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La religione greca/Le teologie dei filosofi/Amore e Odio: genesi del mondo in Empedocle

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Frammento del I secolo d.C., del poema Περί Φύσεως (Sulle origini[1] o Sulla natura) opera di Empedocle. Dei circa duemila versi che componevano l'opera ne conservavamo, fino a qualche decennio fa, solo trecentocinquanta. Nel 1990 il filologo belga Alain Martin avviò lo studio di un papiro conservato presso la Biblioteca Nazionale e Universitaria di Strasburgo proveniente dall'antica città egiziana di Panopoli (oggi Achmim) databile intorno al I secolo d.C., la traduzione di questo papiro che conteneva per l'appunto l'opera di Empedocle, realizzata dallo stesso Martin insieme al filologo tedesco Oliver Primavesi, ci ha consegnato complessivi settantaquattro esametri dei quali venticinque coincidono con quelli già posseduti.
(IT)
« Ma da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini,
lo sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine. »
(GRC)
« ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων Σφαῖρος κυκλοτερὴς μονίηι περιηγέι γαίων. »
(Emepedocle, D-K 31 B 28, traduzione di Ilaria Ramelli e Agnelo Tonelli, in I Presocratici a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2006-2012, pp. 670-671)
Particolare dell'anfora del IV secolo a.C. (opera del c.d. "Pittore di Afrodite") conservata al Museo archeologico di Paestum. La figura rappresentata è Afrodite, dea della fertilità, e richiama il suo arrivo sull'isola di Cipro: al suo passaggio la vegetazione esplode rigogliosa. La dea è circondata da due eroti con ali di colomba.
In Empedocle, Amore (Φιλότης) è indicato anche con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)[2], o con il suo appellativo di Kýpris (Κύπρις)[3], indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»[4]. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto[5].


« Empedocle occupa un posto a parte nella storia della filosofia presocratica. Se si prescinde da quella figura poco conosciuta e per qualche verso mitica che è Pitagora, egli appare in effetti il primo autore dell'Antichità a voler riunire contemporaneamente in un solo e medesimo sistema concezioni filosofiche e credenze religiose. [....] nessun pensatore prima di lui aveva inserito all'interno di un quadro filosofico questa corrente di idee mistiche delle quali si troverà più tardi l'eco nelle iscrizioni funerarie dell'Italia meridionale e nei dialoghi di Platone: per Empedocle, infatti, come per gli anonimi autori delle iscrizioni funerarie, l'uomo, essendo di origine divina, non raggiungerà la vera felicità che dopo la morte, quando si riunirà alla compagnia degli dèi. »
(Denis O' Brien, Empedocle in Il sapere greco. Dizionario critico, vol.2. Torino, Einaudi, 2007, p. 80)

Empedocle di Agrigento visse nel V secolo a.C., fu filosofo, medico e mistico, partecipò alla vita politica della sua città di origine, militando nel partito democratico. Di questo filosofo siceliota conserviamo due opere: Περί Φύσεως (Sulle Origini o Sulla Natura) e Καθαρμοι (Purificazioni); anche se è stata sollevata l'ipotesi[6], priva di sufficiente fondamento, che questi due titoli si riferiscano a una singola opera[7].

Il timore religioso[8] del filosofo di Agrigento appare fin dalle prime righe del Περί Φύσεως:

« o dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti,
e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente.
E a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia,
io mi rivolgo: ciò che spetta agli effimeri ascoltare,
tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto.
Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria
fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità,
che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza »
(Empedocle Poema fisico (Περί Φύσεως) Libro I Proemio (D-K 31 B 3), traduzione di Carlo Gallavotti. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2013, p.9)

In quest'opera Empedocle si distanzia dai filosofi milesii che lo precedettero i quali identificarono in un unico principio (arché) l'origine di tutte le cose. Le cose, infatti, mostravano di contenere dei contrari e tali contrari dovevano essere non frutto di un'unica "radice" quanto piuttosto essi stessi delle "radici". Empedocle individua quindi in quattro "radici" (ριζώματα) primordiali, non nate (ἀγένητα)[9] ed eternamente uguali (ἠνεκὲς αἰὲν ὁμοῖα)[10], l'origine di ("divengono" γίγνεται) ogni cosa: fuoco (πῦρ), aria (αἰθήρ), terra (γαῖα), acqua (ὕδωρ)[11][12]. Queste "radici" sono indicate dal filosofo come dèi e chiamati col nome di: Zeus (Ζεύς), Era (Ἥρα), Adoneo (Ἀϊδωνεύς)[13] e Nestis (Νῆστις)[14]. In questo modo «I primi principi si empiono così dell'essenza e del soffio vitale di poteri divini.»[15].

Accanto alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, si pongono due ulteriori principi: Φιλότης (Amore) [16] e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince» [17]), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa".

Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων [18]). Egli è Dio e le quattro "radici" le sue "membra", e quando Odio distrugge lo Sfero:

(IT)
« Tutte, l'una dopo l'altra, fremevano le membra del dio »

(GRC)
« πάντα γὰρ ἑξείης πελεμίζετο γυῖα θεοῖο. »
(Empedocle, D-K 31 B 31)

Infatti sotto l'azione dell'Odio (Νεῖκος), presente alla periferia dello Sfero, le quattro "radici" si separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi: prima bisessuate e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi e femmine, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate; alla fine di questo ciclo, Amore (Φιλότης) riprende l'iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e femmine, poi esseri bisessuati che finiscono per riunirsi, con le quattro "radici" che li compongono, nello Sfero[19].

Così, nel poema successivo, Καθαρμοί (Purificazioni), gli esseri viventi, parti costitutive, dello Sfero di Amore divengono dèmoni (δαίμων) errando nel cosmo.

(IT)
« E' vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi
ed eterno, suggellato da vasti giuramenti:
se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto
o se qualcuno 〈per la Contesa〉 abbia peccato giurando un falso giuramento,
i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva,
tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando
nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo
mutando i penosi sentieri della vita.
L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare,
il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi
del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell'etere:
ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano.
Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e vagante
per aver dato fiducia alla furente Contesa. »

(GRC)
« ἔστιν Ἀνάγκης χρῆμα, θεῶν ψήφισμα παλαιόν,
ἀίδιον, πλατέεσσι κατεσφρηγισμένον ὅρκοις˙
εὖτέ τις ἀμπλακίηισι φόνωι φίλα γυῖα μιήνηι,
〈νείκεΐ θ'〉 ὅς κ(ε)ἐπίορκον ἁμαρτήσας ἐπομόσσηι,
δαίμονες οἵτε μακραίωνος λελάχασι βίοιο,
τρίς μιν μυρίας ὧρας ἀπὸ μακάρων ἀλάλησθαι,
φυομένους παντοῖα διὰ χρόνου εἴδεα θνητῶν
ἀργαλέας βιότοιο μεταλλάσσοντα κελεύθους.
αἰθέριον μὲν γάρ σφε μένος πόντονδε διώκει,
πόντος δ' ἐς χθονὸς οὖδας ἀπέπτυσε, γαῖα δ' ἐς αὐγὰς
ἠελίου φαέθοντος, ὁ δ' αἰθέρος ἔμβαλε δίναις˙
ἄλλος δ' ἐξ ἄλλου δέχεται, στυγέουσι δὲ πάντες.
τῶν καὶ ἐγὼ νῦν εἰμι, φυγὰς θεόθεν καὶ ἀλήτης,
νείκεϊ μαινομένωι πίσυνος. »
(Empedocle, D-K 31 B 115, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009, pp.410-411)

« L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del "demone" decaduto? Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento. L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l'Amore. I "demoni" esiliati "lontano dagli dèi" saranno allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la Discordia. »
(Denis O' Brien, Empedocle in La sapienza greca ... p. 90)
« Quando le parti dell'Amore che sono i "demoni" si riuniscono nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio »
(Denis O' Brien, Empedocle in La sapienza greca ... p. 90)

Dal che, come Pitagora, anche a Empedocle ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione carnea:

(IT)
« Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo sangue dei beati», e Empedocle dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità della mente? »

(GRC)
« διόπερ καὶ κτείνοντες αὐτὰ καὶ ταῖς σαρξὶν αὐτῶν τρεφόμενοι ἀδικήσομέν τε καὶ ἀσεβήσομεν ὡς συγγενεῖς ἀναιροῦντες. ἔνθεν καὶ παρήινουν οὗτοι οἱ φιλόσοφοι ἀπέχεσθαι τῶν ἐμψύχων καὶ ἀσεβεῖν ἔφασκον τοὺς ἀνθρώπους 'βωμὸν ἐρεύθοντας μακάρων θερμοῖσι φόνοισιν', καὶ Ἐ. πού φησιν 'οὐ ... νόοιο'. οὐ παύσεσθε φόνοιο δυσηχέος; οὐκ ἐσορᾶτε ἀλλήλους δάπτοντες ἀκηδείηισι νόοιο »
(D-K 31 B 136, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009)

(IT)
« Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto,
lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo
coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo aiclamori
dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa.
E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre
dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni. »

(GRC)
« μορφὴν δ' ἀλλάξαντα πατὴρ φίλον υἱὸν ἀείρας
σφάζει ἐπευχόμενος μέγα νήπιος˙ οἱ δ' ἀπορεῦνται
λισσόμενον θύοντες˙ ὁ δ' αὖ νήκουστος ὁμοκλέων
σφάξας ἐν μεγάροισι κακὴν ἀλεγύνατο δαῖτα.
ὡς δ' αὔτως πατέρ' υἱὸς ἑλὼν καὶ μητέρα παῖδες
θυμὸν ἀπορραίσαντε φίλας κατὰ σάρκας ἔδουσιν. »
(Empedocle D-K 31 B 137, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009)

  1. L'edizione, fondamentale dell'opera di Empedocle la si deve al filologo francese Jean Bollack che nel 1969 tradusse correttamente il titolo come Les Origines.
  2. Cfr. D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71
  3. D-K 31 B73, B 75, B 95, B 98.
  4. Werner Jaeger, La teologia... p. 215.
  5. Werner Jaeger, La teologia... p. 236.
  6. A proporre tale ipotesi fu Catherine Osborne in Empedocles Recycled, The Classical Quarterly 37 (01):24- (1987)
  7. Alberto Jori, Empedocle in Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. 327.
  8. Avverte infatti il Jaeger: «Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori troppo sicuri di sé.» (Werner Jaeger, La teologia ... p. 211).
  9. D-K 31 B 7
  10. D-K 31 B 17
  11. In corrispondenza con le quattro primarie antitesi del caldo, del freddo, dell'asciutto e dell'umido (cfr. Werner Jaeger, La teologia ... p. 214).
  12. Le quattro "radici" di Empedocle risultano essere poi i quattro "elementi" di Aristotele e Tolomeo.
  13. Anche Aidoneo (Ἀϊδωνεύς) è un appellativo proprio del dio degli inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia, 913; o anche inno omerico A Demetra.
  14. Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco conosciuto, si rimanda alla nota 55, p. 173 di Carlo Gallavotti in Empedocle, Poema fisico e lustrale, Milano, Mondadori/Lorenzo Valla, 2013.
  15. Werner Jaeger, La teologia ... p. 214.
  16. Φιλότης non va confuso con φιλία indicando il primo un vissuto più forte (cfr. Ivan Gobry Vocabolario greco della filosofia, p.168).
  17. D-K 31 B 19
  18. D-K 31 B 28
  19. Denis O' Brien, Empedocle pp. 85-6