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La religione greca/Le religioni dei misteri/L'Orfismo

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Approfondimento

Il dio smembrato e l'origine dell'uomo

« [...] e Orfeo ha tramandato che [Dioniso], nelle cerimonie iniziatiche, fu smembrato dai Titani. »
(Diodoro Siculo, V, 75,4)

Se conveniamo con Pausania[1] il mito dello smembramento di Dioniso risale all'epoca di Pisistrato, quindi al VI secolo a.C. assumendo nel corso del tempo numerose varianti che possono essere riassunte nel seguente racconto: Dioniso (anche Zagreus) nasce dalla relazione tra Zeus e Rea/Demetra/Persefone; la legittima sposa del re degli dèi, Era, decide quindi di ucciderlo e allo scopo invia i Titani[2] che coperti il volto di gesso (γύψος)[3], aggirano la guardia dei kuretes, e ingannando il dio infante con giochi[4] e uno specchio, lo uccidono, con la Tartária mácharia (il coltello infero), smembrandolo[5] e quindi cuocendo dapprima le carni[6] e poi arrostendole allo spiedo[7][8], ma il dio rinasce dopo che Rea ne raccolse le membra dilaniate ricongiungendole[9]. Proclo [10], che lo riferisce a Orfeo, ripreso da Károly Kerényi[11], per il quale il mitologema è direttamente attribuibile a Onomacrito[12], descrive misticamente la suddivisione delle membra del dio in sette parti, con il cuore indiviso (in quanto "essenza indivisibile dell'intelletto"); segue la manducazione [13] e dopo che i Titani hanno mangiato Dioniso interviene Zeus che con la folgore li incenerisce. Dall'αἰθάλη (non quindi dalle ceneri, σποδός, ma dai vapori, quindi dalla fuliggine e poi materia) prodotta dalla carbonizzazione dei Titani, che nel frattempo rientrano nel Tartaro, nasce l'uomo: mescolanza dei Titani e del dio Dioniso frutto del loro banchetto[14].

« Fra le donne dionisiache, le serventi di Dioniso, ma non solo tra loro, si nasconde anche una nemica del dio che si svela e diventa la sua assassina! Tutti gli esseri umani sono così, perché tutti fatti della medesima sostanza dei primi nemici del dio; eppure tutti hanno in sé qualcosa che viene proprio da quel dio, la vita divina indistruttibile. »
(Károly Kerényi, Dioniso... p. 228)

Il motivo del rifiuto della dieta carnea[15], proprio della "vita orfica", risiede quindi anche nel fatto che solo tale rifiuto impedisce a Persefone, giudice dei trapassati, di rivivere il dramma del figlio sbranato dai Titani di cui gli uomini sono eredi[16], e quindi consente a questi di ottenere dalla dea un giudizio benevolo ovvero l'uscita dalla condizione della rinascita e l'ingresso nella vita beata.[17]
Bassorilievo in marmo di epoca romana, copia di originale greco del 410 a.C., che rappresenta Ermes, Euridice e Orfeo. L'opera originale, probabilmente di Alcamene, è andata perduta. Questo bassorilievo, conservato presso il Museo archeologico nazionale di Napoli, è tra le testimonianze che attesterebbero l'esito negativo della catabasi di Orfeo già a partire dal V secolo a.C. Qui Orfeo voltatosi verso Euridice, le alza il velo, forse per verificare l'identità della donna e quindi la perde. Secondo l'opinione di Cristopher Riedweg[18] sarebbe infatti evidente che Ermes a questo punto trattenga per un braccio la sposa di Orfeo, che volge quindi il piede destro per tornare indietro.
Orfeo (Ὀρφεύς), fondatore dell'Orfismo[19], «cantore e sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte»[20], ritratto in un kratēr (κρατήρ) attico a figure rosse risalente al V secolo a.C. e oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York. Orfeo, che siede a sinistra impugnando la lira (λύρα), veste un abito tipicamente greco, a differenza dell'uomo che gli si pone in piedi davanti che invece indossa un costume tracio. Questo particolare, unitamente alla presenza, a destra, della donna che impugna una piccola falce, può rappresentare una delle varianti della sua leggenda che lo vuole missionario greco in Tracia, ucciso lì dalle donne in quanto escludendole dai suoi riti induceva i loro mariti ad abbandonarle[21].
Orfeo ucciso dalle menadi, in uno stamnos a figure rosse, risalente al V secolo a.C., oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per l'ardore religioso che il poeta conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva[22].
Alcuni frammenti (relativi al Column XXI[23]) del Papiro di Derveni, risalente al IV secolo a.C., rinvenuto semicombusto in una necropoli scavata nei pressi della località di Derveni (Macedonia, a circa 10 km da Salonicco), probabile necropoli dell'antica località di Lete, e oggi conservato presso il Museo archeologico di Salonicco. Da evidenziare anche la vicinanza con Pella, centro dove, intorno al 400 a.C., Archelao aveva trasferito la capitale macedone, precedentemente collocata ad Aigai (oggi Vergina). Il Papiro è stato rinvenuto in una tomba appartenente ad un gruppo di due tombe di notevole rilevanza, affrescate e con corredo sontuoso, probabilmente appartenenti all'alta aristocrazia. Le tombe accoglievano i vasi dove erano state raccolte le ceneri dei defunti dopo la loro cremazione, in accordo con la credenza orfica del corpo inteso come "tomba" dell'anima. Il Papiro, rinvenuto nella tomba A quella tra le due relativamente meno sontuosa, non faceva parte del corredo, anzi risulta semicombusto, rinvenuto insieme ad altri oggetti semicombusti prima dell'apertura della cassa: esso faceva quindi parte dei residui del rogo funerario. In origine, il Papiro doveva essere lungo più di tre metri, scritto su numerose colonne disposte verticalmente, ogni colonna conteneva tra le undici e le sedici righe, composte a loro volta da una decina di parole. Ciò che è stato rinvenuto è probabilmente quindi solo un decimo dello scritto originale. La lingua del testo è in dialetto ionico con elementi in attico. La sua datazione è confermata dalla presenza di una moneta di Filippo II rinvenuta nella tomba B. L'origine orfica del testo è confermata dalla presenza del nome di Orfeo (nella colonna 14 citato per ben due volte)[24].
«L'uovo, per gli orfici, è all'origine della vita, ne è la pienezza stessa: una vita però che degrada progressivamente sino al non-essere dell'esistenza individuale.»[25]. L'uovo, quindi, rappresenta per gli Orfici la compiutezza delle origini, ma in ambito greco può inerire anche ad altri miti come quello che riguarda la nascita di Elena. In questo particolare di un'anfora, dipinta da Python (IV secolo a.C.), rinvenuta nella Tomba 24 di Andriuolo ed esposta presso il Museo archeologico nazionale di Paestum, viene raccontata per mezzo di una scena teatrale uno dei mito riguardanti la nascita di Elena (Ἑλένη). Zeus intende unirsi con Nemesi, la dea che indica la potenza della "giusta ira" nei confronti di coloro che violano l'ordine naturale delle cose. Ma Nemesi, piena di pudore, fugge il re degli dèi, dapprima lungo la terra, poi in mare e infine in cielo dove assunto il corpo di un'oca viene raggiunta da Zeus che prende la forma di un cigno unendosi in questo modo alla dea. Ermes raccoglie l'uovo, frutto dell'unione divina, e lo consegna a Leda (Λήδα), moglie del re di Sparta Tindareo (Τυνδάρεως). Compito della coppia regale è ora quello di eseguire la volontà divina di Zeus, ovvero di porre l'uovo divino su un altare ancora caldo delle ceneri di un sacrificio, provocandone in questo modo la schiusa.
Qui viene raffigurata la ekkolapsis (ἐκκόλαψις, la schiusa dell'uovo) da dove emerge la divina e bellissima Elena, circondata da Leda e da Tindareo. Alcuni studiosi hanno ritenuto di scorgere delle connessioni tra queste raffigurazioni del mito di Elena e le teologie orfiche diffuse lungo le colonie greche in Italia[26].
Dioniso bambino munito di corna in una scultura romana del II secolo d.C. Il primo Dioniso (anche Zagreo (Ζαγρεύς, Zagreus)[27] verrà divorato dai Titani la cui folgorazione da parte di Zeus darà, secondo l'antropogonia orfica, origine all'umanità.
« il ventre di Persefone si gonfia di un frutto fecondo
e genera Zagreo, bambino munito di corna, che sale, lui solo,
sul trono celeste di Zeus; con la sua piccola mano
vibra il fulmine, è nelle sue mani puerili
di un neonato che si librano le saette.
Ma non occupa per molto il trono di Zeus, perché i Titani,
astuti, cosparso il volto con del gesso ingannatore,
spinti dalla rabbia profonda e spietata di Era,
lo uccidono con un pugnale venuto dal Tartaro,
mentre guardava la sua falsa immagine riflessa nello specchio. »
(Nonno di Panopoli, Dionisiache VI, 165-172. Traduzione di Daria Gigli Piccardi, Milano, Rizzoli, 2006, pp.483-485)
La pala di Brera, Piero della Francesca, Urbino 1471
La pala di Brera, particolare.
Elena, ekkolapsis (ἐκκόλαψις) la schiusa dell'uovo, Museo archeologico nazionale di Metaponto. In calcare, V sec. a.C. Rinvenuto nella "Tomba dell'uovo di Elena", in località Torretta. La tomba era affrescata in modo analogo alla tomba B di Derveni quella in cui è stato rinvenuto il papiro "orfico": un ramo di alloro di colore verde-azzurro sulla parete, in alto. Giamblico, nella Vita pitagorica (XXVIII, 154), ricorda la sacralità di questa pianta.
« Nel seno sconfinato di Erebo, la Notte dalle ali di tenebra generò dapprima un uovo pieno di vento. Col trascorrere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio: sul dorso gli splendevano ali d'oro ed era simile al rapido turbine dei venti. »
(Aristofane, Uccelli)

L'Orfismo consiste in quel movimento religioso sorto in Grecia presumibilmente verso il VI secolo a.C. intorno alla figura di Orfeo[28]. Per quanto le tradizioni recenziori lo indichino come "Tracio" è opinione di alcuni autorevoli studiosi, come William Keith Chambers Guthrie, che la figura di Orfeo vada piuttosto collegata a quella, non si sa quanto "storica", di un antico "missionario" greco in terra tracia dove, nel tentativo di trasferire il culto di Apollo, perse la vita[29].

È probabile che la figura di Orfeo possa essere precedente alla sua adozione da parte dei maestri religiosi orfici del VI secolo a.C., ma il suo inserimento nelle correnti che si fanno eredi del suo nome «era dovuta a qualcosa di più che non ad un vago sentimento di venerazione per un grande nome dell'antichità»[30], frutto, piuttosto, da una parte della necessità di ereditare le credenze sulla "possessione" divina propria dell'esperienza dionisiaca, e dall'altra della convinzione di dover prolungare quelle pratiche di "purezza" proprie dei Misteri eleusini; tutto ciò corrisponde ai due elementi fondanti delle dottrine orfiche:

  1. la credenza nella divinità e quindi nell'immortalità dell'anima;
  2. da cui consegue, al fine di evitare la perdità di tale immortalità, la necessità di condurre un'intera vita di purezza.

L'innovazione dell'Orfismo nella religione greca e nella storia religiosa europea e sue origini

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L'importanza dell'Orfismo nella storia della cultura religiosa, e più in generale nella storia del pensiero occidentale, è un fatto più volte sottolineato dagli studiosi.

Così lo storico delle idee Giovanni Reale:

« Nei documenti letterari greci a noi pervenuti compare per la prima volta in Pindaro una concezione della natura e dei destini dell'uomo pressoché totalmente sconosciuta ai Greci dell'età precedenti ed espressione di una credenza per molti aspetti rivoluzionaria, la quale, giustamente, è stata considerata come elemento di un nuovo schema di civiltà. In effetti, si comincia a parlare della presenza nell'uomo di qualcosa di "divino" e non mortale, che proviene dagli Dei ed alberga nel corpo stesso, di natura antitetica a quella del corpo dorme o addirittura si appresta a morire, e dunque, quando allenta i vincoli con esso e lo lascia in libertà. [...] Il nuovo schema di credenza consiste, dunque, in una concezione "dualistica" dell'uomo, che contrappone l'anima immortale al corpo mortale e considera la prima come il vero uomo o, meglio, ciò che nell'uomo veramente conta e vale. Si tratta di una concezione, come è stato ben notato, che inserì nella civiltà europea un'interpretazione nuova dell'esistenza umana. Che questa concezione sia di genesi orfica non parrebbe cosa dubbia. »
(Giovanni Reale. La novità di fondo dell'Orfismo, in Storia della filosofia greca e romana vol.1. Milano, Bompiani, 2004, pp. 62-3)

Il testo di Pindaro a cui fa riferimento Reale è un frammento, il 131 b, che così recita:

« Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente,
e poi rimane ancora vivente un'immagine della vita, poiché solo questa
viene dagli dèi: essa dorme mentre le membra agiscono, ma in molti sogni
mostra ai dormienti ciò che è furtivamente destinato di piacere e sofferenza. »
(Traduzione di Giorgio Colli, in La sapienza greca vol.1. Milano, Adelphi, 2005, p.127)

Precedentemente anche il grecista irlandese Eric R. Dodds aveva evidenziato questa importante novità di fondo:

« Corrisponda o meno al fatto che per un Ateniese del V secolo la parola psychē avesse o potesse avere in sé un vago sentore di soprannaturale, certo non aveva nessuna intenzione puritana, né alcuna suggestione metafisica. L'anima non era prigioniera riluttante del corpo; era la vita, lo spirito del corpo, nel quale si trovava come a casa propria. Ma ecco che il nuovo schema di religione portò il suo contributo carico di conseguenze: attribuendo all'uomo un "io" occulto di origine divina, e contrapponendo così l'anima al corpo, inserì nella civiltà europea, un'interpretazione che noi diciamo puritana »
(Eric R. Dodds. I Greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, p. 187)

Se quindi nell'Orfismo si riscontra per la prima volta un inequivocabile riferimento a un'"anima" (ψυχή), contrapposta al corpo (σῶμα sōma) e di natura divina, resta non chiara l'origine di questa nuova nozione.

Eric R. Dodds[31] ritiene di individuare questa origine nella colonizzazione greca del Mar Nero avvenuta intorno al VII secolo a.C.[32] che consentì alla cultura greca di venire a contatto con le culture sciamaniche proprie dell'Asia centrale, in particolar modo con quella scita[33].

Tale sciamanesimo fondava le proprie credenza sulle pratiche estatiche laddove però non era il dio a "possedere" lo sciamano quanto piuttosto era l'"anima" dello sciamano che aveva esperienze straordinarie separate dal suo corpo.

Alla base di queste conclusioni Dodds pone l'analisi di alcuni personaggi, degli ἰατρόμαντις ("iatromanti"), veggenti e guide religiose, che, come Abari, giunsero dal Nord in Grecia trasferendo il culto di Apollo Iperboreo; o anche di alcuni Greci come Aristea il quale, originario dell'Ellesponto, si trasferì, almeno idealmente, nel Nord sede delle sue percezioni sciamaniche, così anche un altro Greco d'Asia, Ermotimo di Clazomene. Questi personaggi erano talmente diffusi nell'Atene del VI-V secolo a.C. che Sofocle nell'Elettra[34] vi allude senza la necessità di nominarli.

« Ho tentato fin qui di delineare il percorso di una eredità spirituale, che muove dalla Scizia attraverso l'Ellesponto e passa per la Grecia d'Asia, si combina probabilmente con qualche residuo di tradizione minoica sopravvissuta a Creta, emigra verso il lontano Occidente con Pitagora e trova il suo ultimo autorevole rappresentante nel siciliano Empedocle. Questi uomini diffusero la credenza in un io separabile, che mediante tecniche adatte può staccarsi dal corpo anche durante la vita; in un io più antico del corpo, al quale esso sopravviverà. »
(Eric R. Dodds. I Greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, p. 195)

Le cosmogonie, le teogonie e le antropogonie orfiche

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Paolo Scarpi[35] evidenzia come nello spirito della tradizione mitologica greca, anche quella "orfica" si dispone non secondo un modello unificato frutto di un sistema teologico, quanto piuttosto come un insieme di varianti. Così nella Storia della teologia, testo andato perduto opera dell'allievo di Aristotele Eudemo da Rodi, sarebbero state raccolte le varie teogonie come quelle di Omero, Esiodo, Orfeo, Acusilao[36], Epimenide[37], Ferecide[38], ma anche quelle non greche come le babilonesi, persiane e fenicie, a dimostrazione della presenza delle diverse tradizioni teogoniche e cosmogoniche che attraversavano il mondo greco. Una cosmogonia e teogonia di tipo "parodistico" ma di derivazione orfica la si riscontra in Aristofane (V-IV secolo a.C.) negli Uccelli (vv.693-702)[39]:

  • in principio vi sono Chaos, Nyx (Notte), Erebo e Tartato;
  • nel buio Erebo, Nyx genera un Uovo (ᾠόν) "pieno di vento";
  • da questo Uovo emerge Eros dalle ali d'oro;
  • unitosi durante la notte al Chaos, Eros genera la stirpe degli "uccelli";
  • quindi genera Urano (Cielo) e Oceano, Gea (Terra) e gli dèi.

Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'Orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle Teogonie orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo»[40].

Nel 1962 viene rinvenuto un rotolo di papiro all'interno di una tomba macedone collocata a Derveni (nei pressi di Salonicco) datata al IV secolo a.C. Per quanto semicarbonizzato parte del contenuto del papiro è stato recuperato[41] e tradotto e rappresenterebbe un commento, probabilmente risalente al V secolo a.C., a una teogonia orfica e forse all'opera di Eraclito[42].

  • il componimento è indirizzato solo agli "iniziati", escludendo dalla lettura i "profani";
  • l'oggetto dell'inno sono le opere di Zeus, che il dio compì su consiglio della nera Nyx (Notte);
  • gli dèi nacquero da Zeus, Zeus che udì da Nyx le "segrete profezie" e quindi inghiotti il "demone glorioso";
  • questo "demone glorioso", che primo balzò nell'etere, aveva generato Gaia e Urano che fu il primo a regnare;
  • Gaia e Urano generarono Kronos (Crono) che compì gravi azioni contro Urano;
  • Zeus successe a Kronos, Zeus possedeva Metis e deteneva il ruolo di re tra gli dèi;
  • Zeus quindi inghiottì Protogono (Πρωτογόνος, Prōtógonos, il "primogenito" inteso come il "demone glorioso")[43].

Da questo momento si assiste a una nuova "Cosmogonia" generata da Zeus stesso, la prima che precede è quella per l'appunto che ha Nyx (Notte) come origine, ma Zeus, dopo aver inghiottito Protogono[44]:

« [...]; e a lui allora tutti
gli immortali, gli dèi beati e le dee, si assimilarono
e i fiumi e le sorgenti amabili e tutte le altre cose
che allora erano venute all'esistenza, ed egli così divenne unico.
Ora è il re di tutti gli esseri e lo sarà anche in futuro.
Zeus nacque per primo, per ultimo Zeus dalla vivida folgore;
Zeus è la testa, Zeus il mezzo; tutto si è prodotto da Zeus;
Zeus da solo controlla il compimento di tutti gli esseri, Zeus è la Moira possente;
Zeus è re, Zeus dalla vivida folgore il sovrano di tutte le cose;
li nascose tutti e poi alla luce dispensatrice di gioia
li fece salire dal suo cuore sacro, terribili atti compiendo. »
(Papiro di Derveni. Traduzione di Paolo Scarpi, in Le religioni dei misteri vol.1 p.369)

Il testo di Derveni coincide per molti contenuti con un altro, presente nel trattato titolato Sul mondo (Peri kosmou) datato alla prima metà del I a.C.[45] e attribuito allo [pseudo]-Aristotele:

« Zeus nacque per primo, Zeus dalla fulgente folgore è l'ultimo;
Zeus è la testa, Zeus il mezzo: da Zeus tutto è compiuto;
Zeus è il fondo della terra e del cielo stellante;
Zeus nacque maschio, Zeus immortate fu fanciulla;
Zeus il soffio di tutte le cose, Zeus è lo slancio del fuoco infaticato.
Zeus è la radice del mare, Zeus è il sole e la luna;
Zeus è il re, Zeus dalla fulgente folgore è il dominatore di tutte le cose:
infatti, dopo aver nascosto tutti, di nuovo dal cuore sacro
li sollevò alla luce piena di gioia, compiendo rovine. »
(Pseudo-Aristotele. Sul mondo. Traduzione di Giorgio Colli, 4 [A 71] in Op.cit. vol.1 pp. 195 e sgg.)

Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose:

« La teologia esposta nell'opera del peripatetico Eudemo come se fosse di Orfeo ha taciuto tutto ciò che è intellegibile, in quanto totalmente indicibile e inconoscibile [...] ha posto come principio la Notte, dalla quale inizia pure Omero, anche se non ha reso continua la genealogia. Infatti non si deve accogliere l'affermazione di Eudemo che inizi da Oceano e Teti: infatti egli sembra essere consapevole che pure la Notte è una divinità grandissima, a tal punto che anche Zeus la venera: "Infatti egli temeva di compiere azioni sgradite alla Notte veloce". Ma Omero stesso deve cominciare dalla Notte; invece mi pare di capire che sia stato Esiodo per la prima volta, narrando del Caos ad aver chiamato il Caos la natura inconoscibile dell'intellegibile e compiutamente indifferenziata e a far derivare da lì la Terra come il principio primo, come il principio primo, se così si può dire, dell'intera generazione degli dei; a meno che il Caos non sia il secondo dei due principi, mentre la Terra, il Tartaro e Eros i tre oggetti dell'intuizione ed Eros è al terzo posto, in quanto contemplato secondo un ritorno. Questa espressione è impiegata pure da Orfeo nelle rapsodie: la Terra è al primo posto, in quanto per prima si è solidificata in una massa solida e stabile, il Tartaro a quello intermedio, perché già mosso verso una differenziazione. »
(Eudemo da Rodi. Frammento 150, in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, 28 [1]; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.227)

Un'altra teogonia di stampo orfico è quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico di datazione incerta[46] e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio[47] nel VI secolo d.C.:

  • all'inizio vi è l'acqua (hýdōr ὕδωρ) e la materia (hýlē ὕλη); da questi si condensa la terra ( γῆ);
  • prima di questi non c'è nulla, osserva Damascio, forse perché il "prima" è di natura "indicibile" quindi tramandato segretamente;
  • dall'acqua e dalla terra prese origine un serpente (drákōn δράκων) avente la testa di un toro e quella di un leone e in mezzo tra queste il volto di un dio, aveva anche le ali poste dietro le spalle, il suo nome era Tempo (Χρόνος, Chronos[48]) privo di vecchiaia (agèratos ἀγήρατος), e ma ebbe anche il nome di Eracle (Hēraklēs, Ἡρακλῆς);
  • a questo serpente era congiunta Ananke (Ἀνάγκη, Necessità) incorporea, per natura identica ad Adrastea (Ἀδράστεια), con le braccia aperte a contenere ("ne raggiunge i limiti", peráton) tutto il mondo (kosmoi);
  • Tempo, il serpente, è padre di Etere umido, di Chaos senza limiti e di Erebo nebbioso; in questa triade Tempo genera l'uovo;
  • dall'Uovo nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile, con le ali d'oro, le teste del toro sui fianchi, un enorme serpente sul capo somigliante a tutte le creature selvatiche, questo essere conteneva in sé tutti i semi delle creature future, il nome di questo essere nato dall'Uovo era Protogono, anche chiamato Zeus o Pan (Πάν).

Così il cristiano Atenagora di Atene riassume, nel II secolo d.C., questa teogonia:

« [...] Omero afferma: "L'Oceano origine degli dèi, e la madre Teti", e Orfeo, che per primo scoprì i loro nomi, narrò dettagliatamente le loro nascite, raccontò tutto quanto è stato compiuto da ognuno ed è ritenuto da loro di parlare di teologia in modo del tutto rispondente al vero; anche Omero lo segue molto da vicino, per lo più anche a proposito degli dèi, e fa derivare anch'egli la loro prima origine dell'acqua: "Oceano che per tutti è l'origine". Infatti, secondo lui, l'acqua era il principio di tutte le cose; dall'acqua, poi, si costituì il fango; da entrambi fu generato un essere vivente, un serpente con aggiunta una testa di leone, con in mezzo il volto di un dio, dal nome Eracle e Tempo. Questo Eracle generò un uovo estremamente grande che pieno della forza di chi l'aveva generato, si spezzò in due per uno sfregamento. La parte della sua sommità finì per diventare Cielo, mentre la parte racchiusa in basso diventò Terra; fuoriuscì anche un dio dal duplice corpo. Cielo, unitosi a Terra, generò come femmine Cloto, Lachesi e Atropo, come maschi i Centomani, Cotto, Gige, Briareo e i Ciclopi, Bronte, Sterope e Arge; e dopo averli incatenati, lì precipitò nel Tartaro, avendo appreso che sarebbe stato privato del potere dai suoi figli. Perciò Terra adirata generò i Titani:
E la Terra signora generò come figli i Celesti
a cui danno anche il nome Titani,
in quanto punirono il Cielo stellato »
(Atenagora di Atene. Apologia per i cristiani XVIII; in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, 28 [1]; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.307)

Una ulteriore teogonia orfica emerge dai Discorsi sacri (hieroi logoi, in ventiquattro rapsodie detta anche Teogonia rapsodica)[49], di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C.[50].

  • Tempo (Χρόνος, Chronos) genera Etere e quindi un chásma (baratro, χάσμα) grande che si estende qua e là[51];
  • poi il Tempo per mezzo di Etere forma un "Uovo d'argento";
  • dall'"Uovo d'argento" emerge Fanes (Φάνης, Phanes)[52], ermafrodito, dotato di quattro occhi, con ali d'oro e munito di diverse teste di animali;
  • Fanes regna con Nyx (Notte) sua paredra, madre e figlia, dal potere mantico;
  • Notte genera Gaia e Urano, trasmettendo il potere regale a quest'ultimo;
  • Gaia e Urano generano Kronos che castra il padre strappandgli il potere regale;
  • il seguito è simile alla Teogonia esiodea fino a Zeus che inghiotte Fanes divenendo il Tutto;
  • Zeus riavvia una nuova teogonia, in questo nuovo processo il re degli dèi sposa Demetra che ha una figlia, Persefone, da Persefone, Zeus ha un nuovo figlio Dioniso che sarà protagonista nella nascita del genere umano:
« Presso Orfeo sono tramandati quattro regni: primo quello di Urano, che ricevette Crono[53], una volta che ebbe evirato i genitali del padre; dopo Crono regnò Zeus, che scaraventò nel Tartaro il genitore; in seguito, a Zeus successe Dioniso che, dicono, i Titani gravitanti intorno a lui dilaniarono, per una macchinazione di Era, e si cibarono delle sue carni. E Zeus, colto dallo sdegno, li folgorò e, generatasi la materia dalla cenere fumante da essi prodotta nacquero gli uomini; dunque, non bisogna che facciamo morire noi stessi, non solo come sembra dire il mito, perché siamo in un carcere, il corpo (questo infatti è chiaro), e non lo avrebbe detto affinché restasse segreto, ma non bisogna far morire noi stessi, anche perché il nostro corpo è dionisiaco: infatti noi siamo parte di lui, se è vero che siamo formati dalla cenere dei Titani, che ne mangiarono le carni. »
(Olimpiodoro. Commento al Fedone di Platone; fr. 220 Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, p.509)

Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da un sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi, successivamente, ancora una totalità rappresentata da Phanes (Luce, "vengo alla Luce") androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso, tuttavia dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso il quale, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto[54].

Nota Jean-Pierre Vernant:

« In Esiodo, l'universo divino si organizza secondo un progresso lineare che porta dal disordine all'ordine, da uno stato originario di confusione indistinta fino a un mondo differenziato[55] e gerarchizzato sotto l'immutabile autorità di Zeus. Negli orfici è l'inverso: all'origine, il Principio, Uovo primordiale o Notte, esprime l'unità perfetta, la pienezza di una totalità chiusa. Ma l'Essere di degrada a mano a mano che l'unità si divide e si disloca per far apparire forme distinte, individui separati. A tale ciclo di dispersione deve far seguito un ciclo di reintegrazione delle parti nell'unità del Tutto. Sarà, alla sesta generazione[56], l'avvento del Dioniso orfico, il cui regno rappresenta il ritorno all'Uno, la riconquista della Pienezza perduta. Ma Dioniso non gioca soltanto la sua parte in una teogonia che sostituisce all'emergenza progressiva di un ordine differenziato una caduta nella divisione [...]. Nel racconto del suo smembramento da parte di Titani che lo divorano, della sua ricorstruzione a partire dal cuore conservato intatto, [...] della nascita, a partire dalle loro ceneri, della razza umana [...] lo stesso Dioniso assume nella sua persona di dio, il doppio ciclo di dispersione e di riunificazione, nel corso di una "passione" che impegna direttamente la vita degli uomini perché fonda miticamente l'infelicità della condizione umana al tempo stesso in cui apre ai mortali, la prospettiva della salvezza. »
(Jean-Pierre Vernant. Mito e religione in Grecia antica. Roma, Donzelli, 2009, p. 49-50)

Giorgio Colli non recepisce nella Teogonia orfica un atteggiamento pessimistico nei confronti del mondo:

« Al contrario, la pienezza della vita è il livello di questa poesia. C'è l'abisso tenebroso della notte, il dolore di Dioniso dilaniato dai Titani, ma c'è anche lo splendente Fanes, colui che appare visibile. Il manifestarsi non è degradazione di realtà, ma conquista. La natura è divina, e la sua intuizione è il compito di natura umana compatta, non frantumata nella molteplicità. Il pessimismo si inserisce in questo quadro, e condanna soltanto la vita titanica, l'isolamento nei vincoli individuali, la mancanza di una potenza intuitiva che sappia vedere le immagini sensibili come simboli. La purificazione nei misteri non stacca dalla vita in generale, ma solo dall'esistenza meschina dell'individuo. »
(Giorgio Colli. Orfici. Frammenti in Per una enciclopedia di autori classici. Milano, Adelphi, 1995, pp. 14-15)

La "salvezza" orfica e il bios orphikos (Ὀρφικὸς βίος)

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L'antropogonia orfica del dio Dioniso sbranato dai Titani che vengono quindi fulminati da Zeus e dalla cui fuliggine compaiono gli uomini è al fondamento, per Giovanni Reale di una "vita spirituale"[57].

« In che senso e in che misura questo mito possa costituire la base di una nuova etica è evidente. Esso spiega la costante tendenza al bene e al male presente negli uomini: la parte dionisiaca è l'anima (a cui è legata la tendenza al bene), quella titanica è il corpo (a cui è legata la tendenza al male). Di qui deriva il nuovo compito morale di liberare l'elemento dionisiaco (l'anima) da quello titanico (il corpo). »
(Giovanni Reale. Prefazione in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern. Milano, Bompiani, 2011, p.399 e p. 24)

Il valore dell'anima immortale rispetto al valore del corpo che la imprigiona fa conseguire un nuovo paradigma rispetto ai valori dell'esistenza umana, come ricorda un celebre passo di Platone che cita Euripide:

« Chi sa se il vivere non sia morire
e il morire invece vivere. »
(Euripide, Polydos fr.638 (Platone, Gorgia 492e: davvero non mi stupirei, se Euripide dicesse la verità quando dice...) Traduzione di Giorgio Colli, in La Sapienza Greca, vol.1 p.139)

Ma la morte di per sé non "libera" l'anima immortale. Essa, per le dottrine orfiche, è destinata a rinascere:

« Dato che anche la teologia orfica ci insegna queste cose. O non è forse vero che pure Orfeo tramanda chiaramente simili dottrine, quando, dopo il mitico castigo dei Titani e la nascita da quelli di questi esseri mortali, dice per prima cosa che le anime passano da una vita all'altra periodicamente e che spesso entrano nei corpi umani, ora in uno ora in un altro »
(fr. 224. Proclo Commento alla Repubblica di Platone II, 338 in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p. 515)

Tale liberazione poteva essere conseguita, secondo gli orfici, seguendo una "vita pura", la "vita orfica" (bios orphikos Ὀρφικὸς βίος) dettata da una serie di regole non derogabili, la principale delle quali consiste nell'astinenza dalle uccisioni (Φόνου απέχου) da cui consegue il rifiuto del culto sacrificale e quindi un'alimentazione vegetariana.

« Negli orfici, la condanna radicale del sacrificio, assimilato all'uccisione sacrilega commessa in origine dai Titani, implica un modo del tutto diverso di concepire lo status dell'uomo e, nello stesso tempo, il rifiuto della religione ufficiale. [...] Fatti della stessa materia bruciata degli esseri da cui sono nati, gli umani portano, in virtù della loro eredità titanica, il peso della colpa criminale che ha segnato la loro origine e che li ha destinati a una vita di espiazione. Ma essi partecipano anche di Dioniso, di cui i loro antenati hanno assimilato la carne divorandone una parte. [...] Accettando di sacrificare agli dèi un animale alla maniera di Prometeo, come vuole il culto ufficiale, gli uomini non fanno altro che ripetere, all'infinito, la colpa dei Titani. Rifiutando invece questa pratica, vietandosi di versare sangue animale, evitando l'alimentazione carnea per consacrarsi a una vita purificata dall'ascesi, e nello stesso tempo estranea alle norme sociali e religiose della città, gli uomini si spoglierebbero di tutto ciò che la loro natura comporta di titanico e reintegrerebbero in Dioniso quella parte di loro stessi che è divina. »
(Jean-Pierre Vernant La cucina del sacrificio in terra greca p.56)
« L'omicidio di Dioniso da parte dei Titani viene ad illustrare direttamente il principale insegnamento dispensato da Orfeo: "astenersi dalle uccisioni, dai phonói", con la doppia esortazione di a cessare di mangiare carne e a porre fine all'assassinio di essere umani. Attraverso questo mito, Orfeo insegna agli uomini che bisogna rifiutare qualsiasi sacrificio cruento, dal momento che tale rituale, lungi dal permettere di instaurare delle relazioni con gli dei, riproduce, in forma appena contraffatta, un crimine di cui il genere umano continuerà ad essere partecipe fin quando non avrà riconosciuto definitivamente la sua origine titanica ed avrà iniziato a purificare, grazie al tipo di vita detto orfico, l'elemento divino imprigionato in lui dalla voracità di coloro che, un tempo, hanno sgozzato il giovane Dioniso. »
(Marcel Detienne, Dioniso e la pantera profumata, p.142-3)

Considerando il rifiuto del sacrificio animale e la conseguente alimentazione vegetariana, l'unico atto di servizio divino per gli orfici, come per i pitagorici, resta l'offerta di incenso [58]; vi è anche il rifiuto di mangiare fave e uova[59], e di bere vino[60][61]

  1. « Il primo a introdurre i Titani in un poema fu Omero, il quale affermò che essi sono dei e risiedono nel Tartaro. [...] Appreso da Omero il nome dei Titani, Onomacrito ordinò i "Sacri Misteri" di Dioniso e scrisse nel suo poema che Dioniso patì le sue pene per le mani dei Titani »
    (Pausania, Viaggio in Grecia (Libro VII), VII, 37, 5. Traduzione di Salvatore Rizzo, Milano, Rizzoli, 2001, p.335)
    Su Onomacrito cfr. Erodoto, Historìai, VII, 6,3.
  2. OF, 210 [7], dove vi è anche l'alternativa dei soli Titani resi invidiosi.
  3. Marcel Detiene (Dioniso e la pantera profumata) evidenzia come il gesso sia sovente sovrapposto alla calce viva che è indicata con il termine títanos (τίτανος) ovvero quel genere di cenere (τέφρα) bianca frutto della combustione di qualsiasi calcare. Dal che «in tutte queste tradizioni incontriamo esseri nati dalla terra, e più precisamente formati da quell'elemento terroso mescolato al fuoco indicato, dal loro nome, come títanos, calce viva.»
  4. Una trottola, un rombo, delle bambole articolate, le mele delle esperidi e dei dadi (astragali); OF 34
  5. Clemente Alessandrino, Protrettico II, 17 (OF 34 [1]); anche Arnobio Adv. nation. V, 19 (OF 34 [2]).
  6. La prima attestazione della cottura delle carni del dio è in Eufurione di Calchide, framm. 14 Powell; anche Callimaco framm. 643 Pfeiffer.
  7. Clemente Alessandrino, Protrettico II, 18 (OF 35).
  8. Qui inserire il rovesciamento del procedere sacrificale Vernant ma anche Burkert et alii; anche il sacrificio alle Ὥραι descritto da Filocoro cfr. Ateneo XIV 656a in Ke 235«Quando gli ateniesi sacrificano alle Ὥραι non arrostiscono la carne ma la fanno bollire. A queste dee chiedono di allontanare il caldo e la siccità»
  9. Filodemo di Gadara, Sulla pietà 44; anche Diodoro Siculo (ma qui è Demetra non Rea a raccogliere le membra, sempre che le due divinità non siano identificate) III, 62, 2-8; in Proclo e Olimpiodoro (OF 211 [1-2]) è Apollo a ricongiungere le membre; in Proclo Plat. Tim. 35a (OF 210 [1]) e Clemente Alessandrino, Protrettico II, 18 (OF 35) è Atena che ne raccoglie il cuore.
  10. OF 210 [1-6].
  11. Cfr. Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, 2.IV.
  12. al poema τελεταί
  13. La manducazione delle membra è attestata in Firmico Materno. De errore profanarum religionum 6 (OF 214 [2]).
  14. Cfr.D-K 220.
  15. Il primo collegamento tra la dieta carnea degli uomini e lo sbranamento di Dioniso da parte dei Titani è in Plutarco, De esu carnium, 996 C anche OF 210.
  16. Cfr. Reynal Sorel Orfeo... p.92.
  17. Pindaro, fr. 133,1 Maehler, dice che Persefone deve ottenere dai trapassati una "riparazione per un antico lutto", questo per potergli consegnare una "vita beata"; cfr. Walter Burkert La religione greca, p. 532.
  18. Cfr. Cristopher Riedweg, Orfeo, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol.4. Torino, Einaudi-Il Sole 24 Ore, 2008, p. 1259
  19. «Orfeo, fondatore dell'Orfismo» è l'incipit della voce nell'Oxford Classical Dictionary (trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p.1521), voce firmata da Nils Martin Persson Nilsson, Johan Harm Croon e Charles Martin Robertson. La voce dell'Oxford Classical Dictionary prosegue precisando: «La sua fama di cantore nella mitologia greca deriva dalle composizioni nelle quali erano esposte le dottrine e le leggende orfiche».
    Werner Jaeger evidenzia tuttavia che «nella tarda antichità Orfeo era un nome collettivo il quale più o meno raccoglieva tutto quanto esisteva in fatto di letteratura mistica e di orge liturgiche.» (Cfr. La teologia dei primi pensatori greci, Firenze, La Nuova Italia, 1982, p.100).
  20. Giulio Guidorizzi. Il mito greco, vol.1. Milano, Mondadori, 2009, p.77
  21. « Dicono poi che le donne di Tracia tramavano la sua morte, perché aveva persuaso i loro uomini a seguirlo nei suoi vagabondaggi, ma non osavano passare all'azione per paura dei loro mariti. Ma una volta, riempitesi di vino, attuarono la scellerata impresa. e da quel momento invalse per gli uomini il costume di andare ebbri alle battaglie. »
    (Pausania, Viaggio in Grecia, IX, 30, 5. Traduzione di Salvatore Rizzo. Milano, Rizzoli, 2011 p.243)
    Anche Conone, f. 45 (115 Frammenti orfici nella edizione di Otto Kern)
  22. « Non onorò (il soggetto sottinteso è Orfeo, reduce dalla catabasi) più Dioniso, mentre considerò più grande Elio, che egli chiamo anche Apollo; e svegliandosi la notte sul far del mattino, per prima cosa aspettava il sorgere del sole sul monte chiamato Pangeo per vedere Elio; perciò Dioniso, adirato, gli inviò contro le Bassaridi, come racconta il poeta tragico Eschilo: esse lo dilaniarono e ne gettarono via le membra, ciascuna separatamente; le Muse poi riunitele, le seppellirono nel luogo chiamato Libetra. »
    (fr. 113 in Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, 2011, p.99)
  23. Cfr. Plates in The Derveni Papyrus (a cura di Theokritos Koueremenos, George M. Parássoglou, Kyriakos Tsantsanoglou) in "Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini" 13. Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006, pp.309 e sgg.
  24. Cfr. Angelo Bottini. Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianze archeologiche. Milano, Longanesi, 1992.
  25. Marcel Detienne, cit. in Paolo Scarpi, Le religioni dei misteri, vol.1 nota 695. Milano, Mondadori/FondazioneLorenzo Valla, p.629.
  26. Cfr. Angelo Bottini, Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianza archeologiche. pp. 64 e sgg.
  27. Sulla figura di Dioniso/Zagreus cfr. Il nucleo cretese del mito di Dioniso-Zagreus in Károly Kerényi, Dioniso. Milano, Adelphi, 2011, pp.94 e sgg.
  28. Così la Encyclopedia of Religion (NY, Macmillan, 2005, pp. 6891 e sgg.) avvia la voce Orpheus a firma di Marcel Detienne (1987) e Alberto Bernabé (2005): «In the sixth century BCE, a religious movement that modern historians call Orphism appeared in Greece around the figure of Orpheus, the Thracian enchanter.».
  29. William Keith Chambers Guthrie. I Greci e i loro dèi. Bologna, il Mulino, 1987, pp.370 e sgg.
  30. William Keith Chambers Guthrie. I Greci e i loro dèi. Bologna, il Mulino, 1987, pp.374.
  31. Cfr. Gli sciamani greci e l'origine del puritanismo in I Greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009.
  32. Per una breve introduzione sul processo di colonizzazione greca di questa area cfr. La regione degli Stretti e il Mar Nero in Hans-Joachim Gehrke La Grecia settentrionale; Storia Einaudi dei Greci e dei Romani vol.4. Torino, Einaudi, 1996, pp.985 e sgg.
  33. A differenza quindi di Erwin Rohde che invece ritiene la nozione di anima immortale un'eredità e un adattamento orfico dell'esperienze di possedimento estatico proprie del dionisismo.
  34. Cfr. 62 e sgg.
  35. Le religioni dei misteri vol. I, p.627
  36. Acusilao di Argo visse prima delle guerre persiane, compose la Γενεαλογίαι in cui riportò, modificandola, la Teogonia di Esiodo. Cfr. Felix Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, 1, 1-2; Karl Wilhelm Ludwig Müller, Fragmenta historicorum graecorum I, 100.
  37. VI secolo a.C. Sull'aedo e indovino Epimenide cfr.: Diels-Kranz III, A, 4; Plutarco Vita di Solone XII; Diogene Laerzio Vite.... I, 110; Platone Leggi I, 642 d, e III, 677 d; per la sua teogonia cfr. A. Bernabé, La teogonia di Epimenide. Saggio di ricostruzione in E. Federico e A. Visconti (a cura di) Epimenide cretese Napoli, 2001, pp.195-216; sulla figura G. Pugliese Carratelli, Epimenide in Tra Cadmo e Orfeo, Bologna, Mulino, 1990, pp. 365 e sgg. e Giorgio Colli, La sapienza greca vol.II. La teogonia di Epimenide (Χρησμοί) possiede delle analogie sia con quella esiodea che con quella orfica, individuando le potenze prime nell'Aria e nella Notte, genitrici del Tartaro e quindi del restante cosmo. Taumaturgo, fu anche estatico vivendo al pari di Aristea esperienze di viaggio fuori dal corpo (DK 3). Il dio principale di Epimenide era tuttavia lo Zeus cretese; Plutarco sostiene che lo stesso Epimenide veniva indicato come Κούρης νεός (nuovo Curete).
  38. VI secolo a.C. Autore del poema cosmogonico Επτάμυχος (Le sette caverne, indicato anche come Θεοκρασία o Πεντάμυχος), individua come divinità primordiali ed eterne: Zas (Ζὰς, analogo a Zeus), Chthonie (Χθονίη, poi dopo aver avuto in dono la Terra diviene Gaia) e Chronos (Χρόνος). Dal seme di Chronos, defluirono gli elementi di terra, acqua e fuoco che allocati in sette (o cinque) antri dell'universo furono all'origine della restante generazione degli dèi e quindi del cosmo. La teogonia di Ferecide influì, o fu influenzata, sulle teogonie orfiche e quindi su quelle pitagoriche. Cfr. DK 7. Su Ferecide cfr. Giorgio Colli, La sapienza greca vol.II.
  39. « Uomini nati nel buio della vostra vita, simili alla stirpe caduca delle foglie, essere fragili, impasto di fango, vane figure d’ombra, senza la gioia delle ali, fugaci come il giorno, infelici mortali, uomini della razza dei sogni, date ascolto a noi: immortali e sempre viventi, creature del cielo, ignari di vecchiezza, esperti di indistruttibili pensieri. Ascoltate da noi tutta la verità sulle cose del cielo e la natura degli uccelli, sull'origine degli dèi e dei fiumi, e dell'Erebo e del Caos. Conoscerete il vero, e da parte mia direte a Prodico di andare alla malora, per l'avvenire. In principio c'erano il Caos e la Notte e il buio Erebo e il Tartaro immenso; non esisteva la terra, né l'aria né il cielo. Nel seno sconfinato di Erebo, la Notte dalle ali di tenebra generò dapprima un uovo pieno di vento. Col trascorrere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio: sul dorso gli splendevano ali d'oro ed era simile al rapido turbine dei venti. Congiunto di notte al Caos alato nella vastità del Tartaro, egli covò la nostra stirpe, e questa fu la prima che condusse alla luce. Neppure la razza degli immortali esisteva avanti che Eros congiungesse gli elementi dell'universo. Quando avvennero gli altri accoppiamenti, nacquero il cielo e l'oceano e la terra, e la razza immortale degli dèi beati »
    (Aristofane. Gli uccelli 685-702. Traduzione it. di Dario Del Corno, in Aristofane. Commedie. Milano, Mondadori, 2007, pag. 301)
  40. Paolo Scarpi. Le religioni dei misteri vol. I, p.628; sull'attribuzione orfica del passo di Aristofane cfr. anche Giorgio Colli. La sapienza greca vol.1 p. 394 nota a 4[A 24].
  41. La sopravvivenza di questo testo è del tutto fortuita frutto di circostanze casuali. Questi frammenti del rotolo sfuggiti alle fiamme del rogo funerario sono stati poi utilizzati insieme ad altro materiale del rogo come tumulo. Per un'analisi dei rinvenimenti cfr. Angelo Bottini. Archeologia della salvezza. L'escatologia greca nelle testimonianze archeologiche. Milano, Longanesi, 1992, pp.135 e sgg.
  42. Per l'edizione critica cfr. The Derveni Papyrus (a cura di Theokritos Koueremenos, George M. Parássoglou, Kyriakos Tsantsanoglou) in "Studi e testi per il corpus dei papiri filosofici greci e latini" 13. Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006.
  43. Indica Phanes (Xpóvoq anche Fanes) nato dall'Uovo cosmico, ovvero l'Eros degli Uccelli di Aristofane.
  44. Sul tema dell'"inghiottimento" cfr. 129 e 167 Orphicorum Fragmenta di Otto Kern; in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern. Milano, Bompiani, 2011, p.399 e pp. 431 e sgg.
  45. «La sua stesura potrebbe cadere tra l'edizione dei testi aristotelici da parte di Andronico di Rodi e la traduzione di latina per opera di Apuleio.» Franco Volpi. Dizionario delle opere filosofiche. Milano, Bruno Mondadori, 2000, p.120.
  46. « Tale teogonia [...] è di cronologia assai incerta: contro l'opinione precedente (cf. per es. Zeller I I, 128-129) che la riteneva più tarda della teogonia rapsodica, si è poi affermata la tesi che vada datata tra la teogonia secondo Eudemo (Kern, Ziegler). E se realmente anche questo frammento si può accettare come sua testimonianza, si potrebbe collocarne la data fra il terzo secolo a.C. e il primo secolo d.C. »
    (Giorgio Colli. La sapienza greca, vol.1, p. 413)
  47. De principis 123 bis
  48. Da non confondersi con il titano esiodeo Κρόνος, Kronos.
  49. Riportati in Discorsi sacri in ventiquattro rapsodie; Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, pp. 313-529.
  50. Cfr. Le religioni dei misteri (a cura di Paolo Scarpi). p. 629
  51. Cfr. 66 Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, p.329 e sgg..
  52. Detto anche Protogonos (Πρωτογόνος) in quanto uscito per primo dall'Uovo d'argento, anche Eriképaios (Ἠρικεπαῖος) in quanto androgino e quindi "datore di vita"; "femmina e genitore" cfr. 81 Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, p.341; anche Metis.
  53. Si tratta del titano Kronos (Κρόνος).
  54. Un testo riportante il mito di Dioniso/Zagreus dilaniato dai Titani è, per André-Jean Festugière, in circolazione a partire dal III secolo a.C., cfr. Giovanni Pugliese Carratelli, Tra Cadmo e Orfeo, p.395
  55. Rendiamo qui secondo il testo francese che correttamente riporta «un mondé differencié» (Cfr. Jean-Pierre Vernant. Mythe et religion en Gréce ancienne. Parigi, Édition du Seuil, 1990 p.105); così come nell'originale in lingua inglese pubblicato nel 6° volume della Encyclopedia of Religion nel 1987 per la Macmillan di New York sotto la voce Greek Religion dove per l'appunto viene riportato come «a differentiated world»; questa edizione italiana (Donzelli, 2009) commette invece un refuso di traduzione riportando «mondo indifferenziato».
  56. Qui Vernant segue la lezione del frammento 107 (Proclo. Commento al Timeo di Platone, III, 168) che recita: «Orfeo tramandò secondo il numero perfetto come sovrani degli dei, preposti al governo dell'universo, Fanes, Notte, Urano, Crono, Zeus e Dioniso: infatti Fanes si procura per primo lo scettro; e per primo regno il celebre Erichepeo; per secondo la Notte, che lo ricevette dal padre; per terzo Urano, che lo ricevette dalla Notte; e per quarto Crono, che come dicono soggiogò suo padre con la violenza, per quinto Zeus vinto il padre, e dopo costui per sesto Dioniso» in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, p.375
  57. Cfr. Giovanni Reale. Prefazione in Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern. Milano, Bompiani, 2011, p.399 e p. 23.
  58. Walter Burkert, La religione greca p.540.
  59. Plutarco, Quaestiones convivales, 635 e Macrobio Saturnali VII, 16, 8.
  60. Platone, Leggi, 672 b.
  61. Walter Burkert, La religione greca p.537.