I promessi sposi/Analisi del capitolo 15

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Indice del libro

Il quindicesimo capitolo si apre con il culmine della sbornia di Renzo. L'oste, non senza tentare un'ultima volta di chiedere al giovane le sue generalità per poterlo denunciare, lo accompagna a letto facendosi prima pagare. Nel dialogo tra i due dall'osteria alla stanza da letto compaiono più volte i termini furbo e galantuomo che rimandano alla difficoltà per ciascuno di codificare le intenzioni dell'altro (l'oste ha solo visto Renzo arrivare in osteria con il birro, non sa se sia realmente colpevole ma deve denunciarlo; allo stesso modo Renzo prova diffidenza per l'oste).

Mentre si dirige verso il palazzo di giustizia Manzoni riporta i suoi pensieri dai quali emerge il modo di vivere dell'oste, simile a quello di don Abbondio: cercare di evitare i problemi e gli impicci e, nelle situazioni difficili, agire senza prendere posizione; maledice Renzo per essere capitato nella sua osteria e confessa tra sé che, se non fosse venuto in compagnia del birro, nemmeno lo avrebbe denunciato:

« Una giornata come questa, a forza di politica, a forza d'aver giudizio, io n'uscivo netto; e dovevi venir tu sulla fine, a guastarmi l'uova nel paniere. Manca osterie in Milano, che tu dovessi proprio capitare alla mia? Fossi almeno capitato solo; che avrei chiuso un occhio, per questa sera; e domattina t'avrei fatto intender la ragione. Ma no signore; in compagnia ci vieni; e in compagnia d'un bargello, per far meglio! »
(capitolo 15)

Il Manzoni descrive successivamente i provvedimenti presi dall'autorità legale per fare fronte al tumulto; si capisce così che Renzo era un capo espiatorio come "ammonimento" per tutti:

« Ma per dar, come si dice, un colpo al cerchio e uno alla botte, e render più efficaci i consigli con un po' di spavento, si pensò anche a trovar la maniera di metter le mani addosso a qualche sedizioso [...]: e quel sedicente Ambrogio Fusella era, come ha detto l'oste, un bargello travestito, mandato in giro appunto per cogliere sul fatto qualcheduno da potersi riconoscere, e tenerlo in petto, e appostarlo, e acchiapparlo poi, a notte affatto quieta, o il giorno dopo »
(capitolo 15)

Veniamo così a conoscenza dei reali fatti; il lettore capisce anche che la scelta di Renzo di entrare nell'osteria della Luna Piena è stata veramente provvidenziale perché ha evitato al giovane l'arresto diretto.

Il notaio criminale durante il suo discorso con l'oste ingigantisce i deboli capi d'accusa verso Renzo: il pane diventa una quantità di pane rubato, il discorso di Renzo alla folla parole ingiuriose contro le gride. L'oste è invece intento a difendersi declinando ogni colpa e cercando di non assumersi responsabilità.

La mattina dopo Renzo viene svegliato da due birri comandati dal notaio criminale che si è recato all'osteria per arrestare il giovane. Egli tuttavia ha un certo timore, in quanto ha dei presagi di rivolta:

« Già nel venire, aveva visto per le strade un certo movimento, da non potersi ben definire se fossero rimasugli d'una sollevazione non del tutto sedata, o princìpi d'una nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a brigate, un far crocchi. E ora, senza farne sembiante, o cercando almeno di non farlo, stava in orecchi, e gli pareva che il ronzìo andasse crescendo. Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo d'amore e d'accordo; giacché, se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr'uno. Perciò dava d'occhio a' birri, che avessero pazienza, e non inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava di persuaderlo con buone parole »
(capitolo 15)

Per questo cerca di far passare l'arresto di Renzo come una semplice formalità, promettendo che in due parole sarete spicciato, e potrete andarvene per i fatti vostri. Il protagonista sta tuttavia diventando grande e impara a interpretare correttamente la realtà, accorgendosi di quanto accade attorno a lui in modo consapevole e senza farsi ingannare dall'ufficiale:

« Renzo s'accorgeva anche lui d'un ronzìo crescente nella strada. Guardando poi in viso il notaio, vi scorgeva in pelle in pelle la titubazione che costui si sforzava invano di tener nascosta »
(capitolo 15)

Renzo è astuto e preme affinché il notaio gli consegni i suoi soldi e la lettera, necessari per continuare a vivere se fosse scappato; sfrutta così la debolezza del notaio, impaurito dalla folla e dal tumulto.

A partire dalla narrazione[modifica]

Sabato 11 novembre 1628, notte e mattino seguente

La sera dell'oste
  • L'oste convince Renzo ad andare a letto e si fa saldare il conto per poi recarsi al palazzo di Giustizia.
  • Qui riferisce di aver ospitato un forestiere che si è rifiutato di dare le sue generalità. Il notaio criminale invece, intenzionato ad ingrossare i capi d'accusa, chiede che riferisca cose grosse come aveva indicato la falsa guida (il sedicente spadaio).
Il risveglio di Renzo
  • La mattina dopo Renzo è svegliato da due birri a seguito del magistrato che gli ordina di vestirsi e di seguirlo per condurlo in prigione.

Il notaio tenta di far credere a Renzo che il suo arresto si tratti di una semplice formalità quando invece lo vuole condurre in prigione. Renzo, che sta imparando a farsi furbo, non crede alle sue parole e pensa ad un modo per scappare.

  • In strada, al radunarsi di una folla di curiosi in seguito al suo arresto, Renzo si mette ad urlare di essere stato arrestato perché chiedeva pane e giustizia.
  • I birri e il magistrato, impauriti, lasciano fuggire Renzo e cercano di disperdersi tra la folla.

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