene anche che lo tsadik sia l'incarnazione terrena del principio divino simboleggiato da yesod; è il canale attraverso il quale la grazia divina, la conoscenza spirituale, viene nel mondo.[17]

« Lo tsadik è chiamato il cuore del corpo, perché è un canale che attira la generosità della vita [shefa] dalla Vita di tutta la Vita a tutti gli altri arti, che sono le persone della sua generazione. »
(Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef, 100a)

Similmente, il Maggid Dov Baer di Mezherich scrisse:

« Ora è noto che yesod ha il potere di ascendere e di attrarre l'abbondanza divina dall'alto, perché esso include tutto. Lo stesso vale per lo tsadik terreno: egli è il canale che permette all'abbondanza di fluire verso il basso per tutta la sua generazione.[18] »

Ya’akov Yosef aveva detto che solo quando ci si unisce allo tsadik vivente su cui poggia la Shekhinah, ci si unisce effettivamente al Signore.[19] I hasidim usavano spesso la metafora dei pioli su una scala per descrivere i livelli spirituali raggiunti dagli individui. Il Besht insegnava che il maestro si muove dal gradino più alto – dove la sua attenzione è completamente immersa nei piani spirituali dell'unità con lo spirito santo – ai gradini più bassi che sono più vicini alla terra. Quindi porta la sua attenzione sul piano fisico e usa il corpo e la mente per comunicare con i suoi discepoli:

« E questo è ciò che fu rivelato a nostro padre Giacobbe [nel suo sogno nella Bibbia], una scala fissata nella terra la cui testata raggiungeva il cielo, il che significa che – anche quando lo tsadik è fissato nella terra, con la gente umile e comune della terra, tra schernitori e pettegoli e simili, tuttavia la sua testa, i suoi pensieri, raggiungono il cielo, unendo i suoi pensieri al suo Creatore. Perché il nome divino è davanti a lui. In questo modo, gli angeli del Signore – coloro che vengono in questo mondo per eseguire gli ordini del Signore [gli tsadikim] – sono chiamati messaggeri del Signore... e salgono la scala [del mondo]. »
(Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef, 183a)

Lo tsadik come axis mundi è metaforicamente il pilastro centrale che collega cielo e terra. Si trova tra i due reami ed è un canale attraverso il quale l'energia spirituale di uno raggiunge l'altro. Collega i due. Diventa la scala del sogno di Giacobbe su cui gli angeli salgono e scendono dal cielo. Anche qui egli diventa la scala e tutta la spiritualità viene in questo mondo attraverso di lui. Si credeva che le preghiere dei devoti si elevassero a Dio in virtù del suo intervento.

Solo uno tsadik vivente può scendere al gradino dell'uomo comune e raccogliere quelle anime che desiderano ritornare al Signore. Yaakov Yosef scrive:

« In questo mondo ogni giorno o in certi momenti lo tsadik scende dal suo gradino per unirsi a quelli di grado inferiore... poiché quando sale di nuovo al suo gradino, fa salire anche quelli. Ma è possibile ascendere solo se ci si unisce allo tsadik. »
(Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef, 118d)

Sebbene il corpo dello tsadik sia finito e umile, attraverso di esso egli è in grado di raggiungere il divino, che è infinito ed elevato. Solo lo tsadik può salire la scala verso il cielo, entrare nei reami superni, incontrare il divino e riportare la grazia divina sulla terra. Samuel Dresner riassume gli scritti di Ya’akov Yosef riguardanti la missione speciale dello tsadik: “Through the tsadik, the austere loftiness of heaven and the abject lowliness of earth, the transcendence of God and the humanity of man, meet. What seems set apart and unalterably opposed find in him a mediating principle which brings them together”.[20] Cita Ya’akov Yosef:

« È possibile unire due opposti solo attraverso una terza forza.[21] Lo tsadik è il fondamento dell'universo, che è pace, poiché unisce due opposti come quando si fa la pace tra un uomo e il suo vicino. »
(Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef, 137c)

Nel XVI secolo, come abbiamo visto in precedenza, i mistici ebrei come Isaac Luria avevano insegnato che al momento della creazione, le scintille della luce primordiale erano rimaste intrappolate in frammenti di materia – una metafora dell'imprigionamento dell'anima nel mondo materiale. Questa idea si prestava al concetto dello tsadik che discende dai livelli spirituali a quelli materiali dell'esistenza per liberare le scintille – le anime di coloro che desiderano la comunione con Dio. Ciò significa che per liberare il bene dal suo attaccamento al male è necessario scendere nel reame del male. “Per elevare un gradino inferiore a uno più alto è necessario che lo tsadik si unisca a quel gradino inferiore; solo allora potrà risollevare coloro che vi dimorano”.[22]

Lo tsadik nel hasidismo era inteso come incarnante simultaneamente gli opposti dell'Essere (yesh) e del Nulla (ayin) – due importanti concetti cabalistici adottati dal hasidismo. Il suo corpo è l'Essere – ha sostanza ed è fisico – mentre in realtà è Niente, senza sostanza; esiste nell'eternità divina, nel reame dello spirito. La nota studiosa contemporanea di hasidismo, Rachel Elior, offre una citazione di un mistico hasidico del ventesimo secolo riguardante la capacità dello tsadik (il rebbe) di esistere simultaneamente sia a livello divino che umano.[23] La sua anima è tutt'uno con il divino, ma vive attraverso il corpo fisico. È questo che gli dà il suo potere spirituale.

« In the twentieth century, Habad hasidism has provided strong testimony to the idea that the charismatic authority of a tsadik derives from an unmediated relationship between the divine and the human: the tsadik is an “infinite substance garbed in flesh and blood; the rebbe being an infinite substance clothed in the rebbe’s body.”[24] »

Per il hasidim trovarsi alla presenza dello tsadik fisico mentre era anche in contatto con la dimensione spirituale deve essere stato straordinario. Molte storie e citazioni testimoniano il loro senso di meraviglia mentre stanno con il loro maestro. Buber racconta:

« News was brought to Rabbi Moshe Leib that his friend the rabbi of Berditchev had fallen ill. On the sabbath he said his name over and over and prayed for his recovery. Then he put on new shoes made of morocco leather, laced them up tight and danced.
A tsadik who was present said: “Power flowed forth from his dancing. Every step was a powerful mystery. An unfamiliar light suffused the house, and everyone watching saw the heavenly hosts join in his dance.” »
(Buber, Tales of the Hasidim, Book Two: The Later Masters, p. 90)

Anche altri tsadikim chassidici nelle generazioni successive insegnarono le qualità spirituali dello tsadik. Alcuni usavano il termine medugal be-herut, “eccezionale nella sua libertà”.[25] Era libero a causa della sua capacità di elevarsi a reami più elevati e di attirare la grazia divina (hesed) a beneficio della comunità. Aveva il tipo di libertà che nessun altro aveva: poteva spostarsi tra il mondo fisico e quello celeste e portare con sé le anime dei suoi discepoli.

In virtù della sua ascesa ai reami superiori, lo tsadik aveva anche un altro tipo di libertà – era libero di interpretare le scritture secondo le esigenze dei suoi discepoli – come dettato dal tempo e dal luogo. Non era soggetto a rigide tradizioni di interpretazione delle Scritture basate sull'autorità di insegnanti e maestri del passato. L'autorità dello tsadik era la sua esperienza mistica, che si manifestava esteriormente come il suo carisma, la sua attrazione magnetica esercitata sugli altri.

Le persone erano naturalmente attratte da lui, dalla sua presenza, ben oltre i suoi insegnamenti. Era la sua stessa persona che irradiava amore ed era questo amore che ricevevano da lui, che li avvolgeva. Non aveva molta importanza come o cosa insegnasse intellettualmente. I suoi seguaci erano legati dal reciproco amore per lui, per Dio e l'uno per l'altro.

Per i comuni hasidim, lo scopo principale della loro vita era connettersi con uno tsadik che potesse elevare le loro anime e liberarle dalla sofferenza mondana. Gli attribuivano poteri soprannaturali, con la capacità di influenzare il mondo spirituale e quello fisico. Questo insegnamento è discusso esplicitamente in Ma’or va-shemesh (Luce e Sole), scritto dal successivo tsadik Kalonymus Epstein: “La cosa principale è legarsi a uno tsadik che può elevare e riparare le anime di Israele; questo è lo tsadik che si conforma al paradigma dello tsadik superno [Dio] che collega tutte le cose”.[26]

Elior spiega: "The tsadik was seen as having the power to liberate his followers from the shackles of the physical world through his ability to mediate between the heavenly and earthly realities and draw the divine abundance down to this world".[27] Scrive dell'importante cambiamento nel modo in cui i hasidim consideravano il loro rapporto con Dio a causa della presenza dello tsadik tra loro:

« With the development of the doctrine of the tsadik, the individual hasid is no longer required to devote himself to God but instead to attach himself to the tsadik, relying on the latter’s communion with God. For the doctrine of the tsadik implies the transformation of the direct relation between the hasid and God that characterized early Hasidism into an oblique, mediated relationship in which the tsadik is the link between this world and the higher worlds. »
(Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 147.)

Molti dei successivi rebbe chassidici scrissero anche sull'importanza dello tsadik come intermediario e canale della grazia divina. Elior cita alcuni dei loro scritti:

« For the tsadik must connect and unify the higher worlds with the lower.
The tsadik must... draw down the abundance into the world... In this context the tsadikim are called angels, meaning messengers, for they are God’s emissaries to benefit His creatures.
Because God’s effect is exceedingly great and it is impossible to receive His influence except through an intermediary, that is the tsadik who receives the abundance from on high and he transmits it to all... Thus the abundance through the tsadik is a reciprocal loving kindness with the whole world, as he receives the abundance from above and distributes it to all, and it emanates from God.[28] »

Esiste una relazione intima tra lo tsadik e l'hasid, tra maestro e discepolo. Entrambi hanno bisogno l'uno dell'altro. L'hasid ha bisogno dello tsadik per mediare con Dio, per proteggerlo e guidarlo. Lo tsadik ha bisogno del hasid per poter compiere la sua missione di guidare le anime e creare la comunità ebraica ideale. Non ha solo un proprio ideale mistico da perseguire, ma ha una responsabilità sociale che deriva dal suo contatto con il divino. Deve elevare le anime dei suoi seguaci e far scendere la grazia divina sulla sua comunità, non su se stesso.

Possiamo distinguere il ruolo sociale dello tsadik nel hasidismo dal ruolo che i cabalisti dei secoli precedenti avevano immaginato per se stessi. I cabalisti si consideravano asceti reclusi il cui dovere era meditare per infinite ore ogni giorno, eseguendo preghiere e rituali complessi, responsabili solo verso se stessi e la loro piccola comunità di compagni o discepoli. Lo tsadik del hasidismo era tutt'uno con l'intera umanità, con tutta la sua comunità. Quindi, sebbene alcune idee e simbolismi cabalistici fossero penetrati nel hasidismo, il ruolo dello tsadik e la struttura sociale dei movimenti differivano notevolmente l'uno dall'altro.

In alcuni circoli hasidici si insegnava che diversi tsadikim potevano essere vivi contemporaneamente, ma c'era uno tsadik ha-dor, uno tsadik supremo per ogni generazione. La designazione di “tsadik” fu estesa a tutti i santi mistici e insegnanti del passato, anche se non fu usata durante la loro vita. Ad esempio, il biblico Mosè; i rabbini Haninah ben Dosa; Simeon bar Yohai, leggendario autore dello Zohar, e Isaac Luria: erano tutti considerati i grandi tsadikim della loro generazione, gli tsadik ha-dor. E il Ba’al Shem Tov divenne l’ultimo ad essere incluso in questo gruppo raro ed elevato.

Insegnamenti[modifica]

Il filosofo del ventesimo secolo Martin Buber scrisse di come lo tsadik, esemplificato dal Ba’al Shem Tov, trasformò gli altri con il modo in cui viveva, non con un insegnamento intellettuale:

« The Ba’al Shem himself belongs to those central figures in the history of religion what have done their work by living in a certain way, that is to say, not starting out from a teaching but aiming toward a teaching, who lived in such a way that their life acted as a teaching, as a teaching not translated into words.[29] »

Il Besht insegnava, forse più con il suo esempio e l'influenza magnetica della sua presenza che con le sue parole, che il devekut era lo scopo della pratica spirituale. I mistici ebrei fin dal medioevo avevano usato il termine devekut, ma con un significato diverso. Per loro, devekut si riferiva a una varietà di tecniche per promuovere la devozione, come le pratiche ascetiche, l'uso dell'intelletto per tenere continuamente a mente Dio e l'attaccamento mentale alle sefirot o alla Shekhinah nella preghiera. Per i mistici ebrei prima del Besht, il devekut era possibile solo per le anime molto avanzate dopo un lungo periodo di autopurificazione e preparazione.

Il Ba’al Shem Tov usò il termine devekut per descrivere lo stato spirituale della supercoscienza in cui la realtà divina è vissuta come un'unità che trascende la diversità e la compartimentazione. Il termine devekut appare in tutta la letteratura chassidica come l'obiettivo di ogni pratica spirituale. Il Besht raccontò una parabola per spiegare lo stato di devekut:

« C'era una volta un grande re saggio che faceva tutto tramite l'illusione, costruendo mura, torri e porte immaginarie. E comandò al popolo di venire a lui attraverso le porte e le torri, e ordinò che i tesori reali fossero sparsi davanti ad ogni porta. E c'erano alcune persone che vennero ad una porta e presero i soldi e se ne andarono mentre altri, ecc., finché il suo amato figlio si sforzò di andare direttamente da suo padre il re, e allora vide che non c'era barriera che lo separava da suo padre, perché era tutta un'illusione.[30] »

Nel devekut ci si rende conto attraverso la propria esperienza personale che la presenza divina è ovunque, saturando l'intera creazione; che il divino non è lontano dalla creazione – è più vicino del proprio respiro. Come Ya’akov Yosef spiega la parabola: “Poiché ogni occultamento non è altro che un'illusione. In verità tutto è della Sua sostanza”.[31] Gli istinti, gli appetiti e i desideri personali sono i muri, le torri e le partizioni che ci separano dal nostro Creatore. Sono le nostre debolezze, non gli ostacoli esterni, che ostacolano il nostro devekut. Il figlio del re rappresenta lo stesso Besht. Attraverso l'estasi mistica, i devoti del Signore hanno la capacità di superare questi ostacoli e realizzare la vera natura spirituale di ogni cosa. Il Besht sapeva che tutte le divisioni e i muri, la diversità della creazione, erano semplicemente un'illusione.

Martin Buber racconta un aneddoto che definisce lo stato di devekut, l'estasi raggiunta dagli tsadikim hasidici, attraverso la quale percepivano la presenza di Dio in ogni cosa, e che tutto è Lui.

« It is told of one master that he had to look at a clock during the hour of withdrawal in order to keep himself in this world; and of another that when he wished to observe individual things he had to put on spectacles in order to restrain his spiritual vision; “for otherwise he saw all the individual things of the world as one.” »
(Buber, Hasidism and Modern Man, p. 70)

Il hasid che era un principiante nello sviluppo spirituale poteva non essere ancora in grado di sperimentare lui stesso il devekut, ma essere vicino al suo tsadik gli dava un assaggio di questo stato di beatitudine che nessun insegnamento verbale poteva trasmettere. Attaccandosi allo tsadik che era nello stato di devekut, anche il semplice hasid poteva godere di parte dell'estasi che irradiava dallo tsadik.

Pertanto, nel hasidismo, l'ascetismo, l'automortificazione e lo studio intellettuale furono rifiutati in quanto inefficaci nel rimuovere le barriere. La via per il devekut passava attraverso l'attaccamento allo tsadik.

Elevare il materiale allo spirituale[modifica]

Il Besht credeva che si potessero combattere gli istinti inferiori “elevando” le tendenze inferiori al livello spirituale anziché sopprimerle. Tutte le tendenze di una persona, sia buone che cattive, provengono da Dio – perché tutto è Dio. Si tratta semplicemente di reindirizzare le proprie energie e inclinazioni verso il divino. Il Besht credeva addirittura che si dovesse soddisfare il proprio appetito per il cibo e le bevande per non creare una malsana repressione, che avrebbe portato alla depressione e all'allontanamento da Dio. Lontano dal digiuno e dalla rigorosa automortificazione, la maggior parte dei gruppi hasidici si abbandonavano al bere, al canto estatico e alla danza nella loro adorazione di Dio.

Ya’akov Yosef riassunse l’atteggiamento del Besht verso il bene e il male con la seguente citazione del suo maestro. Insegnava che bisogna affrontare il male, il mondano, il profano, il materiale, ed elevarlo al santo, al bene, al servizio di Dio. “Essere nel mondo, ma un po’ al di sopra di esso, è l’obiettivo. Non per sfuggire al pensiero malvagio o all'uomo malvagio, ma per contestare entrambi e convertirli al Signore”.[32]

Per il Besht non c’era paradosso nell'esistere in uno stato di devekut mentre si era impegnati nel mondo materiale, poiché non vedeva una contraddizione tra la natura fisica e quella spirituale dell'uomo. Entrambi avevano origine nel divino. Il fondamento di questo principio è l'esperienza dell'immanenza divina: il divino è in ogni angolo della creazione. Poiché è presente in ogni cosa, possiamo adorare Dio attraverso il fisico. Così anche le attività mondane possono diventare spirituali “in virtù del pensiero che le illumina e dell'intenzione che le accompagna”.[33] Il Besht insegnava:

« In verità, dove spazia il pensiero, è lì che ci si trova. In verità, la sua gloria riempie tutta la terra e non c'è posto vacante per lui. In tutti i luoghi in cui si trova un uomo, è lì che troverà attaccamento [devekut] al Creatore nel luogo in cui si trova, perché non c'è luogo vuoto di lui... In ogni luogo c'è la divinità.[34] »

Il Besht esortava che ogni attività terrena in cui una persona si impegna fosse convertita nell'adorazione di Dio. Raccontava la storia rabbinica di Hanokh, un calzolaio, che pensava a Dio con ogni punto cucito, "e, così facendo, legava l'azione materiale del mondo inferiore, mediante il pensiero che è ‘potenziato’, alla spiritualità del Mondo Superiore".[35]

Elevare i pensieri vaganti[modifica]

Parimenti, il Besht insegnava che proprio come Dio è immanente in ogni aspetto della vita e può essere realizzato nelle attività mondane e materiali, così anche i nostri pensieri fanno parte del divino, persino i nostri pensieri più peccaminosi o devianti. Insegnò che dobbiamo semplicemente “elevare” i nostri pensieri vaganti invece di sopprimerli.

I cabalisti prima di lui avevano insegnato che il modo per controllare i pensieri peccaminosi o una mente divagante che non si concentrava nella preghiera, era attraverso severe penitenze, automortificazione e pratiche ascetiche. Al contrario, il Besht considerava questi pensieri vaganti come originari dei reami divini e che era dovere dell’uomo elevarli alla loro fonte. Infatti, quello era il loro scopo nell'entrare nella mente: affinché si elevassero e si redimessero. Ciò era collegato alla nozione lurianica di elevare le scintille intrappolate nel reame materiale.

In pratica, i discepoli del Besht trovarono i suoi metodi di controllo della mente più efficaci delle severe penitenze o dell'auto-privazione.[36] Rabbi Nahman di Horodenka ricordò le tremende austerità a cui si era sottoposto per controllare la sua mente, finché non incontrò il Besht:

« [In precedenza] andavo ogni giorno a un mikveh freddo [bagno rituale ad immersione]. Non c'è nessuno in questa generazione che potrebbe sopportare un simile mikveh! Quando tornai a casa non sentii caldo per circa un'ora, anche se faceva così caldo che le pareti sembravano di fuoco. Nonostante ciò non riuscii a liberarmi dai pensieri ribelli finché non mi rivolsi alla saggezza del Besht. »
(Ben-Amos e Mintz, trad. & cur., In Praise of the Ba’al Shem Tov, §133, p. 156)

Rabbi Ephraim di Sadlikov, nipote del Besht, scrisse del metodo che aveva ricevuto da suo nonno per controllare i suoi pensieri vaganti:

« E dico secondo quanto mi è stato tramandato, che tutti i pensieri sono piani interi e vengono all'uomo perché desiderano essere redenti, e quando un uomo considera questo e sa che il Signore, Benedetto sia Lui, e Benedetto sia il Suo nome, è la radice di tutti i pensieri e da Lui provengono tutti i pensieri, può riportarli alle loro radici, come è noto da mio nonno di Benedetta Memoria, e convertire tutti i pensieri al bene ed elevarli alla santità. »
(Ephraim di Sadlikov, Degel mahaneh Ephrayim, (Gerusalemme, 1994), p. 177)

La preghiera fine a se stessa[modifica]

Proprio come devekut assunse un significato diverso tra i hasidim, così fece anche kavanah (intenzione, concentrazione). I cabalisti generalmente avevano una visione più meccanicistica dell'adorazione: recitavano preghiere specifiche per influenzare i reami superni e quindi dirigevano mentalmente le loro preghiere a sefirot specifiche. Immanuel Etkes, un importante studioso contemporaneo del hasidismo, sottolinea che per i hasidim la preghiera era una forma di gioia in Dio. Si pregava con kavanah semplicemente per la gioia che portava alla persona che pregava e a Dio. Etkes scrive: "The kabbalists viewed the principal objective of prayer in terms of its influence on the upper worlds. The Besht, by contrast, maintained that the primary purpose of prayer was the ‘delight’ [ta’anug] it produced; that is, the private experience and spiritual ascent that the person praying undergoes, the climax of which is mystical ecstasy".[37] Etkes poi ci riporta una citazione da Keter shem tov (La Corona del Buon Nome), un'antologia degli insegnamenti del Besht:

« Dal Besht: la ricompensa di una mitsvah [comandamento] è una mitsvah, poiché un uomo non ha ricompensa più grande del piacere che prova dalla mitsvah stessa quando la esegue con gioia... La virtù principale è provare più piacere nell'adorazione del Signore che in tutti gli altri piaceri. »
(Keter shem tov (NY: Otzar Hasidim Press, 1987), sez. 129, pp. 16b, 17a; sez. 88, p. 12b; cfr. anche sez. 27, p. 5a[38])

Successivamente i maestri hasidici insegnarono anche che la preghiera non era solo un mezzo per raggiungere Dio, ma era un fine in sé. Rabbi Pinhas di Korets disse: “La preghiera non è rivolta a Dio; la preghiera è Dio stesso".[39] Scrisse anche dello stato raggiunto nella preghiera veramente concentrata, quando si perde ogni coscienza di sé:

« Il mondo immagina che lo spogliamento della corporeità sia un prodigio, ma ciò non è corretto. Il fatto è solo che quando un uomo non è assolutamente nulla ai suoi propri occhi, è nella categoria di colui che si spoglia della forma, e allora l'ascesa dell'anima avviene automaticamente. »
(Pinhas Shapiro di Korets, Sefer midrash Pinhas, no. 34, p. 7b, in Jacobs, Holy Living, p. 66)

Rabbi Ya’akov Yits’hak di Pshysskha, noto come Yud (l’Ebreo), lo disse in modo molto semplice:

« Vuoi sapere qual è la preghiera propria? Quando sei così assorbito da non sentire un coltello conficcato nel tuo corpo, allora stai offrendo la preghiera correttamente.[40] »

Il distacco che si ottiene attraverso la devozione mirata è comune alle pratiche mistiche di tutte le tradizioni religiose. La preghiera insegnata dal Besht era un tipo di meditazione in cui l'hasid si perde. Entra come una data persona e ne esce trasformato. Nella sua esperienza di unione dimentica se stesso e così è permanentemente cambiato. Acquisisce più compassione per gli altri e i legami dei suoi attaccamenti mondani si allentano.

L'obiettivo dell'adorazione, secondo il lignaggio Habad del hasidismo, è "raggiungere il livello del nulla che è incluso nell’Infinito... e di annullare la propria realtà".[41]

Zechariah Mendel di Yaroslav insegnava l'importanza della concentrazione nella preghiera o nella meditazione, non tanto per un vantaggio per noi stessi, ma perché l'incapacità di concentrazione ci impedisce di dare a Dio ciò che gli è dovuto.[42]

Flusso e riflusso della devozione[modifica]

Un altro importante insegnamento del Besht, che portò conforto ai suoi discepoli, riguardava gli stati interiori di katnut (piccolezza) e gadlut (grandezza, espansività). Molti hasidim erano turbati dalle incoerenze nella loro devozione. Vivevano periodi alterni di ispirazione e di aridità. Il Besht li rassicurò che questo era normale, che faceva parte del flusso e riflusso naturale, dell'espansione e della contrazione, nella devozione. Katnut de mohin (piccolezza d'animo) e gadlut de mohin (grandezza d'animo) erano i termini usati per esprimere questi periodi alternati, questi stati d'animo mutevoli.

« Dal Besht di Benedetta Memoria: “...poiché un piacere perpetuo diventa un'abitudine e cessa di essere un piacere; quindi ci sono alti e bassi nell’adorazione del Signore Benedetto da parte di un uomo in modo che possa provare la gioia, che è lo scopo principale dell’adorazione del Signore Benedetto”. »
(Keter shem tov, 121, 16a)

Tutti cercano di avere una comunione continua con Dio, ma il Besht insegnava che l'ispirazione, come l'oceano, deve fluire e rifluire. Un ulteriore vantaggio derivante dall'accettare un processo di ascesa e discesa è che si può sopravvivere più facilmente al dolore dello stato inferiore: si capisce che lo stato di piccolezza è temporaneo ed è una fase della grandezza, per così dire. Il Besht e alcuni maestri hasidici dopo di lui rivelarono che, sebbene avessero raggiunto altezze spirituali, anche loro sperimentarono di tanto in tanto stati di relativa piccolezza. Sono due capi della stessa corda.

Umiltà[modifica]

Un altro insegnamento importante del Besht era che le persone non devono essere perfette nella loro devozione per servire Dio – piuttosto, devono iniziare da qualunque gradino della scala su cui si trovano e lavorare da lì. Potrebbero iniziare con secondi fini (un gradino basso sulla scala spirituale), ma alla fine serviranno e adoreranno per amore dell'amore stesso.

Attraverso la condotta della propria vita, il Besht insegnò l'importanza dell'umiltà. Il Besht non comunicava attraverso complesse discussioni sulla legge religiosa, né si comportava in modo superiore rispetto a coloro che non potevano partecipare, ma cercava di "plasmare uno stampo che potesse contenere tutte le persone, anche quelle che non erano profondamente istruite. Quando parlava alla gente comune era in grado di esprimere pensieri profondi con parole semplici in un modo che potessero capire e da cui si lasciavano successivamente influenzare".[43]

In tutti i suoi insegnamenti, il Ba’al Shem Tov sottolineava l'importanza della pura devozione rispetto alla genialità intellettuale degli studiosi religiosi. Questo è anche uno dei temi principali delle leggende su di lui. In questo differisce notevolmente dalle precedenti generazioni di cabalisti e mistici, nonché dai leader rabbinici.

Aveva una grande empatia per le sofferenze dell'uomo comune. Ci sono numerose storie raccolte in In Praise of the Ba’al Shem Tov in cui il Besht aiuta i peccatori a pentirsi. Poiché il Besht poteva vedere nel cuore e nell'anima di ognuno e sapeva chi era spiritualmente puro e chi no, fu in grado di scoprire lo “tsadik popolare” – la persona comune di rango spirituale eccezionale.[44]

In un'altra raccolta in ebraico chiamata Gedolim ma’asei tsadikim (Grandi Meraviglie degli Tsadikim), ci sono diverse storie che illustrano la convinzione del Besht secondo cui anche la persona più comune ha il potenziale per essere il più grande devoto. Un esempio è la famosa storia di un ragazzo del villaggio che portò un flauto alla funzione di Yom Kippur e, nonostante gli ammonimenti di suo padre, iniziò a suonarlo. La congregazione divenne molto turbata e il Besht concluse rapidamente la funzione. Successivamente disse che il motivo per cui le preghiere si erano concluse rapidamente era che il suono del flauto del ragazzo elevava tutte le preghiere e lo sollevava dal doverle fare. Il ragazzo non sapeva leggere e non sapeva pregare, ma la sua devozione portava le preghiere fino a Dio, poiché “l'Onnipotente guarda al cuore”. "La forza del suo desiderio suonava il flauto dalla verità del profondo del suo cuore, senza distrazioni, interamente dedicato al Suo Nome Benedetto".[45]

Nel contesto dell'ebraismo, una tradizione spirituale che aveva sottolineato l'importanza dell'erudizione, dello studio e del culto corretto secondo le tecniche prescritte, il Besht portò un cambiamento rivoluzionario: una vera democratizzazione del rapporto dell'uomo con Dio.

Fonte di grazia e saggezza[modifica]

Quando il Besht morì, i suoi discepoli accettarono la guida di Rabbi Dov Baer, il Maggid di Mezherich, senza eccezioni. Rabbi Yehiel, un altro discepolo intimo, raccontò:

« Gli era stato comandato dal cielo di accettare il Besht come suo rabbino e di andare a imparare da lui, e gli furono mostrate sorgenti di saggezza che scorrevano verso di lui [conoscenza mistica]. E quando il Besht morì, gli fu comandato di accettare il grande magghid Rabbi Dov come rabbino, e gli furono mostrate quelle stesse sorgenti che erano andate al Besht e che ora scorrono a detto rabbino e maggid. »
(Shivhei ha-Besht, p. 238[46])

Riguardo agli stretti discepoli del Besht, si diceva che "avessero tutti bevuto alla stessa fonte, vale a dire al divino Rabbi Israel Ba’al Shem Tov di benedetta e giusta memoria".[47]

Il Maggid spesso lodava il Besht ai suoi stessi discepoli e diceva loro che la fonte delle conquiste mistiche del Besht era la rivelazione da Elia e da altri livelli elevati. Il Maggid disse anche che il Besht gli aveva insegnato “il linguaggio degli uccelli e la conversazione degli alberi, ecc., e aveva anche studiato con lui i segreti dei santi nomi e delle unioni”.[48] Poi elencò i molti segreti che il Besht aveva condiviso con lui. Al Maggid fu chiesto perché non avesse rivelato prima il proprio rango spirituale; rispose che si considerava un semplice studente che non aveva fatto nulla da solo: "Ho trovato una luce in un armadio e tutto quello che ho fatto è stato aprire la porta", disse.[49]

Fu sotto la guida del Maggid che la comunità hasidica maturò e si evolse nella corte chasidica, con lo tsadik, il rebbe, al suo centro, una forma che avrebbe mantenuto per i successivi duecento anni.

La fonte di saggezza e amore che il Ba’al Shem Tov aveva incarnato attraverso il suo stesso essere fluì nel suo successore, Rabbi Dov Baer. Mentre Ya’akov Yosef aveva scritto dell'ideale dello tsadik provato attraverso l'esempio del Ba’al Shem Tov, fu durante la guida del Maggid che il concetto si sviluppò. Il Besht non si definì mai uno tsadik.

Il Maggid incarnava l'ideale del “pensatore che insegna”, come ha affermato Buber nella sua penetrante introduzione al suo classico, Tales of the Hasidim. Inizialmente, come abbiamo visto, era un mistico praticante, uno studioso e cabalista, un predicatore itinerante o maggid e un asceta. Una volta giunto al Ba’al Shem Tov, fu rimodellato in modo che le sue energie spirituali non fossero più dirette solo alla salvezza della propria anima, ma ai bisogni spirituali dei suoi discepoli. "He had always been a man given to ecstasy, only that, under the influence of the Ba’al Shem, this ecstasy was diverted from ascetic solitude to the active life of teaching disciples. From that moment on, his ecstasy assumed the shape of teaching... He poured into his disciples all the strength of life".[50]

Il metodo di insegnamento della Torah proposto dal Maggid era progettato per risvegliare l'immaginazione dei suoi discepoli, poiché credeva che la verità fosse dentro di loro e tutto ciò che stava facendo era accendere la candela. Quindi non dava una sola interpretazione di un passaggio della Torah, dava invece interpretazioni molto divergenti. E non completava i suoi pensieri, ma piuttosto buttava fuori parabole, accenni, suggerimenti, e lasciava ai suoi discepoli decidere cosa intendesse dire e come un pensiero si collegasse all'altro.

Si sottomise completamente al servizio di Dio e divenne essenzialmente un’espressione estatica, in forma fisica, della volontà di Dio. L'effetto sui suoi discepoli è raccontato da un giovane che in seguito divenne il venerato tsadik noto come il Veggente di Lublino: "When I came before the master, before the Maggid, I saw him on his bed: something was lying there, which was nothing but simple will, the will of the Most High". Racconta Buber: "That is why the disciples learned even more and greater things from his sheer being than from his words".[51]

Gershom Scholem racconta la storia di un hasid che disse: "Non sono andato dal Maggid di Mezherich per imparare la Torah da lui ma per guardarlo allacciarsi i lacci delle scarpe". Scholem commenta che per i hasidim, "non è più la sua conoscenza [dello tsadik] ma la sua vita che conferisce un valore religioso" al contatto con lui.[52] Si tratta di un cambiamento significativo rispetto al modello del maestro come studioso, intellettuale, che insegna la Torah e i segreti della Cabala.

Attraverso la devozione del Maggid alla sua missione, gli insegnamenti del hasidismo si diffusero in diverse parti d'Europa, poiché i suoi discepoli viaggiavano molto, riunendo studiosi e cabalisti come anche l'uomo comune, e rivelando loro questo insegnamento di devozione radicalmente nuovo che porta all'estasi. Cominciarono ad apparire comunità di hasidim, i cui leader diventarono il centro dei propri gruppi di discepoli.

La crescita popolare del movimento suscitò l'opposizione delle autorità religiose, che lo consideravano al limite dell'eresia. La sua forma emotiva di preghiera, l'elevazione della preghiera rispetto allo studio del Talmud, il ruolo centrale dello tsadik come essere quasi soprannaturale e l'atteggiamento indipendente degli hasidim nei confronti dei talmudisti, suscitarono una risposta negativa. Nel 1772 l'intero movimento fu messo al bando (herem), firmato dal famoso Gaon di Vilna e dal tribunale religioso. Poco dopo, nel 1773, alla morte del Maggid, il movimento si divise in molti domini separati, ciascuno governato da uno tsadik diverso. Sfortunatamente ci furono tensioni tra i discepoli dei vari maestri e talvolta tra i maestri stessi, poiché tutti enfatizzavano aspetti diversi dei loro insegnamenti e avevano stili diversi di interagire con i propri discepoli. Quindi il Maggid fu il secondo e ultimo leader universalmente accettato dei hasidim. Con una sola eccezione, ogni maestro hasidico apparso in seguito fu direttamente o indirettamente un discepolo del Maggid.[53] Ciononostante, il movimento sopravvisse al dissenso interno e fiorì in Russia, Polonia, Ucraina, Lituania e Ungheria nei successivi 150 anni circa – fino a quando la Seconda guerra mondiale pose effettivamente fine alla presenza ebraica nell'Europa orientale.

Alcuni degli tsadikim dei periodi successivi si consideravano guide etiche e morali con la missione di aiutare i loro discepoli a vivere una vita equilibrata attraverso la Torah, il culto e le azioni di beneficenza. Altri rimasero fedeli agli aspetti mistici del hasidismo e insegnarono ai loro discepoli a immergersi nella preghiera e nella meditazione estatiche. Altri ancora integrarono la tradizionale enfasi rabbinica sull'aspetto accademico con tecniche cabalistiche di meditazione. Altri sottolineavano la loro capacità di operare miracoli o di discernere i segni dalla sincronicità degli eventi ordinari. Insegnarono ai loro chassidim persino a discernere tali segni da soli. Altri ancora, come il Veggente di Lublino, usavano poteri di chiaroveggenza per guidare i propri discepoli. A volte recitavano le Scritture o i Salmi e poi aspettavano le risposte alle loro domande. Anche il potere telepatico era comune tra gli tsadikim. Come i mistici ebrei delle generazioni precedenti, gli tsadikim credevano che l'apparizione del profeta Elia, del Ba’al Shem Tov e persino dei loro stessi antenati, nei loro sogni o nella trance mistica, fossero doni della divina provvidenza.

Alcuni tsadikim usarono il racconto della storia miracolosa per compiere effettivamente il miracolo. Una storia su un evento miracoloso prendeva il posto dell'azione e portava la stessa forza (come la storia all'inizio di questa Sezione). Ma il segno o il miracolo più grande, come disse una volta uno tsadik anonimo, fu quello di “prendere una persona semplice e farne un hasid”.[54]

Come i maestri zen e i sufi, gli tsadik facevano spesso cose imprevedibili o facevano affermazioni paradossali, per scuotere e confondere i hasidim e rimuovere la loro resistenza, rendendoli più ricettivi agli insegnamenti del loro maestro.

Rabbi Yits’hak Isaac Kalov descrisse con forza lo tsadik ideale:

« Quando trovi qualcuno che può toglierti le interiora, lavarle e sostituirle mentre sei ancora vivo — quello è un rebbe. »
(Rabbi Yits’hak Isaac Kalov, in E. Steinman, Rishonim aharonim, cit. in Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 51)

A prevalere su tutto c'era la fede di fondo e l'esperienza dell'immanenza di Dio nell'intera creazione. Quindi l'illuminazione spirituale che lo tsadik diede al suo discepolo attraverso il contatto personale fu l'esperienza (non solo la conoscenza) che “non c’è nulla al di fuori di Dio”. E alla fine, per ogni hasid, il suo rebbe era il capo di tutto Israele, il Mosè della sua generazione, un salvatore.[55]

La corte del Rebbe[modifica]

Prima c'era il klaus dei cabalisti, la piccola stanza della sinagoga dove i “compagni” si riunivano per studiare insieme e discutere. Poi venne l’havura, la cerchia di compagni attorno al Ba’al Shem Tov e ai successivi primi maestri hasidici. Il Ba’al Shem Tov viaggiava di città in città per vedere i suoi discepoli, e anche loro andavano a trovarlo. Alla fine, con la crescita del movimento, la casa dello tsadik divenne come una corte, dove – come l'aristocrazia dell'epoca – riceveva i suoi visitatori e loro potevano godere della sua presenza. La corte si sviluppò anche perché dopo l'era del Maggid di Mezherich il potere fu tramandato attraverso la famiglia dello tsadik, di padre in figlio o genero.

La corte continuò a guadagnare potere e ricchezza poiché le generazioni successive dei discepoli di un particolare tsadik rimanevano fedeli allo stesso lignaggio di tsadikim a cui erano devoti i loro antenati. Verso la metà del XX secolo esistevano più di cento corti nell'Europa orientale.

Quindi, anche se il movimento crebbe nel tempo, divenne evidente che una volta istituzionalizzato il ruolo dello tsadik, ci sarebbero stati decadimento e persino abusi. Alcune persone senza scrupoli, che avevano ereditato le loro posizioni, non erano del rango spirituale dei loro predecessori. Nel loro desiderio di potere e ricchezza, sfruttavano i rispettivi seguaci.

Ma a parte questo, si potrebbe dire che la maggioranza degli tsadikim erano autentici, lottavano per la propria illuminazione spirituale e desideravano insegnare agli altri il loro modo di percepire Dio, e questo creò una forza dinamica all’interno dell'ebraismo che non si vedeva da secoli. Una forte corrente di vera spiritualità continuò a rivelarsi, in diretta continuazione degli insegnamenti del Ba’al Shem.

Abbiamo visto che Israel ben Eliezer, il Ba’al Shem Tov, esemplificava lo tsadik come il canale tra Dio e l'uomo; il suo metodo di adorazione era la preghiera estatica e l'ascesa interiore, che portava al devekut, uno stato di unione con Dio, mentre viveva una vita normale nel mondo fisico. Rifiutava l’ascetismo e predicava che si poteva elevare la propria vita materiale ad altezze spirituali. L'impatto del Ba’al Shem Tov fu così grande che non solo attirò molti discepoli ai suoi tempi, ma alla fine della sua vita aveva rivoluzionato il rapporto tra maestro spirituale e discepolo nella più ampia comunità ebraica.

Ciascuno delle centinaia di maestri hasidici era una personalità unica, molto diversa dagli altri. Condividevano una grande devozione per i loro hasidim e ne venivano corrisposti. Fedeli alla loro chiamata interiore, il modo in cui raggiungevano il cuore dei loro discepoli dipendeva dalla loro personalità e dal loro carattere, così come dal contesto e dai bisogni dei discepoli: il loro livello intellettuale, la loro posizione nella società e il loro impegno religioso. Ma fondamentalmente era la stessa saggezza spirituale che scaturiva da loro e si riversava dalle loro anime a quelle dei loro discepoli.

In breve tempo, nella seconda metà del Settecento, apparvero numerosi maestri ispirati al modello del Besht, rispondendo all'anelito di liberazione spirituale e materiale della comunità. Nella sua opera fondamentale, Major Trends in Jewish Mysticism, Gershom Scholem scrive:

« There are two things about the movement which are particularly remarkable. One is the fact that within a geographically small area and also within a surprisingly short period, the ghetto gave birth to a whole galaxy of saint-mystics, each of them a startling individuality. The incredible intensity of creative religious feeling, which manifested itself in Hasidism between 1750 and 1800, produced a wealth of truly original religious types which, as far as one can judge, surpassed even the harvest of the classical period of [Kabbalah in] Safed. Something like a rebellion of religious energy against petrified religious values must have taken place. »
(Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, pp. 337–38)

Chi erano alcuni di questi “truly original religious types” menzionati da Scholem, che vennero dopo il diretto successore del Besht, il Maggid di Mezherich?

Rabbi Nahman di Bratslav[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Nachman di Breslov.

Rabbi Nahman di Bratslav incarnò il potere della narrazione per insegnare verità mistiche che non possono essere trasmesse attraverso una discussione lineare. Naturalmente Nahman, pronipote del Besht, non fu il primo maestro chassidico a raccontare storie, anche se forse portò la storia in dimensioni inesplorate della realtà e dell'immaginazione. Lo stesso Besht, come abbiamo visto nella “conversione” di Rabbi Ya’akov Yosef, usava storie e parabole per penetrare nei cuori dei suoi discepoli con il suo insegnamento della verità mistica.

Le storie di Rabbi Nahman sono enigmatiche e misteriose. Le storie viaggiano con il vento e alcune di quelle di Nahman sembrano essere adattamenti di storie russe e sufi o dei racconti indiani di Akbar e Birbal, che potrebbe aver ascoltato durante i suoi viaggi in Palestina o Turchia. Sono una combinazione di racconti popolari, storie morali, sogni in cui il subconscio emerge in superficie e metafore della relazione tra simboli mistici. Sembrano essere sia autobiografici che cosmologici. Ad esempio, in alcune storie, come "I sette mendicanti", i personaggi sono simboli delle sefirot e gli eventi della storia sono in realtà una spiegazione della relazione tra le sefirot. Raccontò le sue storie ai suoi discepoli oralmente, in yiddish, e furono scritte dal suo fedele discepolo, Rabbi Nathan di Nemerov.

Rabbi Nahman aveva uno straordinario senso della psicologia umana nel suo rapporto con la vita spirituale. Siamo noi stessi i nostri più grandi ostacoli. Questo mondo fisico (e il corpo) è un'ombra che oscura la luce divina di Dio che splende fortemente dentro di noi. Ecco alcune delle sue affermazioni sull'argomento:

« Tutti i problemi dell'uomo provengono da lui stesso. Perché la luce di Dio si riversa continuamente su di lui, ma l'uomo, con la sua vita troppo fisica, si fa ombra affinché la luce di Dio non possa raggiungerlo.
L'uomo ha paura delle cose che non possono nuocergli, e lo sa, e brama cose che non possono essergli di aiuto, e lo sa; ma in verità l'unica cosa di cui l'uomo ha paura è dentro di sé, e l'unica cosa che brama è dentro di sé.[56] »

Nei suoi insegnamenti, Nahman sottolineava l'importanza dello tsadik, poiché credeva che "solo attraverso lo tsadik un uomo poteva raggiungere la comprensione del divino".[57] Nahman insegnò che lo tsadik è il canale principale che Dio ha dato all'uomo per trovarlo. Considerava lo tsadik come una vera rappresentazione di Dio sulla terra e come dotato di poteri soprannaturali oltre le capacità dei normali esseri umani. Insegnava che “le parole dello tsadik erano più preziose delle parole della Torah e dei profeti”.[58]

« People find it difficult to understand why one must travel to the master in order to hear the teaching from his lips, because, as they see it, one can study moralistic works. But this is of great value, for there is a great difference between hearing the truth from the master directly, and hearing it quoted by others in his name, and certainly if the one quoting it only heard from another, for it descends to lower levels the more remote it is from the master; and there is especially a great difference between hearing it from the master and reading it in a book.[59] »

Rabbi Nahman descrive come il discepolo impara dal maestro semplicemente guardandolo ed essendo in sua presenza:

« Man must refine himself. Each one can see himself by looking at the master’s face, as if it were a mirror. Even if the master does not reprove him or preach to him, a person will feel immediate remorse for his deeds by merely looking at him. By merely looking at his face, he will see himself, as in a mirror, and note how he is sunk in darkness.[60] »

Non è solo ciò che dice lo tsadik che istruisce, ma stando alla sua presenza una persona si trasforma. La presenza del maestro esercita un appello irresistibile all'essere interiore, anche quando non dà istruzioni verbali. Rabbi Nahman disse: "La persona che ascolta un discorso di uno tsadik riceve un'impronta della sua immagine, della sua mente e della sua anima, e la fisionomia (espressione/volto) dello tsadik si fissa nella sua mente".[61]

Fornisce una vivida descrizione della missione e del potere dello tsadik:

« Anche coloro che sono lontani dallo tsadik ricevono vitalità e illuminazione dallo tsadik. Li protegge, come un albero, che ha rami, corteccia e fogliame, e tutti traggono il loro sostentamento dall'albero. Anche le piante distanti dall'albero che non sembrano trarre sostentamento dall'albero, in realtà ne traggono nutrimento... Similmente, lo tsadik ha l'equivalente di rami, corteccia e fogliame... E anche coloro che sono lontani ricevono da lui vitalità, proteggendoli come un albero. »
(Nahman di Bratslav, Likutei moharan, 224)

L'importanza dello tsadik per la salvezza umana è illustrata in una storia da lui raccontata, intitolata “Due tacchini”. Dimostra che l'umanità non è mai abbandonata da Dio; Egli manda lo tsadik a riportargli le anime, anime che hanno dimenticato la loro origine divina. Questi tsadikim assumono gli abiti della gente comune del mondo per guadagnare la fiducia di quelle anime destinate alla riunione divina. Per usare il vocabolario cabalistico e hasidico, scendono dal loro alto gradino di spiritualità e stanno sul gradino più basso del mondo materiale mondano per svolgere la loro missione di salvare le anime.

The king’s son once became insane and imagined himself to be a turkey. He removed his clothes and sat under the table naked, and renounced food, eating only grains and pieces of bones. The king tried all the physicians but no one could help him.

At last one wise man came to the king and said to him: I undertake to cure your son.

This wise man also removed his clothes, placed himself under the table next to the king’s son, and gathered grains and pieces of bones and ate them.

The king’s son asked him: Who are you and what are you doing here? The wise man replied: And who are you and what are you doing here? The king’s son answered him:

I am a turkey. The wise man replied similarly: I am also a turkey.

The two turkeys sat together until they became acquainted. The man then gave a signal to bring him a shirt, and after he put on the shirt he said to the king’s son: Do you think that a turkey is not allowed to wear a shirt? He is allowed, and he does not thereby cease being a turkey. The king’s son understood this and he also consented to wear a shirt.

After some time, the wise man signaled to bring him trousers; he put them on and said to the king’s son: Do you think a turkey is not allowed to wear trousers? Even if he wears trousers he can still remain a real turkey. The king’s son agreed and he, too, put on trousers, and then, following the wise man’s example, he put on the rest of the clothes.

Then the wise man asked for regular food and he ate it, saying to the king’s son: Do you think that a turkey is not allowed to eat good food? One can eat the best and remain a turkey as ever. The king’s son followed him also in this, and he began to eat regular food.

Reflecting on the progress made so far, the wise man then said to the king’s son: And do you really think that a turkey must remain confined under the table? Not at all. A turkey may also go where he chooses, and no one has a right to interfere with him. The king’s son understood this and accepted the wise man’s advice. And since he now stood up and walked like a person he began to behave like a person.

Similarly, the tsadik robes himself in worldly garments and behaves like ordinary people in order to draw them to God’s service. [62]

L'apprezzamento di Rabbi Nahman per l'importanza dello tsadik vivente e la serietà della sua missione lo resero critico nei confronti di quegli tsadikim che riteneva disonesti e che abusavano della fiducia dei loro discepoli. A causa del suo atteggiamento schietto nei confronti dei suoi contemporanei si fece molti nemici oltre che sostenitori. E i suoi discepoli furono perseguitati dai seguaci di altri chassidim.

Nahman morì nel 1810 all'età di trentotto anni, dopo una lunga lotta contro la tubercolosi. Accettò la sua morte come “un'ascesa verso una nuova tappa di grande erranza, verso una forma più perfetta di vita totale”.[63] Diceva: "Per chi giunge alla vera conoscenza, alla conoscenza di Dio, non c'è separazione tra vita e morte, perché egli si attacca a Dio, Lo abbraccia e vive come Lui la vita eterna".[64]

Rabbi Nahman non nominò alcun successore, e così i suoi discepoli divennero noti come i "hasidim morti", poiché non avevano un maestro vivente. Tuttavia, l'influenza spirituale di Rabbi Nahman gli è sopravvissuta. Negli ultimi anni molti giovani sono stati attratti dalla figura di Rabbi Nahman e in Israele sono sorti diversi gruppi devoti ai suoi insegnamenti.Sono però ancora alla ricerca di un maestro vivente che li guidi. Buber considera Rabbi Nahman l'ultimo dei grandi maestri e mistici del hasidismo che rimase fedele alla sua vocazione mistica.

Rabbi Shneur Zalman di Liadi e Habad-Lubavitch[modifica]

Shneur Zalman di Liadi, l’Alter Rebbe
Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Shneur Zalman e Chabad Lubavitch.

Rabbi Shneur Zalman di Liadi, Russia (1747–1812) fu un altro importante maestro chassidico, il cui ministero spirituale fu molto diverso da quello di Rabbi Nahman, o anche del Ba’al Shem Tov. Tuttavia, anche lui fu fedele alla sua vocazione.

Shneur Zalman fu il primo nella linea del lignaggio Habad-Lubavitch dei hasidim. È il più noto dei lignaggi chassidici che persiste fino ad oggi. Il termine Habad (a volte scritto Chabad) è in realtà un acronimo delle tre più alte sefirot della Cabala, che sono le facoltà più elevate della mente: Sapienza (Hokhmah), Comprensione (Binah) e Conoscenza (Da’at).[65] Era la convinzione di Shneur Zalman che tutte le facoltà della mente dovessero essere in armonia e lavorare insieme affinché un hasid potesse perseguire il percorso spirituale.

Nato nella Russia centrale, durante la sua infanzia Shneur Zalman fu considerato un prodigio negli studi religiosi e brillante nelle materie secolari della scienza e della matematica. Studiò la Cabala fin dalla prima giovinezza. Man mano che maturò, divenne noto come un grande studioso e saggio. Tuttavia, sentì un'attrazione ancora maggiore verso la vita mistica di un hasid e si unì al gruppo di discepoli devoti a Dov Baer, il grande Maggid. Si trasferì a Mezherich per diversi anni per stare vicino al suo maestro. Alla morte del Maggid, a Shneur Zalman fu chiesto di diventare il capo dei hasidim in Lituania, dove c'era molta opposizione al movimento da parte di coloro che si opponevano ad esso come culto emotivo, devozionale e incentrato sullo tsadik. I mitnagdim (gli oppositori) lo perseguitarono e lo denunciarono addirittura alle autorità governative russe come influenza sovversiva. Fu incarcerato due volte a San Pietroburgo e infine emigrò in Palestina per sfuggire allo scontro. Alla fine tornò e si stabilì a Liadi da dove la sua influenza si diffuse in tutta la Russia.

Conosciuto come Alter Rebbe ("vecchio rebbe" in yiddish), Shneur Zalman è significativo a causa della sua grande influenza durante il suo tempo e attraverso il suo lignaggio. Come intellettuale e mistico, ha sintetizzato le due correnti del culto ebraico. I suoi scritti più importanti sono i Likutei Amarim (ליקוטי אמרים, "collezione di dichiarazioni"), conosciuti come Tanya (“fu insegnato”), dalle prime lettere che compaiono nel libro. Quest'opera definì così tanto Rabbi Shneur Zalman che lui stesso fu spesso chiamato Tanya. In essa tenta di sistematizzare gli insegnamenti del hasidismo e di conciliarli con la Cabala. In un certo senso si potrebbe dire che in Shneur Zalman c’è una sintesi delle molte opposte tensioni negli approcci religiosi ebraici: hasidismo, Cabala ed ebraismo rabbinico tradizionale. Rappresenta un ritorno all'approccio intellettuale piuttosto che a quello puramente devozionale introdotto dal Ba’al Shem Tov. Sottolineò l’importanza dello studio del Talmud (in contrasto con alcuni hasidim precedenti che avevano deriso l'ossessione degli studiosi per lo studio del Talmud). Probabilmente è questa combinazione dei diversi ceppi di intuizione religiosa che ha dato agli insegnamenti di Shneur Zalman il grande fascino e la forza che ha sostenuto la linea Habad per diverse centinaia di anni.

Shneur Zalman introdusse un nuovo approccio al ruolo dello tsadik. Il Ba’al Shem Tov aveva insegnato che il compito del rebbe era quello di rendere i discepoli quanto più indipendenti possibile da lui. Lo tsadik non doveva svolgere il lavoro spirituale del discepolo; piuttosto doveva servire come mentore e guida, per preparare il discepolo al suo viaggio spirituale interiore. Buber chiama lo tsadik “l'aiutante” necessario sia per il corpo che per l'anima. E scrive:

« Over and over he takes you by the hand and guides you until you are able to venture on alone. He does not relieve you of doing what you have grown strong enough to do for yourself. He does not lighten your soul of the struggle it must wage in order to accomplish its particular task in the world.
And all this also holds for communication of the soul with God. The tsadik must make communication with God easier for his hasidim, but he cannot take their place. This is the teaching of the Ba’al Shem and all the great hasidim followed it; everything else is distortion and the signs of it appear relatively early. The tsadik strengthens his hasid in the hours of doubting, but he does not infiltrate him with truth. He only helps him conquer and reconquer it for himself;... he never permits the soul of the hasid to rely so wholly on his own that it relinquishes independent concentration and tension, in other words, that striving-to-God of the soul without which life on this earth is bound to be unfulfilled. »
(Buber, Tales of the Hasidim, Book One, pp. 5–6.)

Questo era l'approccio del Ba’al Shem Tov, eppure molti si sentivano alla deriva a causa della loro incapacità di vivere secondo i suoi elevati standard morali e di perseguire la vita di devozione da lui prescritta. Esistono ancora lettere dei discepoli del Besht al loro maestro che si lamentano della loro situazione. Questo è ciò che forse ha alimentato un altro modello di tsadik, sviluppatosi dopo l'epoca del Ba’al Shem Tov. Fu questo nuovo modello ad essere insegnato da Shneur Zalman e dalla maggior parte dei successivi rebbe hasidici: ora la gente dipendeva totalmente dallo tsadik, per ogni cosa, sia materiale che spirituale. Ogni decisione personale e familiare veniva presa dallo tsadik. Si credeva che lo tsadik avrebbe preso con sé il hasid portandolo al suo livello, e quindi l'hasid non aveva bisogno di applicarsi al proprio sviluppo spirituale. Gli veniva consigliato di dipendere dallo tsadik poiché lui stesso non sarebbe stato capace di compiere la “grande opera” di elevazione spirituale. Ciò si basa sul concetto che lo tsadik e l'hasid sono fondamentalmente specie diverse, e che lo tsadik è così al di sopra del hasid che l' hasid non potrebbe mai raggiungere quel livello da solo.

Shneur Zalman insegnava che lo tsadik nasce con un'anima speciale e che l'uomo comune non può aspirare a quel livello. La persona comune è generalmente governata dalla sua natura animale, la “malvagia inclinazione” (yetser ha-ra) che la spinge nelle mani delle sue passioni. Solo il vero tsadik, insegnava Zalman, può superare completamente la sua natura animale. Tuttavia, non c’è quasi nessuno che sia un vero tsadik, un vero santo.

La maggior parte delle persone rientra nella categoria di beinoni (nel mezzo), la persona media che non è né tsadik né intrappolata nella rete del male. Il beinoni è governato dall'anima razionale che si trova tra l'anima animale (che governa i malvagi) e l'anima divina (che governa i santi). Il beinoni si impegna a vivere una vita spirituale, a non “derivare energie vitali da alcuna fonte diversa da Dio. Ciò significa che considera ogni peccato come idolatria”.[66]

Il beinoni, sebbene senta l'attrazione della vita spirituale, ha bisogno di costante sostegno morale e rinforzo spirituale, e quindi lo tsadik, il maestro, deve entrare nel mondo del beinoni per aiutarlo. Entrando in quel mondo, discende dalla sua statura spirituale di tsadik ed entra nel mondo della dualità – in cui c’è l'attrazione del bene e del male e dove devono essere prese le decisioni. Questa è un'applicazione pratica della metafora dello tsadik che discende dal suo gradino spirituale più elevato sulla scala della spiritualità fino al gradino inferiore del mondo materiale. Si dice che Shneur Zalman abbia detto modestamente di se stesso: “Sono solo un beinoni”.

Il concetto di Shneur Zalman dello tsadik come un tipo speciale di anima ha generato l'elevazione dello tsadik a un livello divino – e una forma di discepolato in cui i hasidim sono diventati totalmente dipendenti dallo tsadik. I detrattori del hasidismo additavano il culto dello tsadik come una forma di idolatria. Sentivano che si stava elevando lo tsadik al livello di profeta o messia, ed è per questo che Shneur Zalman fu denunciato dai suoi nemici.

Alla morte di Shneur Zalman nel 1814, suo figlio maggiore, Rabbi Dov Baer (dal nome del maestro di Shneur Zalman, Dov Baer il Maggid di Mezherich), assunse la guida degli hasidim Habad. Al ritorno di Dov dalla Russia centrale dove aveva accompagnato il padre durante le guerre napoleoniche, si stabilì nella città di Lubavitch, che rimase la sede del movimento Habad fino al 1916.

Dov Baer di Lubavitch[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Dovber Schneuri.

Conosciuto come il Mitteler Rebbe ("Rebbe Mediano" in yiddish, poiché fu il secondo nell'ambito delle prime tre generazioni dei capi religiosi di Habad), Dov Baer (1774–1827) sottolineò soprattutto l'importanza di raggiungere l'estasi spirituale nella preghiera attraverso la pratica disciplinata. Rifiutava quella che chiamava estasi fisica, che deriva dall'eccitazione delle emozioni. Sebbene molti hasidim e cabalisti praticassero la meditazione, sono pochi quelli che hanno scritto esplicitamente sulle loro esperienze. Dov Baer, tuttavia, ha lasciato in eredità due opere insolite (anche se dense e difficili) sull'argomento, Tratto sull'estasi e Tratto sulla meditazione. Di seguito sono riportati alcuni brani tratti dal Trattato sull'estasi (Kuntres ha-hitpa’alut) riguardanti l'estasi derivante dal devekut – lo stato di attaccamento a Dio:

C'è una differenza tra amore e attaccamento [devekut]. L'attaccamento è la vita stessa, poiché è il legame dell'anima alla Vita della Vita, la Luce Infinita, che è chiamata la Sorgente della Vita per tutte le anime.[67]

Questo è il concetto dell'attaccamento intrinseco dell'anima, ed è addirittura superiore alla Sapienza dell’anima [il secondo livello dell'anima nella Cabala]. Ciò viene chiamato attaccamento, poiché l'anima è attaccata e attratta a causa della divinità intrinseca che è in essa. È automaticamente attratto e attaccato, proprio come una scintilla viene attratta da una fiamma. Questa è vera estasi divina.[68]

Al di sopra di questo c'è il concetto di puro desiderio, che è molto più elevato anche della meditazione... Tutta la nostra discussione in questo capitolo su come l'estasi nel cuore e nella mente arriva attraverso la meditazione è in realtà solo l'inizio. Il quinto livello, tuttavia, coinvolge la passione intrinseca che esiste nella propria saggezza e comprensione, e anche questa risplende nel cuore.[69]

Vita alla corte del Rebbe Lubavitch[modifica]

Rabbi Zalman Schachter-Shalomi (1924–2014), un leader spirituale canadese-americano del ventesimo secolo cresciuto come hasid di Lubavitch e che trascorse la vita cercando di trasmettere i valori del hasidismo ai giovani ebrei americani contemporanei, ha scritto un interessante libro intitolato Spiritual Intimacy, in cui osserva strettamente al rapporto tsadik-hasid, specialmente tra i hasidim contemporanei di Lubavitch. Le descrizioni dettagliate date da Schachter-Shalomi sulla vita alla corte del rebbe danno un senso intimo e specifico del rapporto tra hasid e tsadik.

Uno degli eventi più importanti nella vita del hasid erano i colloqui privati che aveva con il suo rebbe. Almeno una volta all'anno, l'hasid chiedeva un colloquio con il suo maestro. Nello hasidismo Habad, questo colloquio personale era chiamato yehidut (unione). Schachter-Shalomi dice che durante lo yehidut con il rebbe, l'hasid e il rebbe diventavano uno, poiché l'anima era aperta all'anima, e non c'era la sensazione che uno fosse superiore o al di sopra dell'altro. Come scrive Schachter-Shalomi, il compito del rebbe è quello di rivelare ciò che non è rivelato, lo spirito interiore, in se stesso e nel hasid.[70]

Quando il rebbe incontrava l'hasid, avrebbe conosciuto la storia dell'anima del hasid, le sue incarnazioni in varie vite. Questa era considerata la sua vera identità. Gli sarebbe stato dato un nome speciale che avrebbe usato in tutte le visite allo tsadik. In questo modo l’identificazione di una persona con il suo corpo, il suo vecchio sé, veniva spezzata. Scopriva che il suo vero sé si trova al di là di esso, rivelato attraverso il suo contatto con lo tsadik.

La fede nella reincarnazione è alla base di tutti gli insegnamenti Lubavitch. Quando le persone andavano a trovare il Rebbe, il Rebbe vedeva la storia dello sviluppo dell'anima attraverso le sue incarnazioni. Mentre torna indietro nel tempo, vede l'anima com'era quando si separò per la prima volta dal Signore – nel primordiale Adam Kadmon (Adamo originale). “It is a vision in which all the potentialities of a soul are realized in divine fullness. The rebbe’s task is to see that the hasid realizes this plenitude – if possible, in this present lifetime.”504 Schachter-Shalomi scrive della missione del rebbe in questa vita.

As he goes back in time, he sees the soul as it was when it first separated from the Lord – in the primordial Adam Kadmon (original Adam). “It is a vision in which all the potentialities of a soul are realized in divine fullness. The rebbe’s task is to see that the hasid realizes this plenitude – if possible, in this present lifetime.”[71] Schachter-Shalomi scrive della missione del rebbe in questa vita:

« The rebbe sees his life task as the sanctification of the Divine. Having known the great illumination, he knows the purpose of his present incarnation as well as of his past incarnations. »
(Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 50)

Quando l'hasid incontra il rebbe nel suo yehidut, il rebbe non guarda solo l'hasid stesso ma anche i suoi antenati. Tutti implorano lo tsadik di aiutare l'hasid con i suoi bisogni. Prende dentro di sé l'angoscia del hasid e sospira. Il sospiro indica che è inondato da “immensa compassione”, come risultato del suo stato di unione con Dio. Guarda dentro se stesso e si concentra completamente sull'hasid. In un certo senso diventa l'hasid. Dopo che l'hasid ha risposto alle domande del rebbe, domande che sono incorniciate dalla conoscenza interiore che il rebbe ha raggiunto dell'hasid, il rebbe offre il suo consiglio e lo benedice.[72]

Ai rebbe veniva dato un pagamento (chiamato pidyon, riscatto). In alcuni casi si trattava di una tariffa mensile che il rebbe poteva utilizzare o distribuire a suo piacimento. Rappresentava il riscatto affinché l'anima della persona fosse liberata dal reame del mondo materiale sotto la protezione dello tsadik. Suggella l'impegno. È anche come il sacrificio sull'altare che la gente portava nei tempi biblici. Questo perché, per l'hasid, il rebbe è come “an altar, a sacrifice without blemish, a high priest offering the sacrifice by eating of the hasid’s gift and raising it up to God in fervent prayer and study”.[73]

In altre occasioni, il rebbe pronunciava sermoni, raccontava storie o spiegava un versetto della Torah o del Talmud per esprimere il suo punto. Spesso queste interazioni avvenivano durante il pasto del terzo Sabbath e venivano chiamate discorsi a tavola o celebrazioni tisch (a tavola). Il pasto del terzo Sabbath era un'occasione speciale in cui i hasidim trascorrevano lunghe ore in compagnia del rebbe: "The table is like the altar, the rebbe is the priest, the food is the oblation, and the leftovers from the rebbe’s plate – the shirayim – are the peace offering. The highly stylized meal is at once a liturgical act and an agape love feast".[74]

« The yehidut, the farbrengen [fellowship of hasidim], and the table talks were occasions in which hasidim were treated to ma’asiyot [stories] told by the rebbes. A. J. Heschel defined the ma’aseh as “a story in which the soul surprises the mind.” Its purpose is to celebrate the rebbe’s wisdom and sanctity and to prepare the hasid to emulate him in his life. »
(Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 9.)
Menachem Mendel Schneerson nel 1989

La linea Lubavitch continuò nel ventesimo secolo. Nonostante l’Olocausto in Europa, che di fatto pose fine a molte altre linee hasidiche, Lubavitch rimase forte anche dopo che il Rebbe trasferì la sua corte negli Stati Uniti e in Canada. L'ultimo rebbe della stirpe, Menachem Mendel Schneerson (1902–1994) fu nominato rebbe alla morte di suo suocero. Ben istruito in Germania, Russia e Francia, fu ingegnere elettrico finché non assunse i compiti spirituali della sua comunità. La sinagoga Lubavitch al 770 Eastern Parkway a Crown Heights, Brooklyn, New York, divenne la sua residenza nel 1988, e i suoi seguaci si riunivano lì regolarmente per ascoltare i suoi discorsi e le sue interpretazioni della Torah e per chiedere il suo consiglio. Iniziò una missione per raggiungere gli ebrei secolari addestrando gli shelihim, emissari, a vivere in mezzo a loro e insegnare valori e rituali ebraici.

Sebbene lo hasidismo dopo il Ba’al Shem Tov avesse rivolto le aspirazioni messianiche ebraiche verso l'interno, verso la salvezza dell'individuo, la speranza messianica ribolliva sempre sotto la superficie. Per alcuni anni prima della sua morte nel 1994, all'interno del movimento si sparse la voce che Rabbi Schneerson fosse il messia tanto atteso. Quando morì improvvisamente il movimento entrò in crisi. Molti dei suoi seguaci si sono rifiutati di accettare la sua morte come definitiva e attendono ancora la sua ricomparsa. Questa convinzione ha causato una spaccatura nel movimento Lubavitcher e ha suscitato una certa inquietudine nel più ampio mondo ebraico ortodosso, poiché per la maggior parte degli ebrei il concetto della “seconda venuta”, preso alla lettera come ricomparsa fisica sulla terra, ricorda fortemente la fede cristiana nella la seconda venuta di Cristo. Infatti, recentemente alcuni dei suoi seguaci hanno suggerito che Schneerson e Gesù sarebbero tornati insieme.

Altri Tsadikim[modifica]

Al di fuori della linea Lubavitcher, c'erano molti altri maestri hasidici che condividevano la luce del loro amore per Dio. La fonte illimitata di grazia e saggezza, le acque nutritive della spiritualità sbloccate per la prima volta dal Ba’al Shem Tov, scorrevano attraverso questi tsadikim e portavano sostentamento spirituale a centinaia di migliaia di loro seguaci nei villaggi rurali, nei paesi e nelle città, anche attraverso i momenti peggiori di sofferenza. Di seguito un breve scorcio di alcuni di coloro che furono attivi nei secoli XIX e XX.

Rabbi Isaac Eizik di Komarno[modifica]

All'inizio del XIX secolo, Rabbi Isaac Safrin (1806–1874), noto come Isaac Eizik di Komarno, scrisse della sua vita intensa dedicata allo studio della Torah e al culto divino attraverso il quale raggiunse “molti stadi elevati dello spirito santo”. Tuttavia, dice, “all’epoca non mi rendevo conto che non era il risultato dei miei sforzi, poiché ero ancora lontano dalla vera adorazione... Molte forze aspre e demoniache si sollevarono contro di me... Peggiore di tutto era lo stato di malinconia in cui caddi”.[75]

Dopo aver finalmente superato questi ostacoli interiori, Rabbi Isaac descrive una luce meravigliosa che attribuisce alla Shekhinah che si posò su di lui. Racconta che dopo questo periodo di gioia spirituale, cadde di nuovo e alla fine si rese conto: “Devo recarmi dai santi che avrebbero attirato la Sua luce... su di me poiché avevo già un vaso raffinato con cui ricevere la luce".[76] Rabbi Isaac si rese conto che tutta la sua adorazione e lo studio della Torah – finanche la sua visione della luce divina della Shekhinah – erano solo una preparazione, una purificazione interiore, per prepararlo alla vera esperienza spirituale che avrebbe potuto ottenere solo cercando la compagnia di un santo.

Per Rabbi Isaac, il Ba’al Shem Tov era un essere divino. Racconta di una visione che ebbe una notte in cui fu sopraffatto dal grande desiderio di vedere il volto del divino Ba'al Shem Tov:

« Corsi alla sua dimora e rimasi nella stanza esterna. Mi dissero che stava recitando le sue preghiere nel santuario interno ma aprì la porta ed ebbi il merito di vedere la forma radiosa del nostro maestro, il Ba’al Shem Tov... Ero in un tale stato di gioia e di timore che non potevo muovermi, ma lui mi si avvicinò salutandomi con un sorriso. Fui molto felice di ciò e la sua forma è impressa nella mia mente così che posso ricordarla. »
(Isaac Safrin, Megillat setarim, pp. 13–14)

Quando Rabbi Isaac scrive di aver visto la “forma radiosa” del Ba’al Shem Tov, si riferisce a un riconoscimento basato sulla visione spirituale della vera “forma informe” del maestro, la sua essenza divina spirituale. Non è un'impressione del suo corpo fisico, ma della realtà superna che prende la forma del Besht.

Sebbene il Besht fosse morto prima della nascita di Rabbi Isaac, egli era l'erede di diversi importanti cabalisti e dinastie hasidiche attraverso i quali gli insegnamenti del Besht sarebbero giunti a lui, e così vide interiormente la forma del Besht. Si associava così strettamente al Besht che credeva di essere la sua reincarnazione.

Rachel di Ludmir[modifica]

Per approfondire, vedi Hannah Rachel Vermermacher, Ludmirer Moyd.

La fine del XIX secolo vide l'apparizione di Rachel di Ludmir, probabilmente l'unica donna rebbe hasidica, che – poiché era una donna – fu ostracizzata e bandita dalla sua comunità in Polonia. Alla fine si stabilì a Gerusalemme dove visse fino alla sua morte nel 1905, dopo aver servito per più di cinquant'anni uomini e donne in cerca di comprensione spirituale. Si sa poco dei suoi insegnamenti effettivi o se insegnasse un percorso mistico: funzionava più come un'operatrice di miracoli per i suoi discepoli che venivano con richieste di sollievo dalla sofferenza terrena.

Potrebbero esserci state altre donne sante nella comunità ebraica di cui non abbiamo informazioni, poiché anche queste sarebbero state soppresse. Solo gli uomini potevano leggere le sacre scritture e il Talmud, e soprattutto i testi mistici. Le donne non erano incluse nelle comunità dei cabalisti o dei hasidim.

Rabbi Kalonymus Shapira[modifica]

Il Piaseczno Rebbe, Kalonymus Shapira (1940ca.)
Per approfondire, vedi Kalonymus Kalman Shapira.

Al tempo della Shoah in Europa durante la Seconda guerra mondiale, Rabbi Kalonymus Shapira si distinse come una fiamma inestinguibile che portò speranza e forza spirituale ai suoi discepoli che furono internati nel ghetto di Varsavia. Erede della dinastia del grande rebbe chassidico di terza generazione Elimelech di Lizhensk, Kalonymus Shapira era conosciuto come il Fuoco Sacro (Esh Kodesh), che è anche il titolo del suo libro più importante, trovato sepolto in un contenitore dopo la distruzione del Ghetto di Varsavia. I suoi scritti attestano la sua crescita spirituale interiore mentre si confrontava con gli eventi orribili a cui viveva e a cui assisteva quotidianamente. I figli di Shapira e altri parenti furono uccisi durante il bombardamento del ghetto di Varsavia nel 1939, e lui fu internato nel ghetto dal 1939 al 1943 dove gestì una sinagoga segreta e organizzò il corretto svolgimento di molti rituali religiosi e giorni sacri. Continuò a portare fede e conforto agli ebrei internati lì con lui e li aiutò a trovare dentro di sé la presenza di Dio, che diede loro la forza di affrontare il loro duro destino. Nel 1943 il rabbino fu portato in un campo di lavoro dove fu fucilato poco prima della fine della guerra.

Shapira servì altruisticamente, instancabilmente, le persone nel ghetto, aiutandole a mantenere la fede in Dio quando la vita sembrava tragica oltre ogni comprensione. All'inizio credeva che l'Olocausto sarebbe finito e che un messia sarebbe venuto a liberare gli ebrei, ma alla fine il suo amore appassionato per Dio lo portò ad accettare ciò che stava accadendo. Lottò con la sua fede ma alla fine arrivò a comprendere e ad accettare tutto come espressione della volontà divina e che l'amore dell'essere divino era sempre presente. Non rinunciò mai alla sua fede nei principi dell'ebraismo e in una speciale relazione d'amore tra Dio e l'individuo.

Perseguì un percorso di preghiera meditativa interiore e anche di adesione alla religione esteriore. Le sue riflessioni sul calmare la mente sono piuttosto rilevanti. Questa citazione è tratta da una lettera scritta da uno dei suoi studenti.

« Il maestro proseguiva con la sua nota tesi secondo cui l'ego costituisce una barriera all'afflusso celeste. Pertanto, se i propri pensieri e il proprio intelletto sono attivi, è difficile che il flusso celeste penetri. Tuttavia, quando uno dorme, la sua mente e i suoi pensieri sono tranquilli, e in quei momenti non ha pensieri auto-diretti ed è possibile che l'influenza celeste lo raggiunga... Ora, quando uno dorme, gli è impossibile desiderare qualcosa per sé, poiché è incosciente. Quindi il nostro obiettivo è arrivare alla coscienza del sonno mentre siamo svegli. Vogliamo cioè arginare il flusso di pensieri e impulsi che è endemico nel funzionamento della mente. Questo flusso di pensieri è altamente associativo ed è molto difficile per un uomo districarsi da esso... Poi ci diede consigli concreti su questo calmamento.
Disse innanzitutto che uno semplicemente controlla l'attenzione per un determinato periodo di tempo, osservando i propri pensieri. Alla fine noterà che la mente si sta svuotando; i suoi pensieri stanno rallentando un po' rispetto al loro flusso abituale. Poi deve ripetere un singolo versetto o una frase, come “Dio è veramente Dio”, per inserire un pensiero di santità nella sua mente ora aperta. »
(Kalonymus Kalman Shapira, Derekh ha-melekh (La Via del Re), pp. 306–07[77])

Rabbi Abraham Isaac Kook[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Abraham Isaac Kook.

Ci furono molti mistici nel ventesimo secolo che non sarebbero stati considerati parte del movimento hasidico, ma furono anche profondamente coinvolti nell'insegnare il percorso verso la realizzazione interiore di Dio; fornivano una guida ai discepoli nella loro ricerca della conoscenza interiore del divino. L'eredità di scritti e lettere di Rabbi Abraham Isaac Kook, ad esempio, che prestò servizio come rabbino capo della Palestina fino alla sua morte nel 1935, rivela che egli perseguiva attivamente la vita mistica e aveva sperimentato la sublime luce interiore. Criticava il culto dei nomi esteriori di Dio come una forma di idolatria. Sosteneva il culto della vera essenza divina che è al di là di qualsiasi nome esteriore di Dio, persino del nome “Dio”.

Abraham Isaac Kook (1924)
« All the ideological controversies among people and all the inner conflicts that every individual suffers in his world outlook are caused by the confusion in the conception of God. This is an endlessly profound realm and all thoughts, whether practical or theoretical, are centered in it....
All the divine names, whether in Hebrew or in any other language, give us only a tiny and dull spark of the hidden light to which the soul aspires when it utters the word “God.” Every definition of God brings about heresy; every definition is spiritual idolatry; even attributing to his intellect and will, even the term divine, the term God, suffers from the limitations of definition...
The greatest impediment to the human spirit, on reaching maturity, results from the fact that the conception of God is crystallized among people in a particular form, going back to childish habit and imagination. This is an aspect of the offense of making a graven image or likeness of God [idolatry], against which we must always beware...
The tendency of unrefined people to see the divine essence as embodied in the words and in the letters alone is a source of embarrassment to humanity, and atheism arises as a pained outcry to liberate man from this narrow and alien pit. »
(Kook, “Pangs of Cleansing” in Abraham Isaac Kook, pp. 261–64)

Ecco un uomo in contatto con lo spirito infinito che chiamiamo Dio! Non c'è da meravigliarsi che alcuni studiosi lo abbiano definito l'unico vero mistico ebreo del XX secolo. Kook ha scritto del risveglio alle profondità del culto interiore, che chiamava la santità del silenzio – il silenzio interiore che crea lo spazio dentro di sé per comunicare con il Signore. Una volta che ci si è assorbiti in quel tipo di culto, le forme esteriori di culto o di preghiera sembreranno restrittive.

« If a person who has risen to the holiness of silence should lower himself to a particularized form of divine service, in prayer, [or] Torah study, to the limited problems of morality, he will suffer and feel oppressed. He will feel as though his soul, which embraces all existence, is being pressed as though with prongs, to surrender her to the lowland where everything exists within a prescribed measure, to the narrowness of a particular path, when all paths are open to him, all abounding in light, all abounding in life’s treasures. »
(Abraham Isaac Kook, Orat ha-kodesh (Lights of Holiness) II, p. 307)

Scrisse anche della luce divina, o fuoco, che dà vita ad ogni cuore. Esorta a lasciare andare il peso della vita materiale e a godere della “grazia dell'amore di Dio”:

« The flame of the holy fire of the love of God is always burning in the human heart. It is this which warms the human spirit and illumines life; the delights it yields are endless, there is no measure by which to assess it. And how cruel is man toward himself, that he allows himself to be sunk in the dark abyss of life, troubles himself with petty considerations, while he erases from his mind this which spells true life, which is the basis for all that gives meaning to life. It is for this reason that he does not share in it, and walks this world bound by the heavy burden of his material existence, without light to illumine his way. But all this is contrary to the nature of life; indeed it is contrary to the nature of all existence. The grace of God’s love, a boon from On High, is destined to break out from its confinements, and the holiness of life will hew a path toward this delight, so as to enable it to appear in its full splendor and might. “No eye has seen what God alone will do for those who wait for him” (Isaiah 64:3). »
(Abraham Isaac Kook, Musar avikha (Your Father’s Moral Teachings), p. 93, Section 4)

Con toccante semplicità, Kook scrisse dell'amore per tutti che scaturiva dalla sua anima divina:

« I love everybody. It is impossible for me not to love all people, all nations. With all the depth of my being, I desire to see them grow toward beauty, toward perfection. My love for the Jewish people is with more ardor, more depth. But my inner desire reaches out with a mighty love toward all. There is veritably no need for me to force this feeling of love. It flows directly from the holy depth of wisdom, from the divine soul. »
(Abraham Isaac Kook, Arpele tohar (Clouds of Purity), p. 22)

L’universalità di Kook si esprime in un altro brano:

« Conventional theology assumes that the different religions must necessarily oppose each other... But on reaching full maturity the human spirit aspires to rise above every manner of conflict and opposition, and a person then recognizes all expressions of the spiritual life as an organic whole. »
(Abraham Isaac Kook, Talalei orot (Dewdrops of Light), pp. 17-18)

Ben Ish Hai e Baba Sali[modifica]

Yosef Hayyim
 
Poster di Baba Sali
Poster di Baba Sali
Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Yosef Hayyim e Baba Sali.

Anche in Israele, diversi mistici ebrei marocchini e iracheni come Yosef Hayyim, noto come Ben Ish Hai (בן איש חי "figlio dell'uomo vivente") dalla sua omonima opera halakhica, e Yisrael Abuhatseira (Baba Sali) hanno fornito conforto a migliaia di discepoli. Baba Sali, che significa “nostro padre che prega”, era l'erede di un importante lignaggio di cabalisti emigrati da Damasco al Marocco più di quattrocento anni prima. In Marocco, dove era insegnante e maestro spirituale, sia ebrei che arabi si rivolgevano a lui per ricevere benedizioni e consigli. Si trasferì in Israele nel 1964 dove il numero dei suoi visitatori fu ancora maggiore. Sotto la sua direzione, i suoi insegnamenti non furono scritti o registrati poiché credeva nell'importanza del contatto personale. Era umile e onesto, noto per il suo abnegazione, la sua purezza, i suoi miracoli e la sua amorevole natura magnetica. I rabbini hasidici andavano da lui per chiedere benedizioni e lui chiedeva le loro. Sia gli ebrei europei che quelli orientali (ashkenaziti e sefarditi) lo veneravano e in lui “trovavano la sorgente d’acqua dolce che dava soccorso, aiuto, benedizione e rassicurazione”.[78] Morì nel 1984.

La storia infinita[modifica]

Albero della Vita
Albero della Vita
Per approfondire, vedi TABELLA CABALA: tutte le voci su Wikipedia.

Questa è una storia senza fine. Non ci sarà mai un capitolo finale, poiché ci saranno sempre nuovi maestri spirituali che verranno ad insegnare la via verso la conoscenza interiore e discepoli che saranno attratti dalla vita spirituale. La realtà mistica è costante e accessibile se guardiamo nel profondo di noi stessi. C'è sempre un desiderio di contatto con Dio, una ricerca di insegnanti che possano indicare la via: nell'ebraismo ci sono stati coloro che hanno enfatizzato il ruolo dell'intelletto, coloro che hanno avvolto i loro insegnamenti in simbolismi complessi o metodi intricati di concentrazione, e coloro che insegnano la via più semplice della devozione. Ogni movimento influenza gli altri, quindi il modello è in continua evoluzione. Ma in tutti i movimenti, in tutti i periodi, c'è stato chi ha cercato la verità interiore sotto la guida dei propri maestri spirituali.

I mistici ebrei hanno sempre enfatizzato la creatività nel culto, non la rigidità. Ai cabalisti veniva ingiunto di innovare come parte della loro adesione allo spirito della ricerca mistica, come risposta alla chiamata interiore dello spirito di Elia e di altre guide interiori. Ci sono state anche molte influenze esterne sull'ebraismo da parte di altre tradizioni religiose: sette mistiche e monastiche cristiane, sufi musulmani e così via. È un processo dinamico.

Oggi in Israele, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri paesi occidentali, c’è un interesse senza precedenti per il misticismo ebraico a tutti i livelli. Ci sono i neo-hasidim che cercano di far rivivere i valori e la devozione del hasidismo. Ci sono i ba’alei teshuvah, i “pentiti” – ebrei cresciuti senza un orientamento religioso ma che sono alla ricerca di un’illuminazione spirituale interiore. Molti di loro si sono uniti ai lignaggi hasidici esistenti, rivitalizzandoli con pratiche e atteggiamenti moderni. Il lignaggio Habad-Lubavitch potrebbe essere il più noto, ma ci sono anche hevra contemporanei che emulano gli insegnamenti e lo spirito di Rabbi Nahman di Bratslav e di altri tsadikim.

La Kabbalah è stata resa popolare grazie agli sforzi del Kabbalah Center, i cui leader sono gli eredi del cabalista del ventesimo secolo Yehudah Ashlag. Si rivolgono sia agli ebrei che ai non-ebrei e hanno molti seguaci famosi. Ma non sono gli unici. Ci sono numerosi rabbini e leader di gruppi che praticano meditazioni cabalistiche e cercano di applicare i principi della Cabala alla loro vita quotidiana. Anche in alcune yeshivah (accademie) ortodosse in Israele, dove i testi tradizionalmente halakhici (talmudico-legali) venivano studiati escludendo materiale esoterico, testi mistici sono stati aggiunti al curriculum. Ogni giorno viene pubblicato un altro libro popolare sulla Cabala, e gli scritti dei primi cabalisti e dei maestri hasidici vengono tradotti in inglese (ma raramente in Italia) e pubblicati da una varietà di editori secolari, accademici e religiosi. In pratica, la Cabala viene spesso reintegrata con il hasidismo e il hasidismo con la Cabala. I ricercatori della comprensione spirituale non si accontentano di un percorso intellettuale verso la conoscenza; perseguono attivamente tecniche di meditazione insegnate da maestri passati e contemporanei.

Vari leader spirituali hanno un ampio seguito al di fuori delle istituzioni religiose tradizionali. Aryeh Kaplan, uno studioso ortodosso del misticismo ebraico che estrasse dalla Bibbia e successivamente dai mistici ebrei le prove delle loro pratiche di meditazione, insegnò la meditazione sia agli ebrei che ai non-ebrei fino alla sua morte prematura all'età di quarantotto anni. Reb Zalman Schachter-Shalomi, menzionato in precedenza, è il fondatore delle comunità B’nai Or (Figli della Luce) – ora chiamate ALEPH: Alleanza per il Rinnovamento Ebraico. Ordinato nel movimento Lubavitcher, Reb Zalman ha ampliato la sua ispirazione ad includere tradizioni monastiche cristiane, indù, sufi e buddiste e pratiche meditative. Il movimento del Rinnovamento riflette questo orientamento multireligioso e multiculturale. Un altro aspetto dell'evoluzione della coscienza ebraica oggi è l’emancipazione delle donne. Tradizionalmente, l'ebraismo è stato patriarcale e dominato dagli uomini, e l'elemento femminile dell'umanità è mancato nella vita spirituale dell'ebraismo. Oggi, tuttavia, le donne sono in prima linea nella trasformazione dell'ebraismo in un percorso spirituale più olistico, che abbracci il culto interiore insieme alle tradizioni religiose esteriori. Le donne stanno anche assumendo ruoli di leadership nella comunità: vengono ordinate rabbini, accettate come studiose di studi religiosi e mistici ebraici e tengono corsi di meditazione.

È un tempo di fermento e di ricerca spirituale, motivato dalla profonda spinta interiore verso la realtà spirituale che è il patrimonio umano universale. Quando la Bibbia dice che siamo creati “a immagine di Dio”, significa che tutti gli esseri umani condividono lo stesso nucleo divino, il ruah ha-kodesh, che può essere percepito dentro di noi nella contemplazione e nella meditazione. Come ha scritto Gershom Scholem:

(IT)
« La storia non è finita, non è ancora diventata Storia, e la vita segreta che racchiude potrà esplodere domani in te o in me. Sotto quali aspetti questa corrente invisibile del misticismo ebraico verrà di nuovo in superficie, non possiamo dirlo. »

(EN)
« The story is not ended, it has not yet become history, and the secret life it holds can break out tomorrow in you or in me. Under what aspects this invisible stream of Jewish mysticism will again come to the surface, we cannot tell. »
(Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, p. 350.)

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea.
  1. Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 34.
  2. Ya’akov Yosef, Tsofenat paneah (Revealer of the Hidden) (Lemberg, Druker ed., 1866) 16a, Ben porat Yosef (Son of the Fertile Vine of Yosef) (Balaban ed., n.d.), 17d, 99c; cfr. anche Dresner, The Zaddik, pp. 34–35.
  3. Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef (Lemberg, Stand ed., 1863), 158d, cit. in Dresner, The Zaddik, p. 83.
  4. Etkes, The Besht, p. 8.
  5. Si trattava di un uso diverso di yihudim (unificazioni) e kavanot' (esercizi di concentrazione) da quelli prescritti dai cabalisti come Luria, che stavano tentando di ristabilire l'equilibrio nel regno divino.
  6. Etkes, The Besht, p. 47.
  7. Letteralmente maggid significa “colui che racconta”. Era usato per indicare un angelo, considerato un messaggero di Dio. È stato utilizzato anche in tempi più recenti per indicare il predicatore o il leader della comunità ebraica, in quanto è colui che guida con l'influsso del divino.
  8. Narrato in A. Kahana, Sefer ha-hasidut (Book of Piety) (Warsaw, n.p., 1922), p. 105; trad. e cit. in Dresner, The Zaddik, p. 39.
  9. Etkes, The Besht, p. 110.
  10. Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 186.
  11. Cfr. Giudici 18:6, Proverbi 5:21.
  12. Cfr. Proverbi 4:21.
  13. Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 81.
  14. È interessante notare che il termine “profeta” non fu usato per Abramo o Mosè durante la loro vita. Questi termini vengono applicati ai santi e ai mistici dopo la loro morte, sebbene siano essi stessi i modelli le cui vite e insegnamenti definiscono i termini.
  15. Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 127.
  16. Proverbi 10:25.
  17. Nel sistema sefirotico della Cabala, yesod è simbolico dell'organo maschile. Potrebbe forse essere un parallelo diretto con lo shiv lingam degli indù, che è un pilastro verticale simbolico del potere creativo divino.
  18. Citato in Green, “The Zaddiq as Axis Mundi in Later Judaism” in JAAR XLV/3 (1977), p. 338.
  19. Ya’akov Yosef, Tsofenat paneah, 50d, cit. in Dresner, The Zaddik, p. 130.
  20. Dresner, The Zaddik, p. 124.
  21. Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef, 99a, in Dresner, The Zaddik, p. 124.
  22. Ya’akov Yosef, Toldot Ya’akov Yosef, 59b, cit. in Dresner, The Zaddik, p. 174.
  23. Rebbe (Yiddish: רבי, rebe) o Admor (ebr. אדמו״ר) è un termine affettuoso per Rabbi, ed era spesso usato dai hasidim per lo tsadik a cui erano devoti.
  24. Passo da M. Zelikson, Kol mevaser ve-omer (The Voice of the Herald Brings Good News and Proclaims), 32, 48–49 (Abraham Pariz-Slonim) (Gerusalemme, 1965), cit. in Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 133.
  25. Jacob Leiner di Radzhyn (figlio di Mordekhai Joseph Leiner), Beit Ya’akov (Casa di Giacobbe), “Shemot” (Esodo), 14a (Lublino, 1904), cit. in Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 128.
  26. Kalonymus Epstein, Ma’or va-shemesh, cit. in Elior, Mystical Origins of Hasidism, pp. 146–147.
  27. Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 147.
  28. Elimelekh di Lyzhansk, No’am Elimelekh, Sez. “Terumah,” 48, e Section “Bo,” 31; Jacob Isaiah Horowitz (Veggente di Lublino), Zikhron zot, Sez. “Yeshayahu” - 452. Elimelekh of Lyzhansk, No’am Elimelekh, Section “Bo,” 31 - tutti citati in Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 144.
  29. Cit. p. 121 in Dresner, The Zaddik, corsivo aggiunto.
  30. Ya’akov Yosef, Ben porat Yosef, 70c, cit. in Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 75, con riferimento alla traduzione in Etkes, The Besht, p. 135. Altre versioni della storia appaiono in Ya’akov Yosef, Keter shem tov, 51, p. 8a, e altre fonti.
  31. Ya’akov Yosef, Ben porat Yosef, 70c, cit. in Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 75.
  32. Dresner, The Zaddik, p. 182, cfr. Toldot Ya’akov Yosef, 31c.
  33. Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 79.
  34. Dov Baer di Mezherich, Magid devarav le-Ya’akov (He Speaks His Teachings to Ya’akov) (Korets 1781), Rivka Schatz-Uffenhimer, cur., (Gerusalemme, 1976), p. 240; corsivo aggiunto, cit. in Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 79.
  35. Etkes, The Besht, p. 143.
  36. Cfr. Etkes, The Besht, pp. 144–147.
  37. Etkes, The Besht, p. 130.
  38. Cit. in Etkes, The Besht, pp. 130–131.
  39. Pinhas Shapiro di Korets, Sefer midrash Pinhas (Gerusalemme: Yom-Tov Zipa Weiss Publishers, 1953), p. 10, cit. in Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 149.
  40. L. Newman e S. Spitz, The Hasidic Anthology: Tales and Teachings of the Hasidim (NY: Schocken Books, 1963), p. 327, cit. in Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 149.
  41. Shneur Zalman di Lyady, Ma’amrei Admor ha-zaken ha-ketsarim 61, cit. in Rachel Elior, Mystical Origins of Hasidism, p. 111.
  42. Jacobs, Holy Living, p. 70.
  43. Dresner, The Zaddik, p. 188.
  44. Etkes, The Besht, p. 106.
  45. Ya’akov Margaliot, Gedolim ma’asei tsadikim (Great Deeds of the Tsadikim), p. 23, cit. da Etkes, The Besht, p. 107.
  46. Tradotto da Etkes in The Besht, p. 190.Cfr. anche In Praise of the Ba’al Shem Tov, §168.
  47. Meshulam Feibush Heller, Yosher divrei emet (Honest Words of Truth and Faith), in Sefer likutim yekarim (Book of Precious Gleanings) (Gerusalemme, 1974), p. 110a, cit. in Etkes, The Besht, p. 258.
  48. Etkes, The Besht, p. 184.
  49. Riportato in Kaplan, Chasidic Masters, p. 37.
  50. Buber, Tales of the Hasidim, Book One, pp. 17, 18.
  51. Entrambe le citazioni da Buber, Tales of the Hasidim, Book One, p. 17.
  52. Riportato da Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism, p. 344.
  53. Kaplan, Chasidic Masters, p. 37.
  54. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 63.
  55. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 70.
  56. Buber, Tales of Rabbi Nachman, trad. Maurice Friedman, pp. 36-37.
  57. Rabinowicz, The World of Hasidism, p. 80.
  58. Rabinowicz, The World of Hasidism, p. 80.
  59. Nahman of Bratslav, Likutei moharan (Gleanings from our Master Rabbi Nahman) 19, in Bokser, Jewish Mystical Tradition, p. 237.
  60. Nahman di Bratslav, Likutei moharan, 19, in Bokser, Jewish Mystical Tradition, p. 238.
  61. Nahman di Bratslav, Likutei moharan, 192, in Bokser, Jewish Mystical Tradition, pp. 239–240.
  62. Nahman di Bratslav, in David Hadran, Leket II, Me-olamo shel rebbe mi-Braslav (Gleanings II, From the World of the Rabbi of Bratslav), pp. 22-23.
  63. Buber, Tales of Rabbi Nachman, Maurice Friedman, trad., p. 31.
  64. Buber, Tales of Rabbi Nachman, Maurice Friedman, trad., p. 31.
  65. Da’at, pur non essendo una delle dieci sefirot in senso stretto, era considerata una sefirah "ombra" formata dalla relazione dialettica di hokhmah e binah. È un centro energetico creato dall'incontro delle energie opposte di hokhmah (maschile, esteriore) e binah (femminile, interiore). Si veda anche l'Appendice 2: Le Sefirot
  66. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 153.
  67. Dov Baer di Lubavitch, Kuntres ha-hitpa’alut (Trattato sull'estasi), cap. 1, cit. anche in Kaplan, The Chasidic Masters, pp. 159-167.
  68. Dov Baer di Lubavitch, Kuntres ha-hitpa’alut, cap. 1
  69. Dov Baer di Lubavitch, Kuntres ha-hitpa’alut, cap. 2.
  70. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 47.
  71. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 131.
  72. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, pp. 126–129.
  73. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 119.
  74. Schachter-Shalomi, Spiritual Intimacy, p. 88.
  75. Isaac Safrin, Megillat setarim (Scroll of Secrecy), pp. 13–14, in Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, pp. 293–294.
  76. Isaac Safrin, Megillat setarim, pp. 13–14, in Jacobs, Schocken Book of Jewish Mystical Testimonies, p. 294.
  77. Cfr. anche Cohen-Kiener, trad., in Conscious Community: A Guide to Inner Work, pp. 102–103.
  78. Alfasi e Bari, curr., e L. Dolinger, trad., Baba Sali, p. 29.
Serie misticismo ebraico
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