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Micro e nanotecnologia/Microtecnologia/Tecniche diagnostiche/Interazione con fasci di elettroni/SEM

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Indice del libro

La Microscopia Elettronica a Scansione

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primo SEM di Manfred von Ardenne

La Microscopia Elettronica a Scansione (Scanning Electron Microscopy, SEM) è una tecnica di imaging e analisi fondamentale nella micro- e nanotecnologia, utilizzata per osservare e caratterizzare materiali con risoluzioni che superano di gran lunga quelle ottenibili con la microscopia ottica. Il principio di funzionamento si basa sull’impiego di un fascio di elettroni focalizzato che scandisce la superficie del campione punto per punto. L’interazione tra gli elettroni incidenti e il materiale genera una varietà di segnali (elettroni secondari, elettroni retrodiffusi, raggi X caratteristici, fotoni), ciascuno dei quali può essere raccolto da specifici rivelatori per fornire informazioni complementari sulla morfologia, sulla composizione chimica e sulla struttura interna del campione.

Rispetto alla microscopia ottica, il SEM offre risoluzioni molto superiori, dell’ordine di pochi nanometri, grazie alla ridotta lunghezza d’onda degli elettroni. Inoltre ha una elevata profondità di campo, che consente di visualizzare superfici tridimensionali con grande nitidezza. Non si può trascurare inoltre la versatilità analitica, poiché oltre all’imaging topografico è possibile eseguire analisi elementali locali mediante spettroscopia a raggi X (EDS/EDX), o ottenere contrasto composizionale tramite rivelatori di elettroni retrodiffusi.

Schema di un SEM
Questa immagine al SEM di vari granelli di polline mostra la grande profondità di campo di un SEM.

Il SEM è oggi uno strumento indispensabile in numerosi ambiti: dalla caratterizzazione di nanostrutture e dispositivi microelettronici, allo studio di materiali avanzati (polimeri, ceramiche, metalli), fino alle applicazioni in biologia e scienze dei materiali, dove permette di osservare tessuti, cellule e biomateriali con dettagli altrimenti invisibili. La combinazione di alta risoluzione, analisi chimica locale e flessibilità operativa rende la microscopia elettronica a scansione una delle tecniche cardine nello sviluppo delle tecnologie micro- e nanoscopiche.

Storia della Microscopia Elettronica a Scansione (1930–1960)

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Lo sviluppo del SEM si colloca nel contesto più ampio della microscopia elettronica, nata negli anni ’30.

Anni ’30: i primi concetti

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Nel 1931, Ernst Ruska e Max Knoll realizzarono il primo prototipo di microscopio elettronico a trasmissione (TEM)[1], dimostrando che gli elettroni potevano essere usati per ottenere immagini con risoluzione superiore alla luce visibile. Già in questa fase si ipotizzava la possibilità di utilizzare un fascio elettronico per scandire la superficie di un campione, ma la tecnologia non era ancora matura.

Anni ’40: primi prototipi di SEM

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Nel 1942, Manfred von Ardenne descrisse per la prima volta il principio della microscopia elettronica a scansione, proponendo un sistema in cui un fascio focalizzato esplorava il campione riga per riga[2]. Questi prototipi erano rudimentali e limitati dalle sorgenti elettroniche e dai sistemi di rivelazione disponibili.

Anni ’50: perfezionamento tecnologico

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Con il miglioramento delle sorgenti elettroniche e dei rivelatori, diversi gruppi di ricerca iniziarono a costruire SEM più stabili. In Gran Bretagna, Charles Oatley e il suo gruppo all’Università di Cambridge svilupparono i primi SEM funzionanti, capaci di produrre immagini utilizzabili.

Anni ’60: diffusione industriale e commerciale

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Nel 1965 venne costruito il primo SEM commerciale da Cambridge Scientific Instrument Company, basato sul progetto di Oatley e dei suoi studenti[3]. Da questo momento il SEM iniziò a diffondersi nei laboratori di ricerca e nell’industria, diventando uno strumento fondamentale per la caratterizzazione dei materiali.

Principio di funzionamento

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Sorgente FEG per SEM

Un SEM utilizza come sorgente elettronica un emettitore, che può essere:

  • Filamento di tungsteno che è una sorgente termoionica, economica e robusta;
  • LaB6 che ha una maggiore brillanza e stabilità rispetto al tungsteno;
  • Sorgenti a emissione di campo (FEG), sia termioniche che a freddo. Hanno la massima brillanza e risoluzione, ma richiedono maggiore stabilità e vuoto spinto.

Gli elettroni emessi vengono accelerati tramite un’alta tensione (1–30 kV tipicamente), collimati da lenti magnetiche (condensatori, obiettivi) e fatti convergere in un punto molto piccolo sulla superficie del campione (spot elettronico). La scansione avviene tramite bobine deflettrici.

Volume di interazione di un SEM e vari tipi di segnali generati

Una volta che il fascio colpisce il materiale, esso penetra nel campione generando un volume di interazione tridimensionale, la cui dimensione e forma dipendono da vari parametri: l'energia degli elettroni, il numero atomico e la densità del materiale. Il volume ha la forma approssimativamente di una pera[4]: maggiore è la tensione acceleratrice, più grande è la profondità e la larghezza del volume, e quindi minore è la risoluzione potenziale dell’immagine topografica.

Le lenti magnetiche nei SEM sono dispositivi fondamentali che permettono di focalizzare e controllare il fascio di elettroni con estrema precisione, svolgendo il ruolo di condensatori e obiettivi. Le lenti magnetiche nei microscopi elettronici a scansione (SEM) sono costituite da bobine o solenoidi percorsi da corrente elettrica, che generano campi magnetici assiali. Questi campi agiscono sul fascio di elettroni proveniente dalla sorgente, deviandolo e concentrandolo lungo l’asse ottico. La lente condensatrice ha il compito di regolare il diametro e la convergenza del fascio elettronico prima che raggiunga l’obiettivo. In pratica, controlla la quantità di elettroni che incideranno sul campione e quindi la corrente della sonda, influenzando risoluzione e contrasto. La lente obiettivo, invece, è quella che focalizza direttamente il fascio sul campione. Regolando la sua intensità si determina la profondità di fuoco, che nei SEM è molto maggiore rispetto ai microscopi ottici, consentendo immagini nitide anche ad alti ingrandimenti. Dal punto di vista fisico, gli elettroni subiscono la forza di Lorentz quando attraversano il campo magnetico: ciò provoca una deflessione verso l’asse e una torsione delle traiettorie. Questo effetto comporta anche una rotazione dell’immagine rispetto alla sorgente, caratteristica tipica delle lenti magnetiche. Le lenti magnetiche sono sempre convergenti e vengono progettate con materiali ad alta permeabilità per concentrare il campo in una regione ristretta. La variazione della corrente nelle bobine permette di modificare la lunghezza focale e quindi la precisione della focalizzazione.

Gli elettroni focalizzati interagiscono con il campione da esaminare. Le interazioni anelastiche generano i cosiddetti elettroni secondari (SE) che forniscono informazioni topografiche ad alta risoluzione e la loro emissione dipende dall’inclinazione locale del campione rispetto al fascio incidente. L'interazioni elastica con i nuclei atomici genera gli elettroni retrodiffusi (BSE) che permettono di avere un buon contrasto se vi sono differenze significative di numero atomico quindi sono ideali per evidenziare differenze composizionali. Vi è da ggiungere che quando gli elettroni interni vengono eccitati essi decadono generando raggi X caratteristici che vengono usati per analisi elementale e mappature chimiche mediante spettroscopia EDX.

Gli elettroni secondari vengono rivelati mediante rivelatori Everhart–Thornley o nel caso dei FEG da detector SE in-lens[5]. Per quanto riguarda invece gli elettroni retrodiffusi (BSE) si usano dei rivelatori a diodi[6]. Nella spettroscopia dispersiva a raggi X (EDX) si tende a non usare più i rivelatori basati su silicio drogato al litio, che richiedevano temperature criogeniche, ma quelli a deriva di silicio (SDD). La scelta del rivelatore determina il tipo di informazione ottenuta e il contrasto dell'immagine.

Caratteristica Elettroni Secondari (SE) Elettroni Retrodiffusi (BSE)
Origine Interazioni anelastiche con elettroni atomici Collisioni elastiche con nuclei atomici
Energia tipica Bassa (< 50 eV) Alta (fino a energia del fascio incidente)
Profondità di emissione Pochi nanometri sotto la superficie Centinaia di nanometri – micrometri
Sensibilità alla topografia Molto alta: evidenziano rilievi e angoli Bassa: contrasto poco influenzato dalla forma
Sensibilità alla composizione Scarsa Elevata: dipende dal numero atomico (Z)
Contrasto nell’immagine SEM Topografico, dettagli fini e rugosità Composizionale, differenze di Z
Aspetto visivo Immagini brillanti con forte dettaglio superficiale Immagini con zone chiare/scure secondo Z
Utilizzo principale Studio della morfologia e della microstruttura Analisi composizionale e differenze di fase

Preparazione dei campioni

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camera di un SEM aperta con al centro il portacampioni

La preparazione del campione per SEM in micro- e nanotecnologia è cruciale per ottenere immagini affidabili. Occorre ridurre le dimensioni fisiche del campione, renderlo conduttivo (se non lo è), e stabilizzarlo meccanicamente. Tecniche come rivestimenti sottili (Au, Pt, C), fissaggio su supporti e, per campioni polimerici, essiccazione critica sono fondamentali. Passaggi chiave nella preparazione del campione SEM sono il dimensionamento fisico in quanto il campione deve entrare nella camera del SEM che è tipicamente di pochi cm, per questa ragione si tagliano o si sezionano i materiali massivi; mentre polveri e film sottili vengono fissati su supporti conduttivi. I campioni non conduttivi (polimeri, ossidi, ceramiche) accumulano carica sotto il fascio elettronico, per cui su di essi si applica un rivestimento conduttivo di 2–50 nm (Au, Pt, Pd, C, Cr, Al) tramite sputtering o evaporazione. La stabilità meccanica è un importante requisito per il campione viene fissato su uno stub metallico con adesivi conduttivi (nastro conduttivo, silver paste). Mentre le polveri vengono in genere disperse su un nastro conduttivo. La preparazione del campione SEM in micro- e nanotecnologia è un equilibrio tra conduttività, stabilità e preservazione della morfologia. Ogni tipologia di materiale richiede strategie dedicate: rivestimenti sottili per nanostrutture, criopreparazione per biologico, lucidatura per metalli. Solo così si ottengono immagini ad alta risoluzione senza artefatti.

  1. Ernst Ruska; The development of the electron microscope and of electron microscopy (Nobel Lecture); Angewandte Chemie International Edition in English 26 (1987) 595-605
  2. M. von Ardenne; Das Elektronen-Rastermikroskop. Praktische Ausführung (trad. Il microscopio elettronico a scansione. Applicazione pratica); Zeitschrift für technische Physik, (1942)
  3. C. W. Oatley; The scanning electron microscope; Cambridge Press,(1972)
  4. Questa è la forma tipica che assume il volume a causa della combinazione di scattering elastico e anelastico. Gli elettroni incidenti penetrano nel materiale e si disperdono lateralmente man mano che perdono energia, creando un volume più ampio sotto la superficie.
  5. I detector SE in-lens nei SEM a emissione di campo (FEG) sono rivelatori di elettroni secondari posizionati all’interno della lente obiettivo. Servono a raccogliere in modo selettivo gli elettroni secondari di tipo SE1,cioè generati molto vicino al punto di impatto del fascio, fornendo immagini ad altissima risoluzione della morfologia superficiale.
  6. Il rivelatore è costituito da una serie di diodi semiconduttori disposti ad anello attorno all’asse del fascio elettronico, subito sopra il campione. che evidenziano il contrasto composizionale. Ogni diodo raccoglie una porzione del segnale BSE. Combinando o selezionando i diodi si possono ottenere diversi tipi di contrasto.

BIBLIOGRAFIA

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  • Pushpa Viswanathan; Electron Microscopy; MJP Publisher; (2019).