La religione greca/Premessa

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Apollo Sauroktόnos (Σαυροκτόνος), copia romana dell'originale di Prassitele (IV secolo a.C.) conservata presso il Museo del Louvre (Parigi). Il dio Apollo è stato indicato come il dio greco per eccellenza[1], questo sia per la larga diffusione del suo culto, come dimostrano i due centri di religiosi sovraregionali (Delo e Delfi) a lui dedicati e i numerosi santuari a questi collegati, sia per la diffusione di nomi teoforici indicanti il dio, sia per la numerosità di città coloniali a lui dedicate come "Apollonia", sia per l'ideale del koûros (κόρος, "giovane") che gli appartiene e dà il "suo carattere peculiare alla cultura greca nel suo complesso"[2] e nonostante egli appaia nell'Iliade come nemico degli Achei e alleato dei Troiani. Qui Apollo è identificato come Sauroktόnos, "uccisore della lucertola": nella mano destra il dio doveva reggere una freccia con cui si apprestava a colpire la lucertola, simbolo della malattia, dell'epidemia e del contagio, che si sta arrampicando sul tronco dell'albero[3]. Apollo era infatti appellato anche come Alexíkakos (ἀλεξίκᾰκος) e Epikoúrios (ἐπικούριος), ovvero colui che soccorre gli ammalati e allontana il contagio.

Con l'espressione "religione greca" si indica l'insieme di credenze, miti, rituali, iniziazioni misteriche, teologie e pratiche teurgiche e spirituali[4] professate nella Grecia Antica, sotto forma di religione pubblica, filosofica o iniziatica.

Le origini della "religione greca" vanno individuate nella preistoria dei primi popoli abitanti l'Europa, nelle credenze e nelle tradizioni di differenti popoli indoeuropei che, a partire dal XXVI secolo a.C., migrarono in quelle regioni, nelle civiltà minoica e micenea e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i secoli[5].

La "religione greca" cessò di essere con gli editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore romano di fede cristiana Teodosio I il quale proibì e perseguitò tutti i culti non cristiani professati nell'Impero[6].

L'espressione "religione greca" è di conio moderno. Gli antichi Greci non possedevano un termine che indicava quello che il termine moderno "religione" intende indicare in modo peraltro problematico[7].

Il termine che nella lingua greca moderna indica la "religione" è θρησκεία (thrēskeia). Tale termine è collegato a θρησκός (thrēskos; "pio", "timoroso di Dio"). Quindi anche se nella cultura religiosa greco-antica non esisteva un termine che riassumesse quello che noi intendiamo oggi per "religione"[8], thrēskeia[9] possedeva tuttavia un ruolo e un significato precisi[10]: indicava la modalità formale con cui andava celebrato il culto a favore degli dèi[11]. Scopo del culto religioso greco era infatti quello di mantenere la concordia con gli dèi: non celebrare loro il culto significava provocarne l'ira, da qui il "timore della divinità" (θρησκός) che lo stesso culto provocava in quanto connesso con la dimensione del sacro.

Mario Vegetti[12] accosta al termine moderno di "religione" quello greco antico di eusebeia (εὐσέβεια), ovvero la cura nei confronti degli dèi[13].

Se quindi il termine "religione" non appartiene, neppure etimologicamente, alla lingua greca antica, anche il termine "greco" era del tutto sconosciuto agli antichi Greci. Il termine "greco" origina infatti dal latino Graecu(m), a sua volta dall'etnico Graikoi che, originariamente, indicava solo una popolazione di stirpe eolica proveniente da Tanagra e dall'isola di Eubea la quale colonizzò il Mediterraneo occidentale fondando, in particolare, la città di Cuma. Furono i Romani a estendere il termine Graikoi, da loro reso come Graecu(m), per menzionare tutti i popoli "Greci" originariamente appellati per lo più come "Elleni" (Ἕλληνες, Héllēnes)[14][15].

Ciò premesso, è indubitabile in questa civiltà il ruolo fondamentale ricoperto dall'esperienza religiosa:

« La religione, ha scritto Burckhardt, non era per i greci «al di sopra o accanto alla pólis, perché culto e vita» erano «una sola cosa». O erano quantomeno strettissimamente intrecciati. Ogni pasto, ogni simposio, ogni battaglia cominciava con un sacrificio; ogni assemblea popolare con una preghiera. Gli argomenti di natura religiosa erano in cima all’ordine del giorno. Le sottosezioni della cittadinanza si incontravano attorno agli altari, celebravano i loro culti e poi, per esempio, accoglievano i neonati nelle loro file, offrivano sacrifici e mangiavano solennemente le carni degli animali sacrificati. La volontà degli dèi era accuratamente sondata dai veggenti. Uomini e donne, padri di famiglia e dignitari della comunità non perdevano d’occhio gli dèi e si adoperavano per renderseli benevoli, sia quando c’era una ragione particolare per farlo, sia perché così voleva la regola. »
(Christian Meier, Cultura, libertà e democrazia. Alle origini dell’Europa, l’antica Grecia. Milano, Garzanti, 2009, p.144)

Quindi qualsivoglia aspetto della vita dell'uomo greco aveva sempre e comunque una valenza religiosa, per questo, in quella cultura, non esisteva un termine per indicare la "religione", ovvero una chiara distinzione dell'ambito del "sacro" da quello del "profano"; nozione, la "religione", che nella sua accezione comune e "moderna" non esiste prima del XVIII secolo[16].

Note[modifica]

  1. « Apollo accanto a Zeus è il dio greco più significativo. Su questo punto non vi può essere dubbio alcuno nemmeno in Omero. »
    (Walter F. Otto. Die Götter Griechenlands. Das Bild des Göttlichen im Spiegel des griechischen Geistes. Bonn, 1929; trad.it. Gli dèi della Grecia. Milano, Adelphi, 2005, p. 68)
    Ma anche Martin P. Nilsson in Geschichte der Griechischen Religion I. Monaco 1967; e Walter Burkert, in Griechische Religion der archaischen und klassischen Epoche, Stoccarda, 1977 (in italiano: La religione greca. Milano, Jaca Book, 2003), sostanzialmente concordano.
  2. Cfr. Walter Burkert. Op.cit..
  3. Cfr. Stefania Ratto. Grecia. Milano, Mondadori Electa, 2006, p. 103
  4. Sugli aspetti spirituali delle teologie greche, cfr., ad esempio, Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica. Torino, Einaudi, 2005; ma anche
    « Nei periodi ellenistico e imperiale, il concetto socratico del «prendersi cura di sé» divenne un tema filosofico comune, universale. La «cura di sé» fu accettata da Epicuro e dai suoi seguaci. dai cinici, dagli stoici come Seneca, Gaio Musonio Rufo, Galeno. i pitagorici si interessarono molto al concetto di una vita ordinata e comunitaria. La cura di sé non costituiva una raccomandazione astratta, ma una attività ampiamente diffusa, una rete di obblighi e servigi resi alla propria anima. »
    (Michel Foucault. Tecnologie del sé. in Un seminario con Michel Foucault - Tecnologie del sé. Torino, Boringhieri, 1992. p. 23)
  5. Walter Burkert. op. cit. (cfr. capitolo I), ma anche Mircea Eliade. Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. 1. Milano, Rizzoli, 2006, p. 154: "Non si può dubitare che le tradizioni religiose greche siano stato modificate dalla simbiosi con gli autoctoni, a Creta come altrove nel mondo egeo.". Sulle influenze del Vicino Oriente antico, cfr. in particolare Charles Penglase, Greek Myths and Mesopotamia: Parallels and Influence in the Homeric Hymns and Hesiod, Londra, Routledge, 2005.
  6. Cfr. al riguardo Salvatore Pricoco, in Storia del cristianesimo (a cura di Giovanni Filoramo) vol.1, Bari, Laterza, 2008, pp. 321 e sgg.
  7. A titolo esemplificativo:
    « Definire la religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. E' infatti evidente che, se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima non può avere luogo in assenza di una definizione. »
    (Giovanni Filoramo. Religione in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 621)
  8. Cfr., ad esempio, Paolo Scarpi. Grecia (religione) in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 350.
  9. Ionico.
  10. Questo tuttavia al di fuori del dialetto attico, cfr. in tal senso e per una più approfondita disamina dei termini Walter Burkert, Op. cit. pp. 491 e sgg.
  11. «Tutti questi dati si intrecciano e completano la nozione che la parola thrēskeia evoca di per sé stessa: quella di 'osservanza, regola della pratica religiosa'. La parola si ricollega a un tema verbale che denota l'attenzione al rito, la preoccupazione di restare fedeli a una regola.» Émile Benveniste. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, voll. II. Torino, Einaudi, 1976, p.487.
  12. Mario Vegetti. L'uomo e gli dei in L'uomo greco (a cura di Jean-Pierre Vernant). Bari, Laterza, 2009, pag.259.
  13. Cfr. Platone. Eutifrone 12e.
  14. Cfr., ad esempio, lo Knaurs Großer Religionsführer curato da Gerhard J. Bellinger e pubblicato dalla Droemer Knaur di Monaco nel 1986, edito in italiano dalla Garzanti nel 1989 come Enciclopedia delle religioni.
  15. Il nome "Elleni" per indicare i Greci probabilmente non è anteriore al VII secolo a.C.. Omero indica i Greci come Achei, Argivi o Danai. Originariamente "Elleni" era limitato ad una tribù della Tessaglia (cfr. Iliade, II, 683 e sgg.), poi trasferito a Sud nel quadro delle migrazioni dei Dori. Il nome dei giudici nei giochi Olimpici era Hellenodikai (Ἑλληνοδίκαι) che suggerirebbe il suo utilizzo generico a partire da questo ambito. Cfr. Victor Ehrenberg, in Oxford Classical Dictionary 1970; trad. it. Dizionario di antichità classiche. Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 1995, p. 771.
  16. « In other words, there was no sphere of life without a religious aspect. “Church” and “state” were not yet separated, as is the rule in the modern world, with the exception of a number of countries, such as Islamic Iran and Saudi Arabia or the Roman Catholic Philippines. Consequently, there is no Greek term for “religion,” which as a concept is the product of eighteenth-century Europe. This absence also meant that there was no strong distinction between sacred and profane, as became conceptualized only in Western Europe around 1900. The Greeks did not even have a term for "profane", although they had a relatively large vocabulary for "holy". »
    (Jan N. Bremmer. Greek Religione - [Further considerations], in Encyclopedia of Religion, vol.6, 2005, NY, Macmillan, p. 3677)