Ispirazione mistica/Capitolo 3

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Il profeta Isaia, affresco di Michelangelo Buonarroti

I profeti classici[modifica]

Ruggisce il leone:
chi mai non trema?
Amos 3:8

L'VIII secolo AEV segna l'inizio del periodo della storia spirituale umana talvolta chiamato Era Assiale perché segnò un cambiamento rivoluzionario nei fondamenti spirituali dell'umanità e l'apparizione di un livello più elevato di coscienza spirituale in tutto il mondo. Grandi mistici e leader spirituali apparvero ovunque: Buddha e Mahavira in India, Lao-Tse in Cina, Socrate in Grecia e molti dei profeti che guidarono il popolo israelita tra l'800 e il 400 AEV.

I profeti Amos, Osea e Isaia, apparsi in quel periodo, esortarono il popolo a ripiegarsi su se stesso, interiormente, e ad adorare l'unico vero Dio, nonché ad adottare un comportamento morale in tutti i rapporti. I profeti avvertivano dell'imminente punizione se il loro comportamento corrotto non fosse migliorato, rassicurando però sempre i loro seguaci sulla compassione di Dio e sul loro eventuale ritorno al Suo favore. Il potenziale del perdono è un tema dominante nel loro messaggio.

Un secolo dopo, Geremia divenne testimone dell'adempimento di questa profezia punitiva, andando in esilio con il suo popolo. Il suo impegno nel dire la verità nonostante il suo messaggio impopolare non ha eguali in passione e intensità. La compassione divina risuona in ogni parola.

E in Ezechiele, nel VI secolo AEV, abbiamo il profeta-mistico visionario la cui esperienza spirituale personale rispecchia il rituale sacerdotale del Tempio. La sua visione dell'ascesa su un carro fatto di angeli e creature superne, vorticoso di luci e suoni, testimonia la sua maestosa esperienza di Dio. Inoltre grida di angoscia mentre cerca di correggere il comportamento del popolo a cui presta assistenza.

Guardando al futuro, al giorno in cui l'esilio finirà e il popolo potrà tornare nel grembo del Signore, Zaccaria e altri profeti successivi guardano con desiderio alla “fine dei giorni” – un tempo in cui regnerà la pace, in cui il Messia libererà il suo popolo. Questo tema è sviluppato in modo più completo dagli autori anonimi del Libro di Enoch e del Libro di Daniele a partire dal IV secolo AEV. Il tema dell'ascesa interiore di Ezechiele sul carro di luce e suono riappare nei documenti rinvenuti a Qumran, scritti nel II secolo AEV, che attestano la continuazione della pratica mistica interiore descritta in termini di rituale del Tempio.

La maggior parte di questi profeti incarnano qualità simili:

  • una drammatica esperienza interiore di essere chiamati da Dio a predicare al loro popolo ribelle;
  • un senso della propria indegnità: è solo la selezione di Dio che ha dato loro la capacità e la saggezza di profetizzare;
  • straordinaria eloquenza e passione nelle loro parole, compreso l'uso di metafore drammatiche basate sulle proprie esperienze di vita, per scioccare le persone;
  • la loro compulsione a compiere la missione che Dio ha dato loro, anche quando è dolorosa;
  • la loro compulsione a dire la verità anche quando la gente vuole il conforto di false rassicurazioni;
  • il loro rifiuto della falsa adorazione di Dio, dei sacrifici e delle preghiere vuote, e la loro insistenza sulla preghiera sincera e su una vita di compassione e di preoccupazione per le fasce più deboli della società.

Amos: Cerca il Signore e vivi[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Amos (profeta) e Libro di Amos.

In verità, il Signore non fa cosa alcuna
senza aver rivelato il suo consiglio
ai suoi servitori, i profeti.
Ruggisce il leone:
chi mai non trema?
Il Signore Dio ha parlato:
chi può non profetare?
Amos 3:7-8

Amos proclama di non avere altra scelta se non quella di essere il messaggero di Dio. Quando il Divino desidera comunicare con l'umanità, rivela i suoi segreti “ai suoi servi, i profeti”. Ma qual è la reazione incontrata da Amos? Come viene accolto dagli israeliti?

« Essi odiano chi ammonisce alla porta e hanno in abominio chi parla secondo verità. »
(Amos 5:10)

La compulsione a profetizzare arde nel profeta; è stato posto lì da Dio, un riflesso della Sua divina compassione e amore per un popolo disinteressato alla spiritualità, che cerca persino di corrompere i leader spirituali posti tra loro.

Considerato il primo dei profeti classici, Amos fu attivo all'inizio dell'VIII secolo AEV nel regno settentrionale di Israele.[1] Come i precedenti profeti Samuele, Elia ed Eliseo, narra le sue dirette esperienze estatiche con lo spirito santo.

Amos è fedele alla sua missione. Dice coraggiosamente alla gente: Dio vuole giustizia, amore e compassione, non sacrifici.

Io detesto, respingo le vostre feste
e non gradisco le vostre riunioni;
anche se voi mi offrite olocausti,
io non gradisco i vostri doni
e le vittime grasse come pacificazione
io non le guardo.
Lontano da me il frastuono dei tuoi canti:
il suono delle tue arpe non posso sentirlo!
Piuttosto scorra come acqua il diritto
e la giustizia come un torrente perenne.
Amos 5:21-24

Esorta le persone a guardarsi dentro e trovare interiormente Dio Creatore, a cercarLo e trovare la vita.

Cercate me e vivrete!...
Cercate il Signore e vivrete,...
Cercate Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione,
e cambia il buio in chiarore del mattino
e stende sul giorno l'oscurità della notte;
Colui che comanda alle acque del mare
e le spande sulla terra.
Signore è il Suo nome.
Amos 5:4,6,8

Parlando in nome di Dio, Amos esprime profonda frustrazione per il fatto che gli israeliti utilizzino qualsiasi pretesto per ingannarsi a vicenda e approfittarsi dei poveri. Riflette un'estrema intolleranza per questo tipo di corruzione morale personale e spiega che un comportamento non etico e immorale si tradurrà in una punizione equivalente. Le persone sono state avvertite di riformare i propri comportamenti, ma continuano ancora a sfruttare coloro che sono indifesi.

Poiché voi schiacciate l'indigente
e gli estorcete una parte del grano,
voi che avete costruito case in pietra squadrata,
non le abiterete;
vigne deliziose avete piantato,
ma non ne berrete il vino,
perché so che numerosi sono i vostri misfatti,
enormi i vostri peccati.
Essi sono oppressori del giusto, incettatori di ricompense
e respingono i poveri nel tribunale.
Perciò il prudente in questo tempo tacerà,
perché sarà un tempo di sventura.
Cercate il bene e non il male,
se volete vivere,
e così il Signore, Dio degli eserciti,
sia con voi, come voi dite.
Odiate il male e amate il bene
e ristabilite nei tribunali il diritto;
forse il Signore, Dio degli eserciti,
avrà pietà del resto di Giuseppe.
Amos 5:11-15

Con quanta semplicità esprime la volontà di Dio: “Cercate il bene e non il male, affinché possiate vivere... Odiate il male e amate il bene”. Questo ricorda la sua chiamata a “Cercare il Signore e vivere”. Cercare il bene significa cercare Dio in tutte le nostre azioni. Altrimenti attireremo su noi stessi grandi sofferenze.

Ecco, verranno giorni,
– dice il Signore Dio –
in cui manderò la fame nel paese,
non fame di pane, né sete di acqua,
ma d'ascoltare la parola del Signore.
Allora andranno errando da un mare all'altro
e vagheranno da settentrione a oriente,
per cercare la parola del Signore,
ma non la troveranno.
Amos 8:11-12

Qui il profeta informa il popolo che dovrà pagare per le proprie azioni, secondo la legge di azione e reazione. E la sofferenza peggiore, dice, ancor peggiore dei disastri naturali da lui previsti, sarà che non potranno più percepire il divino dentro di sé. Si alieneranno dalla spiritualità. Soffriranno una carestia, "non fame di pane, né sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore; . . . correranno avanti e indietro per cercare la parola del Signore, e non la troveranno".

Un'altra caratteristica delle profezie di Amos, oltre alle sue esortazioni, erano i numerosi simboli grafici, metafore e parabole attraverso i quali egli drammatizzava l'urgenza della chiamata di Dio al pentimento e alla riforma. L'uso di allegorie e parabole era una forma di insegnamento comune nel Vicino Oriente antico. Il patrimonio degli israeliti era una letteratura orale di miti, leggende e storie che trasmettevano la storia spirituale e materiale collettiva del popolo. Anche la maggior parte degli altri profeti classici usarono questi espedienti letterari per illustrare le verità e i principi spirituali che desideravano trasmettere.

Non doveva esser facile essere un profeta nell'antico Israele, ma Amos non aveva scelta. Dio lo aveva chiamato e lui era costretto a rispondere. Era un semplice e umile contadino e pastore inviato in missione da Dio.

Non ero profeta, né figlio di profeta;
ero un pastore e raccoglitore di sicomori;
Il Signore mi prese
di dietro al bestiame e il Signore mi disse:
Va', profetizza al mio popolo Israele.
Amos 7:14-15

L'enorme potenza e compassione di Amos e degli altri profeti classici, che deriva dalla loro esperienza diretta del divino, conferisce ai loro scritti rilevanza e immediatezza per il lettore contemporaneo.

Osea: Il marito tradito[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Osea (profeta) e Libro di Osea.

Io sono come un cipresso sempre verde,
Grazie a me si trova frutto.
Chi è saggio comprenda queste cose
Osea 14:9-10

Osea seguì Amos nel servire il popolo del regno settentrionale di Israele nell'VIII secolo AEV. Le sue profezie rivelano l'amore travolgente e il perdono del Signore per il Suo popolo nonostante il comportamento errante. Questo è il primo caso negli scritti biblici in cui la metafora dell'amore e del matrimonio tra uomo e donna viene usata per descrivere la relazione del Signore con gli israeliti, e misticamente del Signore con l'anima.[2] Successivamente sarà usata da altri profeti e soprattutto nel Cantico dei Cantici.

Ma gli israeliti furono infedeli al marito; adoravano altri dei. Osea paragona il loro tradimento di Dio all'infedeltà di una moglie adultera. Esprimendo il suo disgusto in termini così crudi, sta tentando di risvegliare le persone alla gravità delle loro azioni.

Nel primo capitolo del rotolo di Osea, il profeta racconta la sua esperienza della "parola del Signore" che si manifestava dentro di lui. Gli comanda di sposare una prostituta e di avere “figli di prostituzione; poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore” (1:2). Gli viene detto di chiamare i suoi tre figli con nomi orribili: Izreèl, un gioco di parole su Israel, che sarebbe diventato la distruzione di Israele; Lo-Ruhamah (senza pietà), per illustrare che Dio non sarebbe più stato misericordioso verso gli israeliti, e Lo-Ammi (non il mio popolo), per ricordare loro che non li considerava più il Suo popolo eletto. Dice: "Perché voi non siete il mio popolo e io non sarò il vostro ‘I sono’ (Ehyeh), il vostro Dio" (1:9).

Tutta la vita di Osea divenne così una dolorosa allegoria dell'infedeltà degli israeliti all'alleanza con Dio, da lui simboleggiata come un contratto di matrimonio. Osea non si accontenta di dire semplicemente la verità. È costretto a mettere in atto la sua profezia sul palcoscenico della sua stessa vita. È l'artista supremo e il valore scioccante della sua performance corrisponde al comportamento deviante degli israeliti.

Ciò che è così toccante negli scritti di Osea è la profondità della sua identificazione con l'impegno divino nei confronti dell'umanità. Proprio come Osea era angosciato per l'infedeltà di sua moglie e per la nascita dei loro figli bastardi, così è Dio angosciato per l'infedeltà del suo popolo “eletto” e per il frutto di quell’infedeltà – il loro comportamento immorale e l'istituzione di culti sincretistici che incoraggiavano indulgenza nei piaceri dei sensi.

Misticamente, questa angoscia divina esprime il desiderio del Signore che l'anima si riunisca con Lui e fugga dalla sua prigionia nella creazione materiale. L'anima è stata separata dalla sua fonte divina sin dal tempo della creazione ed è sotto l'influenza della sensualità e dei coinvolgimenti egoistici. Ma tutte le anime sono, in definitiva, le prescelte di Dio, che attende di perdonarle. I mistici cercano di risvegliare l'umanità e di accendere il loro desiderio di ritornare.[3]

L'indignazione di Osea scatenò perché il popolo persisteva nell'adorare gli dei cananei chiamati ba’alim nonostante il fatto che Dio si fosse rivelato continuamente, per centinaia di anni, attraverso i profeti. Esprime il dispiacere di Dio per il fatto che abbiano preferito adorare gli dei della fertilità; dice che sono state le loro tendenze ribelli, “il loro spirito di prostituzione”, che li ha fuorviati, così come la loro perdita di discriminazione attraverso pratiche non etiche e immorali.

Che dovrò fare per te, Efraim,[4]
che dovrò fare per te, Giuda?[5]
Il vostro amore è come una nube del mattino,
come la rugiada che all'alba svanisce.
Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti,
li ho uccisi con le parole della mia bocca
e il mio giudizio sorge come la luce:
poiché voglio l'amore e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio più degli olocausti.
Ma essi come Adamo hanno violato l'alleanza,
ecco dove mi hanno tradito.
Gàlaad è una città di malfattori,
macchiata di sangue.
Come banditi in agguato
una ciurma di sacerdoti
assale sulla strada di Sichem,
commette scelleratezze.
Osea 6:4-9

Si lamenta del fatto che il popolo stesso abbia stabilito re e principi – che non sono stati scelti da Dio né unti dai profeti. Inoltre, hanno modellato idoli con argento e oro. Questi idoli sono fatti dagli uomini, non da Dio, e sono inutili. In modo toccante dichiara: Non hanno seminato nulla, quindi non raccoglieranno nulla.

E poiché hanno seminato vento
raccoglieranno tempesta.
Il loro grano sarà senza spiga,
se germoglia non darà farina,
e se ne produce, la divoreranno gli stranieri.
Osea 8:7

Tuttavia, nonostante la durezza delle sue predizioni, Osea sottolinea sempre l'amore fondamentale e il perdono di Dio, come l'amore di un padre per il figlio che ha sbagliato. È come se il Signore desiderasse l'amore leale del Suo popolo; soffre perché conosce il loro vero stato e può vedere che vengono fuorviati e cadono impotenti preda della loro lussuria e avidità. Egli conosce la sofferenza che la loro falsa adorazione e i peccati porteranno loro. Per il Suo amore vuole proteggerli e nutrirli.

Quando Israele era giovinetto,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai ba’alim,
agli idoli bruciavano incensi.
Ad Efraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
Osea 11:1-4

Osea corteggia nuovamente la moglie con un messaggio di perdono. Porta una visione di pace, giustizia, armonia, fedeltà e misericordia. L'alleanza diventa un fidanzamento, un contratto di matrimonio, poiché egli converte la prostituta in una moglie virtuosa. Il rapporto dei profeti con il popolo è sempre amorevole e tenero anche quando deve castigarlo.

Esplorando la qualità e la portata dell'amore di Dio, Osea trasmette qualcosa della “vita interiore” di Dio – la dimensione dell'amore e della compassione incondizionati e abbondanti di Dio. Dice alla gente di “sperare sempre nel tuo Dio”, di aspettare pazientemente che la grazia divina si manifesti.

Il Signore YHWH, Dio degli eserciti,
il suo nome è YHWH.
Tu ritorna dunque al tuo Dio,
osserva la bontà e la giustizia
e nel tuo Dio poni la tua speranza, sempre.
Osea 12:6-7

Nel corso dei secoli, insegna Osea, Dio ha dimostrato il suo amore e la sua misericordia inviando profeti per insegnare all'umanità come obbedirGli e seguire il Suo cammino di purezza e comportamento retto. A volte chiamava il profeta la “sentinella” che vigila sulla città (9:8). Non mandò solo un profeta, Mosè, per liberarli dall'Egitto, ma ha continuato a inviare profeti in tutti i tempi per sostenere spiritualmente Israele. Implica che Dio non dimentica mai i Suoi figli: ci sono sempre dei profeti inviati da Dio per guidare le anime verso una vita spirituale.

Verso la fine delle sue profezie, Osea parla con straordinario amore e conforto, utilizzando un linguaggio simbolico che ha una chiara sfumatura mistica.

Sarò come rugiada per Israele;
esso fiorirà come un giglio
e metterà radici come un albero del Libano,[6]
si spanderanno i suoi germogli
e avrà la bellezza dell'olivo
e la fragranza del Libano.
Ritorneranno a sedersi alla mia ombra,
faranno rivivere il grano, coltiveranno le vigne,
famose come il vino del Libano.
Efraim, che ha ancora in comune con gl'idoli?
Io l'esaudisco e veglio su di lui;
io sono come un cipresso sempre verde,
grazie a me si trova frutto.
Chi è saggio comprenda queste cose,
chi ha intelligenza le comprenda;
poiché rette sono le vie del Signore,
i giusti camminano in esse,
mentre i malvagi v'inciampano.
Osea 14:6-10

Come la vite, dice, la realtà divina ha una meravigliosa fragranza spirituale. Come l'olivo, fornisce ombra dal caldo del mondo. Dio sarà come la rugiada per Israele, per nutrirlo nel viaggio spirituale. Forse con questo si riferisce al nutrimento interiore o alla beatitudine nel viaggio verso stadi di coscienza superiore, o potrebbe semplicemente dare una guida saggia a un popolo che si fa strada attraverso le esperienze della vita. Come il cipresso sempreverde, che non perde mai le foglie, egli è “l’albero della vita” che non conosce morte. L’albero della vita è un antico simbolo giudaico per la saggezza interiore e il viaggio attraverso i vari stadi della spiritualità verso l’unione divina finale, il “frutto” spirituale.

“Chi è saggio”, dice, “comprenda queste cose”. Comprenderà le vie del Signore e gli renderà grazie vivendo secondo la Sua parola. A causa della risonanza universale di questi versi, è probabile che il profeta si riferisca non solo alla conoscenza intellettuale e alla saggezza, ma alla sapienza interiore, hokhmah, la conoscenza superiore identificata dai mistici ebrei con la potenza creativa di Dio. La sapienza è spesso personificata come entità spirituale femminile nella letteratura poetica dell'antico Vicino Oriente. Il termine ha molteplici livelli di significato: coloro che sono risvegliati ai livelli più profondi lo interpreterebbero in senso mistico, mentre altri lo prenderebbero semplicemente come un buon consiglio.[7]

La vita e gli insegnamenti di Osea sono stati qui presentati in modo approfondito per l'intensità della sua rappresentazione dell'intimo rapporto tra Dio e l'umanità. Questi brani illustrano in un modo o nell'altro il tema di tutti i profeti. Sebbene le loro personalità potessero essere diverse, condividevano un obiettivo comune: imprimere nelle persone il grande amore di Dio per loro e il Suo desiderio che ritornassero a Lui pentiti; che abbandonassero il loro comportamento corrotto che derivava dalle loro debolezze morali e spirituali. Questi versetti biblici esortano anche gli ascoltatori a rinunciare alle forme esterne di culto e a trovare dentro di sé l'esperienza di Dio e della Sua potenza divina. Trovando il Dio interiore, diventa più difficile sfruttare gli altri, poiché lo stesso Dio vive in ognuno di noi, e gli “altri” diventano uno specchio per noi stessi.

Isaia: Una visione di santità[modifica]

Per approfondire, vedi Isaia (profeta), Libro di Isaia e Proto-Isaia.

O casa di Giacobbe, vieni,
camminiamo nella luce del Signore.
Isaia 2:5

Isaia ben-Amoz, profeta del regno meridionale della Giudea, era un contemporaneo di Osea. Isaia ricevette la sua chiamata in una sorprendente visione spirituale, che racconta in modo eloquente. Tuttavia, si definisce “un uomo dalle labbra impure”. Una caratteristica della chiamata profetica è l'esperienza estatica del divino, insieme al senso della propria indegnità di intraprendere la missione di Dio.

Nell'anno in cui morì il re Ozia,
io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato;
i lembi del suo manto riempivano il tempio.
Attorno a lui stavano dei serafim,
ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia,
con due si copriva i piedi e con due volava.
Proclamavano l'uno all'altro:
"Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti.
Tutta la terra è piena della sua gloria".
Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava,
mentre il tempio si riempiva di fumo.
E dissi: "Ohimé! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti".
Allora uno dei serafini volò verso di me;
teneva in mano un carbone ardente
che aveva preso con le molle dall'altare.
Egli mi toccò la bocca e mi disse:
"Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua iniquità
e il tuo peccato è espiato".
Poi io udii la voce del Signore che diceva:
"Chi manderò e chi andrà per noi?".
E io risposi: "Eccomi, manda me!".
Isaia 6:1-8

La trascendenza o “alterità” di Dio irrompe nella coscienza del profeta durante la sua ascesa interiore verso uno stato superiore. Misticamente, il trono è un simbolo di Dio stesso. Il suono creato dai serafim, angeli di questa regione, è una metafora dell'esperienza da parte di Isaia della musica spirituale interiore (che i Greci chiamavano “la musica delle sfere”), che lo rese consapevole della santità, della gloria di Dio che riempie e sostiene l'intera creazione. Di conseguenza, diventa consapevole del proprio sé fisico finito con le sue limitazioni e impurità intrinseche. Gli angeli lo purificano simbolicamente ponendo sulle sue labbra un carbone ardente. Isaia sente finalmente la voce del Signore che chiama qualcuno da inviare nella missione divina, e Isaia risponde alla sfida.

L'esperienza maestosa del profeta di essere scelto da Dio riecheggia l'incontro travolgente di Mosè con la realtà divina presso il roveto ardente. Nonostante si sentissero impreparati e incapaci, impuri e deboli, alla fine entrambi si arresero alla chiamata di Dio, servendolo fedelmente senza preoccuparsi della sofferenza, dell'umiliazione e dell'ostracismo sociale che inevitabilmente causò loro.

In tutto il rotolo di Isaia, il profeta esprime eloquentemente la necessità di un insegnante spirituale vivente per comprendere la volontà di Dio e imparare il modo più efficace per adorarLo. Nel brano seguente, Isaia fornisce una delle descrizioni più profonde dello spirito santo e del suo potere di guidare il futuro profeta, di dargli saggezza e comprensione, conoscenza e timore reverenziale del Signore e la capacità di distinguere tra vero e falso. Per mezzo della sua virtù, o rettitudine, potrà aiutare i poveri e gli umili. Isaia sta dicendo che in futuro avrete un insegnante vivente che è guidato dallo spirito del Signore e che a sua volta vi guiderà con quello stesso spirito. La “verga” e il “ramo” sono antichi simboli del maestro spirituale. La verga e il ramo sono tagliati dall’“albero della vita”, una metafora dello spirito divino, la fonte della vita.[8] Quindi dice che il maestro è un ramo o un'estensione della potenza divina di Dio.

Un germoglio spunterà dal tronco di Yishay,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore[9] del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
Isaia 11:1-4

Questo è il primo caso in cui un profeta parla dell'apparizione di un futuro profeta in termini così utopici, dandogli quello che in seguito sarebbe stato chiamato un tono messianico. E poi, in termini divenuti classici della lingua inglese, Isaia parla del futuro ideale, quando regnerà l'armonia per l'influenza del profeta, l'uomo di Dio:

Il lupo dimorerà insieme con l'agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l'orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno la radice di Yishay
si leverà a vessillo per i popoli,
le genti la cercheranno con ansia,
la sua dimora sarà gloriosa.
Isaia 11:6-10

Quando Isaia dice che il lupo e l'agnello vivranno insieme, sta dicendo che anche le creature i cui istinti li mettono in conflitto tra loro potranno vivere in armonia. Sebbene questo brano sia generalmente interpretato nel senso che ci sarà un tempo di pace sulla terra, un’interpretazione più mistica è forse più realistica. Potrebbe non riferirsi alla pace materiale, fisica nell'arena politica, ma piuttosto alla pace interiore che deriva dalla realizzazione spirituale. Una volta che le persone hanno raggiunto la pace interiore, i conflitti sul piano materiale diminuirebbero, poiché risolverebbero i loro problemi in modo più razionale e pacifico. Potrebbe anche significare che ci sarà la fine della dualità esistenziale, stato in cui viviamo ora, senza mai conoscere la pace. Trascenderemo tutti questi stati temporanei quando realizzeremo la nostra vera essenza spirituale, che è permanente.

Isaia dichiara in modo eloquente che il profeta del futuro valuterà la vita non con le sue orecchie e i suoi occhi esteriori, i sensi esterni, ma piuttosto con la conoscenza interiore. Porterà non solo giustizia ma misericordia e compassione. Il “fanciullo che li guiderà” rappresenta lo stato di innocenza, l'anima stessa, che assume il controllo. È ingenuo/infantile nella sua purezza. In alternativa, questo potrebbe anche essere un riferimento all’archetipo del maestro spirituale, che è puro ed è l'epitome dell'innocenza. Nella letteratura mistica ebraica è spesso chiamato il “giovane” o il “fanciullo”.

Sebbene l'intero brano sia stato interpretato come una predizione di un particolare re-profeta, non può essere limitato a un solo futuro profeta o redentore, un unico messia. Attraverso questa bellissima metafora, sta trasmettendo il fatto che le persone hanno bisogno di un maestro spirituale che le guidi e le conduca verso stati di coscienza più elevati. Quando dice che non ci sarà violenza “sul mio santo monte”, poiché l'intera creazione sarà piena della “conoscenza del Signore”, si riferisce ancora simbolicamente ai reami spirituali superiori, che sono spesso simboleggiati come un montagna fisica.

Isaia annunciava che il profeta avrebbe sempre aspettato che i discepoli tornassero a lui. Spiega che, sebbene il popolo sia stato ribelle e abbia persino chiesto ai profeti di non profetizzare, tuttavia quando cambieranno i loro modi e diventeranno ricettivi all'insegnamento divino (Torah) e si rivolgeranno a Lui, Egli risponderà al loro grido con la Sua grazia. Finora, dice, il loro maestro è stato appartato; non potevano vederlo, perché erano ciechi alla chiamata spirituale. Tuttavia, quando torneranno a Dio, lo vedranno e ascolteranno le sue parole, le sue istruzioni per percorrere il sentiero, la via del ritorno a Dio:

Sì, o popolo di Sion che abiti a Gerusalemme,
tu non piangerai più!
Egli, certo, ti farà grazia, all'udire il tuo grido;
appena ti avrà udito, ti risponderà.
Il Signore vi darà, sì, del pane d'angoscia
e dell'acqua d'oppressione,
ma quelli che ti insegnano non dovranno più nascondersi;
e i tuoi occhi vedranno chi ti insegna.
Quando andrete a destra o quando andrete a sinistra,
le tue orecchie udranno dietro a te una voce che dirà:
"Questa è la via; camminate per essa!"
Isaia 30:19-21

Gli Israeliti erano agricoltori, pressatori di olive e uva. I profeti dell'antico Vicino Oriente usavano spesso parabole e allegorie tratte dalla vita quotidiana delle persone a cui prestavano servizio. Nel brano molto amato e conosciuto che segue, Isaia utilizza la classica allegoria mistica del giardiniere e della vigna per trasmettere la relazione d'amore del Signore con gli Israeliti e, a un livello più profondo, la relazione di Dio con l'anima individuale. La sua frustrazione deriva dalla sua incapacità di aiutarli. Ha dato loro ogni vantaggio eppure si rifiutano di svegliarsi. Alla fine distrugge il giardino.[10]

Canterò per il mio diletto
il mio cantico d'amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva,
ma essa fece uva selvatica.
Or dunque, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha fatto uva selvatica?
Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa di Israele;
gli abitanti di Giuda
la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di angoscia.
Isaia 5:1-7

Isaia, come Amos e Osea, sottolineò la necessità della giustizia sociale e della vera adorazione; dichiarò coraggiosamente che i sacrifici, i pellegrinaggi e le preghiere esteriori non sono il modo di adorare Dio. Si riferisce agli israeliti come ai governanti e agli abitanti di Sodoma e Gomorra (Isaia 1:10), l'epiteto biblico per la più immorale e abominevole delle società. Egli condanna le loro “offerte vane, incenso di abominio”, i loro sabbath e i loro “noviluni, sabati, assemblee sacre” (Isaia 1:13). "Quando stendete le mani – dice – io distolgo gli occhi da voi" (Isaia 1:15). Come possono trovare il favore di Dio? In termini che ricordano Amos e Osea, dice: "Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male. Imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova" (Isaia 1:16,17).

In sostanza, quando si rinuncia a un comportamento peccaminoso, non c'è nulla che ostacoli la comunione interiore con Dio. Ma ricorda loro che se si rifiutano di cambiare strada e continuano a ribellarsi, saranno puniti. Ricordando Osea, definisce la città infedele a Dio, prostituta, piena di malvagità.

Su, venite e discutiamo,
dice il Signore,
anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,
diventeranno bianchi come neve.
Se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana.
Se sarete docili e ascolterete,
mangerete i frutti della terra.
Ma se vi ostinate e vi ribellate,
sarete divorati dalla spada,
perché la bocca del Signore ha parlato.
Come mai è diventata una prostituta
la città fedele?
Era piena di rettitudine,
la giustizia vi dimorava;
ora invece è piena di assassini!
Il tuo argento è diventato scoria,
il tuo vino migliore è diluito con acqua.
I tuoi capi sono ribelli
e complici di ladri;
tutti sono bramosi di regali,
ricercano mance,
non rendono giustizia all'orfano
e la causa della vedova fino a loro non giunge.
Isaia 1:18-23

Inizia un altro salmo mistico con la metafora della città forte, fortificata dalle mura della “salvezza” spirituale, per significare la forza spirituale del discepolo che è fedele alle vie di Dio, di cui Dio si fida e che ha fiducia in Dio. Ricorda alle persone che se confidano nel Signore e attaccano la loro mente a Lui, troveranno la “pace perfetta” – la pace interiore che non finisce mai. In definitiva, insegna Isaia, il vero culto ha luogo nel nucleo spirituale dentro di sé, dove si può trovare la realtà divina che guida una persona verso uno stile di vita morale ed etico, che lui chiama “il sentiero del giusto”.

In quel giorno si canterà questo canto nel paese di Giuda:
Abbiamo una città forte;
egli ha eretto a nostra salvezza
mura e baluardo.
Aprite le porte:
entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà.
Il suo animo è saldo;
tu gli assicurerai la pace,
pace perché in te ha fiducia.
Confidate nel Signore sempre,
perché il Signore è una roccia eterna;
perché egli ha abbattuto
coloro che abitavano in alto;
la città eccelsa
l'ha rovesciata, rovesciata fino a terra,
l'ha rasa al suolo.
I piedi la calpestano,
i piedi degli oppressi, i passi dei poveri.
Il sentiero del giusto è diritto,
il cammino del giusto tu rendi piano.
Isaia 26:1-7

Parlando con la voce del popolo, il profeta dice: "Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio" (26:8). Meditiamo tutta la notte e ti cerchiamo con lo “spirito interiore” (Isaia 26:9). Dichiara che non c’è liberazione sulla terra – non c’è il regno dei cieli qui. Niente di questo mondo porterà alcun risultato. Siamo come una donna incinta che partorisce solo aria; nessun bambino nasce.

Conclude il salmo con una bellissima dichiarazione di salvezza futura: I morti spiritualmente si risveglieranno e vivranno, e l'anima canterà la sua canzone interiore e assaporerà la rugiada che porta la vita ogni mattina. Quindi venite, entrate nelle vostre “camere”, le vostre stanze interiori – portate la vostra attenzione dentro di voi e calmate le vostre menti in meditazione.

Ma di nuovo vivranno i tuoi morti,
risorgeranno i loro cadaveri.
Si sveglieranno ed esulteranno
quelli che giacciono nella polvere,
perché la tua rugiada è rugiada luminosa,
la terra darà alla luce le ombre.
20 Va', popolo mio, entra nelle tue stanze
e chiudi la porta dietro di te.
Nasconditi per un momento
finché non sia passato lo sdegno.
Isaia 26:19-20

Aryeh Kaplan commenta che, sebbene i profeti abbiano rivelato poco delle loro effettive tecniche di meditazione, ci sono suggerimenti in tutta la Bibbia.[11] Ad esempio, ci sono diversi brani in cui Isaia si riferisce alla meditazione in termini di ascolto della musica interiore, la voce di Dio, e di visione della parola di Dio, la luce interiore, sul “monte del Signore”.

Voi innalzerete il vostro canto
come nella notte in cui si celebra una festa;
avrete la gioia nel cuore come chi parte al suono del flauto,
per recarsi al monte del Signore,
alla Roccia d'Israele.
Il Signore farà udire la sua voce maestosa.
Isaia 30:29-30

Questi non sono riferimenti all'ascolto di musica esterna; questa è tutta una metafora per salire sul “monte del Signore” interiore e ascoltare la Sua “voce gloriosa”. In un'altra poesia usa la stessa metafora di scalare la montagna per apprendere la volontà o via divina, così da poter camminare nella “luce” del Signore.

O casa di Giacobbe, vieni,
camminiamo nella luce del Signore.
Isaia 2:5

Abbiamo dato uno sguardo solo ad alcuni dei potenti insegnamenti conservati nel rotolo di Isaia, quelli attribuiti al primo di numerosi profeti chiamati Isaia. Probabilmente esisteva una lunga stirpe di profeti anonimi chiamati Isaia che vissero nel corso di più di duecento anni.[12] Mantenendo il nostro approccio cronologico, prenderemo in considerazione i profeti generalmente chiamati Deutero-Isaia e Trito-Isaia dopo Geremia ed Ezechiele.

Geremia: Un messaggio di conforto[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Geremia (profeta), Libro di Geremia, Lamentazioni di Geremia e Libro delle Lamentazioni.

Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l'anima che lo cerca.
Lamentazioni 3:25

Geremia ricevette la sua chiamata profetica alla fine del VII secolo AEV, circa cento anni dopo Isaia, appena prima della conquista del regno meridionale di Giuda da parte dei Babilonesi e dell'esilio dei Giudei a Babilonia. Si ritiene che Geremia possa aver iniziato il suo insegnamento già durante il regno di re Giosia, che aveva intrapreso una serie di riforme religiose nel 606 AEV. Gli ebrei, come sempre, non erano stati fedeli al culto dell'unico Signore YHWH, e il suo obiettivo era ristabilire il culto unico di YHWH nel Tempio di Gerusalemme. A Giosia successe il re Ioiakim, che non sostenne le riforme e tornò al culto delle divinità del pantheon cananeo insieme a YHWH in numerosi santuari in tutto il regno. Quando il rotolo delle profezie di Geremia che rimproverava il re e prediceva il giudizio divino fu letto a Ioiakim, il re si arrabbiò e lo bruciò. Geremia fu costretto a fuggire per salvarsi la vita.

Uno dei temi principali delle profezie di Geremia era l'ammonizione a ritornare al solo culto di YHWH e ad obbedire alle linee guida morali ed etiche richieste da Dio per evitare la distruzione e l'esilio che minacciavano gli israeliti da entrambi i confini, quello settentrionale con Babilonia e quello meridionale con l'Egitto. Ciò che rese Geremia oggetto di disprezzo – e della rabbia del re – fu il fatto che ripeté continuamente al popolo che il loro destino di esilio era inevitabile, una conseguenza del loro comportamento malvagio, e che avrebbero dovuto accettarlo. Predisse anche che l'esilio sarebbe durato solo settant'anni. Li esortò ad adottare un atteggiamento distaccato e a concentrarsi sul miglioramento spirituale. Per questo venne etichettato come traditore dai profeti istituzionali della monarchia che adulavano il re.

Geremia, pur esortando ad accettare l'esilio come prezzo del peccato, sostenne sempre che la relazione spirituale essenziale di Dio con l'anima rimaneva costante e amorevole. La sofferenza era il risultato diretto delle loro azioni. Vedendosi (come Isaia) come un “servo” di Dio, Geremia denunciò le pratiche corrotte del Tempio e l'ipocrisia dei tanti “falsi profeti” che esortavano il popolo a combattere i babilonesi. Nell'adempiere la sua missione di profetizzare ad un popolo attraversato da una grande instabilità esterna, Geremia si oppose al re, alla corte e al Tempio. Alla fine della sua vita, Geremia era impopolare e isolato – disprezzato, addirittura considerato squilibrato – poiché non dava alle persone un messaggio ottimistico con cui poter vivere comodamente.

La descrizione fatta da Geremia della sua chiamata alla profezia (1:4-9) è simile alle esperienze di Mosè e Isaia. Dio lo aveva scelto per questo compito ancor prima della sua nascita. "Prima di formarti nel ventre ti conoscevo; e prima che tu uscissi dal grembo materno, ti ho santificato e ti ho costituito profeta delle nazioni". Tuttavia, Geremia si sente inadeguato, proprio come Mosè e Isaia. Dice che è solo un fanciullo, ma Dio dice no, non sei un fanciullo. “Non aver paura dei loro volti”, dice: Sii audace e profetizza. Poi Geremia racconta con eloquenza il momento in cui Dio lo ha investito del suo potere: "Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca". Geremia sentì la sua bocca riempirsi delle parole del Signore – un'altra descrizione vivida di come è stato incaricato della volontà divina e una potente dichiarazione che non sta esprimendo i propri pensieri o parole; sta trasmettendo la volontà del Signore che lo ha mandato. Gli è stata così data la rassicurazione divina che non ha nulla da temere da coloro che non sono ricettivi alle sue profezie.

Il profeta che predica a un pubblico non ricettivo e impenitente era un tema comune nella Bibbia, ma con Geremia, forse, possiamo entrare in empatia ancora più forte, poiché esprime l'angoscia del suo dilemma in termini molto umani. Eppure non aveva altra scelta che compiere la missione di Dio:

Mi hai persuaso, Signore, e io mi sono lasciato persuadere;
mi hai fatto forza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno;
ognuno si fa beffe di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo proclamare: "Violenza! Oppressione!"
Così la parola del Signore è diventata per me
motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno.
Mi dicevo: "Non penserò più a lui,
non parlerò più in suo nome!"
Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente,
chiuso nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.
Geremia 20:7-9

Rabbi Isaac Abarbanel, un mistico e filosofo del XV secolo, spiegò che l'esperienza da parte di Geremia della parola divina, che si sente obbligato a insegnare, è lo spirito santo, ruah ha-kodesh, che percepì nello stato profetico come fuoco ardente o fiammeggiante.

« Il “fuoco lampeggiante” allude all'influsso di profezia che raggiunge la sua mente, che nella sua potenza è come un fuoco purificatore. Questo è ciò che Dio disse a Geremia: "La mia parola non è forse come il fuoco?" (23:29). Anche Geremia stesso disse: "Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente" (20:9). »
(Isaac Abarbanel, commentario su Ezechiele 1:4)

Il fuoco è purificatore. Brucia le scorie del metallo e in questo senso è come la verità, che separa la realtà dall'illusione. Geremia non ha altra scelta che dire la verità, trasmettere il messaggio di Dio senza diluirlo o distorcerlo. È totalmente obbediente alla missione che Dio gli ha affidato: "Tutto quello che il Signore vi risponderà ve lo farò conoscere, non vi nasconderò nulla" (42:4).

Qual'è il ruolo del profeta?[modifica]

Sebbene Geremia si lamentasse della sua incapacità di esprimersi, si rivelò piuttosto eloquente. Il brano seguente offre un'eccellente panoramica della sua relazione con Dio e del messaggio che portò alle persone in Suo favore. Comincia spiegando che la parola di Dio venne a lui e gli ordinò di “stare alla porta della casa del Signore” e predicare loro la parola. Qui potrebbe esserci un doppio significato del termine “la porta della casa del Signore”, in quanto si riferisce sia alle porte del Tempio, dove Geremiasi trovava fisicamente, sia misticamente, al terzo occhio, l'ingresso nelle regioni spirituali interiori, che erano conosciute come le “porte” della casa del Signore.

« Questa è la parola che fu rivolta dal Signore a Geremia: "Fermati alla porta del tempio del Signore e là pronunzia questo discorso dicendo: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che attraversate queste porte per prostrarvi al Signore. Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo. »
(Geremia 7:1-3)

Geremia parla con la voce di Dio, come era lo stile di molti profeti biblici. Come Amos e altri profeti che lo hanno preceduto, esorta il popolo ad abbandonare le proprie vie immorali e peccaminose. Dice che se agisci giustamente e misericordiosamente con i tuoi simili; smetti di opprimere la vedova e l'orfano; rinunci all’omicidio, all'adulterio e al furto – se smetti di adorare Ba’al e gli altri dei, e adori solo me, allora “ti farò abitare in questo luogo”, la terra di Giuda, che era in pericolo di conquista. A livello mistico, sta dicendo loro che i reami interiori e spirituali li accoglieranno sempre se ritorneranno alla vera adorazione di Dio.

Parlando come Dio, continua dicendo che non ha mai comandato i sacrifici e le offerte con cui si adora nel Tempio. Esprime disgusto per il Tempio, che è diventato “un covo di ladroni” (7:11) e non un luogo di culto. Che tipo di culto ha insegnato Dio ai tuoi antenati? “Ascoltate la Mia voce! Allora Io sarò il vostro Dio e voi sarete il Mio popolo; e camminate in tutte le vie che vi ho comandato, perché siate felici” (Geremia 7:23). Le “vie” da Lui comandate includono un comportamento compassionevole ed etico verso gli altri – il fondamento morale della spiritualità – così come l'adorazione obbediente della parola di Dio, non attraverso i sacrifici, ma attraverso la devozione interiore (Geremia 7:21-22).

Il ruolo del profeta è dire la verità alle persone e cercare di riportarle indietro, anche se è fissata la punizione che sono destinate a subire. Nel brano seguente, Geremia descrive ancora come ha accolto dentro di sé la parola di Dio, che gli comandava di predicare al popolo:

Mi fu rivolta questa parola del Signore:
Va' e grida agli orecchi di Gerusalemme,
Così dice il Signore:
Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza,
dell'amore al tempo del tuo fidanzamento,
quando mi seguivi nel deserto,
in una terra non seminata...
Stupitene, o cieli;
inorridite come non mai.
Oracolo del Signore.
Perché il mio popolo ha commesso due iniquità:
essi hanno abbandonato me,
sorgente di acqua viva,
per scavarsi cisterne, cisterne incrinate,
che non tengono l'acqua.
Geremia 2:1-2,12-13

Questo brano ricorda anche Osea e Isaia, poiché Geremia attinge alla stessa metafora della sposa e dell'amata per il popolo di Israele e per il Signore (esotericamente, l'anima e il Signore). Rimprovera le persone per essere state infedeli e ricorda loro i tempi idilliaci del passato, quando condividevano un amore reciproco e avevano totale fiducia e fede in Lui, anche se non sapevano dove li stava conducendo.

Ora, dice, hanno commesso due mali: hanno abbandonato Dio, la “fonte di acque vive”, fonte della parola spirituale o della potenza divina,[13] e sono corsi dietro ai falsi dei e ai falsi profeti, che lui chiama “cisterne rotte” perché non possono trattenere l'acqua né fornire sostentamento vivificante.

Geremia inveisce contro i falsi profeti, che inducono il popolo a compiacersi. Rassicura le persone che Egli le raccoglierà dalla diaspora e darà loro dei veri pastori che le guideranno e le proteggeranno dopo il loro ritorno. In una delle dichiarazioni più eloquenti e concise della Bibbia sull'onniscienza di Dio, dice: “Sono io forse Dio solo da vicino – dice il Signore – e non anche Dio da lontano? Può forse nascondersi un uomo nei nascondigli senza che io lo veda? Non riempio io il cielo e la terra? Parola del Signore” (23:23-24). Continua:

Ho sentito quanto affermano i profeti
che profetizzano in mio nome menzogne:
Ho avuto un sogno, ho avuto un sogno...
Il profeta che ha avuto un sogno racconti il suo sogno;
chi ha udito la mia parola annunzi fedelmente la mia parola.
Che cosa ha in comune la paglia con il grano?
Oracolo del Signore.
La mia parola non è forse come il fuoco
– oracolo del Signore –
e come un martello che spacca la roccia?...
Eccomi contro i profeti – oracolo del Signore –
che muovono la lingua per dare oracoli.
Geremia 23:25,28-29,31

La punizione arriva attraverso la parola divina, dice, perché la verità distrugge l'inganno. Separa il grano dalla pula; è un martello che spezza in pezzi la roccia dell'illusione. A volte crea cacofonia, ma anche questa è un'espressione della potenza di Dio.

Come piacere a Dio e trovarLo?[modifica]

Per prima cosa dobbiamo riconoscere la Sua potenza e il nostro vero status e diventare umili. Geremia ricorda alle persone la fragilità della vita e la necessità della devozione a Dio, per ricordare che il loro destino è nelle Sue mani. Geremia, più degli altri profeti, sottolinea l'impotenza umana di fronte al disegno di Dio. Qui usa la parabola familiare del vasaio:

Questa parola fu rivolta a Geremia da parte del Signore:
Prendi e scendi nella bottega del vasaio;
là ti farò udire la mia parola.
Io sono sceso nella bottega del vasaio ed ecco,
egli stava lavorando al tornio.
Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando,
come capita con la creta in mano al vasaio,
egli rifaceva con essa un altro vaso,
come ai suoi occhi pareva giusto.
Allora mi fu rivolta la parola del Signore:
Forse non potrei agire con voi, casa di Israele,
come questo vasaio? Oracolo del Signore.
Ecco, come l'argilla è nelle mani del vasaio,
così voi siete nelle mie mani, casa di Israele.
Geremia 18:1-6

In un altro passo Geremia fornisce i suoi insegnamenti spirituali sotto forma di proverbi ed esempi tratti dall'esperienza del popolo riguardo al deserto e alla siccità, e dalla loro comprensione della qualità vivificante dell'acqua. La persona “saggia”, cioè colui che confida in Dio e non nel proprio ego, sarà come l'albero vivificante, l’“albero della vita”. Attinge la sua acqua dal fiume che scorre continuamente (il potere divino che scorre eternamente), e così può resistere a tutte le avversità. Come in precedenza, il Signore è chiamato “la fonte delle acque vive”, poiché Egli è l'acqua inesauribile che sostiene la vita – lo spirito che nutre le nostre anime. Dio vede nei nostri cuori; sa chi siamo veramente e se siamo puri o corrotti. Il “glorioso trono alto fin dal principio” a cui si riferisce è il reame spirituale, la dimora di Dio. Chiede al Signore di “guarirlo” spiritualmente e di “salvarlo”, attraverso la sua fonte di acqua viva. Alla fine, Geremia si sottomette umilmente davanti al Signore, dicendo che ha agito come pastore di Dio e non ha mai esitato a compiere la Sua volontà.

Benedetto l'uomo che confida nel Signore
e il Signore è sua fiducia.
Egli è come un albero piantato lungo l'acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi;
nell'anno della siccità non intristisce,
non smette di produrre i suoi frutti.
Più fallace di ogni altra cosa
è il cuore e difficilmente guaribile;
chi lo può conoscere?
Io, il Signore, scruto la mente
e saggio i cuori,
per rendere a ciascuno secondo la sua condotta,
secondo il frutto delle sue azioni.
Come una pernice che cova uova da lei non deposte
è chi accumula ricchezze, ma senza giustizia.
A metà dei suoi giorni dovrà lasciarle
e alla sua fine apparirà uno stolto.
Trono di gloria, eccelso fin dal principio,
è il luogo del nostro santuario!
O speranza di Israele, Signore,
quanti ti abbandonano resteranno confusi;
quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere,
perché hanno abbandonato
la fonte di acqua viva, il Signore.
Guariscimi, Signore, e io sarò guarito,
salvami e io sarò salvato,
poiché tu sei il mio vanto.
Ecco, essi mi dicono:
"Dov'è la parola del Signore?
Si compia finalmente!"
Io non ho insistito presso di te nella sventura
né ho desiderato il giorno funesto, tu lo sai.
Ciò che è uscito dalla mia bocca è innanzi a te.
Geremia 17:7-16

Non abbiamo alcuna indicazione della tecnica specifica raccomandata dal profeta attraverso la quale il popolo poteva entrare in sintonia con la volontà del Signore e arrendersi a Lui, se non quella di rimanere fedele al suo "nome", rinunciando al culto degli idoli e seguendo le norme morali ed etiche. Come abbiamo visto, i profeti spesso si riferivano alla propria esperienza della parola, del nome o dello spirito santo di Dio, e Geremia sentiva il bisogno di predicare quella parola al popolo e di risvegliarlo attraverso il suo potere. Ma non viene insegnata alcuna pratica meditativa specifica. Nel rotolo delle Lamentazioni, scritto nello stile poetico della letteratura sapienziale e tradizionalmente attribuito a Geremia, si coglie qualche accenno ad una pratica meditativa. In esso afferma i principi fondamentali della grazia e della compassione di Dio che accompagnano l'anima, l'anima che si rinnova e “lo aspetta” nella meditazione ogni mattina; che lo cerca interiormente, in silenzio, e ha speranza e fede nella propria salvezza; che riconosce il Signore come sua “porzione”, sua eredità. Ogni frase di questo brano ha profondità e bellezza spirituale:

Le misericordie del Signore non sono finite,
non è esaurita la sua compassione;
esse son rinnovate ogni mattina,
grande è la sua fedeltà.
"Mia parte è il Signore – io esclamo –
per questo in lui voglio sperare".
Buono è il Signore con chi spera in lui,
con l'anima che lo cerca.
È bene aspettare in silenzio
la salvezza del Signore.
Lamentazioni 3:22-26

Ezechiele: Visionario del carro di Dio[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Ezechiele (profeta) e Libro di Ezechiele.

Mi disse: "Figlio dell'uomo, alzati in piedi
e io ti parlerò".
Ezechiele 2:1

Il profeta Ezechiele sperimentò la sua chiamata divina nel VI secolo AEV mentre era in esilio a Babilonia, seduto sulle rive del fiume Kevar. Era venuto a Babilonia insieme al folto gruppo di Giudei che vi erano stati condotti dopo la conquista del regno meridionale e la distruzione di Gerusalemme. Sappiamo che Ezechiele, come Geremia, nacque in una famiglia sacerdotale, ma oltre a ciò non ci sono dettagli della sua vita prima della sua chiamata alla profezia.

Il rotolo di Ezechiele si apre con una visione drammatica e meravigliosa del trasporto mistico verso i reami spirituali su un carro di esseri soprannaturali accompagnati da luci e suoni maestosi. Questa è una delle poche descrizioni esplicite del viaggio spirituale interiore che compaiono nella letteratura profetica. Le selezioni sono riprodotte di seguito:

Il cinque del quarto mese dell'anno trentesimo, mentre mi trovavo fra i deportati sulle rive del canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine...
Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l'aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali...
Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano bagliori. Gli esseri andavano e venivano come un baleno...
Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse si muovevano; quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si alzavano da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell'essere vivente era nelle ruote...
Al di sopra delle teste degli esseri viventi vi era una specie di firmamento, simile ad un cristallo splendente, disteso sopra le loro teste, e sotto il firmamento vi erano le loro ali distese, l'una di contro all'altra; ciascuno ne aveva due che gli coprivano il corpo. Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali, simile al rumore di grandi acque, come il tuono dell'Onnipotente, come il fragore della tempesta, come il tumulto d'un accampamento. Quando poi si fermavano, ripiegavano le ali. Ci fu un rumore al di sopra del firmamento che era sulle loro teste. Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l'elettro e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco.[14] Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell'arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l'aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava.
Ezechiele 1:1,4-6,13-14,20-28

L’esperienza di Ezechiele riguarda la “gloria del Signore” (1:28). Secondo gli studiosi "this glory (kavod in Hebrew) is a technical term in the ancient priestly tradition for the mysterious manifestation of the divine presence in worship".[15] Anche altri studiosi hanno commentato la natura sacerdotale delle immagini della visione. Si possono tracciare paralleli con l'intero rituale sacerdotale nel Santo dei Santi del Tempio.

L'esperienza di Ezechiele divenne il paradigma per le esperienze interiori dei mistici ebrei a partire dal I secolo AEV, che usarono lo stesso vocabolario per descrivere la loro "discesa" ai reami interiori sul "carro" celeste.[16] Questa è forse un'indicazione che l'insegnamento di Ezechiele e metodo di meditazione sono continuati attraverso un lignaggio diretto di trasmissione. La visione del carro di Ezechiele sembra essere un tentativo di descrivere quella che fu essenzialmente un'esperienza travolgente della grande forza spirituale che lo portò verso l'interiore, e le immagini e i suoni dei vari livelli spirituali che attraversò. Alla fine raggiunse il livello del “trono”, il reame più alto, dove vide Dio seduto su un trono, sotto forma di uomo. Gli studiosi hanno dimostrato che Ezechiele espresse la sua visione in termini familiari al suo pubblico – come un'interiorizzazione del rituale sacerdotale del Tempio che non poteva più aver luogo sul piano fisico esterno perché il Tempio era stato distrutto.[17]

È come se il profeta-sacerdote Ezechiele, sopravvissuto alla distruzione del Primo Tempio e vivendo in esilio, trasmettesse la realtà della presenza di Dio visualizzando una ricreazione del Tempio. Era certamente un'immagine che avrebbe lasciato una forte impronta nell'immaginario ebraico di quel tempo.[18]

Ezechiele racconta come ricevette la sua chiamata: Uno “spirito” entrò in lui – questo è ruah ha-kodesh, lo spirito santo o potenza divina che sentì entrare in lui così potentemente da sollevarlo effettivamente in piedi.

Mi disse: Figlio d'uomo, àlzati in piedi,
io ti parlerò.
Mentre egli mi parlava, lo Spirito entrò in me
e mi fece alzare in piedi;
io udii colui che mi parlava.
Ezechiele 2:1-2

Il messaggio che riceve è quello di una punizione per il comportamento ribelle delle persone, probabilmente inteso come un modo per instillare in loro la paura e motivarli ad abbandonare il loro comportamento immorale e idolatrico, per indurli a pentirsi e ad adorare Dio. Ezechiele sa che deve adempiere al suo compito, indipendentemente dal fatto che le persone ascoltino o meno – ed è davvero dubbio che ascolteranno.

Come nel caso di Osea, la vita stessa di Ezechiele diventa un simbolo e la sua profezia diventa la rappresentazione di un dramma potente. Gli viene detto di mangiare il rotolo del comando di Dio, di fare una dimostrazione pubblica inequivocabile e potente dell'imperativo di Dio e del suo impulso a predicarlo.

E tu, figlio dell'uomo, ascolta ciò che ti dico
e non esser ribelle come questa genìa di ribelli;
apri la bocca e mangia ciò che io ti do.
Io guardai ed ecco, una mano tesa verso di me teneva un rotolo.
Lo spiegò davanti a me;
era scritto all'interno e all'esterno
e vi erano scritti lamenti, pianti e guai.
Mi disse: Figlio dell'uomo, mangia ciò che hai davanti,
mangia questo rotolo, poi va' e parla alla casa d'Israele.
Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo,
dicendomi: Figlio dell'uomo, nutrisci il ventre
e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo.
Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele.
Mi disse ancora: Figlio dell'uomo, tutte le parole
che ti dico accoglile nel cuore e ascoltale con gli orecchi:
poi va', recati dai deportati, dai figli del tuo popolo,
e parla loro. Dirai: Così dice il Signore,
ascoltino o non ascoltino.
Ezechiele 2:8-10;3:1-3,10-11

Inaspettatamente Ezechiele dichiara che quando mangiò il rotolo, era dolce come il miele, come il nettare. Ci si aspetterebbe che un messaggio severo e amaro abbia un sapore amaro, ma poiché Ezechiele è diventato un'estensione della volontà divina e poiché il messaggio di Dio è la verità divina, trova il messaggio dolce. Gli viene quindi comandato di recepire e ripetere tutto ciò che Dio gli comunica.

Ezechiele descrive poi un'altra esperienza dello spirito che lo innalza e lo trasporta. Sente il suono di un grande fruscio, che descrive come il suono delle ali e delle ruote degli esseri celesti che aveva visto nella sua visione precedente. Come prima, questo deve riferirsi al suono interiore dei reami spirituali. Il suo cuore è pesante perché conosce l'amarezza della sua profezia, eppure deve metterla in pratica, perché la “mano del Signore”, che significa il potere o la volontà di Dio, è su di lui.

Quindi siede di nuovo sulla riva del fiume tra gli esiliati per sette giorni. Possiamo presumere che fosse impegnato in qualche forma di meditazione, poiché dice che era in uno stato di “sopraffazione”. Sente il potere divino o la volontà che lo informa che sarà una “sentinella” per le persone — qualcuno che le guiderà, le avvertirà e le proteggerà. Sente la “mano” di Dio che lo ispira ad andare nella “pianura”, forse un riferimento a un reame spirituale dentro di sé o forse a un particolare luogo fisico. Lì percepisce ancora una volta “la gloria del Signore”, la manifestazione visiva dello spirito santo o parola. Lo spirito entra in lui, la sua potenza lo rimette in piedi e lo costringe a ritirarsi a casa sua, dove Dio lo informa che il popolo lo legherà con delle corde. Anche se ci provasse, non sarà in grado di parlare o di rimproverarli, perché non ascolteranno. Ma poi, quando sarà il momento giusto e la volontà divina si manifesterà in lui, sarà di nuovo in grado di trasmettere il messaggio di Dio in modo forte e chiaro. E "chi vuole ascoltare ascolti", dice con la voce di Dio; coloro che sono ricettivi udiranno e ascolteranno, ma gli altri non saranno in grado di farlo (3:15-27).

Come prima, è costretto a mettere in atto su se stesso la sua profezia, a fare di se stesso e della sua vita un simbolo drammatico. Questo è un modo potente per trasmettere il suo messaggio, che nessuno può ignorare. Ma gli israeliti sono intransigenti. Non sono in grado di comprendere le profezie di Isaia e Geremia, non disposti ad accettare l'inevitabilità del proprio esilio, quindi Ezechiele cerca di usare metodi ancora più audaci e scioccanti per scuoterli dal loro torpore. Sfortunatamente, scopre che non sono ancora ricettivi.

Diventano ostinati e feroci nel rifiutarsi di ascoltare il profeta. Ma Dio gli consiglia di non arrendersi e di non lasciare che la loro ostinazione lo influenzi. Ha solo bisogno di perseverare. "E sia che ascoltino sia che non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro" (2:5). Sapranno che Dio non si è arreso con loro. Continua a inviare i suoi profeti, maestri spirituali, per aiutarli a comprendere la volontà divina e a ritornare a Dio.

Ezechiele usa anche la metafora del pastore per il profeta, dimostrando il lato più tenero dell'amore e della cura di Dio per il Suo popolo. E dice:

Come un pastore passa in rassegna il suo gregge
quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse,
così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò
da tutti i luoghi dove erano disperse
nei giorni nuvolosi e di dense tenebre.
Ezechiele 34:12

Il testo di Ezechiele presenta un ritratto empatico del profeta come un essere umano toccato dallo spirito santo, elevato alle vette – e all'agonia – del servizio divino. Racconta la sua vita dal momento in cui sperimenta l'evocazione di Dio, attraverso esperienze mistiche ultraterrene di luce e suono, fino al suo rapporto fedele e angosciato con la comunità alla quale è stato inviato.

Deutero-Isaia e Trito-Isaia: Freccia appuntita e servo di Dio[modifica]

Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome.
Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all'ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.
Isaia 49:1-2

Dal profondo della sua anima, il profeta anonimo che conosciamo come Deutero-Isaia, vissuto circa 150 anni dopo il Proto-Isaia, rivela come sentì la chiamata di Dio. Al pari di Ezechiele, visse probabilmente durante il periodo dell'esilio in Babilonia. Come Ezechiele, non aveva altra scelta che rispondere. Questo fu il suo destino divino. Ancor prima della sua nascita, Dio lo aveva scelto perché fosse la sua spada e la sua freccia, per dire con coraggio e asprezza la verità agli israeliti e risvegliarli dal loro compiacimento. Il potere divino si avvale del profeta per trasmettere il suo messaggio all'umanità. Dio continua a selezionare maestri spirituali per raggiungere l'umanità e trasformare la loro coscienza da negativa a positiva.

Allora qual è l'insegnamento che questo profeta fu inviato a trasmettere? In uno dei primi poemi del secondo gruppo di Isaia, il profeta è semplicemente chiamato “la voce” (40:3), il che implica che egli è la voce che parla o è sospinta dalla parola di Dio. Grida alle persone, avvertendole acutamente di restare sulla vera via, definendo questo mondo un “deserto” e una “steppa”. Descrive la grande potenza del Signore usando la topografia del terreno come metafora. Le nostre vite sono piene di montagne e valli: alti e bassi, piaceri e dolori, ricchezza e povertà. Tutte le vite sono soggette alla volontà di Dio. Può aumentarle o livellarle tutti. Accanto a Lui, per la Sua volontà, la vita umana è insignificante.

“La parola del nostro Dio dura sempre”, dice (40:8), riferendosi alla qualità vera ed eterna dello spirito o potere creativo divino che può essere sperimentato vivendo secondo le sue istruzioni. Dice che il Signore viene con mano e braccio forti, per trasmettere la potenza della Sua portata attraverso il Suo spirito e gli insegnamenti dei profeti. Per quanto trascendente e potente sia Dio, il profeta ricorda al popolo che si prende cura intimamente del Suo gregge come un pastore, pieno di compassione e dolcezza. In definitiva, il Signore risponde solo a Se stesso: “ Chi ha diretto lo spirito del Signore” (40:13). Da chi ha preso consiglio?

Deutero-Isaia si definisce eved YHWH (il servo di Dio), scelto da Dio e investito del Suo spirito per svolgere una missione specifica: portare consapevolezza della presenza divina, della verità e della giustizia all'umanità. Agisce come intermediario tra Dio e l'uomo, allo stesso modo di Mosè, Giosuè e altri profeti prima di lui. Nel primo dei “Canti del Servo”, come talvolta viene chiamata questa raccolta di poesie, è YHWH stesso a dichiarare che il profeta è il suo servitore fedele. Il profeta è pieno della ruah ha-kodesh. Dice che è lui che è stato inviato come alleanza per il popolo, compimento della promessa divina di redenzione; come luce per le nazioni e (usando la stessa metafora che appare in Proto-Isaia, capitolo 35) per portare la vista a chi è spiritualmente cieco e la libertà a coloro che siedono nella prigione delle tenebre spirituali.

Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.
Proclamerà il diritto con fermezza;
non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra;
e per la sua dottrina saranno in attesa le isole.
Così dice il Signore Dio
che crea i cieli e li dispiega,
distende la terra con ciò che vi nasce,
dà il respiro alla gente che la abita
e l'alito a quanti camminano su di essa:
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.
Isaia 42:1-7

Tuttavia, pur essendo il servo di Dio che porta un messaggio di speranza, spesso sente di aver fallito nella sua missione. E dice: “Ho faticato invano . . .” anche se è stato fedele alla sua vocazione. Ribadisce che è stato chiamato a questa missione fin dal grembo materno, per riportare Giacobbe a Dio.[19] Alla fine, dice, Dio lo rivendicherà; la Sua luce spirituale non solo redimerà gli israeliti, ma avrà il potere di portare la salvezza a tutte le nazioni, fino alle “estremità della terra”. Si ha la sensazione che durante l'esilio i profeti non si limitassero a servire il proprio popolo, ma che le loro parole e i loro insegnamenti risuonassero più lontano, presso i popoli circostanti. Qui la visione di Isaia è universalista e totalizzante, poiché la grazia e la misericordia di Dio raggiungono tutta l'umanità.

Io ti renderò luce delle nazioni
perché porti la mia salvezza
fino all'estremità della terra.
Isaia 49:6

Il profeta può trascendere qualsiasi senso personale di fallimento, poiché la sua fiducia in se stesso risiede nella fiducia di Dio in lui. Tuttavia, il dolore che prova per non essere apprezzato dal suo gregge persiste; in un'altra poesia descrive la sua sofferenza per mano di un popolo ingrato e impenitente. Lo picchiano, gli sputano addosso, lo umiliano (50:6-11). Eppure obbedisce a Dio, che gli ha dato la voce, la lingua e le parole per “sostenere con la parola chi è stanco”. È lo spirito divino o la parola interiore che ha il potere di sostenere la persona che è stanca del mondo e delle sue falsità ed è pronta a sottomettersi alla volontà di Dio. Il Signore ha dato al profeta l’udito interiore (“ha aperto il mio orecchio”) per ascoltarLo, nonostante il fatto che la sua devozione a Dio e il perseguimento risoluto della sua missione abbiano portato gli altri a disprezzarlo.

Conclude parlando a coloro che camminano nelle tenebre e non hanno luce interiore e spirituale. Dice:

Chi tra di voi teme il Signore,
ascolti la voce del suo servo!
Colui che cammina nelle tenebre,
senza avere luce,
speri nel nome del Signore,
si appoggi al suo Dio.
Isaia 50:10

E allora non camminerà più nelle tenebre spirituali.

Un altro brano sorprendente del Deutero-Isaia conferma la chiamata del profeta da parte di Dio per il suo ministero spirituale verso tutta l'umanità:

Come molti si stupirono di lui
– tanto consacrai [unsi] il suo volto più di ogni uomo,[20]
e la sua forma più dei figli degli uomini –
così si meraviglieranno di lui molte genti;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Isaia 52:14-15[21]

Proprio come Dio lo ha “unto”, versando su di lui le Sue “acque” spirituali, così lui (il profeta) spargerà quelle acque di saggezza sul mondo. Le acque spirituali erano un simbolo comune per lo spirito santo, il potere divino che si percepisce dentro di sé. Quindi, sta dicendo che proprio come ha ricevuto questo spirito da Dio, così insegnerà agli altri a riceverlo.

In un altro canto, Isaia parla con la voce dei suoi discepoli, che lamentano il loro terribile comportamento nei confronti del loro profeta. Si è portato addosso i nostri dolori e le nostre trasgressioni, dicono, ma non abbiamo apprezzato quello che stava facendo per noi. Qui chiama Dio e il profeta “lo tsadik”, generalmente tradotto come il giusto, ma che significa molto di più: suggerisce il santificato, compassionevole e puro. È un termine usato nei secoli per indicare il santone, il maestro, il profeta che emula Dio.

Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,[22]
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Isaia 53:1-7

Deutero-Isaia insegna che il santo, il “servo di Dio”, soffre a causa del suo dovere; è disprezzato e rifiutato dall'umanità; è “un uomo dei dolori”. Usando l'immagine del Tempio e del suo culto sacrificale, dice che il profeta portò i peccati dei suoi seguaci, morendo infine per quella causa. Alla fine del poema, Dio promette di vendicarlo perché ha compiuto il compito che Dio gli ha assegnato anche se questo gli ha portato la morte: “perché ha offerto la sua anima alla morte”.

Questo brano è stato spesso interpretato come una predizione della venuta e della sofferenza di Gesù Cristo, che sarebbe stato abusato e rifiutato. Tuttavia, sembra che ci siano stati molti di questi profeti che hanno sofferto nell'adempimento del loro dovere, e le esperienze di Gesù hanno fatto eco alle sofferenze di molti profeti ebrei.

Riguardo all'intensità di questo passaggio, Joseph Blenkinsopp osserva: "It seems reasonable to conclude that the intensity of the language in this lament, almost unparalleled in the Hebrew Bible, arises out of the profoundly revealing experience of conversion to discipleship and prepares for the suffering and rejection of the ‘servants of YHWH’ in Third Isaiah. It is no wonder that it has continued to reverberate throughout Jewish history and that it came to have such a decisive influence on the early Christian understanding of the prophetic ministry of Jesus".[23]

Anni dopo, quando gli ebrei tornarono in Giudea dall’esilio, anche il profeta che ora chiamiamo Trito-Isaia, che probabilmente era discepolo del Deutero-Isaia, cantò dello tsadik che morì senza essere apprezzato e senza esser compianto. È stato suggerito che si lamentasse della sofferenza del suo predecessore spirituale, Deutero-Isaia, il “servo di Dio”, che fu respinto dal suo popolo perché cercava di avvertirlo del male che gli sarebbe capitato.

Periscono gli tsadikim, nessuno ci bada.
I pii sono tolti di mezzo, nessuno ci fa caso.
Il giusto è tolto di mezzo a causa del male.
Isaia 57:1

Lo spirito di Dio è su di lui, dice il Trito-Isaia, perché è stato inviato dalla potenza divina per condividere la buona notizia della redenzione del popolo, della sua salvezza. Questo è un messaggio per gli “umili”, dice – coloro che sono umili nello spirito. È stato inviato per liberare coloro che sono stati imprigionati a causa delle loro debolezze e tendenze inferiori (in ebraico, yetser ha-ra), che causano corruzione morale. Il profeta, il mistico, è gioioso nel suo ruolo, poiché è ricoperto della “veste” della virtù (tsedakah).[24]

Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza,
mi ha avvolto con il manto della giustizia,
come uno sposo che si cinge il diadema
e come una sposa che si adorna di gioielli.
Poiché come la terra produce la vegetazione
e come un giardino fa germogliare i semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutti i popoli.
Isaia 61:1,10-11

Anche Trito-Isaia si considerava il “servo del Signore”, molto disprezzato dalla popolazione in generale. Tuttavia continuò la sua missione divina di rivelatore della verità, senza riguardo per la propria convenienza personale. Fu chiamato da Dio per insegnare agli israeliti la loro vera condizione nella vita e ricordare loro quanto fossero impotenti di fronte al destino e alla volontà divina. Chiese al Signore di essere compassionevole con loro perché desideravano ritornare al Suo conforto, ma Dio stesso li fece smarrire: "Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità... Siamo diventati come coloro su cui tu non hai mai dominato, sui quali il tuo nome non è stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti" (63:17,19).

Gli Israeliti soffrivano nella loro separazione da Dio. Alla fine il profeta implora misericordia dal Signore, per sé e per il suo popolo, ricordando a Dio che è Lui che lo ha creato con limiti e debolezze. "Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani.” (64:7).

Trito-Isaia ci porta una dichiarazione forte ed esplicita dello scopo del profeta come maestro spirituale. Usa il termine mafgi’a, che significa intermediario o intercessore – qualcuno che potrebbe intervenire o difenderli spiritualmente. Sta dicendo che il motivo per cui il Signore è intervenuto è perché non c'era nessun intermediario. Perciò tenderà la Sua “mano”, metafora del redentore, per portare la salvezza. Il concetto di redenzione era interessante nei tempi biblici. Come per riscattare uno schiavo bisognava pagare, così il profeta inviato da Dio ci sostituisce come pagamento per noi. Portandoci un messaggio di perdono, sta dicendo che ci ha dato una garanzia, nonostante il nostro comportamento malvagio, e così potremo andar liberi.

Così è trascurato il diritto
e la giustizia se ne sta lontana,
la verità incespica in piazza,
la rettitudine non può entrarvi.
Così la verità è abbandonata,
chi disapprova il male viene spogliato.
Ha visto questo il Signore ed è male ai suoi occhi
che non ci sia più diritto.
Egli ha visto che non c'era alcuno,
si è meravigliato perché nessuno intercedeva.
Ma lo ha soccorso il suo braccio,
la sua giustizia lo ha sostenuto.
Come redentore verrà per Sion,
per quelli di Giacobbe convertiti dall'apostasia.
Oracolo del Signore.
Quanto a me, ecco la mia alleanza con essi,
dice il Signore: Il mio spirito che è sopra di te
e le parole che ti ho messo in bocca
non si allontaneranno dalla tua bocca
né dalla bocca della tua discendenza
né dalla bocca dei discendenti dei discendenti,
dice il Signore, ora e sempre.
Isaia 59:13-16,20-21

Così il Signore ricorda loro l'alleanza con Lui — che dovrebbero sempre tenere il Suo spirito santo, il Suo comando, sulla loro bocca, nella loro mente e nelle loro azioni.

Come Osea, Isaia utilizza l'allegoria del matrimonio tra Dio e gli israeliti per esprimere il rapporto dell'anima con il divino. Dice che quando le persone torneranno alla vera adorazione di Dio e abbandoneranno le loro vie corrotte, Dio adempirà la fine del contratto di matrimonio – e loro saranno recuperati, posseduti, riscattati dal loro padrone e protetti dalle Sue "sentinelle", un'altra metafora per i profeti. Chiamando il popolo “la corona (keter) di gloria” e “il diadema (atarah) reale”, sta usando il linguaggio del simbolismo mistico che fu successivamente adottato dai mistici ebrei del Medioevo, i cabalisti, per riferirsi allo splendore dei reami spirituali superiori – gli stadi dell'emanazione della potenza divina. Quando le persone entreranno nell'orbita dell'amore divino, saranno un mezzo per diffondere la luce e l'amore divini nella creazione.

Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma tu sarai chiamata Hephzibah
e la tua terra, Beulah,[25]
perché il Signore si compiacerà di te
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposerà il tuo architetto;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
Sulle tue mura, Gerusalemme,
ho posto sentinelle;
per tutto il giorno e tutta la notte
non taceranno mai.
Voi, che rammentate le promesse al Signore,
non prendetevi mai riposo.
Isaia 62:3-6

Trito-Isaia mette esplicitamente in discussione la necessità di templi e altari, perché Dio non può limitarsi a questi luoghi. Scritto probabilmente all'epoca in cui il Secondo Tempio venne ricostruito nel 515 AEV, il profeta si confronta con il popolo: quale tipo di casa può contenere il Signore? È ovunque! "Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi" (66:1), dice in nome di Dio, e Io li ho creati entrambi! Come puoi adorarmi al meglio? Chi è più accettabile per me? L'uomo "umile e che ha lo spirito contrito e teme la mia parola (66:2). L'umiltà è la qualità divina della persona che trema, che si lascia commuovere dalla parola del Signore, dal suo spirito santo. I sacrifici e le offerte comunemente portati nei templi e negli altari sono un anatema per Dio. Sono simili al culto degli idoli. Sembra che non condoni affatto l'uccisione di animali. Parlò con forza: “Uno sacrifica un bue e poi uccide un uomo, uno immola una pecora e poi strozza un cane, uno presenta un'offerta e come se offrisse sangue di porco, uno brucia incenso e poi venera l'iniquità. Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini" (66:3).

Qui denuncia categoricamente i sacrifici e i riti del Tempio istituiti nei documenti sacerdotali della Bibbia, e privilegia l'uomo che “trema” o obbedisce alla parola, allo Spirito Santo.

Allora come si può adorare Dio? Li sfida: vedi dunque se i tuoi idoli possono aiutarti! Possono essere distrutti dal minimo vento. Ma chiunque confida in Dio “erediterà la mia montagna sacra”, forse un riferimento a una montagna fisica ma probabilmente alle regioni spirituali interiori, gli stati più elevati di coscienza. Si proclama Colui che è eterno – che non è dominato dal tempo, la cui parola è santa – tutto spirito, al di là del livello della materia e della mente. Venite, preparate la via, dice: Venite con me. Abito nel luogo alto e santo. Ma abito anche nel cuore e nello spirito degli umili e contriti, ai quali dono la vita spirituale. Le persone umili possono essere inferiori in senso mondano, ma hanno raggiunto grandi altezze spiritualmente, amate e guidate dal Signore.

Quando tu griderai, venga a salvarti la moltitudine dei tuoi idoli!
Il vento li porterà via tutti, un soffio li toglierà di mezzo;
ma chi si rifugia in me possederà la terra,
erediterà il mio monte santo
Si dirà: Spianate, spianate, preparate la via,
rimuovete gli ostacoli sulla via del mio popolo.
Poiché così parla l'Alto e l'Eccelso,
che ha una sede eterna e il cui nome è Santo:
In un luogo eccelso e santo io dimoro,
ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati,
per ravvivare lo spirito degli umili
e rianimare il cuore degli oppressi.
Isaia 57:13-15

Il concetto del messia[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Zaccaria (profeta minore), Libro di Zaccaria e Messia nell'ebraismo.

Sebbene il Tempio fosse stato ricostruito alla fine del VI secolo AEV, l'instabilità persisteva nella terra della Giudea, che ora era abitata da esuli ritornati e da discendenti della popolazione originaria rimasta nel paese. C'erano anche convertiti di altre tribù vicine che si erano sposati con i Giudei rimasti. Apparvero diversi profeti, come il Trito-Isaia, che continuarono con la missione profetica ma che enfatizzarono sempre più l'alba di una futura “età dell’oro” – un periodo in cui la volontà di Dio sarebbe stata stabilita sulla terra, quando la moralità sarebbe stata sostenuta da tutti e un ideale il Re-Redentore avrebbe regnato da Gerusalemme, la città santa di Dio.[26] Il focus era cambiato dal presente, pieno di sofferenza e sottomissione, a un futuro brillante. Gli ebrei dispersi nella diaspora avrebbero ascoltato la chiamata di Dio e si sarebbero riuniti per tornare in Terra Santa. In queste profezie c'erano anche predizioni di grandi battaglie e di tremende violenze che avrebbero portato all'apocalisse, che avrebbe preceduto l'ideale “giorno del Signore”. Le immagini escatologiche e apocalittiche furono ampliate da redattori di periodi successivi, che aggiunsero i loro commentari e interpolazioni ai testi.[27]

Con la grande sofferenza degli israeliti, la loro conquista ed esilio – prima dal regno del nord e poi dal regno del sud – è logico che sviluppassero un desiderio di liberazione a livello materiale e temporale. Come abbiamo visto in precedenza, quando i profeti usarono gli eventi esterni come simboli drammatici per i loro insegnamenti, i redattori successivi spesso li interpretarono alla lettera. Presero eventi accaduti dopo la vita dei profeti, come battaglie e terremoti, e li presentarono come predizioni di punizioni future per il comportamento delle persone.

Nella letteratura di questo periodo, il futuro redentore che porta la profezia, che salva l'umanità, è chiamato messia. Letteralmente il termine “messia” (ebraico mašīaḥ מָשִׁיחַ – pronunciato mashiach, mashiah o moshiah, moshiach nella dizione ashkenazita) significa “unto”; ed è stato attraverso la loro unzione da parte di Dio con la ruah ha-kodesh che i profeti furono scelti da Dio per insegnare, guidare e salvare il popolo. E infine, durante il periodo del Secondo Tempio, altre due figure furono associate al ruolo del messia, oltre al profeta: il re e il sommo sacerdote, entrambi i quali furono letteralmente unti con olio al momento della loro selezione.

Il concetto del messia regale ebbe origine quando il profeta Samuele unse Saul, e poi Davide, come re d'Israele. Come abbiamo visto nella nostra discussione su Saul, il popolo aveva chiesto a gran voce un re, ma Dio era riluttante a stabilire una monarchia, dicendo: vi ho dato i profeti per guidarvi. Ma il popolo insistette e Dio acconsentì alla loro richiesta. Pertanto il re unto condivideva il potere spirituale del profeta e ci si aspettava che fungesse da leader sia spirituale che temporale. Tuttavia, quando il regno si divise e alla fine fu distrutto, la monarchia davidica divenne un simbolo dell’autoidentificazione degli israeliti come popolo scelto da Dio, un popolo indipendente dalla dominazione straniera e libero di adorare il proprio Dio. Quindi l'aspirazione a un messia regale, incarnato dalla stirpe di Davide, divenne il fulcro anche della loro speranza spirituale. Il messia regale era anche associato alla tribù di Giuda da cui proveniva Davide.

Il concetto del sommo sacerdote come messia ha origine nella Bibbia, con la storia della scelta di Aronne quale primo sommo sacerdote, la cui stirpe continuò per millenni. La narrazione racconta che Mosè si sentiva inadeguato alla sua missione; esitò a predicare agli israeliti e a condurli fuori dall'Egitto, così Dio “con riluttanza” scelse Aronne per assisterlo. Secondo il racconto biblico, parte del ruolo profetico di Mosè fu trasferito ad Aronne. Il messia sacerdotale è associato alla tribù di Levi, da cui provenivano Mosè e Aronne.

Il sacerdozio dell'antichità, finché esisteva il Tempio, era responsabile di condurre i rituali e i sacrifici templari che avrebbero propiziato Dio e portato espiazione per il popolo. Il sacerdote permetteva anche ai pellegrini che si recavano al Tempio di Gerusalemme di contemplare il Santo dei Santi, in particolare il “trono” di Dio creato dalle ali spiegate dei cherubini, dove si credeva che la presenza di Dio si posasse quando entrava nel mondo fisico. Era anche nel Santo dei Santi che i sacerdoti ripetevano il “nome” ineffabile o impronunciabile di Dio nel terribile Giorno dell'Espiazione (Yom Kippur), il giorno più sacro del calendario ebraico, e sono loro che potrebbero aver convertito il nome YHWH in un Nome di Dio di 48 o 72 lettere combinate in sillabe impronunciabili e prive di significato come un modo per trascendere il linguaggio. Concentrandosi su questi nomi, i sacerdoti avrebbero tentato di elevare la loro coscienza ai reami superni. Così i sacerdoti, attraverso l’esecuzione di questo rituale, portavano una dimensione mistica nella vita delle persone.

Avere un messia sacerdotale presuppone l'esistenza di un Tempio dove un sommo sacerdote potesse officiare. E ciò presuppone l'indipendenza politica e religiosa che al popolo era stata negata durante l'esilio. Alla fine del VI secolo AEV, il re persiano permise ai Giudei in esilio di tornare a Gerusalemme e li incoraggiò a ricostruire il loro Tempio come luogo di culto centrale. Anche il profeta Zaccaria ritornò a Gerusalemme con gli esuli. Racconta di una visione, ricevuta da un angelo durante il sonno, che stabilisce sia il messia regale che quello sacerdotale come divinamente mandati, sostenendo il profeta-messia da entrambi i lati. La visione è importante per comprendere lo sviluppo del concetto di messia sia nell'ebraismo che nel cristianesimo:

L'angelo che mi parlava venne a destarmi,
come si desta uno dal sonno, e mi disse:
"Che cosa vedi?". Risposi: "Vedo un candelabro menorah tutto d'oro;
in cima ha un recipiente con sette lucerne
e sette beccucci per le lucerne. Due olivi gli stanno vicino,
uno a destra e uno a sinistra".
Allora domandai all'angelo che mi parlava:
"Che cosa significano, signor mio, queste cose?".
Egli mi rispose: "Non comprendi dunque il loro significato?".
E io: "No, signor mio".
Egli mi rispose: "Questa è la parola del Signore a Zorobabele:
Non con la potenza né con la forza, ma con il mio spirito,
dice il Signore degli eserciti! Chi sei tu, o grande monte?
Davanti a Zorobabele diventa pianura! Egli estrarrà la pietra,
quella del vertice, fra le acclamazioni: Quanto è bella!".
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
"Le mani di Zorobabele hanno fondato questa casa:
le sue mani la compiranno e voi saprete che
il Signore degli eserciti mi ha inviato a voi.
Chi oserà disprezzare il giorno di così modesti inizi?
Si gioirà vedendo il filo a piombo in mano a Zorobabele.
Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore
che scrutano tutta la terra".
Quindi gli domandai:
"Che significano quei due olivi a destra
e a sinistra del candelabro? E quelle due ciocche d'olivo
che stillano oro dentro i due canaletti d'oro?".
Mi rispose: "Non comprendi dunque il significato di queste cose?".
E io: "No, signor mio". "Questi, soggiunse, sono i due consacrati
che assistono il dominatore di tutta la terra".
Zaccaria 4:1-14

La menorah, il candelabro con le sue sette lampade a olio, rappresenta il Signore o il messia profetico, che è la fonte dell'illuminazione o luce spirituale. L'insegnante mistico viene spesso definito l'illuminatore nel misticismo ebraico, colui che dà la luce, quindi questo simbolo è molto appropriato. (Rabbi Simeon bar Yohai, il leggendario autore dello Zohar, veniva chiamato dai suoi discepoli “la lampada sacra”.) Le sette lampade rappresentano i sette reami o cieli della coscienza spirituale a cui alludevano i mistici ebrei. Rappresentano anche le varie qualità di Dio, o le gradazioni della sua potenza, che erano simboleggiate dalle sette sefirot (emanazioni) inferiori nei successivi insegnamenti mistici della Cabala. In questo brano, Zaccaria ricorda al sacerdote che è questa potenza – lo spirito santo di Dio – che sostiene ogni cosa nel mondo fisico. Zaccaria chiede ancora a Dio il significato dei due ulivi:

"Che significano quei due ulivi a destra
e a sinistra del candelabro? E quelle due ciocche d'ulivo
che stillano oro dentro i due canaletti d'oro?".
Mi rispose: "Non comprendi dunque il significato di queste cose?".
E io: "No, signor mio". "Questi, soggiunse, sono i due consacrati
che assistono il dominatore di tutta la terra".
Zaccaria 4:1-14

I due ulivi sono la fonte dell'olio divino o nutrimento spirituale che scorre nella menorah; misticamente, questa è una bella illustrazione di come il potere divino o essenza fluisce attraverso il reame della dualità nell'anima realizzata o illuminata, simboleggiata dalla menorah, la lampada. L'immagine sembra indicare la trascendenza della dualità tramite la conoscenza divina, l'unità che è Dio. A livello letterale, Zaccaria dice che gli alberi rappresentano il messia regale e il messia sacerdotale (i due unti), entrambi i quali governerebbero dal Tempio, uno come leader mondano e l'altro come sacerdote, creando pace e armonia attraverso il loro governo congiunto e il sostegno alla missione del profeta.

Sembrerebbe, se il senso letterale di questa profezia è autentico, che Zaccaria sostenga la ricostruzione del Tempio come fulcro della devozione e del culto del popolo, e abbia intrecciato i tre concetti del messia (profetico, sacerdotale, e regale) nella sua visione. Vedremo che più tardi, negli scritti della setta di Qumran del I secolo AEV, tutti e tre i concetti del messia si fondono in uno solo.

In un altro passaggio, Zaccaria usa il termine tsemakh (pianta, crescita, ramo) per il servitore di Dio. Non è chiaro se si riferisca al messia profetico o reale — forse a entrambi. Ciò implica che il profeta è un ramo o un'estensione organica di Dio. Se Dio è l'albero, da esso cresce il ramo. Anche Isaia e Geremia avevano chiamato il futuro re il ramo e la verga.[28] Altrove, Zaccaria ritorna all'immagine del vero pastore per il maestro, e chiama falsi pastori coloro che sviano il popolo, dei quali Dio è scontento. Hanno dato “un conforto vuoto” e il popolo si è smarrito, “perché non c'è (vero) pastore” (10:2). Nel futuro, quando Dio vorrà ricondurli a sé, li chiamerà come un pastore chiama il suo gregge: " Con un fischio li chiamerò a raccolta quando li avrò riscattati e saranno numerosi come prima" (10:8). "Li renderò forti nel Signore e del Suo nome si glorieranno. Parola del Signore" (10:12). Seguiranno gli insegnamenti di Dio, il Suo sentiero e vivranno secondo il nome o comando divino.

Zaccaria contrappone anche la gloria del vero re spirituale alla sua intrinseca umiltà, raffigurandolo mentre entra in città su un asino, un animale umile, nonostante sia vittorioso e potente. È questa immagine che divenne il modello associato a tutte le figure messianiche del futuro, da Gesù ad altre figure messianiche ebraiche nei secoli successivi.

Esulta grandemente figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo Re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d'asina.
Zaccaria 9:9

Dopo la distruzione del Secondo Tempio e la conquista della Giudea da parte di Roma, non vi era più alcuna possibilità che fosse in essere un messia reale o sacerdotale. Così tutti e tre i ruoli del messia si fusero inestricabilmente, poiché le persone dovettero unire le loro aspirazioni nella speranza di un maestro spirituale o messia che le redimesse e le salvasse a tutti i livelli contemporaneamente. Da questo momento in poi l'aspirazione a un messia entrerà a far parte di quasi tutti gli insegnamenti spirituali e mistici ebraici.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Serie misticismo ebraico, Serie delle interpretazioni e Serie maimonidea.
  1. Dopo l’epoca del re Salomone, il regno ebraico fu diviso in due: il regno settentrionale di Israele, che comprendeva dieci delle dodici tribù israelite, e il regno meridionale di Giuda, composto da due tribù, e la sua capitale a Gerusalemme .
  2. Questa metafora fu ampliata e utilizzata allegoricamente nella letteratura spirituale dell'ebraismo delle generazioni successive, da Isaia al Cantico dei Cantici dei tempi biblici successivi, alla letteratura della Cabala, in particolare agli insegnamenti di Isaac Luria nel XVI secolo, che inoltre metteva in atto con i suoi discepoli una cerimonia settimanale di matrimonio tra il Signore creatore e la Sua sposa, la Shekhinah (la presenza divina immanente), per accogliere l'inizio dello Shabbat.
  3. Cfr. Davidson, Divine Romance, pp. 34–62, per un’ampia discussione di un antico testo allegorico su questo argomento, “La Vergine, la prostituta e lo sposo”, trovato tra i tesori di Nag Hammadi.
  4. Efraim, una delle tribù del regno settentrionale, è usato come eufemismo per designare l'intero regno settentrionale.
  5. Giuda, la tribù principale del regno meridionale, è spesso usata per designare l'intero regno meridionale. È l'origine della parola Yehudi, che in italiano divenne giudeo.
  6. Letteralmente Libano significa “l’albero bianco”, probabilmente a significare il cedro bianco del Libano.
  7. “Wisdom literature” is a term used for a loose body of work in which Wisdom is personified as a feminine entity. This literature is found in Egypt, Mesopotamia, Canaan, and ancient Israel. The canonized books of Job, Proverbs and Ecclesiastes are generally included in the Israelite Wisdom literature, as well as some of the Psalms, and also in some non-canonized works like the Wisdom of Jesus ben Sirach (Ecclesiasticus). There are similarities and probably influences of these literatures upon each other. The nature of Wisdom varies in use – and can be interpreted on many levels – both as an esoteric essence, and as common sense and a developed intellect. It is probable that this literature was a refined literary form in which many of the ancient prophets, from the time Isaiah and Hosea, conveyed their teachings. Scholars still debate its origins, who its authors were, and its intended audience — (Cfr. Crenshaw’s “The Wisdom Literature” in Knight e Tucker, curr., The Hebrew Bible and Its Modern Interpreters, pp. 369–407).
  8. Nel Giardino dell'Eden, l'albero della vita era oltre la dualità dell'albero del bene e del male. Simboleggiava la fonte della saggezza superiore, lo stato di spiritualità oltre il mondo della mente e della dualità.
  9. Il termine ebraico yir’at ha-shem significa "timore del Signore" nel senso di timore reverenziale, meraviglia.
  10. cfr. anche Davidson, Treasury of Mystic Terms, Parte 1, vol. 3, pp. 341–345.
  11. Kaplan, Meditation and the Bible, Introduction, n.p.
  12. (EN) 《"The Isaiah scroll, one of the longer units in the Hebrew Bible, comprises prophetic material collected over a period of about half a millennium. While the nucleus of this collection goes back, directly or indirectly, to Isaiah ben-Amoz, to whom the entire book is attributed (1:1), at least two thirds of the text derives from anonymous disciples, seers, scholiasts, and interpreters of either the First or Second Temple period” (Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 107). As early as the eighteenth century it was realized that chapters 1–39 were written in the eighth century bce, at least 150 years before chapters 40–66, and constitute a separate collection. Further analysis revealed that chapters 40–55 were written during the exilic period (early and mid-sixth century bce) and chapters 56–66 were post-exilic (late sixth century bce). Of course, even these divisions are rough, as there were also interpolations into the earlier sections by writers from later periods. For example, in chapters 24–27 there are well-known passages promoting Jerusalem as the spiritual center of the world, a reflection of the aspirations of an exiled community for the reestablishment of its temple and religious center. (Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 209.) The well-known Chapter 11, predicting the advent of a future prophet-king-messiah who brings peace and harmony, may also have been an interpolation from the period of exile. (Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, pp. 117–118)."》
  13. Fontana di acque vive: una metafora mistica comune per lo spirito santo o la potenza divina come parte della complessa allegoria del giardino, dell'albero della vita e dell'acqua che lo nutre. Queste dunque sono le acque che danno la vita, e il Signore è la sorgente, la fonte delle acque vive.
  14. Il termine ebraico qui usato è nogah, che significa splendore o un'aura di luce.
  15. Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 195.
  16. Il termine merkavah (carro) ha diversi significati, che aggiungono una dimensione mistica e spirituale alla nostra comprensione. La radice di merkavah è rkv, che significa “cavalcare”. Tuttavia, rkv significa anche assemblare o combinare, il che suggerisce le tecniche di combinazione di parole e nomi per effettuare l'ascesa ai reami interiori. La merkavah trasmette così il senso del viaggio interiore attraverso una pratica meditativa basata sulla concentrazione e sulla ricombinazione di lettere e parole.
  17. Elior, The Three Temples, p. 31ss.
  18. Sembra che il rituale sacerdotale nel Sancta Sanctorum del Tempio contenesse un elemento mistico, anche se non disponiamo di molti dettagli. È noto che, oltre agli animali e ai cereali che le persone portavano in sacrificio quando venivano a Gerusalemme in pellegrinaggio, si potevano intravedere nel Santo dei Santi i cherubini d'oro, sulle cui ali si credeva si sarebbe posata la presenza di Dio; erano il Suo trono divino. Potrebbe anche esserci stata una sorta di pratica di contemplazione o meditazione associata alla visione dei cherubini. Solo nel Giorno dell’Espiazione il sommo sacerdote pronunciava ad alta voce il nome di Dio “esplicito” o ineffabile, “impronunciabile”, cosa che in altri tempi era vietata. Alcuni studiosi hanno anche ipotizzato che il sacerdote potesse aver utilizzato i “nomi” di Dio in maniera esoterica o magica. Si pensava che la vocalizzazione dei suoi suoni risuonasse con l'essenza divina stessa. Attraverso la visione di Ezechiele, il Santo dei Santi e il rituale ad esso associato furono elevati dal reame fisico a quello “virtuale” e ricreati come fulcro della sua meditazione.
  19. Giacobbe, in quanto patriarca delle dodici tribù, è spesso usato come sinonimo degli Israeliti, in particolare del regno settentrionale di Israele.
  20. Versione dei Rotoli del Mar Morto.
  21. (EN) The discovery of a very early manuscript of the Isaiah scroll among the Dead Sea Scrolls has illuminated the meaning of this text. Before this discovery, the earliest copies of the Hebrew Bible were dated from the ninth century ce (the traditionally received or masoretic text), and this passage had always confounded scholars as it didn’t quite make sense. In the traditional reading, the passage says: "As many were astonished at thee; his visage was so marred more than any man". The text in the Dead Sea scroll of Isaiah reads “anointed” instead of “marred,” a change of only one letter in the Hebrew (from nishkhat to mishkhat).
  22. Questo versetto, nel parlare dell’“agnello condotto al macello”, è molto probabilmente un riferimento alla storia del sacrificio di Isacco da parte di Abramo nell'antico passato degli israeliti. Sebbene secondo la Bibbia canonizzata, Isacco fu liberato da Abramo all'ultimo minuto e non ucciso, secondo alcune antiche leggende e commentari biblici, e persino secondo un poema ebraico medievale, Isacco fu in effetti sacrificato, non una ma due volte, rappresentando simbolicamente tutti martiri che fungono da capri espiatori.
  23. Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 218.
  24. Tsedakah è comunemente tradotto come rettitudine, ma significa anche virtù, carità, pietà. È legato alla parola tsadik.
  25. Hephzibah: letteralmente, "Io la desidero". Beulah: letteralmente, "posseduta", "con un marito".
  26. L'anticipazione della “fine dei giorni” e le profezie riguardanti quel tempo si chiamano escatologia.
  27. In merito a Joel e Zaccaria ciò è particolarmente vero, come gli studiosi hanno dimostrato. (Blenkinsopp, History of Prophecy in Israel, p. 259).
  28. Cfr. Isaia 11:1.
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