I promessi sposi/Analisi del capitolo 14

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Indice del libro

Il quattordicesimo capitolo si articola in due grandi sequenze.

La prima, ambientata tra le vie di Milano, è la diretta continuazione delle vicende del tumulto del quale Renzo è stato partecipe. Il Manzoni descrive la folla che si dirada, mantenendo sempre tuttavia il suo carattere anonimo (gente, crocchio, branco, ecc...).

Il discorso di Renzo mischia i fatti della giornata con le sue esperienze personali, generalizzando ed usando le une per giudicare le altre. Si illude infatti che, risolvendo un grave problema economico e sociale, egli possa risolvere anche i suoi problemi con don Rodrigo:

« [...] non è solamente nell'affare del pane che si fanno delle bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel che è giusto; [...]. Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne dev'essere la sua parte. - Pur troppo, - disse una voce. - Lo dicevo io, - riprese Renzo: - già le storie si raccontano anche da noi... »
(capitolo 14)

Renzo appare anche in questo capitolo ingenuo: dopo aver aiutato Ferrer, che reputa un uomo onesto e dalla parte del popolo (è un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'era contento di trovarsi con la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni che gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia), si fa ingannare dai suoi sorrisi e crede di essere diventato un personaggio importante:

« Stato un momento a sentire, non poté tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli che potesse senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanto. E persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel giorno, che ormai, per mandare a effetto una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade »
(capitolo 14)

Nel suo discorso infervorato Renzo viene però scambiato da un birro (un poliziotto) per uno dei fomentatori e capi della rivolta.

La seconda parte del capitolo è ambientata nella taverna: il birro, sotto il falso nome del sedicente Ambrogio Fusella, riesce a farsi dire il nome del giovane e si reca così a denunciarlo.
Tutti gli elementi della scena, a partire dal birro che si presenta sotto falso nome, hanno caratteristiche di doppiezza e ambiguità: la descrizione della taverna ricorda quella del palazzotto di don Rodrigo nell'uso di coppie o vocaboli accoppiati (due lumi, due pertiche, la mezza luce che sembra contraddire il nome stesso dell'osteria, due panche, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e raccolti). Anche la figura dell'oste è ambigua:

« [...] l'oste era a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui »
(capitolo 14)

Pensando l'intero percorso di Renzo a Milano come un percorso di formazione, la sua ubriacatura è il momento di maggior caduta. Egli tuttavia, tra le parole sconnesse, accusa i nobili e i prepotenti riconoscendo la cultura come strumento di potere:

« gran cosa, - esclamò, - che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna! [...] è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo »
(capitolo 14)

Nonostante sia convinto della buona fede di Ferrer, ha un attimo di esitazione:

« Eppure, anche Ferrer... qualche parolina in latino... siés baraòs trapolorum... Maledetto vizio! »
(capitolo 14)

Renzo intuisce una certa doppiezza del personaggio ma confonde lo spagnolo con il latino: dalla storpiatura delle parole che si ricorda con il poco latino che sa, vengono fuori tre parole senza senso.

A partire dalla narrazione[modifica]

Sabato 11 novembre 1628, sera

Il discorso di Renzo
  • Si sta facendo sera e la folla inizia a diradarsi. Si formano dei gruppi di persone qua e là che discutono di progetti per il giorno dopo.
  • Renzo, credendo di essere ormai partecipe delle vicende fino in fondo, si intromette e arringa la folla con un discorso sul tema della giustizia, riponendo la sua fiducia nel cancelliere Ferrer. Egli viene scambiato così per uno dei capi della rivolta.
Renzo all'osteria
  • Renzo si affida quindi ad uno sconosciuto per cercare un'osteria. Egli è in realtà un poliziotto che lo sta spiando.
  • Entrano "all'osteria della luna piena", dove continua i suoi sfoghi contro i tiranni e rifiuta di dire il suo nome. Il birro, tuttavia, riesce a far dire a Renzo le sue generalità per poterlo denunciare all'autorità giudiziaria, quindi se ne va.
  • Renzo, così, non abituato agli stravizi, si ubriaca e tra discorsi sempre più appassionati e imbrogliati diventa lo zimbello della brigata.

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