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La religione greca/La religione greca nel periodo arcaico e classico/Il sacrificio

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Approfondimento

Grigliato e bollito: la cottura nel sacrificio

Le modalità di cottura della vittima sacrificale rappresentano un aspetto essenziale del rito greco del sacrificio animale. Queste modalità si riassumono in due pratiche: l'arrostimento di alcune interiora (indicate con il termine σπλάγχνα, splánchna) e la bollitura in un calderone (il lebēs λέβης) delle restanti parti dell'animale sacrificato (indicate con il termine σάρξ, sárx). Dopo l'immolazione l'animale viene macellato dal sacrificatore, il mágeiros (μάγειρος) sul tavolo (trápeza τράπεζα). L'elenco delle interiora è accuratamente riportato da Aristotele nel suo Parti degli animali [1]: cuore, polmone, fegato, milza e reni [2]. La ragione della particolarità delle splánchna e del loro arrostimento subito dopo la macellazione è spiegata sempre in Aristotele il quale chiarisce che le interiora costituiscono le parti vitali dell'animale, quindi ne rappresentano la parte più nobile e importante.
La cottura del cinghiale I secolo d.C. Arte ellenistica, conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli.
Altra caratteristica delle splánchna consiste nel fatto che queste, a differenza delle altre parti dell'animale che successivamente verranno bollite, vengono consumate insipide. L'assenza di ἡδύσματα (hēdúsmata; condimenti) viene spiegata in una commedia da Atenione (III secolo a.C.): in un precedente stadio della storia umana, la cucina era priva di condimenti, un'epoca intermedia tra il cannibalismo e la cucina elaborata [3]. A tal proposito Marcel Detienne [4]nota, analogamente, come Teofrasto [5]spieghi la presenza dei chicchi di cereali gettati sulle vittime sacrificali per provocarne l'assenso, questi svolgono la stessa funziona simbolica rappresentando l'epoca intermedia prima della macinazione del grano introdotta dalle rivelazioni di Demetra. Non solo, la consumazione delle interiora insipide deve avvenire subito e sul posto dopo il loro arrostimento marcando una forte solidarietà tra i commensali, a differenza delle altre parti bollite che possono essere consumate successivamente e anche in altri luoghi da coloro che hanno partecipato al rito o hanno beneficiato di queste carni come dono (géras).
Un kratēr (κρατήρ) attico a figure rosse, risalente al 430 a.C. e raffigurante l'arrostimento delle interiora (σπλάγχνα splánchna) per mezzo di lunghi spiedi (οβελοί obeloi) da parte dell'addetto a questo specifico compito (lo σπλαγχνόπτης splanchnoptēs) (Museo del Louvre, Parigi). Tra le interiora "splancniche", grande attenzione viene riservata al fegato (ἧπαρ hēpar) che prima dell'arrostimento viene attentamente esaminato in quanto qui, più che in qualsiasi altro organo della bestia macellata, si può leggere il messaggio inviato dagli dèi agli uomini. Le interiora vengono comunque tutte esaminate seguendo l'ordine di estrazione dal ventre: cuore, polmone, fegato, milza e reni. Successivamente all'estrazione delle viscere viene praticato il disossamento dell'animale per prelevare le ossa, costituite essenzialmente dai femori (μηρία mēria) e dalla colonna vertebrale (ὀσφῦς osphŷs), che essendo le parti destinate agli dèi vengono bruciate integralmente sull'altare (bōmos) prima dell'arrostimento delle splánchna.
Particolare di un oinochoe (οἰνοχόη) attico a figure rosse, risalente al 430 a.C. e raffigurante un momento del sacrificio greco, (Museo del Louvre, Parigi). Da notare la corona indossata dai celebranti che indica da una parte la loro consacrazione mentre dall'altra ricorda, nell'atmosfera festosa del rito, la sottomissione agli dèi. La corona indossata durante il rito rammenta infatti la "corona" che Prometeo è costretto a portare dopo essere stato liberato dalle catene[6], a memoria della sua punizione per aver ingannato Zeus nel tentativo di favorire gli uomini[7].
Aulos (flauto greco antico) in osso di cervo, risalente agli inizi del V secolo a.C. rinvenuto a Paestum, nella Tomba 21, in località Tempa del Prete e conservato al Museo archeologico nazionale di Paestum. Questo strumento, unitamente alla musica, è fondamentale nel rito greco del sacrificio. Esso ritma l'incedere del corteo sacrificale (pompē). Il suo suono è più simile a quello del nostro oboe piuttosto che a quello del flauto.

Nella religione greca il sacrificio è il principale atto di culto[8].

« Nessun potere politico può esercitarsi senza l'offerta sacrificale. L'entrata in guerra, lo scontro con il nemico, la conclusione di un trattato, i lavori di una commissione temporanea, l'apertura di un'assemblea, l'entrata in carica dei magistrati: sono altrettante attività che cominciano con un sacrificio seguito da un pasto comune »
(Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant La cucina del sacrificio in terra greca. Torino, Boringhieri, p.9)
La fossa del bothros, l'altare della religione greca dedicato alle divinità ctonie e al culto degli Eroi, conservato presso la Valle dei Templi di Agrigento. Tale culto si svolgeva a partire dalla sera per mezzo di libagioni (χοαί, choaí) di sangue, vino o latte versato in una fossa (bothros) o in un altare basso (eschara), ma anche per mezzo di sacrifici cruenti che seguivano le libagioni, ma l'animale, in genere dal manto nero, veniva immolato con la testa rivolta verso il terreno e bruciato integralmente (ἐναγισμός enagismós), non seguiva quindi il banchetto rituale (δαίς daís)[9].

Il sacrificio greco si presenta con differenti caratteristiche e nomi a seconda del tipo di offerta e delle divinità o esseri a cui esso è destinato. Come evidenzia, tra gli altri, Paolo Scarpi[10] il sacrificio veniva quindi così distinto:

  • Choaí (χοαί)[11]: consiste nelle libagioni di vino oppure di latte e miele o di sola acqua, ed è destinato ai defunti, agli Eroi e alle divinità ctonie.
  • Spondaí (σπονδαί)[12]: consiste nelle libagioni di vino oppure di latte e miele o di sola acqua, ed è destinato agli dèi dell'Olimpo.
  • Aparchái (απάρχαί): consiste nelle primizie dell'agricoltura poste nei boschetti sacri o gettate nei corsi d'acqua e destinate a Demetra, Dioniso o alle ninfe.
  • Nephália (νηφάλια): consiste in acqua, miele od olio e destinato ai defunti.
  • Thysía (Θυσία): consiste nel sacrificio di uno o più animali (bue, maiale, capra o pecora) ed è destinato agli dèi dell'Olimpo. In genere in questo sacrificio della vittima sacrificale venivano bruciati solo il grasso e le ossa, il restante veniva macellato, cotto e distribuito ai partecipanti al banchetto sacrificale (δαίς daís).
  • Enágisma (ἐνάγισμα, anche Haimakouría αίμαχουρία): consiste nel sacrificio di uno o più animali (bue, maiale, capra o pecora) ai defunti, agli eroi o alle divinità ctonie. In genere in questo sacrificio la vittima sacrificale veniva interamente bruciata[13].

I sacrifici solenni e cruenti, sempre e solo di animali domestici[14][15], venivano introdotti da un corteo (pompē πομπή) guidato da una vergine detta kanephoros (κανηϕόρος, "portatrice del cesto") che reggeva un cesto (κανοῦν, kanoun) contenente dei pani, chicchi di cereali (oulochútai), sale e, nascosto sotto di questi, il "coltello sacrificale" (mákhaira μάχαιρα). Tale corteo incedeva ritmicamente al suono di uno o più flauti.

Gli intervenuti si disponevano a semicerchio nell'area posta tra l'altare e il tempio, volgendo le spalle a quest'ultimo[16] davano inizio al sacrificio.

Dopo le libagioni di acqua, vino o latte e miele (a seconda della divinità a cui era destinato il sacrificio), la vittima veniva aspersa con dell'acqua durante la purificazione delle mani, cui seguiva il lancio dei chicchi di cereali, di modo che, raggiunta dall'acqua fredda e dalle granaglie, scuotendosi e chinando la testa (hypokyptein), assentiva al sacrificio[17]. Senza l'assenso della vittima sacrificale, il sacrificio greco non poteva avere luogo[18].

Dopo le preghiere e con il lancio dei chicchi di cereali, alla vittima veniva asportato un ciuffo di peli dal capo che veniva gettato nel fuoco e quindi sgozzata (sphazein). In questo momento i flauti cessavano di suonare mentre le donne presenti alzavano un grido (ololughé)[19].

Nel caso di un sacrificio olimpico il sangue veniva raccolto in un vaso (σφαγεῖον sphageîon) e quindi spruzzato sull'altare (bōmos βωμός ), nel caso di un sacrificio ai morti o alle divinità ctonie, lasciato colare a terra.

Sempre nel caso di un sacrificio agli dèi olimpici l'animale sgozzato e dissanguato veniva macellato dal mágeiros[20] (μάγειρος) sul tavolo (trápeza τράπεζα) e la sua carne fatta a pezzi e cotta (bollita in un calderone, il lebēs λέβης)[21], tranne le viscere (splánchna σπλάγχνα[22]) che invece venivano grigliate su lunghi spiedi (ὀβολοί obeloi), e consumate insipide [23]subito dal gruppo ristretto dei sacrificanti, gli splanchneúontes[24]. La suddivisione in parti dell'animale sacrificato era rigidamente stabilità: la pelle andava al sacerdote (hiereús ἱερεύς), così anche le cosce (κωλῆ kōlē̂) che divideva però con i magistrati[25].

Nella Teogonia, Esiodo (VIII sec.-VII sec. a.C.) offre una spiegazione poetica e mitica della spartizione della vittima sacrificale tra uomini e dèi, attribuendo la scelta a un "inganno" di Prometeo [26]. La vicenda raccontata da Esiodo si svolge in un'epoca mitica quando gli dèi e gli uomini convivevano insieme, condividendo lo stesso banchetto. Zeus divenuto re degli dèi decide, dopo avere delimitato compiti e funzioni tra gli immortali, di definire il ruolo spettante agli uomini stabilendo una giusta ripartizione degli onori. Viene chiamato per questo Prometeo, il titano che non ha partecipato al conflitto con gli dèi, il quale si presenta al consesso degli dei e degli uomini con un grande bue che abbatte e macella ripartendone il corpo in due parti rispettivamente destinate agli dei e agli uomini. In questo modo, evidenzia Jean-Pierre Vernant[27], «Il sacrificio appare così come l'atto che ha consacrato, realizzandola la prima volta, la segregazione degli statuti divino e umano.». Ma Prometeo vuole ingannare Zeus: sotto un sottile strato di grasso appetitoso nasconde le ossa del bue prive di carne, mentre, avvolta nella pelle e nello stomaco ripugnante, cela tutto ciò che di delizioso ha la bestia. Zeus deve scegliere per primo, il re degli dèi ha compreso l'inganno ma decide di accettarlo privilegiando la parte di grasso e di ossa nascoste condannando così gli uomini:

« Mangiando la carne gli uomini firmano la loro sentenza di morte. Dominati dalla legge del ventre, si comporteranno ormai come tutti gli animali che popolano la terra, i flutti, o l'aria. Se provano piacere a divorare la carne di una bestia morta, se provano un bisogno imperioso di nutrimento, dipende dal fatto che la loro fame non si placa mai, rinasce sempre perché è il segno di una creatura le cui forze a poco a poco sono usurate ed esaurite, è il segno di una creatura votata alla fatica, all'invecchiamento e alla morte. Contentandosi del fumo delle ossa, vivendo di odori e di profumi, gli dei testimoniano di appartenere a una razza la cui natura è completamente diversa da quella degli uomini. Sono gli immortali che vivono sempre, giovani in eterno, il cui essere non comporta niente di perituro e che non hanno alcun contatto con il dominio del corruttibile. »
(Jean-Pierre Vernant. Mito e religione in Grecia antica p. 37)

Infine, se consideriamo che l'alimentazione carnea dei Greci coincideva con il sacrificio degli animali[28] il rituale sacrificale rispondeva a una sensibilità propria di questa cultura religiosa:

« È chiaro che il rito sacrificale greco mira a predisporre l'annientamento della vita come il centro sacro dell'azione. I molti complicati preparativi sottolineano come sia innaturale e quanto turbamento provochi ciò che sta accadendo. [...][29] Caratteristica di tutti questi riti è l'ambivalenza dei sentimenti che trova espressione nella cerimonia. L'uomo, mentre offre un sacrificio secondo il volere della divinità, deve però vincere o superare una inibizione a uccidere; mentre esprime sentimenti di colpa e di rimorso, dimostra un "rispetto della vita" profondamente radicato. Più forte è tuttavia una necessità superiore che lo spinge a uccidere. »
(Walter Burkert. Origini selvagge. Sacrificio e mito nella Grecia arcaica. Bari, Laterza, 1998, pp. 20-1)
Particolare di un dipinto votivo (πίναξ) corinzio su tavoletta lignea del VI secolo a.C., rinvenuto in una grotta consacrata alle ninfe a Pitsà, e oggi conservato presso il Museo nazionale di Atene. Questo reperto è particolarmente prezioso perché poco o nulla è rimasto della pittura della Grecia antica su materiale ligneo essendo questo materiale altamente deperibile, in questo caso il raro fenomeno di conservazione lo si deve al deposito di cristalli di calcare sulla superficie. Il dipinto, disegnato su una base di gesso e con l'utilizzo anche del prezioso colore azzurro, mostra un corteo sacrificale (pompē) guidato dalla kanephoros. Il sacrificio è quello di un agnello (legato per mezzo di una corda rossa che ne indica la consacrazione agli dèi) dedicato alle tre Charites. Da notare il flautista (αὐλητής aulētēs) che con le note del suo strumento impone il ritmo della marcia del corteo. La presenza della musica (μουσική mousikḗ) nel sacrificio greco è a tal punto caratteristica che Erodoto (Historìai I, 132) si stupisce della sua assenza nei sacrifici dei Persiani[30]. In questo dipinto compaiono due strumenti, la lýra (λύρα), la cui invenzione era attribuita a Ermes, che successivamente la donò ad Apollo rendendolo così il dio della musica; e l'aulós (αὐλός) il flauto a doppia canna, la cui invenzione era attribuita ad Atena la quale lo gettò in un ruscello dopo che lo specchio d'acqua le restituì il volto deformato. Fu il satiro Marsia a recuperarlo in Frigia e a sfidare Apollo in una gara che terminerà con la sua sconfitta e quindi con il suo scorticamento vivo per aver osato sfidare un dio[31]. La lýra era generalmente costruita da un guscio di tartaruga nella cui cavità venivano tese delle corde di budello o di tendine, in genere in numero di sette, strette tra due corna unite tra loro da un bastone messo di traverso. L'aulós, il flauto a doppia canna, era generalmente costruito in legno o in osso. Il suono dell'aulós somigliava piuttosto al nostro oboe che al nostro flauto. L'uso dell'aulos era proprio non solo dei sacrifici, ma anche degli esercizi ginnici e di quelli militari in quanto aiutava la concentrazione.


  1. Περί Ζώιων Μορίων, 667 b 1 e sgg.; 673 b 15 e sgg.
  2. Dal che stomaco, esofago e intestini non ne fanno parte.
  3. In Ateneo, XIV, 660 E = CGF III, 369 Kock; cit. in Marcel Detienne, Dioniso e la pantera profumata, p. 133.
  4. Marcel Detienne, Dioniso e la pantera profumata, p. 133.
  5. In Schol. AD in Il I,449.
  6. Cfr. Ateneo, 672f.
  7. Ateneo 674de; Angelo Brelich, La corona di Prometheus, in "Hommages à Marie Delcourt. Bruxelles", 1970, 234-42; cit. in Jean-Pierre Vernant, in Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant. La cucina del sacrificio in terra greca. Torino, Boringhieri, 1982, p.58.
  8. « Presso i greci antichi, il sacrificio è l'atto principale del culto. »
    (Jules Labarbe, Sacrificio in Grecia in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni (a cura di Paul Puoupard). Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1631 e segg.)

    « Nell'antica Grecia come presso altre civiltà, il sacrificio è l'atto centrale della vita religiosa della comunità. »
    (Paolo Scarpi. Sacrificio greco in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 659)

    « Se la preghiera e la divinazione erano importanti mezzi per comunicare con la divinità, non c'è dubbio che il più importante modo di comunicazione con il divino fu, per i Greci, il sacrificio. Jan N. Bremmer, Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol.1 I Greci nostri antenati (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, p. 248 »

  9. Jan N. Bremmer (in Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.1 I Greci nostri antenati (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, p. 265) ritiene che delle testimonianze epigrafiche dimostrerebbero che questi sacrifici terminavano con lieti banchetti, quindi invita urgentemente a rivedere le nozioni di sacrificio ctonio e di divinità ctonie.
  10. Cfr. Sacrificio greco in Op.cit. pagg. 659 e segg.; ma anche Paolo Scarpi. La religione greca in Storia delle religioni vol.1 (a cura di Giovanni Filoramo). Bari, Laterza, 1994, p. 314 e segg.; ma anche Jan N. Bremmer. Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol.1 I Greci nostri antenati (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, pagg. 248-82
  11. Χοή è correlato al titolo sacerdotale indoiranico hotar/zaotar, cfr. Jan N. Bremmer Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.1 I Greci nostri antenati (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, p. 267.
  12. Dalla radice indoeuropea *spend, cfr. Jan N. Bremmer Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.1 I Greci nostri antenati (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, p. 267.
  13. Jan N. Bremmer (in Modi di comunicazione con il divino: la preghiera, la divinazione e il sacrificio nella civiltà greca, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.1 I Greci nostri antenati (a cura di Salvatore Settis). Torino, Einaudi, 2008, p. 265) ritiene che delle testimonianze epigrafiche dimostrerebbero che questi sacrifici terminavano con lieti banchetti, quindi invita urgentemente a rivedere le nozioni di sacrificio ctonio e di divinità ctonie.
  14. «di norma, agli dèi non sono mai offerti animali selvatici.» (Marcel Detienne, La cucina del sacrificio... p. 14.
  15. I pesci, centrali nell'alimentazione dell'uomo greco, non venivano sacrificati, sui motivi di questa scelta cfr. Giuliano Imperatore Sulla madre degli Dei XVII (cfr. a cura di Jacques Fontaine in Alla madre degli Dei Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 1997, pp.85 e sgg.). L'unico pesce che veniva sacrificato era il tonno (pesce che sanguina), immolato a Posidone.
  16. Jan N. Bremmer. Op.cit., p. 257; Birgitta Bergquist The Archaic Greek Temenos. A study of Structure and Function. Lund 1967, pagg.112-4
  17. Cfr. in tal senso le osservazioni Jan N. Bremmer, Op.cit. p. 256 e, più precisamente, quelle di Karl Meuli Gesammelte Schiften, II pagg. 907-1021, Basilea, 1975.
  18. Cfr. Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant La cucina del sacrificio in terra greca, p.15.
  19. ὀλολυγμὸν ἱερὸν.
    « Ascolta prima la mia preghiera e poi innalza tu il sacro grido, il peana propiziatorio: la voce che accompagna, secondo il costume ellenico, i sacrifici »
    (Eschilo. Sette contro Tebe 265 e segg. (traduzione di Monica Centanni) Milano, Mondadori, 2007, p. 134)
  20. Il quale aveva anche il compito di dividere le ossa e il grasso, destinati alla divinità, dal restante destinato alla comunità sacrificante.
  21. La bollitura delle carni è il tipo di cottura preferito dai Greci (cfr. Filocoro, FGrHist. 328 F 173 Jacoby) che apprezzavano la carne tenera, in quel contesto era l'unico modo per renderla tale (Cfr. Jean-Louis Durand in Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant La cucina del sacrificio in terra greca. Torino, Boringhieri, p.105)
  22. Le splánchna, indicano ciò che è interno visto in opposizione alle parti commestibili esterne dell'animale queste indicate con il termine σάρξ, sárx (cfr. Aristotele, Sulle parti degli animali 674 a 4-6).
  23. Sulle ragioni della loro insipidità cfr. Marcel Detienne, Dioniso e la pantera profumata, Bari, Laterza, 2007, pp. 133 e sgg.
  24. Marcel Detienne. Dioniso e la pantera profumata. Bari, Laterza, 2007, pp. 133 e sgg.
  25. Così il poema omerico Iliade (IX-VIII secolo a.C.) descrive un sacrificio a Zeus e il conseguente banchetto sacrificale:

    (IT)
    « Dopo aver pregato, e gettato i chicchi d'orzo, tirarono indietro
    le teste delle vittime e le sgozzarono e le scuoiarono,
    estrassero le cosce e le ricoprirono d'adipe
    ripiegandolo e disposero sopra pezzi di carne;
    poi le bruciarono sopra gli sterpi secchi,
    mettendo sul fuoco le viscere infilzate allo spiedo.
    Quand'ebbero arso le cosce e mangiate le viscere, fecero a pezzi
    le parti restanti, le infilarono sugli spiedi e con ogni cura
    le arrostirono; poi tolsero il tutto dal fuoco.
    Così compiuto il lavoro e preparato il banchetto,
    mangiarono e non mancò ad alcuno il cibo imbandito. »

    (GRC)
    « αὐτὰρ ἐπεί ῥ' εὔξαντο καὶ οὐλοχύτας προβάλοντο,
    αὐέρυσαν μὲν πρῶτα καὶ ἔσφαξαν καὶ ἔδειραν,
    μηρούς τ' ἐξέταμον κατά τε κνίσῃ ἐκάλυψαν
    δίπτυχα ποιήσαντες, ἐπ' αὐτῶν δ' ὠμοθέτησαν.
    καὶ τὰ μὲν ἂρ σχίζῃσιν ἀφύλλοισιν κατέκαιον,
    σπλάγχνα δ' ἄρ' ἀμπείραντες ὑπείρεχον Ἡφαίστοιο.
    αὐτὰρ ἐπεὶ κατὰ μῆρε κάη καὶ σπλάγχνα πάσαντο,
    μίστυλλόν τ' ἄρα τἆλλα καὶ ἀμφ' ὀβελοῖσιν ἔπειραν,
    ὤπτησάν τε περιφραδέως, ἐρύσαντό τε πάντα.
    αὐτὰρ ἐπεὶ παύσαντο πόνου τετύκοντό τε δαῖτα
    δαίνυντ', οὐδέ τι θυμὸς ἐδεύετο δαιτὸς ἐΐσης. »
    (Omero. Iliade II, 421-32. Traduzione italiana di Guido Paduano in Omero. Iliade. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 54-5)

    Cfr. anche Odissea III, 430-74.
  26. (IT)
    « Infatti, quando separarono dèi e uomini mortali
    a Mecone, allora un grande bue, con animo consapevole,
    offrì, dopo averlo spartito, volendo ingannare la mente di Zeus;
    per la stirpe degli uomini, infatti, carni e interiora ricche di grasso
    pose in una pelle, nascostele nel ventre del bue,
    per la stirpe degli dèi, poi, ossa bianche di bue, per perfido inganno,
    con arte dispose, nascoste nel bianco grasso.
    E allora gli disse il padre degli uomini e degli dèi:
    "O figlio di Iapeto, illustre fra tutti i signori,
    amico mio caro, con quanta ingiustizia facesti le parti".
    Così disse Zeus beffardo che sa eterni pensieri;
    ma a lui risposte Prometeo dai torti pensieri,
    ridendo sommesso, e non dimenticava le sue ingannevoli arti:
    "O Zeus nobilissimo, il più grande degli dèi sempre esistenti,
    di queste scegli quella che il cuore nel petto ti dice".
    Così disse meditando inganni, ma Zeus che sa eterni pensieri
    riconobbe l'inganno, né gli sfuggì, e mali meditava dentro il suo cuore
    per gli uomini mortali e a compierli si preparava.
    Con ambedue le mani il bianco grasso raccolse;
    si adirò dentro l'animo e l'ira raggiunse il suo cuore,
    come vide le ossa bianche del bue, frutto del perfido inganno:
    è da allora che agli immortali la stirpe degli uomini sulla terra
    brucia ossa bianche sugli altari odorosi. »

    (GRC)
    « Καὶ γὰρ ὅτ᾽ ἐκρίνοντο θεοὶ θνητοί τ᾽ ἄνθρωποι
    Μηκώνῃ, τότ᾽ ἔπειτα μέγαν βοῦν πρόφρονι θυμῷ
    δασσάμενος προέθηκε, Διὸς νόον ἐξαπαφίσκων.
    Τοῖς μὲν γὰρ σάρκας τε καὶ ἔγκατα πίονα δημῷ
    ἐν ῥινῷ κατέθηκε καλύψας γαστρὶ βοείῃ,
    τῷ δ᾽ αὖτ᾽ ὀστέα λευκὰ βοὸς δολίῃ ἐπὶ τέχνῃ
    εὐθετίσας κατέθηκε καλύψας ἀργέτι δημῷ.
    Δὴ τότε μιν προσέειπε πατὴρ ἀνδρῶν τε θεῶν τε•
    Ἰαπετιονίδη, πάντων ἀριδείκετ᾽ ἀνάκτων,
    ὦ πέπον, ὡς ἑτεροζήλως διεδάσσαο μοίρας.
    Ὥς φάτο κερτομέων Ζεὺς ἄφθιτα μήδεα εἰδώς
    Τὸν δ᾽ αὖτε προσέειπε Προμηθεὺς ἀγκυλομήτης
    ἦκ᾽ ἐπιμειδήσας, δολίης δ᾽ οὐ λήθετο τέχνης•
    Ζεῦ κύδιστε μέγιστε θεῶν αἰειγενετάων,
    τῶν δ᾽ ἕλε᾽, ὁπποτέρην σε ἐνὶ φρεσὶ θυμὸς ἀνώγει.
    Φῆ ῥα δολοφρονέων• Ζεὺς δ᾽ ἄφθιτα μήδεα εἰδὼς
    γνῶ ῥ᾽ οὐδ᾽ ἠγνοίησε δόλον• κακὰ δ᾽ ὄσσετο θυμῷ
    θνητοῖς ἀνθρώποισι, τὰ καὶ τελέεσθαι ἔμελλεν.
    Χερσὶ δ᾽ ὅ γ᾽ ἀμφοτέρῃσιν ἀνείλετο λευκὸν ἄλειφαρ.
    Χώσατο δὲ φρένας ἀμφί, χόλος δέ μιν ἵκετο θυμόν,
    ὡς ἴδεν ὀστέα λευκὰ βοὸς δολίῃ ἐπὶ τέχνῃ.
    Ἐκ τοῦ δ᾽ ἀθανάτοισιν ἐπὶ χθονὶ φῦλ᾽ ἀνθρώπων
    καίουσ᾽ ὀστέα λευκὰ θυηέντων ἐπὶ βωμῶν. »
    (Esiodo. Teogonia, 535-57. Traduzione italiana di Graziano Arrighetti in Esiodo. Opere. Milano, Mondadori, 2007, p. 26-9)

    Prometeo è come Crono ankylometes, dotato di intelligenza contorta; Zeus è invece metieta: avendo inghiottito la figlia di Oceano, Metis, è dotato di intelligenza astuta. Zeus sceglie consapevolmente le bianche ossa lasciando agli uomini la carne. Zeus accetta l'inganno di Prometeo ponendo fine all'unione commensale con gli uomini condannando questi ultimi a mangiare per sopravvivere la parte degli animali che si decompone, riservando invece agli dèi la parte che non si decompone ovvero il fumo degli altari.
  27. Cfr. Mito e religione in Grecia antica pp. 36 e sgg.
  28. Non esisteva consumo di carne al di fuori del sacrificio (cfr. Marcel Detienne e Jean-Pierre Vernant La cucina del sacrificio in terra greca. Torino, Boringhieri, p.9).
  29. Qui Burkert offre gli esempi del sacrificio del bue nelle Bufonie e quello del capro in onore di Dioniso.
  30. « I riti sacri agli dèi che sopra ho nominato si svolgono tra i Persiani in questo modo: quando si accingono a fare un sacrificio, non innalzano altari, né accendono il fuoco; non usano libagioni, non suono di flauto, non bende sacre, non salso farro. »
    (Erodoto. Storie, I, 132. Milano, Mondadori, 2007, p.163)
  31. Il mito è riportato in Apollodoro. Biblioteca, I,4,2.