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Italiano/Imperfetto

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Già il nome – imperfetto – segnala l’aspetto più tipico di questo tempo verbale: “Imperfectum” significava in latino “non compiuto” e infatti anche l’imperfetto italiano esprime un’azione nel passato “non conclusa”, o meglio, un’azione passata nella quale le coordinate temporali (inizio-fine) restano incompiute, cioè inespresse, perché ritenute dal parlante non essenziali per il messaggio.

Si veda il seguente esempio:

Mio fratello Pietro nuotava vicino alla riva.

Il verbo all’imperfetto mette a fuoco solo l’azione del nuotare in un momento imprecisato del passato, ma non veicola nessun tipo di informazione che permetta di dedurre l’inizio o la fine di questa nuotata. Nell’esempio proposto il ricorso all’imperfetto libera, per così dire, l’azione del nuotare dalla referenza alle normali coordinate temporali, la dilata all’infinito, lasciando in primo piano solo un ragazzo che nuota in un momento rimasto indefinito.

Formulando la frase con il passato prossimo o con il passato remoto, si ottiene un effetto molto diverso:

Mio fratello Pietro ha nuotato/nuotò vicino alla riva.

In questo caso il tempo verbale non si limita a mettere a fuoco l’azione del nuotare in un momento del passato più o meno vicino, più o meno attuale per il parlante, ma veicola contemporaneamente l’informazione che ci fu un inizio ed una fine, un “prima” ed un “dopo” a questa nuotata. Il ricorso al passato prossimo o al passato remoto mette in prima piano l’azione del nuotare, ma allo stesso tempo la ancora saldamente ad un sistema temporale rigoroso. Se lo volesse, il parlante potrebbe inserire altre informazioni nella frase (per esempio che Pietro nuotò per tre ore ha nuotato fino alle dieci ecc.), ma ciò non sarebbe niente altro che un’aggiunta e una precisazione di qualcosa che c’è già, cioè della consapevolezza, espressa attraverso la scelta del passato prossimo (o del passato remoto), che il tempo in cui si muove Pietro è un tempo chiaramente definito, fatto di sequenze ordinate su un asse temporale.

Il “disinteresse” tipico dell’imperfetto per la definizione precisa del momento in cui si svolge l’azione è il motivo conduttore che unifica le varie sfumature e i diversi campi di applicazione di questo tempo verbale. In linea generale, si ricorre all’imperfetto per tutte quelle situazioni in cui non è importante o non si vogliono definire le coordinate temporali di un’azione nel passato. In particolare si distinguono vari tipi di imperfetto:

Imperfetto descrittivo

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Per le sue caratteristiche l’imperfetto è il tempo verbale che meglio permette di concentrare l’attenzione dell’ascoltatore lettore sull’oggetto da descrivere, senza distrarlo con informazioni relative alla sfera temporale e dunque estranee all’oggetto stesso. Perciò l’imperfetto è il tempo tipico delle descrizioni:

Era una notte buia e tempestosa, soffiava il vento e da lontano si avvertiva brontolare il tuono.
Era una ragazza sui vent’anni con una figura sottile stretta in un cappotto scuro; portava i capelli sciolti e mi veniva incontro con l’aria distratta di chi è immerso in altri pensieri.

Imperfetto iterativo

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È l’imperfetto che si usa per indicare il ripetersi di un’azione, come fatto occasionale o dovuto ad un’abitudine; spesso lo si trova accompagnato da un avverbio o da un’espressione temporale:

Il gatto, irrequieto, andava e veniva dalla cucina al salotto e quando mi passava davanti, mi rivolgeva dei lunghi miagolii accusatori.
Ogni mattina scendevamo al bar sotto casa per fare colazione. Ordinavamo sempre lo stesso, un macchiato tiepido ed un cornetto, che mangiavamo in piedi, leggendo il giornale.

Talvolta l’imperfetto serve per esprimere il ripetersi di un’azione ad intervalli regolari così ravvicinati, che l’azione alla fine risulta essere duratura ed ininterrotta:

Era da due mesi che la squadra locale non vinceva una partita.

Imperfetto onirico e ludico

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Proprio perché lascia inespresse le coordinate del tempo reale, l’imperfetto si rivela il tempo verbale più adatto per esprimere situazioni, come il sogno ed il gioco, fuori del tempo oggettivo e reale.

Si usa dunque l’imperfetto per raccontare un sogno:

Ho sognato che eravamo in una casa in campagna, dove abitava una donna anziana in compagnia di un cane.
Noi suonavamo alla porta, ma lei da dentro ci gridava di andarcene, perché tanto lei non apriva a nessuno.

E all’imperfetto ricorrono anche i bambini, quando organizzano un gioco:

Facciamo che io ero un cacciatore e tu eri una lepre, io cercavo di sparare, ma tu trovavi una buca e ti nascondevi, così io non ti vedevo più.

Imperfetto narrativo

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È una forma di imperfetto, usato soprattutto nel linguaggio giornalistico, che ha avuto una larga diffusione fra Ottocento e Novecento. Si veda il seguente esempio:

Il pensionato osservava dei movimenti sospetti nelle vicinanze della boutique, allertava la polizia che sorprendeva R.F., mentre tentava di forzare la saracinesca del negozio.

La funzione dell’imperfetto, qui, corrisponde in realtà a quella svolta da un passato prossimo o da un passato remoto, dal momento che si tratta di dar voce a una serie di azioni successive e cronologicamente ben identificabili. Ma l’uso dell’imperfetto serve in questo caso a drammatizzare la narrazione, dilatando la durata delle azioni davanti all’occhio del lettore-spettatore.

Si ricorre a questo tipo di imperfetto anche per descrivere una serie di eventi all’interno di una scrittura formale, come può essere, ad esempio, un rapporto della polizia teso a ricostruire la dinamica di un incidente o una denuncia di sinistro per l’assicurazione:

L’incidente si verificava alle ore 11.15 del giorno 21 maggio. La signora B.Z., domiciliata in Via Rossetti, si trovava a Trieste, all’incrocio fra Corso Italia e Via Imbriani, alla guida del veicolo targato VE 492800. Al momento di svoltare in Via Imbriani, il signor C.M., che conduceva il veicolo targato BE 2895 la superava senza preavviso da destra, costringendola a sterzare bruscamente per evitare lo scontro. Durante questa manovra la signora B.Z. sfiorava un motorino regolarmente posteggiato, provocandone la rottura dello specchietto laterale.

Come si è detto, l’uso dell’imperfetto narrativo è limitato per lo più al linguaggio giornalistico, ma lo si può trovare anche nelle narrazioni, specie di carattere storico, cui conferisce un valore leggermente più enfatico del presente storico:

Il trattato di Chaumont, firmato da Inghilterra, Russia, Austria e Prussia nel marzo del 1814, sanciva l’impegno delle potenze a conservare per vent’anni gli accordi che sarebbero usciti dai trattati di pace. La Quadruplice Alleanza (novembre 1815) riconfermava questo impegno. (da Gaeta, Villani, Petraccone, Storia contemporanea, Principato, 1993)

Imperfetto desiderativo

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È un imperfetto con valore di presente, al quale si ricorre per smorzare in modo garbato la perentorietà di una richiesta.

Signora, cercavo il catalogo della mostra sui Maya (= cerco il catalogo...).
Buongiorno, Signora. Che cosa desiderava? (= che cosa desidera?)

Talvolta è possibile ottenere lo stesso effetto ricorrendo, invece che all’imperfetto, al condizionale presente con valore desiderativo:

Volevo chiederti un favore Vorrei chiederti un favore

(= voglio chiederti un favore).

Imperfetto conativo

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Questo tipo di imperfetto esprime fatti del passato, ancora in una fase di progettazione:

Pensavo di uscire verso le cinque.
Filippo voleva andare in vacanza a Cuba con la sua ragazza.

Visto il carattere di aspettualità dell’imperfetto, cioè il suo non definire i confini temporali dell’azione, resta aperto il dubbio se poi le azioni espresse dall’imperfetto abbiano avuto luogo o no. Solo ulteriori informazioni aggiunte alle frasi (per esempio: “Pensavo di uscire verso le cinque, poi ha chiamato Elisa e abbiamo deciso di incontrarci in città”; “Filippo voleva andare in vacanza a Cuba con la sua ragazza, ma in luglio si sono lasciati e allora lui ha deciso di andare in Sardegna”) potrebbero permettere di capire con sicurezza che cos’è poi realmente accaduto.

Per le sue caratteristiche l’imperfetto può anche esprimere il rischio di accadimento di un’azione:

Per poco non lo investivo.
Ancora dieci minuti di lezione e mi addormentavo sul banco.

In questi casi l’azione non ha avuto luogo, ma l’uso dell’imperfetto, dilatandola, amplifica la sensazione di rischio imminente comunicato dalla frase.

Imperfetto irreale

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Nelle ipotetiche dell’irrealtà possono comparire nella lingua parlata due indicativi imperfetti al posto del congiuntivo trapassato e del condizionale passato:

Se finivo il lavoro, te lo dicevo (= Se avessi finito il lavoro, te l’avrei detto.)

Tale forma viene tollerata in quanto errore comune nel parlato quotidiano, è quindi fortemente sconsigliata.