Abulafia e i segreti della Torah/Parabola della Perla 8

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Indice del libro
"Giustizia e legge [appartengono] a Dio indubbiamente, poiché Gli sono attribuite da una grande affinità, per natura assoluta, secondo le direttive dell'esistenza."
Abramo Abulafia

LA PARABOLA DELLA PERLA E SUE INTERPRETAZIONI[modifica]

Natura e Scelta Divina[modifica]

Elohim in ebraico

Vorrei ora affrontare la questione del rapporto tra la natura e la scelta divina in termini più generali, oltre alla nostra precedente discussione sul fatto che la lingua ebraica sia naturale. Ci sono diversi casi negli scritti di Abulafia in cui è la natura, non la volontà divina, a essere concepita come determinante il corso degli eventi.[1] Infatti, in un passaggio fondamentale di Oṣar ʿEden Ganuz, che è una discussione parallela al paragrafo [d] di Or ha-Śekhel tradotto nell'Appendice A, il termine Beḥirah ("scelta") è concepito come un omonimo; cioè, è concepito come avente più di un significato. Propongo di confrontare questo brano, che tradurrò in questa Sezione, col testo di Or ha-Śekhel che sarà esaminato di seguito:

« Si può dire di ciascuna e singola cosa che Egli la scelse perché fosse ciò che è, e come questa scelta sia migliore di ogni altra e anche nelle cose particolari naturali, a fortiori in quelle universali. Si può dire che la natura abbia voluto che questo corpo fosse più sublime di un altro corpo, e più bello e più forte, anche nel caso di due individui della stessa specie. E si diceva anche che di due specie, una è naturalmente migliore dell'altra, e questa è chiamata col nome Beḥirah come nome equivoco.[2] »

Propongo di vedere qui una certa gradazione in cui il primo rappresenta l'approccio più tradizionale, mentre i due approcci successivi sono molto più vicini alle opinioni di Maimonide e Abulafia. Nel primo caso, Dio sceglie; nel secondo e nel terzo è la natura. Ciò che conta in questo contesto è il presupposto che ciò che è meglio è una questione di natura.

Sulla connessione tra natura e scelta, già affrontata in uno dei primi libri di Abulafia, egli afferma che "nella nostra lingua questa natura si chiama ‘scelta’, siccome si dice: sette firmamenti furono creati dal Santo, benedetto Egli sia nel Suo mondo, e tra tutti loro, Egli ha scelto di porre il Suo Trono di Gloria per il Suo regno in ʿAravot".[3]

Come abbiamo visto sopra, alla pari di Maimonide, nei suoi scritti Abulafia usa omonimi o termini equivoci, come le parole che ricorrono nelle Sacre Scritture, per nascondere un significato esoterico che è concepito come problematico per lettori ordinari della tradizione ebraica.[4]

Apprendiamo dell'esistenza di un "grande segreto" che è considerato correlato a Beḥirah da uno dei primi libri di Abulafia, Sefer ha-Melammed, dove menziona la "natura assoluta" (in ebraico, ṭevaʿ gamur), una frase piuttosto rara nel XIII secolo,[5] che è della massima importanza nel contesto della qualificazione del concetto di scelta divina:

« Giustizia e legge [appartengono] a Dio indubbiamente, poiché Gli sono attribuite da una grande affinità, per natura assoluta, secondo le direttive dell'esistenza. Tuttavia, riguardo al segreto della scelta, è stato detto che "Egli scelse il [firmamento di] ‘Aravot",[6] come puoi capire dalla benedizione della Torah, "Ci hai scelti da tutte le nazioni", e come fu detto[7] "e il Signore ti ha scelto", come anche[8] "ha scelto la loro progenie dopo di loro", e diciamo anche che[9] "Egli sceglie la Torah e Mosè Suo servo, e i profeti della verità e della giustizia". Dovresti capirlo molto bene, e da questo dovresti capire il segreto di "scegli dunque la vita" [Deuteronomio 30:19].[10] »

Questa aura di segretezza attorno al tema della scelta divina è estremamente importante per la comprensione dell'esoterismo di Abulafia: quello che era concepito come un argomento ovvio e indiscusso nella tradizione ebraica diventa qui un problema che deve essere compreso esotericamente. L'assunto che si dovrebbero leggere tutti i versetti e le benedizioni pertinenti come contenessero un segreto, è certamente indicativo di un'interpretazione che non si adatta ai concetti ordinari di scelta.

La direzione dell'interpretazione si trova nel succitato brano quando si fa riferimento all'espressione "natura assoluta"; il suo possibile contributo alla nostra comprensione di Abulafia può essere desunto dalla seguente affermazione trovata nel contesto della parabola della perla, dove Abulafia scrive: "E la natura determina anche che Dio sceglierà una cosa specifica da tutti i dettagli delle cose, come Egli ha scelto ʿAravot da tutte le sfere."[11] Il parallelismo tra le ultime due citazioni è abbastanza evidente e porta alla conclusione che è la natura a determinare le azioni divine. Questo è un segreto che Abulafia ha preferito mantenere, ricorrendo in alcuni casi alla visione più tradizionale dell'elezione, formulata nel quadro di ciò che definisce geneticamente la nazione.[12]

Secondo alcuni concetti espressi nella scrittura ebraica medievale da una frase che significa "secondo il recettore", il risultato dell'influsso divino dipende interamente dalla preparazione del ricevente. Ci sono altri casi negli scritti di Abulafia in cui la natura specifica di una certa entità determina il risultato del interazione tra l'immutabile azione divina e la natura del destinatario, come nel caso della natura dell'uomo che ha "determinato" che Dio consente il potere della parola.[13] In breve, mentre Maimonide vede nella sapienza divina la qualità che determina gli atti divini, Abulafia, seguendo la Grande Aquila nell'usare la stessa frase, presuppone che sia la struttura stessa dell'esistenza da intendersi come determinante degli atti ad essa correlati e attribuiti a Dio. Particolarmente interessante in questo contesto è un'affermazione in Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ: "L'essenza della fede israelita è che il Santo, benedetto Egli sia, creò ogni cosa e la trasse dal nulla, quando la conoscenza della Sua sapienza, che Egli sia benedetto, ha determinato la Sua volontà preeterna, permanente,[14] che non muterà in nessun caso né per alcuna forma di cambiamento, e non si moltiplicherà per nessuna molteplicità."[15] La volontà immutabile, pre-eterna e informata dalla sapienza divina, è proprio descritta quale creatrice del mondo ex nihilo, ma è ovvio che c'è una tensione, anzi una contraddizione, tra le varie parti di questo breve brano.

Desidero confrontare questo punto di vista con quanto scriveva Abulafia nello stesso anno nel suo Sitrei Torah, dove distingue la nomenclatura greca, basata com'è su termini "che indicano la pre-eternità delle azioni che si trovano all'interno della sapienza permanente, senza un'intenzione volitiva" da un lato, e la terminologia ebraica dall'altro. Quella greca è indubbiamente l'inverso di ciò che egli chiama "la nostra opinione" che è espressa da termini che trasmettono "innovazione delle opere create, per intenzione e volontà".[16] Sembra che ciò che il cabalista attribuisce ai greci qui è abbastanza simile a quella che nell'altro libro definisce l'essenza della fede ebraica. La contraddizione è, a mio avviso, evidente e direi che ciò a cui accenna in Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ, rappresenta la sua posizione segreta, che nega con veemenza nel Sitrei Torah In altre parole, non vedo qui un caso di fluidità concettuale – cioè di un cambiamento di mentalità come parte di un certo tipo di evoluzione intellettuale – ma piuttosto un caso di discorso esoterico che include due posizioni diametralmente opposte, e questa contraddizione tra le due posizioni espresse nei libri scritti nello stesso anno è premeditata, parte del suo stile esoterico.

Forse la distinzione tra i greci, che sono descritti in una posizione errata, e la posizione tradizionale di Abulafia, che è considerata corretta, ha qualcosa a che fare con il pubblico previsto del Sitrei Torah: quattro giovani che alla fine lo abbandonarono, come indica con irritazione. In ogni caso, la distinzione di cui sopra si inserisce in un discorso più ampio che riguarda l'affermazione rabbinica[17] che raccomanda di impedire ai giovani di studiare la logica.[18] Tuttavia, nonostante Abulafia assuma, in modo riservato, la parte del campo tradizionale in questo dibattito, criticando il punto di vista di Rabbi Samuel ibn Tibbon,[19] egli stesso studiò logica in gioventù e confessò di averlo fatto senza alcuna riserva alcuni anni dopo il Sitrei Torah, sia nei testi che ho discusso sopra sia in altri che citerò di seguito. La sua opinione è che i rabbini intendessero la loro interdizione solo per i giovani immaturi e non per quelli maturi, una visione che è in sintonia con quella di Rabbi Jacob Anatoli.[20]

Nello stesso libro, Abulafia dice espressamente, nel contesto dello studio della logica, che "la realtà mostra ai filosofi l'essenza delle cose in modo facile", sebbene la Cabala, basata sulla meditazione delle lettere, lo faccia "in modo ancora più semplice".[21] La menzione di questa facilità potrebbe avere qualcosa a che fare con il concetto di ḥads (una forma di intuizione), che è un concetto che si trova nella filosofia musulmana e in Maimonide.[22] Ciò significa che il suo approccio non invalida la filosofia, ma offre un percorso più facile alla comprensione, per mezzo di quello che considerava un tipo superiore di logica. Questo atteggiamento piuttosto positivo nei confronti delle scoperte dei filosofi è evidente altrove, dove li descrive come "i saggi delle nazioni che sono perfetti in quelle questioni" nel contesto dell'adesione all'Intelletto Agente,[23] forse anche un riferimento al pensiero di Avicenna o Averroè.

Subito dopo, Abulafia confessa di essere "d'accordo con loro in tutto", sempre in relazione alla comprensione dell'Intelletto.[24] Abulafia ha infatti una comprensione più complessa della Cabala, dal momento che interpreta quella che chiama "la prima Cabala" come un approccio basato sull'accettazione di contenuti attraverso tradizioni che non sono esaminate in modo dimostrativo – come la cosiddetta "tradizione veritiera" (hahaggadah ha-neʾemanah) in Rabbi Saʿadya Gaon[25] – e quindi è concepito come ricolmo di immaginazione, mentre la sua stessa Cabala, dopo che si è purificata dai contesti immaginari, è esaminata e intellettuale.[26]

Propongo di comprendere questo tipo di problema relativo alla natura della volontà divina come parte del maimonideismo radicale, in quanto presuppone un approccio vicino alla teoria medievale nota come potentia dei ordinata.[27] Tuttavia, sembra che l'approccio di Abulafia fosse più esplicito ed estremo rispetto alle opinioni degli altri maimonidei. Una tale interpretazione del termine Beḥirah come una natura che impedisce la scelta divina interrompe l'assunto diffuso nelle forme tradizionali dell'ebraismo che gli ebrei siano, etnicamente parlando, il popolo eletto scelto dalla libera volontà di Dio o che siano i presagi della cosiddetta "emanazione divina". Permette, tuttavia, l'ipotesi che possano essere superiori ad altre nazioni in forza di alcune qualità naturali come, nel nostro contesto, il rispetto della corretta pronuncia delle ventidue consonanti naturali, innate, come abbiamo visto sopra.

Questo è un punto cardine che dovrebbe essere preso in considerazione quando si descrive la caratteristica speciale del pensiero di Abulafia: il dialogo con i suoi specifici contesti filosofici, come descritto sopra, era fondamentale per il suo pensiero molto tempo dopo che si trasformasse in un cabalista; mantenne un approccio più universalistico nei suoi scritti, sebbene questa dimensione fosse parte integrante della sua narrativa esoterica. In un caso, nel suo ultimo libro conosciuto, afferma che un certo argomento può essere rivelato solo ai "saggi della Guida dei perplessi" perché può creare quella che lui chiama "una grande perplessità".[28] Ciò significa che egli si riferisce ad almeno alcuni dei suoi seguaci in questo modo; vale a dire, come destinatari qualificati dei segreti che vorrebbe impartire.

Per Abulafia, vorrei sottolineare, sono i concetti filosofici e il loro impatto sui temi tradizionali che costituiscono il contenuto del suo esoterismo, non quelli teosofici, poiché solo i primi sono in grado di spiegare i miglioramenti umani interni.[29] Abulafia, secondo me, usa ricorrentemente l'immaginario della "natura" per minare la libera scelta divina e di conseguenza per comprendere la superiorità degli ebrei solo quando la descrive in termini che considera naturali.

Va sottolineato che Abulafia ricorre al termine "natura" centinaia di volte nei suoi scritti, molto più di qualsiasi altro cabalista che io conosca, e forse più di tutti i cabalisti teosofico-teurgici del XIII secolo. Questa enfasi è evidente anche nel caso del più breve trattato Šaʿarei Ṣedeq di Rabbi Nathan ben Saʿadyah, in cui riconosce la fonte filosofica dell'importanza di ṭevaʿ e descrive, in un modo che ricorda Abulafia, la natura esterna come una parabola per la natura interiore.[30] Infatti, secondo la testimonianza dei Rabbi Nathan, egli chiese al suo maestro Abulafia:

« Perché hai scritto libri [basati] sulle vie della natura, insieme all'insegnamento dei nomi [divini]? Mi disse: per te e per quelli come te tra gli interessati alla filosofia, per attrarre il tuo intelletto umano attraverso la natura, forse questa attrazione sarà la ragione per portarli alla conoscenza del Nome.[31] »

Le spiegazioni filosofiche sono qui intese come interpretazioni naturali, in un modo che ricorda la critica del rabbino Joseph Ashkenazi, che abbiamo citato all'inizio di questo studio. Qui, tale modo di composizione è presentato come una strategia per persuadere la giovane élite che ha già familiarità con lo studio della Guida e delle scienze naturali, come già lo era lo stesso Rabbi Nathan, ad accedere al tipo di Cabala di Abulafia.[32]

D'altra parte, come abbiamo visto sopra in alcuni casi, Abulafia usa più volte la frase שינוי הטבע (šinnui ha-ṭevaʿ); questa frase si riferisce ad un cambiamento di natura, soprattutto attraverso l'attività dei profeti.[33] Per questo ci si può chiedere: qual è il significato di cancellare la scelta divina e forse anche la volontà divina di cambiare natura, mentre la natura, o almeno parti di esso, possono essere cambiate con nomi divini se usati da alcune persone? Almeno in un caso, Abulafia afferma che è il senso semplice che è inteso per la moltitudine di Israele, trattando come fa con i cambiamenti in parti della natura.[34]

Secondo un altro brano il cui significato è tutt'altro che trasparente, Abulafia offre una comprensione interiorizzata dei miracoli:

« E ciò che proviene dai miracoli, secondo ciò che è stato compreso da lettere e parole che sono interpretate dall'intelletto dopo un grande studio. E le questioni cabalistiche sono le meraviglie e i miracoli che sono scolpiti nel cuore di ogni cabalista, e quando si spostano da potentia ad actu, secondo le modalità suddette, per mezzo dei respiri che si conoscono dalla tradizione, le questioni vengono accettate volentieri e immediatamente per chi comprende secondo la potenza delle recitazioni, che equivale alla comprensione completa.[35] »

Abulafia ricorre al gioco di parole otot/otiyyot ("meraviglie"/"lettere") perché è per mezzo delle lettere (che sono essenzialmente suoni) che si compiono i miracoli (moftim, "cambiamenti di natura"). Abulafia descrive qui la tecnica mistica da lui inventata basata sulla recitazione delle lettere e sulla respirazione.[36] Seguendo le istruzioni che si trovano in questa tecnica, una persona è in grado, così sostiene, di cambiare la sua natura interiore, come apprendiamo anche da altri casi nei suoi scritti.[37] Presumibilmente, Abulafia qui parla dei cambiamenti di ciò che il suo allievo Rabbi Nathan ben Saʿadyah chiama "la natura interiore".[38] Le questioni possono rappresentare domande che una persona ha e riceve risposta come parte di una rivelazione relativa all'esecuzione della tecnica.

Baruch ben Neriah dal Promptuarii Iconum Insigniorum (1553)

Questo dilemma può anche essere spiegato in un modo un po' diverso: è solo l'uomo che ha libero arbitrio e che gli permette di occuparsi di questioni materiali considerate inferiori a quelle spirituali. In questo contesto, è importante evidenziare la quasi totale assenza negli scritti di Abulafia dell'affermazione di Maimonide che la figura biblica Baruch ben Neriah fosse stata impedita dal profetizzare dalla volontà divina.[39] La sua opinione è che "è impossibile che una cosa naturale cambi dall'aspetto della natura, e se qualcosa cambia molto raramente e in forza di un volere divino prodigioso, questo sarà per mezzo di un profeta per convalidare la sua profezia, [cambiando] una delle parti dell'esistenza naturale".[40] Di nuovo , questa è una formulazione abbastanza strana: il cambiamento di natura, che dovrebbe dipendere dalla volontà divina, è immediatamente qualificato come causato dal profeta a causa della sua necessità di convalidare la propria missione.

In un certo senso, sembra che Abulafia radicalizzasse l'approccio naturalistico più moderato alla religione proposto da Maimonide nelle sue concezioni essoteriche ricorrendo al termine "natura assoluta" in contrapposizione alla famosa affermazione di Nahmanide su Maimonide in un noto sermone: "Siamo stupiti da Maimonide , benedetta sia la sua memoria, perché diminuisce i miracoli ed esalta la natura, e dice che i miracoli persistono solo per un po'."[41] Questo è solo un altro esempio, se ce ne fosse bisogno, delle nette divergenze tra la Cabala di Abulafia e quella teosofica-teurgica rappresentata da Nahmanide e dai suoi seguaci a Barcellona. Può darsi che Abulafia stesse reagendo alla critica di Nahmanide a Maimonide nel suo famoso sermone. In ogni caso, in un'interessante discussione del rabbino Joseph Ashkenazi, cabalista che abbiamo menzionato sopra, c'è una critica al presupposto che le nature delle cose siano permanenti in modo tale che Dio non possa cambiarle.[42]

Va detto che oltre al naturalismo maimonideo, esiste anche un altro tipo di naturalismo che si può chiamare ermetico; ciò presuppone la possibilità di attingere dall'alto il traboccamento come parte dell'esperienza. A mio avviso, questa tendenza ermetica è nettamente diversa dal pensiero di Maimonide, poiché era una persona che combatteva una guerra feroce contro l'ermetismo magico (che chiamava sabianismo); si trova solo in alcuni libri di Abulafia,[43] che è un argomento da approfondire.[44] Questa propensione a provocare la discesa delle spiritualità superne si trova anche negli scritti di Rabbi Moses Narboni.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Il Nome di Dio nell'Ebraismo, Rivelazione e Cabala e Serie maimonidea.
  1. Cfr. Or ha-Śekhel, 40 e anche Or ha-Śekhel, 121: "la natura dell'intelletto divino determinò che un intelletto sarà emanato sull'anima del profeta, cioè la facoltà del parlare [cioè, l'intellettuale]." Cfr. anche Or ha-Śekhel, 45. Per una posizione simile, si veda l'opinione dell'autore anonimo di Sefer Toledot Adam, Ms. Oxford, Bodleian 836, foll. 165b, 167b, dove la gematria Elohim = Ṭevaʿ ricorre insieme all'assunto che la natura equivale alla volontà divina. Cfr. Idel, "Deus sive Natura", 97–98.
  2. Oṣar ʿEden Ganuz, 1:10, 185–186:
    וי כו ל דאםלו מר על כל דבורד בר מה םבוש בח רהילות ו באש רוא,ה אי ךחיברהזו הי אעומלה מז ו ואיפל ו עבינינםי הטביי ע םפהרטיים וכ לכןש בכלילי םבכרנו כל לו מר שהטב ע חבר שיהי ה ז הגוה ףו י ת ר נכבדמז ג הו ה ף אהח ירו ותר נא י הו ותרחז ק ו אי פל ו בשנ י יאש ייןמ אדח . וכ ןנאמ רשבנ י יםנ מי שז הובמחר מז ה טבב ענוק ראזה בש םחי ברה בםש מ ו שתף
  3. Mafteaḥ ha-Raʿayon, 43–44:
    בלשנוינו נק ראזה הטבע ב י חהר , כאמר ם בשעה [ רק יםעי] בר א קה"ב העו ב למו ומו כל ם לא בחר ליהו ת כסאכבוד למלכותו אל ארעבות
  4. Cfr. Abulafia, Ḥayyei ha-Nefeš, 11, dove considera i "segreti dell'equivocità dei nomi" come indizio per la Guida e per altri scritti non meglio identificati. Sugli omonimi nei maimonidei, cfr. Robinson, "We Drink Only from the Master’s Water", 40–47. Si veda anche l'importante discussione in Or ha-Śekhel, 29, dove la scelta della specie umana è legata all'esistenza dell'intelletto in tale specie.
  5. L'altra riccorrenza di questa frase si trova in Abulafia, Ḥayyei ha-Nefeš, 32, e nell'opera del suo studente, intitolataŠaʿarei Ṣedeq.
  6. Su questa scelta, si veda Appendice A. Cfr. Maimonide, Guida 1:70.
  7. Deuteronomio 14:2.
  8. Deuteronomio 4:37.
  9. Secondo la benedizione dopo la lettura della parte dei profeti.
  10. 175 Cur. Gross (Gerusalemme: 2002), 31:
    וצ דקומ שפ ט הם לאל בל א פסקכי הםמיוחסי םליא ו בקרבהגדול ה בטב ע ג מו רפליה נהגת המציאתו . ואמנ םודס הבחי רה וא מר ו שבח ר עברבו תביתנה ו במרכת ה ו תרה , "אש ר חבר בנ ו כמל העמםי ." כאמרו " וב ך חבריהוה " (דברםי י : דב ) ו ן כ " וי בח רזרבעו אחריו " ד(ברי ם :לז ד). וכ ןודע אנ ו ואמרםי " הבוח רתו ברה וב מש הבעד ו ו בנביאי האמתוה צדק ", והבן זה מא ד ומנמו תין ב סו ד " וב חר תחי בים " (דברי ם :ילט)
  11. Per il testo ebraico completo e relativa traduzione, si veda Appendice A. Sulla volontà divina e la scelta in Maimonide, cfr. Goodman, "Maimonidean Naturalism", 167–74.
  12. Cfr. Mafteaḥ ha-Sefirot 68–69. Vorrei sottolineare che Abulafia non lo accettò a livello esoterico, come non accettò la visione di Judah Ha-Levi o la visione musulmana della facoltà musulmana innata (fi-ṭrah). Per l'ipotesi della possibile influenza di Ha-Levi su Abulafia, si veda Wolfson, "Kenotic Overflow and Temporal Transcendence", 141, nota 21. Per il problema posto dal concetto biblico di nazione, vedere Steven Grosby, "The Biblical ‘Nation’ as a Problem for Philosophy", Hebraic Political Studies 1 (2005): 7–23. Cfr. anche Haim Hillel Ben-Sasson, "Jewish Reflections on Nationhood in the Twelfth Century" (He), Peraqim 2 (1969–74):145–218.
  13. Mafteaḥ ha-Sefirot, 3. Cfr. anche Imrei Šefer, 202: "Il saggio sceglie sempre il meglio".
  14. La frase reṣono ha-qadum ricorre già in un altro contesto nella traduzione della Guida 1:10, Pines, 1:36. Cfr. anche Goodman, "Maimonidean Naturalism", 175–87.
  15. Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ, 48:

    א י מתות האמונה הי שראלית הי א , שהשי " ת"ב ה רבא הכ ל ו הוציאו מין א לי ש , כ גשז רה ידיעת חכמתותי" שרבוצנ ו הקדום

    התמידי, אש ר לא יש נ תה ב ו שם פנים מ ו אפני הינ שוי, ול א י תרב השבו םיבורי‎

    Il termine raṣon qadum, "volontà pre-eterna" si trova anche nell'anonimo Sefer Or ha-Menorah, Ms. Jerusalem, NUL 1303, foll. 28b e 43a, che è della scuola abulafiana. Cfr. anche Oṣar ʿEden Ganuz, 1:2, 83.

  16. Sitrei Torah, 36:
    וה הבדל אש ריינבנו ל י בנ םאשנחנ ו קרנאו ם בש ו מת מורי םידחוש מעשי ם נבראי םכו בונ ה ו רוצ,ן וה ם רק ו אם בשמו תורמים קדמו ת עמ י שם נמ צ י אם בחכמ המי תדי תלבת יווכנה רוצנ ית. וד עת םפהך מדענתו בל א פס. ק
  17. TB, Berakhot, fol. 28b. I significati possibili di questa affermazione rabbinica e le sue interpretazioni medievali sono state dibattute da vari studiosi. Cfr. Mordekhai Breuer, "Keep Your Children from Higayon" (He), in Mikhtam le-David: Sefer Zikaron le-rav David Ochs, curr. Yitzhak D. Gilat e Eliezer Stern (Ramat-Gan: Bar-Ilan University Press, 1978):242–61, e Frank Talmage, "Keep Your Sons from Scripture: The Bible in Medieval Jewish Scholarship and Spirituality", in Understanding Scripture: Explorations of Jewish and Christian Traditions of Interpretation, curr. Clemens Thoma e Michael Wyschogrod (New York: Paulist Press, 1987):81–101.
  18. Idel, "On the History of the Interdiction", 15–20.
  19. Cfr. Sitrei Torah, 35–36.
  20. Si vedano Idel, "On the History of the Interdiction", 17–18, e Idel, "Sefer Yetzirah and Its Commentaries", 534–35.
  21. Cfr. Sitrei Torah, 160.
  22. Cfr. Amirah Eran, "The Diffusion of the Ḥads Theory of Avicenna from Maimonides to Rabbi Nahman of Bratzlav" (He), in Maimonides and Mysticism, 71–76, e Idel, "On the Meanings of the Term ‘Kabbalah,’" 58–59.
  23. Sefer Mafteaḥ ha-Šemot, 25–26.
  24. Sefer Mafteaḥ ha-Šemot, 26.
  25. Wolfson, "The Double Faith Theory in Saadia, Averroes and St. Thomas".
  26. 192 Cfr. Ḥayyei ha-Nefeš, 83; Commentario al Sefer Yeṣirah, 8–9; e, in particolare, la frase: ""la Cabala che è compresa dall'intelletto", che ricorre in "Ševaʿ Netivot ha-Torah", 9. Questa descrizione è come le altre due che sono meglio conosciute. La Cabala dei Nomi e la Kabbalah profetica non furono usate dai cabalisti che non appartenevano alla sua scuola nel XIII secolo.
  27. Cfr. Ravitzky, Maimonidean Essays, 157–80. Si veda anche Halbertal, Concealment and Revelation, 139.
  28. Cfr. Imrei Šefer, 8:
    כי אי ן ראו י גללות זה כי אם לחכמ י ורמ הנבהוכים כי הי אבומכהגדולה
  29. Di più su queste problematiche, si veda Idel, Primeval Evil: Totality, Perfection and Perfectibility, 363–70.
  30. Per esempio, si vedano alcune istanze in Le Porte della Giustizia: 469, 471, 473, 475, 477–78, 479, 480, and 481. Cfr. anche la gematria moaḥ va-lev = ṭevaʿ = 86 che ricorre negli scritti di Abulafia, come int. al., Mafteaḥ ha-Šemot, 33.
  31. Le Porte della Giustizia, 478:

    וכבו דך מנפי מה מחבר ספרי םדברכי הטבעים מ ו שתפי םהו ב רא ת השו מת, אמ ר לי בע ו בר ך והדו י מ' לך מן המתפלספי ם

    למשו ך כשל םאהנוש י בדרךטב עולא י התי ה ההמשכ הזאה תבסה להבאתם אל יעדי ת השם‎

    Questa caratterizzazione si adatta anche a ciò che Rabbi Solomon ibn Adret aveva da dire sugli scritti di Abulafia nel suo famoso responsum 1, nr. 548.

  32. Si veda la sua confessione sulle cose che studiò prima di incontrare un cabalista (Abulafia): Le Porte della Giustizia, 477.
  33. Cfr. Or ha-Śekhel, 27–28, 120; Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ, 195–96; come anche il testo anonimo rinvenuto in Ms. Moscow, Güzburg 737, fol. 83a. Si vedano anche Idel, Studies in Ecstatic Kabbalah, 63–71; Idel, "Incantations, Lists, and ‘Gates of Sermons’", 499–501; e Ravitzky, History and Faith, 154–204. In un interessante riferimento ad Abulafia, informato dal succitato brano tratto da Ḥayyei ha-ʿOlam ha-Baʾ, Rabbi Johanan Alemanno menziona la possibilità di far miracoli. Cfr. Ḥešeq Shlomo, Ms. Oxford, Bodleian 1535, fol. 147a. Alemanno ben conosceva questo libro di Abulafia. Cfr. il suo Collectanea, Ms. Oxford, Bodleian 2234, foll. 95a–96b, 148a–149a; gli piacevano molto anche gli scritti di Narboni. Narboni fu uno dei canali attraverso i quali alcune di quelle idee penetrarono nel Rinascimento italiano.
  34. Mafteaḥ ha-Šemot, 49.
  35. Mafteaḥ ha-Šemot, 86:
    והוא מה שב אעיני ב ן אהותו תפיל מה שיושכל מן ה ו א י תו תהו י תבות ה ו מבנו תשבכ ל עםוברלימדו . וה מ ו קבלי םםה הא[ו]ת [ו] ת ו ה ו מפתי ם הםצאל כל מ ו קב לקו חקי םוךת לב ו והם בצ את ם ן מ הכח אל הפעל לפ י דהר ךנזהכר תנבשימות המקו בלות עיניני ם תמקבלים ברצו ן ימד למשי ג על פי כ חהזהכרות ה ו מדיעות ההשג הוהלכ
  36. Cfr. Idel, The Mystical Experience, 13–52.
  37. Cfr. Abulafia, Geṭ ha-Šemot, 40: ועל בטע האדם היחצון והפנימי. Si veda anche Geṭ ha-Šemot, 1, e Oṣar ʿEden Ganuz, 3:10, 364.
  38. Le Porte della Giustizia, 463.
  39. Cfr. Imrei Šefer, 40, dove questa visione viene presentata come un "meraviglioso segreto":
    וא ם לאגנל ה ולז הסו ה דמהו פל א ידא ג כברוך בן נריה על בקשו הנבו אה כשלא י י שג נה כאומרו יג עת י באנ חתי ומנוח האל מצא י ת

    Questa affermazione, tuttavia, non implica che Dio abbia impedito a Baruch di profetizzare, ma il contrario. Cfr. Guide, 2:32, Pines, 2:362.

  40. Or ha-Śekhel, 27:

    והעיני ן הטבעי אי אפשרשי ש נ תה מצ ד הטעב , וא ם יש נ תהבו דברלעתי םחרוקתו , וע ל י די הפלא הרצוני האלהי יהי ה על י די

    נביא להצדיק נבואתו בחלק מחלק י המציאות הטבעי‎

    Cfr. anche Or ha-Śekhel, 27–28, e 66, dove non cita Neriah, ma parla della possibilità che la volontà divina possa impedire qualche forma di cognizione. Tuttavia, in Imrei Šefer, parla di un grande segreto legato alla possibilità di prevenzione. Cfr. 37:

    והאו מ י רם שי תכ ן ישהיה לו מונע מהשם האלהים שכ ךיהא ה י מדה . אב ל י ש להודס וא םליגנו הו הי ה קשה מא דעי בני כלחכם . וא ם לאגנלהו יחשו ב השומע של א ידנעו הו ול אגנל הנו.ל ואנו יו דעים שנו איו דעים אותו וכ ברנג להלנו. וא ם ןכנעשה לי שב שת י הדעות נג לה ו ברמ ז יוהיה נג לה למבינו ונ על ז םומל ו ת
  41. Si veda il suo sermone "The Torah of God is Perfect", in Kitvei ha-Ramban, vol. 1, cur. Chaim D. Chavel (Gerusalemme, Mosad ha-Rav Kuk, 1963), 154:
    עלכן נת מהמן הרמ"ב ם"ז להו ש אגרמ ענהסים ומגביר הטב , ע ואומר שיןא הנ יסם עו מ י דם אל אפיל שעה

    Per una visione abbastanza simile, cfr. Kitvei ha-Ramban, 1:158, dove si riferisce a "Rabbi Abraham" probabilmente ibn Ezra:

    אולי שמ ע עדת אפלון ט ש ו הא סו בר שהעו לם בוי ה תו מ ו חד שלאא שהטב ע דקון מ שקשהעילו דב ר אה י פסה

    Cfr. anche Idel, "Abulafia’s Secrets of the Guide", 313. Si veda anche l'espressione di Nahmanide nella sua discussione su Genesi 2:17 nel suo Commentario al Pentateuco: אנשי הטבע ("il popolo della natura"), che si riferisce a una qualche forma di visione naturalista. Per la complessa teoria dei miracoli di Nahmanide, si veda l'analisi di Moshe Halbertal, By Way of Truth: Nahmanides and the Creation of a Tradition (He) (Gerusalemme: Shalom Hartman Institute, 2006), 149–80, specialmente 178–79. Per la teosofia volontaristica di Nahmanide, cfr. Moshe Idel, "On the Concept of Ṣimṣum in Kabbalah and Its Research" (He), in Lurianic Kabbalah, curr. Rachel Elior e Yehuda Liebes (Gerusalemme: Hebrew University, 1992):61–62; Pedaya, Nahmanides: Cyclical Time and Holy Text, 274–93; e di nuovo, nel Commentario al Pentateuco di Nahmanide, in merito a Genesi 2:17.

  42. Commentario a Genesi Rabbah, 102.
  43. Si vedano le fonti abulafiane tradotte e analizzate da Idel, Enchanted Chains, 94–95.
  44. Nel frattempo, si veda Moshe Idel, "Hermeticism and Kabbalah", in Hermetism from Late Antiquity to Humanism, curr. Paolo Lucentini, Ilaria Parri, e Vittoria Perrone Compagni (Brepols: Turnhout, 2004), 389–408.