Ispirazione mistica/Capitolo 5

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Indice del libro
Ere rabbiniche


Saggi e Rabbini[modifica]

Per approfondire, vedi Asidei, Chassidim, Hasideans, Hasid e Rabbinismo.

Gli ultimi secoli AEV furono un periodo spartiacque, un tempo in cui le tradizioni sacerdotali e profetiche venivano emarginate in una piccola setta che continuava le antiche usanze, e la vita della gente veniva gradualmente trasformata dagli scribi e dai saggi in uno stile di vita rabbinico e intellettuale. Questo non vuol dire che i rabbini e i saggi si unirono al campo degli Asmonei e al loro tipo ellenizzato di ebraismo. Al contrario. Proprio come gli Zadokiti cercarono di stabilire se stessi e la loro comunità come alternativa al Secondo Tempio, così anche i rabbini cercarono di trovare un nuovo modo in cui gli ebrei potessero definire se stessi, poiché consideravano il Tempio corrotto e illegittimo. Non forniva più un punto focale vitale per la loro adorazione e culto. Credendo che la profezia fosse finita, iniziarono a interpretare i testi sacri e cercarono di costruire uno stile di vita in cui ogni momento fosse un ricordo di Dio e della Sua alleanza.

Il primo gruppo di questi saggi, vissuto dal III al I secolo AEV, è conosciuto solo attraverso alcuni brevi riferimenti nel Talmud, il codice legale ebraico che fu scritto nel corso di diverse centinaia di anni a partire dal I secolo EV. Questi saggi, che il Talmud chiama hasidim rishonim (primi pietisti) subirono persecuzioni per mano dei governanti ebrei ellenizzati e del potente sacerdozio asmoneo. Si dice che migliaia furono uccisi e altri fuggirono in terre sconosciute. Nel Talmud furono elogiati per la loro leale adesione ai requisiti spirituali ed etici dell'ebraismo, con totale indifferenza per il pericolo che ciò avrebbe comportato. Le loro vite furono segnate da una straordinaria ricerca della virtù a livello individuale. Sembra che praticassero una sorta di meditazione ogni mattina prima delle loro preghiere per dirigere i loro cuori verso Dio. Non è ancora noto se fossero una setta formale o semplicemente un gruppo di persone vagamente identificato con una visione comune e devozione per Dio, che seguivano uno stile di vita rigoroso aderente alla legge religiosa ed etica ebraica. Il loro amore leale per Dio divenne un'ispirazione per gli ebrei nel corso dei secoli, e i termini hasid e il suo plurale hasidim vennero associati ai veri devoti di Dio in tutti i periodi.[1]

C'era un sottogruppo di questi hasidim che erano considerati operatori di miracoli, taumaturghi. E in effetti, molti miracoli furono loro attribuiti in virtù delle loro buone azioni e dello studio della Torah. Quindi, nonostante l’insistenza ufficiale sul fatto che la profezia fosse finita, i resoconti della successiva letteratura rabbinica attribuiscono numerosi miracoli e pratiche magiche a questi saggi e alle generazioni che seguirono.

Roma conquistò la Giudea dai Greci nel 70 AEV e la generazione successiva di leader rabbinici visse sotto la dominazione romana fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 EV. Il rispetto romano per l'autonomia culturale e religiosa ebraica produsse un rinnovato interesse per lo studio della Torah, che era diminuito durante il periodo asmoneo. Furono istituite accademie per lo studio dei testi religiosi e l'alfabetizzazione fu diffusa. Si dice che a Gerusalemme, prima della sua distruzione, esistessero trecento scuole elementari.

Haninah ben Dosa, considerato l'ultimo dei primi hasidim che operavano miracoli, era ancora attivo durante il primo periodo romano. Le qualità sante e la statura spirituale di Haninah sono rivelate nella seguente storia:

« Una volta andò a trovare il suo maestro e, arrivato presto a scuola, si fermò sulla soglia e annunciò: "Ricevete tutti con volto amichevole". Un funzionario romano si avvicinò e disse: "Chi di voi mi porterà sulle sue spalle a casa sua e farà per me tutto ciò che voglio?" Haninah si alzò e si offrì, lo portò sulle sue spalle a casa sua, gli portò dell'acqua, si sedette nella polvere e chiese al romano: "Padrone, qual è il tuo desiderio e cosa mangerà il mio padrone per pranzo?" Quando rispose: "miele e noci", Haninah corse in diverse direzioni e portò il cibo desiderato. Quando il romano gettò il tavolo a terra, Haninah chiese: "Padrone, per favore dimmi il tuo desiderio". Quando rispose: "Chi mi porterà a casa mia?" Haninah si offrì nuovamente. Quando uscì al mercato della città, sentì che il romano era smontato. Vide una fiamma salire al cielo e udì la sua voce dirgli: "Haninah, ritorna, sei stato provato e trovato perfetto, non ti daremo più fastidio, perché ho sentito dire di te: ‘Io ho posto le mie parole sulla tua bocca, ti ho nascosto sotto l'ombra della mia mano’ (Isaia 51:16)". »
(Narrato in Buchler, Some Types of Jewish-Palestinian Piety, nota a pp. 90–91, citando da Sefer ma’asiyot (Il Libro delle Azioni), Gaster, cur., Ramsgate, 1896, p. 115ss)

Haninah è citato nel Pirkei Avot (Etica dei Padri), una sezione della Mishnah che presenta i detti dei primi saggi:

« Colui le cui azioni superano la sua saggezza, la sua saggezza durerà, ma colui la cui saggezza supera le sue azioni, la sua saggezza non durerà. »
(Talmud, Mishnah Avot (Padri) 3:12)

La fede totale di Haninah in Dio era oggetto di leggenda. Per lui e sua moglie il miracolo era naturale. Quando finirono l'olio e sua moglie usò l'aceto, disse:

« Colui che ha comandato di bruciare l'olio comanderà anche di bruciare l'aceto. »
(Talmud, Mishnah Ta’anit (Digiuni) 25a)

Nonostante la sua vita virtuosa, Haninah era veramente umile e si considerava un peccatore. Esemplificò le qualità del vero hasid. Una volta una lucertola velenosa lo morse e tuttavia la lucertola morì. Se la portò in spalla in accademia, commentando semplicemente:

« Vedete, figli miei, non è la lucertola che uccide, è il peccato che uccide. »
(Talmud, Mishnah Berakhot (Benedizioni) 33a)

Il vero hasid era paziente e sempre pronto a perdonare. Un saggio anonimo insegnò:

« Ci sono quattro tipi di temperamento tra le persone. Chi è facilmente ferito e facilmente placato, la sua perdita è compensata dal suo guadagno; chi è duro nell'ira e difficile da placare, il suo guadagno è annullato dalla sua perdita; colui che è difficile da irritare e facile da placare, è un hasid; colui che si adira facilmente ed è difficile da placare è un uomo malvagio. »
(Talmud, Mishnah Avot 5:14)

Uno degli insegnanti più importanti durante il periodo della dominazione romana fu Hillel (morto ca. 10 EV). La sua influenza fu molto diffusa tra gli ebrei del suo tempo e persiste fino ad oggi; ci sono parecchie leggende sulla sua pietà personale, umiltà e sete di conoscenza. Nato a Babilonia, fu attratto dalle scuole di Shmaya e Abtalion e si recò in Giudea per studiare con loro. Nonostante le grandi difficoltà economiche studiò sotto la guida dei suoi maestri lavorando per mantenersi, spesso dormendo nella fredda soffitta dell'accademia.

Hillel sintetizzò gli insegnamenti dell'ebraismo in due massime che riguardano il rapporto tra Dio e l'uomo e gli esseri umani tra loro: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze” (Deuteronomio 6:5), e “Ciò che è odioso a te, non farlo al tuo prossimo”.[2] Questa è una formulazione concreta e pratica della Regola d'Oro affermata nella Bibbia: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Levitico 19:18), citato anche da Gesù di Nazareth, vissuto più o meno nello stesso periodo.

Fortunatamente, alcuni detti di Hillel sono conservati nella letteratura rabbinica. Sono testimoni della sua straordinaria umiltà e saggezza. Eccone alcuni:

« La mia umiliazione è la mia elevazione, la mia elevazione è la mia umiliazione. »
(Midrash Leviticus Rabbah 1:5)
« Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando? »
(Talmud, Mishnah Avot 1:14)

Hillel era costantemente consapevole che la vita è transitoria e che coltivare la sua anima era il suo dovere più importante. Ciò è illustrato dalla seguente storia:

« Una volta Hillel stava per congedarsi dai suoi discepoli nella scuola. Quando gli chiesero dove andasse, rispose: "Per fare hesed all'ospite di casa mia". Quando gli chiesero se avesse un ospite ogni giorno, disse: "La mia povera anima non è forse un'ospite nel corpo, come lo è oggi qui, e domani non più?"[3] »

Nella tradizione ebraica, Hillel è venerato come qualcuno che aveva meritato lo spirito santo, ruah ha-kodesh. Non vien detto esattamente cosa abbia fatto per meritarlo, ma il succitato brano implica la sua attenzione al suo benessere spirituale. In una delle baraita (mishnah supplementari) su di lui, si diceva che Hillel “fosse degno della presenza di Dio, che la Shekhinah riposasse su di lui; questo significa anche il dono della profezia”.[4] La stessa baraita racconta di Samuele il Piccolo, discepolo di Hillel, che era seduto con alcuni compagni studiosi. Era chiamato “il piccolo” perché si faceva piccolo (umile). La baraita dice che “fu designato da una voce celeste come l'unico degno dello spirito santo”.[5] In effetti, molti altri discepoli di Hillel meritarono il livello di ruah ha-kodesh. Secondo un'altra tradizione, trenta degli ottanta discepoli di Hillel si erano evoluti spiritualmente a quel livello. Lo studioso Adolph Buchler ha osservato: "The numbers may be exaggerated, but the connection between the learning of the disciples and their character on the one hand, and their worthiness of the prophetical gift and their ability to work miracles on the other, is evident."[6] Sembrerebbe che anche i rabbini talmudici riconobbero che la profezia non era finita con i profeti biblici.

La leggendaria grandezza di Hillel come insegnante di moralità e amore è sintetizzata nelle seguenti massime:

« Siate dei discepoli di Aronne, amate la pace e perseguite la pace, amate i vostri simili e avvicinateli alla Torah. »
(Talmud, Mishnah Avot 1:12)
« Non giudicare il tuo prossimo finché non sarai stato messo nella sua posizione. »
(Talmud, Mishnah Avot 2:5)

Hillel insegnò la legge della compensazione equivalente per le proprie azioni: la legge di azione e reazione.

« Egli [Hillel] una volta vide il teschio di un uomo galleggiare sulla superficie delle acque e, riconoscendolo, disse: “Poiché hai annegato gli altri, loro hanno annegato te. E coloro che ti hanno annegato alla fine saranno annegati”. »
(Talmud, Mishnah Avot 2:7)

Un altro saggio di questo periodo sottolineava la necessità di un maestro o insegnante che guidasse sulla via corretta. Joshua ben Perahya disse:

« Procurati un maestro e procurati un compagno; e giudica favorevolmente tutte le persone. »
(Talmud, Mishnah Avot 1:6, in Bokser, The Talmud, p. 220)

L'umiltà nella pratica, sotto tutti gli aspetti, era la qualità chiave da assorbire. Judah ben Tema è citato in una versione successiva dell’Etica dei Padri:

« Se hai fatto un piccolo torto al tuo prossimo, sia grave ai tuoi occhi; se gli hai fatto molto bene, sia poco ai tuoi occhi; se ti ha fatto un po' di bene, sia grande ai tuoi occhi; se ti ha fatto un torto grande, sia poco ai tuoi occhi. »
(Mishnah Avot de-Rabbi Nathan, Goldin, trad., pp. 172–73)

Molti dei saggi del periodo romano, come Hillel e gli altri della sua accademia, sarebbero stati considerati farisei. Nonostante il quadro negativo dipinto di questo gruppo in alcuni testi successivi, la storia autentica dei farisei, attivi dal 70 AEV al 70 EV, è ancora incerta. Sembra, tuttavia, che, come la setta di Qumran, rifiutassero la corruzione del Tempio e del sacerdozio. Ma invece di ricreare la propria comunità come sostituto del sacerdozio, cercarono di ricreare l'intero paese, e in effetti ogni casa, come uno spazio sacro in cui Dio potesse dimorare.

La loro attenzione era focalizzata sulla creazione di uno stile di vita che circoscrivesse il comportamento quotidiano con virtù. La tavola nella casa diventò una tavola sacra. Prendeva il posto dell'altare sacrificale del Tempio. La comunione a tavola divenne un'attività sociale e spirituale normativa. Il comportamento compassionevole, etico e morale divenne il punto di riferimento del loro modo di vivere. Jacob Neusner, probabilmente il più eminente studioso dell'ebraismo rabbinico, riflette:

« How should the holy people serve God? They should purify themselves – sanctifying themselves by ethical and moral behavior. They should offer the sacrifice of a contrite heart, as the Psalmist had said, and they should serve God through loyalty and through love, as the prophets had demanded. »
(Neusner, “Varieties of Judaism in the Formative Age,” in Jewish Spirituality: From the Bible through the Middle Ages, vol. 2, Green, cur., p. 192. Questo articolo appare anche nel libro di Neusner, Torah from Our Sages, p. 185)

Per portare la devozione a Dio nella casa e nella sfera della vita quotidiana, idearono alcuni rituali o pratiche che servissero a ricordare il proprio dovere di santificare Dio in tutte le proprie attività. Crearono preghiere per occasioni specifiche, basate su testi biblici. Scrivevano preghiere da recitare quando si riprendevano da una malattia, quando intraprendevano un viaggio o quando vedevano un temporale. Istituirono l'uso della mezuzah (מזוזה, "stipite") e dei tefilllin (תפילין, filatteri), simili ad amuleti, riempiendoli di importanti passaggi della Bibbia riguardanti il ricordo di Dio.[7]

I farisei cercarono di offrire al popolo un focus alternativo per il culto di Dio, basato su un'interpretazione contemporanea della Bibbia e sul suo adattamento alle esigenze del tempo. Introdussero una nuova fonte di legittimità, non basata sulla rivelazione divina, sul lignaggio biblico o sulle affermazioni sacerdotali, ma piuttosto sull'interpretazione dei testi sacri che erano stati ispirati da rivelazioni precedenti. E dopo la distruzione del Tempio, i farisei presero il potere e divennero noti come rabbini. Ciò rappresenta una vera svolta nella storia dell'ebraismo, che si trasformò in una religione del testo e del sapere. Anche la pratica mistica divenne dipendente dallo studio dei testi sacri e dalla conoscenza dei segreti dell'ebraico come lingua sacra.

Yeshua di Nazareth[modifica]

Per approfondire, vedi Serie cristologica.

Quando riflettiamo sulla storia della spiritualità e del misticismo ebraico, certamente la figura di Gesù (Yeshua) Cristo deve essere inclusa nel nostro pensiero, indipendentemente dalle differenze storiche tra le due religioni sorelle: ebraismo e cristianesimo. Prima che il Cristianesimo diventasse una religione separata, prima che diventasse prevalente la convinzione che Gesù fosse l’unico Messia di tutti i tempi, bisogna riconoscere che Gesù fu un importante maestro spirituale ebreo che portò un sublime insegnamento spirituale molto nella tradizione dei profeti biblici e altri mistici, che si espresse in termini chiari e adeguati al tempo in cui visse. Gesù deve essere apprezzato nel contesto dell'ebraismo del I secolo, indipendentemente da come venne considerato in seguito sia dai cristiani che dagli ebrei. Deve essere visto come un maestro nella lunga catena di maestri spirituali ebrei.

Gesù era contemporaneo di Hillel e ci sono parallelismi tra i suoi insegnamenti e quelli di Hillel e di altri primi rabbini, come anche con gli insegnamenti dei profeti biblici e con i testi trovati a Qumran. Anche il battesimo o l'unzione di Gesù da parte di Giovanni il Battista “lies within the tradition of prophets anointing prophets”,[8] scrive Harris Lenowitz in The Jewish Messiahs. Il moderno studioso rabbinico Shaye Cohen scrive:

« The Jews of Galilee who beheld Jesus thought that he was “one of the prophets,” probably because he performed many miracles (Matthew 16:14 and parallels). . . . The image of Jesus in the Gospels and in later Christian tradition has been shaped by the belief that classical prophecy had returned and that Jesus was a prophet like Moses. »
(Cohen, From the Maccabees to the Mishnah, p. 201)

Daniel Matt, noto esperto di spiritualità e misticismo ebraico, scrive meravigliosamente di Gesù come di un maestro spirituale ebreo, un hasid, "someone passionately in love with God".[9] Egli traccia un parallelo con l'hasid Haninah ben Dosa che visse nello stesso periodo e di cui abbiamo discusso in precedenza:

« There were other hasidim in first-century Palestine [Judea], one of whom was strikingly similar to Jesus: Haninah ben Dosa. Haninah lived in Galilee, about ten miles north of Jesus’ home town of Nazareth. Like Jesus, he was praised for his religious devotion and healing talents. Once, Haninah was praying when a scorpion bit him, but he did not interrupt his prayers. His pupils went and found the scorpion dead at the entrance to its hole. They said, “Woe to the man bitten by a scorpion, but woe to the scorpion that bites [Haninah] ben Dosa,’” Similarly, Jesus said, “Those who believe may step on snakes . . . and nothing will harm them.” Haninah’s prayers were widely regarded as being immediately accepted by God, so he was frequently asked to pray for the sick and those in trouble. According to the Talmud, Haninah cured the son of Gamaliel from a distance; according to the New Testament, Jesus cured the son of the Roman centurion from a distance. Haninah, like Jesus, was known for his poverty and lack of acquisitiveness. Both had no expertise in legal or ritual teachings, but were famous, rather, as miracle workers whose supernatural power derived from their intimacy with God. »
(Matt, God and the Big Bang, pp. 156–157. Riferimenti talmudici e biblici sono dalla Tosefta (suppl. Mishnah), Mishnah Berakhot, 3:20 e Marco 16:18[10])

Esistono numerosi altri paralleli tra gli insegnamenti di Gesù e quelli dei hasidim del suo periodo. Ad esempio, come prova della sua adesione alla tradizione ebraica, uno scriba gli chiese quale fosse l'essenza della Torah, e in risposta Gesù diede due dei comandamenti chiave, amare Dio e amare il prossimo, proprio come fece Hillel. Esprime quest'ultimo comandamento come “Ama il tuo prossimo come te stesso”, e altrove dice: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la [essenza della] Torah ed i Profeti”.[11] Allo stesso modo, Hillel aveva detto: “Ciò che non vorresti che gli altri facessero a te, non farlo al tuo prossimo”. Matt sottolinea che Gesù è in realtà più esigente, più hasidico nella sua interpretazione del principio.[12] E ciò vale in numerosi altri casi. Matt sottolinea:

Jesus was a charismatic teacher and healer. He did not seek death in Jerusalem, but he pursued with inflexible devotion a path that led to his death, from which he did not try to escape.

Jesus condemned hypocrisy and injustice among his own people and sought to prepare his followers for the coming redemption, for the kingdom of heaven [malkut shamayim]. For Jesus, the kingdom was not a pious theory or a far-off promise. It was an immediate reality that could not be denied or evaded. . . . The kingdom is here and now. Jesus was compelled to make his fellow Jews aware of this awesome, humbling fact. To enter the kingdom, Jesus said, you must be like a child. Innocence is a window to the infinite, unavailable to the skeptical mind until it pauses and reflects.

Like later hasidim, Jesus felt that it was not enough to follow the Torah: One must become Torah, living so intensely that one’s everyday actions convey an awareness of God and evoke this awareness in others[13]

Il messaggio di Gesù era quello di essere innocenti. Come i profeti, insegnò che bisogna diventare puri di cuore e di mente e adorare Dio interiormente, attraverso la parola o il nome di Dio. L'orgoglio dell'intellettuale non aveva posto lì. L'uomo comune poteva trovare la salvezza seguendo Gesù e conformando la sua vita ai suoi insegnamenti, amando Dio e amando i suoi simili. Il fascino di Gesù era che il suo insegnamento non era complesso o intellettualmente impegnativo, ma attingeva all’inclinazione intrinsecamente spirituale e devozionale dell’uomo.

Siamo fortunati ad avere così tanti detti di Gesù conservati nel Nuovo Testamento; ci danno un'idea non solo di Gesù come importante maestro spirituale, ma rivelano anche la coerenza degli insegnamenti di Gesù con la natura e il linguaggio della spiritualità tra gli ebrei del suo tempo, come abbiamo visto in precedenza con il frammento dei Rotoli del Mar Morto, che esplora “i segni del messia”.

Molti dei primi seguaci di Gesù lo consideravano il messia che avrebbe realizzato le speranze e le predizioni correnti a quel tempo, come venivano espresse nella letteratura messianica apocalittica che era ampiamente diffusa tra tutte le sette ebraiche. Non solo era visto come un profeta e un potenziale redentore spirituale, ma la maggior parte degli ebrei lo vedeva come qualcuno che li avrebbe riscattati dalla tirannia romana. La maggior parte non capiva o non poteva capire che Gesù era venuto solo come maestro spirituale, profeta, operante esclusivamente a livello spirituale e non come leader politico.

Il desiderio di un messia continuava a spingere gli ebrei a cercare un maestro che unisse i ruoli di profeta, re, sacerdote e liberatore politico tutto in uno. Per gli ebrei di quel periodo, la redenzione politica e la salvezza spirituale erano legate insieme, e speravano in un messia che li liberasse a tutti i livelli contemporaneamente.

Nel corso dei successivi venti secoli la speranza di redenzione troverà incarnazione in una serie di figure messianiche di cui parleremo nei Capitoli successivi. Sebbene la loro attività e i loro insegnamenti riguardassero generalmente la salvezza del popolo ebraico su scala nazionale e religiosa – il raduno degli esuli e l'instaurazione sulla terra della Gerusalemme celeste e del Regno dei cieli sulla terra – molti di loro avevano anche una dimensione spirituale e mistica nel loro insegnamento. In effetti, c'erano sempre quelle persone all'interno della comunità che cercavano un ritorno spirituale – un ritorno al favore divino, allo stato di coscienza più elevata in cui si può entrare in contatto con lo spirito di Dio e seguire le Sue vie.

I rabbini di Yavneh e Tiberiade[modifica]

Per approfondire, vedi I due mondi dell'ebraismo — olam ha-zeh v’olam ha-ba (עולם הזה‎ – העולם הבא).

Ci furono circa tre periodi in cui i saggi divennero progressivamente più potenti, fino a rappresentare la forma normativa e dominante di leadership ebraica che continua fino ad oggi: il tempo dei primi hasidim, il periodo di Hillel e di altri farisei e infine il periodo di trasformazione dei farisei in rabbini.

Quando il Secondo Tempio fu distrutto nell'anno 70 EV, i farisei fuggirono nella città di Yavneh per ristabilire la loro accademia e corte (il Sinedrio) sotto la guida di Yohanan ben Zakkai, che aveva vissuto per sette anni in una grotta per sfuggire ai romani. Yohanan era ideale per il compito di ricostruzione. Aveva studiato con Hillel, e il venerabile maestro lo aveva proclamato “il padre della saggezza” e “il padre delle generazioni future”.

Gli studiosi di Yavneh continuarono a insegnare e a formulare un insieme onnicomprensivo di leggi per governare la vita quotidiana, che alla fine divenne la Mishnah. Non c'era più il Tempio, non più il sacerdozio. La dominazione romana significò la fine assoluta del culto del Tempio senza alcuna reale speranza per il suo ristabilimento nella realtà presente, solo la speranza per un nebuloso futuro messianico. Ma come vivere adesso? Come si doveva adorare Dio? Fortunatamente, la struttura sociale e il modo di pensare che i farisei avevano sviluppato come alternativa ad un Tempio corrotto nel tardo periodo del Secondo Tempio fornirono la risposta. Era la fine della storia? No. I farisei avevano risposto alla sfida portando il loro insegnamento verso l'interno. Dio era inteso come onnipervadente e immanente, il fondamento stesso del loro essere. Il concetto di Dio insegnato durante questo periodo non era quello di un essere o di un potere che necessitava di essere adorato in un tempio, ma come l'Uno senza forma che è presente nell'intera creazione. Come spiega Ben Zion Bokser, studioso dell'ebraismo rabbinico:

« The rabbis repeatedly insisted that God is not a concrete being, with tangible form. . . . Such a being would be part of the universe, not its master. Indeed, one of the ways he is referred to in the Talmud is Makom, “Place.” God is the “place,” or the ground of creation. In the words of the Midrash: “The Holy One, praised be He, is the place of His universe, but His universe is not His place.” »
(Talmud, Tractate Baba Metsia 31b; Sukkah 5a, cit. in Bokser, Wisdom of the Talmud, p. 87; cfr. anche Bokser, The Talmud, p. 16)

Sotto la guida di Yohanan e Rav (Abba Areka), agli ebrei fu insegnato ad accettare la catastrofe come volontà di Dio. Avevano totale fiducia in Dio che tutto sarebbe andato per il meglio. La risposta dei rabbini alla distruzione del Tempio fu quella di concentrarsi sulla necessità di un comportamento compassionevole ed etico e di pregare per la venuta del Messia. Viene raccontata la storia della saggezza di Yohanan:

« Una volta, mentre Rabbi Yohanan ben Zakkai usciva da Gerusalemme, Rabbi Joshua lo seguì e vide il Tempio in rovina.
“Poveri noi”, gridò Rabbi Joshua, “che questo luogo dove furono espiate le iniquità di Israele, è devastato!”
“Figlio mio”, gli disse Rabbi Yohanan, “non essere addolorato. Abbiamo un'altra espiazione altrettanto efficace di questa. E che cos'è? Sono atti di amorevolezza, come è detto: Poiché io desidero la misericordia e non i sacrifici” (Osea 6:6). »
(The Fathers According to Rabbi Nathan, Goldin, trad., cap. 4, p. 34)

Come mostra la storia, Yohanan insegnò che solo l'azione individuale positiva sarebbe piaciuta a Dio; il pentimento era la chiave per rimuovere il peccato e “restoring favorable relations between God and the individual Jew”.[14]

Yohanan è ricordato per una parabola che sottolinea la necessità di essere costantemente pronti a incontrare il proprio creatore:

« Questo può essere paragonato al caso di un re che invitò i suoi servi a un banchetto senza specificare l'ora. I saggi si vestirono e si sedettero ad attendere all'ingresso del palazzo, dicendo: Nel palazzo di un re non manca mai nulla [potrebbero chiamarci in qualsiasi momento], mentre gli stolti continuavano il loro lavoro, dicendo: Ci può essere un banchetto senza preparazione [ci darà tutto il tempo per prepararci]? All'improvviso il re invitò i suoi servi ad entrare. I saggi si presentarono davanti al re ben vestiti, mentre gli stolti entrarono con i vestiti sporchi. Il re era felice con i saggi, ma era arrabbiato con gli stolti. Dichiarò: Quelli che sono vestiti adeguatamente per il banchetto si siedano, mangino e bevano, mentre quelli che non sono vestiti adeguatamente stiano in piedi e guardino. »
(Talmud, Trattato Shabbat, 153a. Questo racconto è simile a una parabola narrata da Gesù nel Vangelo secondo Matteo (22:4-14) su molti invitati alle nozze del figlio del re; alcuni non erano vestiti adeguatamente e furono banditi, mentre quelli vestiti adeguatamente con i loro “abiti nuziali” furono accolti e rimasero. Il significato della parabola è dato come “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti” per ritornare al Padre)

Anche Rabbi Jacob scrisse della necessità di essere pronti alla morte, di capire che questo mondo non è la nostra casa.

« Questo mondo è come un vestibolo davanti a Olam ha-ba [il mondo a venire]. Preparati nel vestibolo per poter entrare nella camera principale. »
(Talmud, Mishnah Avot 1:21)

L'ingresso nella camera principale – il reame divino – è il risultato di grandi sforzi individuali nella preghiera e nella meditazione e nel vivere adeguatamente in questo mondo. Il “mondo a venire”, una frase nella letteratura rabbinica che significa vita dopo la morte, misticamente può riferirsi agli heikhalot, i palazzi o reami in cui si entra durante il trasporto mistico. Alcuni studiosi hanno tradotto la frase ebraica olam ha-ba come “il mondo che viene”, intendendo che viene continuamente. È il reame dello spirito, che penetra continuamente nel piano materiale con la sua essenza divina.

Dopo Yohanan, Gamaliele II divenne capo del Sinedrio, e le storie che ci sono pervenute su di lui dimostrano anche il suo carattere comprensivo, incarnando le qualità di hesed. Bokser scrive:

« The joy of having his colleagues as guests in his home was unbounded, and he insisted on taking the place of his servants in waiting on them. He was touchingly devoted to his slave Tebi.[15] Members of his household were trained to call the slave “father” and the slave’s wife, “mother.” And when Tebi died Gamaliel sat in mourning as for a departed member of the family. “Tebi was not like other slaves,” he explained; “he was a worthy man.” “Let this be a token unto thee,” he once exclaimed, “so long as thou art compassionate, God will show thee mercy; but if thou hast no compassion, God will show thee no mercy.” »
(Talmud, Trattati Baba Kamma 9:30 e Shabbat 151a)

La generazione successiva di studiosi di Yavneh continuò a insegnare il comportamento etico. Sottolinearono la natura effimera della vita e il fatto che siamo tutti responsabili di qualunque cosa facciamo. Il destino inalterabile ordinato dalla legge divina e basato su azioni precedenti era inteso come regola di vita. Nei loro insegnamenti è implicita la reincarnazione o trasmigrazione dell'anima da un corpo all'altro per ripagare le sue azioni in ogni vita.[16] Rabbi Eliezer ha-Kappor era solito dire:

« I nati sono destinati a morire; e coloro che muoiono sono destinati a rivivere; e quelli che vivono sono destinati a stare in giudizio. Che gli uomini, quindi, conoscano, proclamino e stabiliscano la convinzione che Egli è Dio, Lui il Fattore, Lui il Creatore, Lui il Discernente, Lui il Giudice, Lui il Testimone, Lui il Querelante. Nel Suo giudizio, lodato sia Lui, non c'è ingiustizia; non c'è vuoto di memoria; non c'è favoritismo né corruzione. Ma tutto procede secondo un rendiconto. E non immaginare che la tomba sia una via di fuga. Perché per determinazione divina sei formato; per determinazione divina sei nato; vivi per determinazione divina; per determinazione divina morirai, e per determinazione divina dovrai comparire in giudizio davanti al Supremo Re dei re, lodato sia Lui. »
(Talmud, Mishnah Avot 4:29, in Bokser, The Talmud, pp. 231–232)

Tra i rabbini di Yavneh c'era Akiva, un brillante giovane studioso e mistico, che usò la metafora della contabilità finanziaria per spiegare la legge di azione e reazione:

« Tutto è un prestito dato in pegno, e la rete è gettata su tutti i viventi affinché nessuno rinunci a pagare fuggendo. Il negozio è aperto; il negoziante concede il credito; il registro è aperto e la mano registra le voci. Chi vuole prendere in prestito può venire a prendere in prestito, ma gli esattori fanno il loro giro ogni giorno ed esigono il pagamento, che uno ne sia consapevole o meno. Hanno un record infallibile e il giudizio è un giudizio di verità. E tutto è predisposto per la contabilità finale. »
(Talmud, Mishnah Avot 3:20)

Akiva insegnava anche che tutto è predestinato e preconosciuto da Dio, eppure viviamo in una situazione paradossale, poiché ci viene data la libertà di scelta. La grazia salvifica è proprio questo: la misericordia e la grazia di Dio.

« Tutto è previsto, ma è data la libertà di scelta. Il mondo è giudicato con misericordia, ma tutto è in accordo con la qualità preponderante dell'opera. »
(Talmud, Mishnah Avot 3:19)

Rabbi Tarfon, uno dei miei prediletti, insegnò l'importanza dello sforzo e che la nostra ricompensa potrebbe non apparire in questa vita ma nelle vite future o nel mondo a venire.

(IT)
« Non sta a te completare l'opera, ma non sei libero di sottrartene. »

(He)
« לא עליך כל המלאכה לגמור, ולא אתה בן חורין ליבטל »
(R. Tarfon, Pirkei Avot, II.21.)

...e continua:

« Se hai studiato molto la Torah, riceverai molte ricompense. Il tuo Datore di lavoro può essere considerato affidabile nel ricompensarti del tuo lavoro. E ricorda che la vera ricompensa dei giusti [hasidim] è nel Mondo a venire. »

Dopo l'anno 116 EV, gli ebrei rinnovarono la loro ribellione contro Roma, guidati da coloro che erano tornati in Giudea dopo essere stati dispersi nella diaspora nell'anno 70. Adriano divenne sovrano romano nel 117, e come parte del suo programma di riforma sociale e creando una cultura romana comune in tutto il suo impero, decise di restaurare Gerusalemme come città pagana, ribattezzata Aelia Capitolina, con al centro un tempio greco dedicato a Giove.

Nel 132 EV, un uomo di nome Bar Kokhba (figlio della stella) affermò di essere il messia atteso e guidò una ribellione contro Roma, ottenendo il sostegno della popolazione in generale e di molti rabbini di Yavneh che pensavano che fosse giunto il momento messianico. Inizialmente Bar Kokhba ebbe successo, ma dopo aver vinto alcune battaglie e guadagnato ancora più sostenitori, lui e i suoi seguaci furono sconfitti; le vittime ebraiche furono stimate in circa 600.000. Il paese era in rovina. I romani allora repressero ancora più duramente; proibivano le assemblee religiose ebraiche, lo studio della Torah, i rituali della circoncisione e l'osservanza del sabbath.

I rabbini Akiva, Tarfon e Yose il Galileo tennero un conclave segreto e rilasciarono una dichiarazione congiunta al loro popolo, esortandoli in generale a conformarsi agli editti romani ma a resistere fino alla morte a qualsiasi ordine che implicasse la commissione di idolatria, omicidio o impudicizia.[17] Akiva e i suoi colleghi sfidarono apertamente la polizia romana continuando a incontrare i loro studenti per lo studio della Torah. Il loro atteggiamento è stato riassunto al meglio nella famosa parabola di Akiva sui pesci e la volpe. Avvertito che la sua aperta violazione della legge romana lo avrebbe portato alla prigione, rispose che una volpe aveva invitato alcuni pesci a cercare sicurezza via dai pescatori sulla terraferma. I pesci risposero: “Se l’acqua che è il nostro habitat normale non offre sicurezza, cosa ci accadrà sulla terraferma che non è il nostro habitat?” “Allo stesso modo”, spiegò Akiva, “se siamo in questo stato ora quando ci sediamo e studiamo la Torah, . . . quanto più precaria sarebbe la nostra esistenza se la trascurassimo!”[18]

Sfortunatamente, sugli ebrei ostinati si scatenò un regno di terrore e molti furono imprigionati, banditi, giustiziati o venduti come schiavi. Ci fu un'esecuzione di massa di dieci famosi rabbini. Tra gli arrestati c'era Rabbi Akiva. Dalla sua cella di prigione, continuò a sfidare i suoi rapitori, inviando messaggi segreti ai suoi seguaci. Si tenne un processo affrettato e fu condannato a morte. Secondo la tradizione venne scorticato vivo. Akiva rimase saldo fino all’ultimo, spirando con una risoluta testimonianza di fede: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno”. “Prolungò la parola ehad, ‘uno’, e spirò recitando ehad. Una voce celeste si fece avanti dicendo: ‘Quanto sei fortunato, Rabbi Akiva, che la tua anima si è innalzata con la parola ehad.’”[19] L'opera di Akiva fu ripresa dai suoi devoti discepoli, tra cui Rabbi Meir e Simeon bar Yohai. Anche la moglie di Meir, Beruriah, fu considerata una grande saggia e santa.

Subito dopo il fallimento della ribellione, la pressione dei romani si allentò e nel 138 la corte del Sinedrio fu ricostituita in una città chiamata Usha. Lì i rabbini continuarono a lavorare alla codificazione della legge ebraica, la Mishnah, trasferendo infine la loro scuola a Tiberiade, sulle rive del Mar di Galilea. La Mishnah fu completata nel 215.

Dopo che la Mishnah fu completata, le generazioni successive di rabbini iniziarono il lavoro sulla sua interpretazione, che sarebbe stata infine compilata nel V secolo come Talmud di Gerusalemme o palestinese.[20] Un secondo Rabbi Yohanan divenne il capo dell'accademia di Tiberiade. Esaltava con particolare enfasi sei comandamenti: l'ospitalità verso gli stranieri, la visita agli ammalati, l'attenta preghiera, l'alzarsi presto per andare all'accademia, l'educazione dei figli nella conoscenza della Torah, il giudicare ognuno secondo le sue buone azioni.

Yohanan II fu un grande umanitario e di larghe vedute nel suo pensiero. Trattava il suo schiavo da pari a pari e gli serviva regolarmente lo stesso cibo mangiato dal resto della famiglia. "Lo schiavo", spiegò, "è lo stesso figlio di Dio che sono io".[21] Sospese tutte le leggi che proibivano il lavoro di sabbath se una persona malata potesse essere salvata, e potesse quindi vivere fino a osservare molti sabbath. Stabilì che l'ingiunzione di restituire un bue o una pecora smarrita, come indicato in Deuteronomio 22:1, si applicava anche se il proprietario era un ebreo che aveva rinunciato al suo ebraismo, e invitò le persone a dare pieno riconoscimento alle verità scoperte e insegnate da saggi “pagani”.

Sebbene il lavoro sul Talmud gerosolimitano continuasse a Tiberiade per qualche tempo, la vita religiosa declinò in Palestina durante il IV e il V secolo. Ci furono più rivolte tra gli ebrei, l'impero romano si stava indebolendo e le invasioni da ovest di Goti e Vandali portarono il caos.

Babilonia[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Talmud babilonese.

Dopo la sconfitta di Bar Kokhba e la devastazione della Giudea, alcuni rabbini di Yavne fuggirono in Babilonia, dove fondarono proprie accademie per insegnare alla numerosa comunità ebraica che viveva lì fin dai tempi dell'esilio nel VI secolo AEV. I rabbini che inizialmente si stabilirono a Babilonia erano colleghi o discepoli di Rabbi Akiva e Rabbi Ishmael, i principali maestri di Yavneh prima della guerra.

Uno dei principali rabbini di Babilonia era Abba Arika, o come era popolarmente conosciuto, Rav, a significare che era il maestro sopra tutti gli altri. Aveva studiato in Palestina sotto i maestri locali, ed era tornato per iniziare a insegnare a Babilonia, fondando la sua accademia a Sura all'età di sessantaquattro anni. Rav aveva portato con sé il testo della Mishnah dalla Palestina e su di esso basò tutte le sue lezioni, integrandolo con spiegazioni, illustrazioni e varie nuove applicazioni. Era ugualmente interessato all'esposizione di lezioni morali. Il Talmud ha conservato molte delle sue massime morali e sono tra le espressioni etiche più scelte di tutta la letteratura:[22]

Tutto ciò che non può essere fatto adeguatamente in pubblico è proibito anche nella camera più segreta.

È meglio gettarsi nella fornace ardente che umiliare il prossimo.

E, in un commento ironico sullo standard di moralità con cui i rabbini consideravano le azioni di tutta l'umanità, Rabbi Judah disse a nome di Rav:[23]

La maggior parte delle persone sono colpevoli di rapina, una minoranza di oscenità e tutte di diffamazione.

Un'altra accademia fu fondata a Nehardea, un luogo con una grande comunità ebraica. Era presieduto da Samuel, spesso chiamato Mar (Maestro) Samuel. Aveva anche studiato all'accademia in Palestina, ma era ben istruito in materie scientifiche, tra cui astronomia e medicina, e cercava di sollevare la gente dalle loro credenze superstiziose. L'accademia di Nehardea fu successivamente trasferita a Pumbedita dopo che Nehardea fu distrutta in una battaglia tra Babilonesi e Romani. Entrambe le accademie di Sura e Pumbedita continuarono il loro insegnamento con poche interruzioni fino alla fine del V secolo, quando gli ebrei subirono rinnovate persecuzioni e divieti di vita religiosa. Sotto la guida dei loro rabbini visionari, le accademie babilonesi svilupparono un'ingegnosa istituzione educativa che permise loro di raggiungere un gran numero di studenti non professionisti.

Durante i due mesi dell'anno in cui il contadino medio era libero dal lavoro nei campi, in entrambe le accademie si tenevano sessioni speciali chiamate kalla. L'argomento da affrontare in ciascuna di queste sessioni veniva annunciato in anticipo, e i laici venivano incoraggiati a dedicare le loro ore di tempo libero alla preparazione. Le lezioni del rettore dell'Accademia furono integrate con discorsi di altri insegnanti. Il testo fondamentale discusso in tutti questi incontri era la Mishnah; generalmente veniva coperto un trattato ogni mese. È stato riferito che 12 000 studenti furono iscritti a una di queste sessioni di kalla. Queste sessioni innalzarono significativamente il livello intellettuale e culturale della popolazione generale e garantirono una diffusione diffusa della consapevolezza religiosa e della conoscenza dei testi sacri.[24]

I rabbini sentivano un'enorme responsabilità per il miglioramento morale della popolazione in generale. Tutto era incentrato sulla percezione che fosse dovere dell’uomo imitare Dio in ogni possibile aspetto. Pertanto, proprio come Dio provvedeva all'umanità, così ogni persona avrebbe dovuto perseguire attivamente il benessere del suo prossimo.

Il rabbino con la sua cerchia di discepoli divenne il paradigma della trasmissione dei livelli più profondi della spiritualità e della legge religiosa. Nonostante la disponibilità di molte scritture manoscritte e altra letteratura religiosa dei secoli precedenti, si riconosceva la necessità di attaccarsi a un maestro del proprio tempo. C'era ben più da imparare riguardo a Dio di quanto non si potesse trasmettere tramite parole o scrittura. Ciò sarebbe rimasto vero in tutta la storia ebraica, sia in Palestina che in Babilonia durante il periodo talmudico; tra i rabbini il misticismo della merkavah (carro); e anche più tardi tra i cabalisti e i hasidim moderni.

Il rapporto maestro-discepolo[modifica]

I rabbini fuggiti a Babilonia fondarono accademie come quelle palestinesi, e il rapporto tra maestro e discepolo era simile a quanto avveniva nelle accademie palestinesi. Queste non erano solo scuole in cui gli studenti imparavano intellettualmente. Fornivano un luogo in cui lo studente poteva assorbire lo spirito stesso del suo maestro e diventare come lui. I discepoli erano attaccati a particolari maestri e li servivano in ogni aspetto della vita. Seguire un rabbino richiedeva un tipo speciale di devozione, di vero discepolato. Jacob Neusner scrive in modo eloquente sulla relazione maestro-discepolo durante il periodo rabbinico:

« Disciples were not students who came to a master only to learn facts or holy traditions. They came to study the master as well as what the master said. . . .
The disciple, indeed, acquired more than a master. He gained a new father. . . . The master was truly and really the second father of the disciple, who would shape him for eternity as the father had for this world. The father had given the physical features. The master would sculpt the soul.
Entry into the rabbinical circle, like initiation into a mystery cult, marked the end of an old existence, the beginning of a new life, a new being. The disciple did not simply learn things; he was converted from one way of living to another. It was said that one who had studied merely Scriptures, and even Mishnah, remained a boor, learned but no different from a magus [magician], unless he had also ‘served’ a master through imitation of the master’s way, subjecting himself to his discipline and that of the schools. »
(Neusner, First-Century Judaism in Crisis, p. 95)
« The most striking aspect of these schools was the rabbis’ conception that in them lived holy men, men who more accurately than anyone else conformed to the image of God conveyed by divine revelation through the Torah of Moses our rabbi. The schools were not holy places in the sense that pious people made pilgrimages to them or that miracles were supposed to take place there, although pilgrimages were made and miracle-stories were told in a scholastic setting. The schools were holy because there men achieved sainthood through study of Torah and imitation of the conduct of the masters. . . . Thus obedience to the teachings of the rabbis led not merely to ethical or moral goodness, but to holiness or sainthood. Discussion of legal traditions, rather than ascetic disciplines or long periods of fasting and prayer, was the way to holiness. »
(Neusner, There We Sat Down, p. 74)

Shaye Cohen offre una prospettiva interessante sul rapporto di questi primi rabbini con i loro discepoli:

« As a rule . . . the rabbis of the second century did not need a special place for the instruction of their disciples, because the disciples were always with the master. They would live, eat, sleep, and travel with him. They would listen to his discussions with other rabbis and watch him decide legal cases. There was little privacy for either party in this relationship; even on his wedding night Rabbi Gamaliel was attended by his faithful disciples. The master was sometimes addressed as “father,” because he was the father to his disciples. According to rabbinic law a student’s obligations to his master are similar to those of a son to his father: he had to stand up in his presence, to greet him, and perhaps even to bow down before him. He could not stand or sit in 176 Sages and Rabbis his place, speak in his presence, contradict him, or respond sharply to him. This was the way of Torah. In effect, joining a disciple circle was like joining a new family. . . .
These small communities of devoted disciples gathered around a revered master have many analogies, of course, to the earliest community of the followers of Jesus. One of Jesus’ major activities, as remarked above, was to teach, and the apostles were his beloved disciples. Jesus was not only a teacher, however; he was also a prophet and healer, and the traditions about him clearly derive in part from the biblical record about Elijah and his disciple Elisha. . . . Although the social settings are very different, the disciple circle of Jesus closely resembles the disciple circles of the rabbis in the second century. »
(Cohen, From the Maccabees to the Mishnah, p. 122)

Paradossalmente, come vedremo nel prossimo Capitolo, la divergenza di approccio tra la setta profetico-mistica di Qumran e i rabbini intellettuali trovò unione nei mistici della merkavah, attivi approssimativamente tra il I e l'VIII secolo EV. Molti rabbini del Talmud, legalisti e leader della comunità, erano impegnati nella pratica mistica insieme alle discussioni legali. I loro piccoli circoli segreti di compagni mistici sarebbero diventati il modello per tutte queste associazioni di mistici ebrei da questo momento in poi, fino al XVIII secolo, quando la natura elitaria del misticismo ebraico fu trasformata dai maestri spirituali del Hasidismo, che lo resero accessibile a tutti.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea.
  1. Letteralmente hasid (חסיד) significa devoto, pio, amorevole, gentile, santo o benevolo. Deriva da hesed, una delle qualità di Dio, che significa amore abbondante e illimitato, grazia, gentilezza amorevole, devozione, bontà, misericordia e compassione. Il termine veniva talvolta usato per i seguaci dei profeti della Bibbia e, dopo i “primi” hasidim, veniva usato in epoca medievale per i sufi ebrei d'Egitto e per i Hasidei Ashkenaz (pietisti tedeschi). Anche i cabalisti dal XVI al XVIII secolo che si incontravano in piccoli gruppi erano chiamati hasidim. Il termine risulterà più familiare ai lettori contemporanei come riferimento al chassidismo, il movimento che ebbe inizio nella Polonia del diciottesimo secolo e continua in tempi moderni.
  2. Talmud, Mishnah Shabbat (Sabbath) 31a, in Buchler, Some Types of Jewish-Palestinian Piety, p. 23.
  3. Citato in Buchler, Some Types of Jewish-Palestinian Piety, p. 20 (Fonte primaria non data).
  4. Baraitha Sotah 48b, in Buchler, Some Types of Jewish-Palestinian Piety, p. 55.
  5. Baraitha Sotah 48b, in Buchler, Some Types of Jewish-Palestinian Piety, p. 56.
  6. Buchler, Some Types of Jewish-Palestinian Piety, p. 58.
  7. La mezuzah è un piccolo recipiente contenente rotoli di pergamena su cui sono incisi i passaggi biblici di Deuteronomio 6:4-9;11:13-21, che ricordano al devoto il suo dovere di ricordare e amare Dio con tutta la sua mente, cuore e anima. Si attacca agli stipiti delle porte delle case ebraiche (tipo la mia) e normalmente lo si bacia entrando nella stanza, recitandone i passi. I tefilllin sono due piccole scatole di cuoio contenenti rotoli con gli stessi passaggi biblici e anche Esodo 13:1-10;11-16. Durante le preghiere del mattino, una delle scatole viene legata sulla testa e appesa al centro della fronte; l'altra è legata all'interno del braccio sinistro, in modo da tenerla vicino al cuore durante la preghiera. I pii ebrei indossano i tefillin durante le loro preghiere mattutine in adempimento dell'ingiunzione biblica: "Porrete dunque nel cuore e nell'anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi" (Deuteronomio 11:18).
  8. Lenowitz, Jewish Messiahs, p. 39.
  9. Matt, God and the Big Bang, p. 156. Matt riconosce che la sua discussione di Gesù si basa su Geza Vermes, Jesus the Jew: A Historian’s Reading of the Gospels (Philadelphia: Fortress Press, 1973); E. P. Sanders, Jesus and Judaism (Philadelphia: Fortress Press, 1985); . . . “The Life of Jesus,” in Christianity and Judaism: A Parallel History of Their Origins and Development, Hershel Shanks, cur., (Washington, D. C.: Biblical Archaeology Society, 1992), pp. 41–83.
  10. Non è noto se Gesù o Haninah abbiano effettivamente compiuto miracoli o se certe azioni e dichiarazioni simboliche siano state interpretate alla lettera.
  11. Matteo 7:12.
  12. Matt, God and the Big Bang, p. 159.
  13. Matt, God and the Big Bang, p. 163.
  14. Cohen, From the Maccabees to the Mishnah, p. 93.
  15. La schiavitù era consentita nell'antichità secondo alcune regole restrittive.
  16. Non è chiaro se fosse implicita la resurrezione fisica, sebbene il passaggio seguente sembri implicare la reincarnazione.
  17. Cfr. Talmud, Mishnah Sanhedrin 74a, in Bokser, The Talmud, p. 208.
  18. Talmud, Mishnah Berakhot 61b, in Bokser, The Talmud, pp. 80–81.
  19. Talmud, Mishnah Berakhot 61b, in Bokser, The Talmud, p. 81.
  20. Sebbene il paese si chiamasse Giudea, nel 132 EV i romani lo ribattezzarono Palestina per spezzare l'attaccamento ebraico alla terra. Il Talmud scritto lì è chiamato Talmud palestinese o gerosolimitano.
  21. Bokser, Wisdom of the Talmud, p. 72.
  22. Citate in Bokser, Wisdom of the Talmud, pp. 78–79.
  23. Talmud, Trattato Baba Batra 165a (JCL).
  24. Cfr. Bokser, Wisdom of the Talmud, p. 81.
Serie misticismo ebraico
Libri nella serie: Messianismo Chabad e la redenzione del mondo  •  Introduzione allo Zohar  •  Isaac Luria e la preghiera  •  Il Nome di Dio nell'Ebraismo  •  Rivelazione e Cabala  •  Storia intellettuale degli ebrei italiani  •  Abulafia e i segreti della Torah  •  Israele – La scelta di un popolo  •  Nahmanide teologo  •  Evoluzione del monoteismo  •  Etica della salute  •  Il Chassidismo di Elie Wiesel  •  La teologia di Heschel  •  Ebraismo chassidico  •  Questo è l'ebraismo!  •  I due mondi dell'ebraismo  •  Ispirazione mistica  •  Tradizione ebraica moderna
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