Torah per sempre/Joseph Dov Soloveitchik e la Torah a priori

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro

Nato in Pruzhany, Bielorussia (a quel tempo sotto l'Impero russo), in una importante famiglia di rabbini mitnaged,[1] Joseph Dov Soloveitchik (1903-1993)[2] studiò il Talmud con suo padre, Moshe Soloveitchik. Ci furono anche altre influenze; era attratto dal calore della preghiera chassidica e sua madre gli leggeva Ibsen, Pushkin, Lermontov e Bialik. Quando se ne andò a Berlino a studiare nel 1924, aveva imparato la dialettica talmudica, con un'infarinatura di chassidismo nonostante la forte tradizione mitnaged della famiglia, e fatti i primi passi nella cultura generale europea. I suoi insegnanti a Berlino inclusero Tonya Lewit, che sposò; tra i suoi amici ci fu Alexander Altmann, con cui studiò gli scritti di Hermann Cohen, Edmund Husserl e Max Scheler. Parte della ricca diversità della vita culturale ebraica che incontrò nella Germania Weimar è rivelata nelle memorie di Gershom Scholem,[3] Hillel Goldberg[4] e altri contemporanei che influenzarono profondamente l'ebraismo del tardo ventesimo secolo.

Soloveitchik lasciò la Germania e si stabilì negli Stati Uniti nel 1931 dopo aver presentato la sua tesi dottorale sull'epistemologia di Hermann Cohen alla facoltà di filosofia dell'Università Friedrich-Wilhelms a Berlino.[5] Dopo la morte di suo padre nel 1941, insegnò Talmud alla Yeshiva University di New York. Insegnò Halakhah, scrisse di filosofia e sviluppò un stile omiletico stimolante, maggiormente evidente nelle sue eulogie e nelle lezioni tenute annualmente per l'anniversario della morte del padre.

Il suo testamento filosofico principale è il saggio in ebraico del 1944 Halakhic Man (Ish hahalakhah).[6] Influenzato dalla tipologia di Max Scheler (1874-1928) dei capi esemplari come santi, saggi, eroi e conoscitori, creò una tipologia umana in tre parti:

  1. L'Uomo Scientifico (cognitivo, obiettivo) cerca di misurare, scoprire, controllare.
  2. L'Uomo Religioso (soggettivo) cerca mistero e la conservazione del "rapporto dinamico tra soggetto e oggetto".
  3. L'Uomo Halakhico colma il divario tra i due. Né trascendente né superficiale, l'Uomo Halakhico "viene con la Torah, datgli al Sinai... come un matematico che forma un mondo ideale e lo usa per stabilire una relazione tra se stesso e il mondo reale".
Hayim Soloveitchik
Hayim Soloveitchik

Soloveitchik modellò l'"Uomo Halakhico" su suo nonno, Hayim Soloveitchik (1853-1917). "Reb Hayim" era rinomato per il suo sviluppo della dialettica talmudica, conosciuta come il "Brisker derekh (modo)",[7] che ebbe a dominare lo studio talmudico nelle yeshivah lituane.[8] Una delle sue particolarità è la reificazione dei concetti; Reb Hayim parla delle leggi e dei concetti della Torah come se fossero oggetti metafisici, che fruiscono di un'esistenza apparentemente indipendente dal mondo e dall'umanità — una delle sue espressioni caratteristiche è ḥeftsa dedina, letteralmente "l'oggetto-legge".[9] Lo stesso Reb Hayim potrebbe non essere stato consapevole delle implicazioni filosofiche di ciò che per lui era probabilmente nient'altro che un modo conveniente di parlare, ma suo nipote ne assorbì il linguaggio, lo unì al "pensiero puro" di Hermann Cohen e dalla miscela escogitò una filosofia dell'Halakhah che costituiva un reame indipendente a priori che confronta e colma i mondi opposti di scienza e religione.

La nozione platonica di un reame "assoluto" di idee fu sviluppato da Max Scheler, che tentò nel suo saggio del 1926 "Problemi di una Sociologia della Conoscenza"[10] di formare quella che chiamava una sociologia a priori della conoscenza, rendendo la scienza della sociologia indipendente dalla storia:

« questa scienza non ha a che fare con fatti individuali e accadimenti nella storia, ma con regole, tipi medi e logico-ideali e, ove possibile, leggi...
Il compito principale della sociologia è caratterizzare tipologicamente e determinare con regole specifiche un evento sociologico con riferimento a questi due poli, stabilire cosa in questo evento sia condizionato da un autosviluppo autonomo dello spirito, come lo sviluppo logico-razionale della legge o la logica immanente della storia religiosa, nonché ciò che è condizionato dai fattori reali rilevanti sociologicamente, che hanno la loro propria causalità.[11]

secondo me il fine supremo di tutta la sociologia nondescrittiva e nonclassificatoria... è... una legge che governi l'ottenimento dell'ideale e fattori reali nel determinare tutti i contenuti della vita che appartengono a gruppi umani.[12]

evitiamo il relativismo, come fa la teoria di Einstein sulla sua propria base, sollevando il reame assoluto delle idee e valori, che corrispondono all'idea essenziale di umanità, molto oltre i sistemi di valori storici fattivi.[13]

Ho provato... non solo a verificare induttivamente... la suddetta "legge dell'ordine dei fattori causali" nelle tre fasi della storia, ma anche a renderla comprensibile deduttivamente secondo una "teoria delle origini delle pulsioni umane".[14] »

Scheler sbaglia quando asserisce un'analogia con Einstein. La matematica, presa per sé, può essere indipendente da "sistemi di valori storici fattivi", ma le teorie di Einstein erano concepite per stare in piedi o cadere alla luce dell'osservazione e dell'esperimento. La teoria della relatività è una teoria sul mondo reale e cerca di stabilire quale matematica lo modelli meglio; non è una teoria matematica che determina come deve essere il mondo. Einstein e in verità il complesso della scienza moderna, è del tutto opposto all'ideale platonico di una scienza a priori; la scienza moderna è un processo "dal basso all'alto" piuttosto che "dall'alto al basso". Scheler e Soloveitchik, tuttavia, come Hermann Cohen e altri filosofi idealisti, preferiscono lavorare dall'alto al basso; la teoria, non l'osservazione empirica, determina la loro opinione del mondo.

Il concetto dell'Halakhah da parte di Soloveitchik come un sistema a priori lo rende immune alla storia;[15] come la geometria non è influenzata dalle circostanze storiche della sua scoperta, o dal fatto empirico che nessuno può riuscire a tracciare circoli perfetti, così l'Halakhah rimane indifferente alla storia di come sia diventata quello che è, o ai problemi della sua attuazione nel mondo reale. Tuttavia questa immunità paga il prezzo di rimuovere i testi di Torah e Talmud dai contesti sociali e storici in cui vennero formulati e che determinano il loro significato, punto sottolineato da Rachel Shihor in un saggio eccellente pubblicato nel 1978.[16]

L'Ermeneutica della "Torah"[modifica]

In Brisk, Berlino e Boston, Soloveitchik venne a contatto con tre culture molto differenti, ognuna delle quali, una volta assobita, rimase con lui per tutta la vita. Le sue opere halakhiche, filosofiche ed omiletiche, la sua oratoria quanto le sue opere letterarie, sono ricchi campi intertestuali in cui la tradizione rabbinica lituana con la sua intertestualità interna si intreccia con filosofia, scienza, cultura generale e storia ebraica presente e passata. Hans-Georg Gadamer osservò: "La riflessione ermeneutica si limita ad aprire nuove possibilità di conoscenza che non verrebbero percepite senza di essa. Di per se stessa non offre criteri di verità."[17] Soloveitchik usò la sua formazione filosofica tedesca quale chiave ermeneutica per capire la natura della Torah; che luce getta questo sul suo concetto di Torah min hashamayim?

Hans-Georg Gadamer, ritratto
Hans-Georg Gadamer, ritratto

Gadamer commenta sulle difficoltà provate da pensatori del diciannovesimo e primo ventesimo secolo di fronte alle certezze di un mondo precedente:

« Come l'estraneità (Fremdheit) che l'età della meccanica ha provato verso la natura ed il mondo ha la sua espressione epistemologica nel concetto di autoconsapevolezza e nella regola di certezza sviluppata metodologicamente, di "percezione chiara e distinta", così anche le scienze umane del diciannovesimo secolo provarono una pari estraneità rispetto al mondo storico. Le creazioni spirituali del passato, l'arte e la storia, non appartengono più al dominio evidente del presente ma sono piuttosto oggetti lasciati alla ricerca, dati da cui un passato si concede di essere rappresentato.[18] »

La frase importante qui è "estraneità rispetto al mondo storico". La "nuova scienza" di Soloveitchik – quella dell'Halakhah pura e autolegittimante – lo rende un "estraneo" nel mondo storico reale, cosicché il mondo dell'Halakhah si confronta col mondo dell'esperienza normale. Tuttavia Soloveitchik non abbandona il mondo alla ricerca, come "dati da cui un passato si concede di essere rappresentato", ma piuttosto afferma il suo "Uomo Halakhico" come un collegamento vitale tra il mondo in cui la storia è attuata e il mondo della religione trascendente.

I filosofi ebrei dell'antica Alesandria interpretavano la Torah come nomos (legge) ed i rabbini fecero progredire la nozione con la loro enfasi sull'Halakhah. Soloveitchik estende il processo all'estremo; ogni espressione della Torah è per lui un aspetto dell'Halakhah. Quando affronta il dibattito perenne del perché cose cattive accadano a gente buona, costruisce la sua risposta su una "semplice soluzione halakhica", che "la sofferenza viene ad esalater l'Uomo, a purificarlo e santificare il suo spirito".[19] Classificare ciò come una affermazione halakhica per poi procedere ad interpretare Giobbe come manuale halakhico, vuol dire estendere il concetto di Halakhah fino ad un punto tale che non può più essere distinto dall'Aggadah.

Probabilmente è questo concetto esteso di Halakhah che aveva in mente quando scrisse le sue parole spesso citate:

« Quando l'uomo halakhico si avvicina alla realtà egli viene con la sua Torah, datagli al Sinai, in mano. Si orienta verso il mondo attraverso statuti fissi e principi solidi... forniti di regole, giudizi e principi fondamentali, si avvicina al mondo con un rapporrto a priori. A chi lo possiamo paragonare? Ad un matematico che modella un mondo ideale e poi lo usa con lo scopo di stabilire una relazione tra questo ed il mondo reale... L'essenza dell'Halakhah, che fu ricevuta da Dio, consiste nel creare un mondo ideale e riconoscere il rapporto tra quel mondo ideale e la nostra condizione concreta... Non esiste fenomeno... che l'Halakhah a priori non approcci col suo standard ideale... Quando l'Uomo Halakhico incontra una sorgente che ribolle... egli già possiede un rapporto fisso, a priori, con questo fenomeno reale... desidera coordinare il concetto a priori con il fenomeno a posteriori.[20] »

Forse, come hanno indicato alcuni, l'analogia con la matematica è solo una metafora; da un punto di vista filosofico è molto difficile vedere come le proposizioni contingenti dell'Halakhah possano essere considerate a priori. Tuttavia l'intenzione è chiara: Soloveitchik desidera conferire al sistema dell'Halakhah proprio quell'invulnerabilità alla storia che pensa sia caratteristica delle scienze logiche e matematiche.

Rudolf Otto
Rudolf Otto

Rudolf Otto (1869-1937) successe a Herman Cohen quale professore a Marburgo nel 1917. Otto, col suo influente Das Heilige ("Il Sacro"), cercò di porre le fondamenta ad un a priori religioso, distinto dai semplici sentimenti. Asserì di identificare in religioni differenti una percezione di "creatura", un senso di assoluta dipendenza da ciò che era "totalmente Altro", completamente trascendente la sfera mondana. Per questo, il sacro, usa il termine "numinoso", dal latino numen usato per trasmettere volontà, potenza, o maestà divina. Il senso del numinoso, del mysterium tremendum, è per Otto un mezzo sopra-razionale di apprendimento; non è irrazionale, non contraddice la ragione, ma produce una conoscenza che non può essere ottenuta mediante la facoltà razionale. Il Sacro è per Otto una categoria a priori:

« il "sacro", nel senso più pieno della parola è una categoria combinata, complessa, gli elementi che la combinano essendo i suoi componenti razionali e non-razionali. Ma in entrambi – e l'asserzione deve essere mantenuta strettamente contro tutto il sensazionalismo e naturalismo – è una categoria puramente a priori.[21] »

Soloveitchik disapprovò l'antinomismo caratteristicamente protestante di Otto[22] ma fu attratto dal suo concetto di santità, sebbene cercasse di distanziarsi dalla sua "religiosità":

« La santità consiste di una vita ordinata e fissata in accordo con l'Halakhah e trova il suo completamento nell'osservanza delle leggi relative all'esistenza biologica umana, come le leggi sulle relazioni sessuali proibite, i civi proibiti e precetti simili. E non fu per niente che Maimonide includesse queste proibizioni nel suo Libro della Santità. La santità è creata dall'uomo, da carne e sangue.[23] »

Dice che secondo la prospettiva ebraica l'idea di santità non sta per una trascendenza che è rimossa il più possibile dalla realtà;[24] è invece la contrazione (tzimtzum) del trascendente nell'ambito dell'Halakhah; l'Halakhah cioè è il canale attraverso il quale il trascendente entra nel mondo "reale".

Otto cerca rifugio nell'a priori dalla vulnerabilità dei concetti religiosi di santità e trascendenza alle accuse di condizionamento e relatività sociale e storica fatte contro di loro da sociologi della religione come Max Weber. In modo analogo, Soloveitchik cerca rifugio nell'a priori dalla vulnerabilità dell'Halakhah sia alla dimostrazione degli storici che l'Halakhah ed i suoi testi si sono evoluti in risposta a mutevoli circostanze sociali, economiche e storiche, nonché all'accusa teologica che essa non è vincolante nel tempo e in tutti i luoghi.

Critica Storica[modifica]

Durante gli anni di Berlino, se non prima, Soloveitchik deve essere diventato familiare coi problemi posti alla fede tradizionale dalla critica storica della Bibbia. Certamente, come abbiamo visto in PARTE III.6, queste materie erano ampiamente discusse dagli intellettuali ebrei ortodossi; figure importanti come Hoffman e Breuer tentarono di confutare apertamente l'"Alta Critica" durante il Rabbinerseminar di Berlino; Jehiel Jacob Weinberg, ultimo decano del Seminario berlinese, era strettamente associato allo studioso cristiano Paul Kahle e Weinberg e Soloveitchik di sicuro si incontrarono.[25] Soloveitchik tuttavia non si impegna mai nella critica storica, sia perché la trova troppo sgradevole o perché che in effetti ha eluso il problema mediante la sua interpretazione della Torah come sistema a priori; la Torah per lui è semplicemente un "dato" che può analizzare e definire ma non interrogare.

Ovviamente, deve concedere che ci sia un qualche componente umano nella Torah, ampiamente concepito. Nello splendido saggio che compose come memoriale alla moglie Tonya, Soloveitchik distingue due tipi di allegoria nel Cantico dei Cantici:[26]

  • L'allegoria storico-metafisica rappresenta il vero rapporto tra Dio e Israele come è stato (e sarà) nella storia; questa è la linea seguita in midrash, Targum, Rashi, Kuzari, Ibn Ezra.
  • L'allegoria universale-metafisica punta al rapporto ideale tra il popolo e Dio; questo è l'approccio di Rabbenu Bahya, Maimonide[27] e Kabbalah.

Questo è piuttosto come la distinzione che fa spesso tra goral e ye`ud, la (reale) sorte di Israele nella storia ed il suo destino (ideale).[28] Alla pari di Platone, Soloveitchik concepisce l'ideale come veramente reale e l'effettivo o storico come un'approssimazione transitoria. Poiché in questa analisi il "reale" sfugge alla storia, esso può essere assimilato alla struttura a priori.

Il Problema della Torah Orale[modifica]

I quattro libri "Shiurim" di J.D. Soloveitchik - עברית: רביעיית סיכומי השיעורים של הגרי"ד סולוביצ'יק שיצאו מטעם עמותת "מאוצר הרב" - עבודה שבלב, אדם וביתו, זמן חירותינו ומן הסערה
I quattro libri "Shiurim" di J.D. Soloveitchik - עברית: רביעיית סיכומי השיעורים של הגרי"ד סולוביצ'יק שיצאו מטעם עמותת "מאוצר הרב" - עבודה שבלב, אדם וביתו, זמן חירותינו ומן הסערה

Si arriva ad un punto cruciale in cui stare al di sopra della realtà storica mondana non è semplicemente poco saggio ma impossibile. Se la Torah è equiparata all'Halakhah, che a sua volta è concepita a priori, cosa si può dire allora della tradizione della "Torah Orale", che indubbiamente include non solo l'interpretazione biblica, ma anche la legislazione iniziata dai rabbini? Come può quello che i rabbini hanno legiferato contingentemente essere a priori?

Soloveitchik affronta questo problema in una digressione halakhica che dimostra ancor meglio delle sue opere filosofiche come egli comprenda la Torah, inclusa la Torah Orale. La materia trattata è la determinazione del calendario. La "legge della Torah", come interpretano i rabbini in Esodo 12,2, è che la Grande Assemblea (Sinedrio) di Gerusalemme, quale erede do Mosè, valuti le prove visive in merito all'apparizione della Luna Nuova e su tale base proclami il mese nuovo; in aggiunta, la Grande Assemblea valuta la crescita della colture e decide se sia necessario intercalare un mese per assicurare che Pesach (Pasqua) non cada troppo presto.

Ma cosa succede quando a Gerusalemme non c'è la Grande Assemblea, o anche quando lì non c'è proprio nessuna assemblea?

Maimonide ha a lungo affrontato il problema nel suo primo Libro dei Comandamenti e di nuovo nel suo grande codice Mishneh Torah,[29] basandosi sulla distinzione nel Talmud tra kidush al pi re`iyah (determinazione[30] sulla base dell'osservazione) e kidush al pi ḥeshbon (determinazione per calcolo).

Soloveitchik sostiene che, per Maimonide, il due modi di fissare il calendario dipendono da due radicalmente differenti ḥaluyot dinim, modi in cui una legge possa "sistemarsi al suo posto".[31] Che il mese sia fissato tramite osservazione o calcolo, si richiede sempre una procedura formale dell'assemblea; il nuovo mese calendariale non è mai una semplice conseguenza automatica della posizione della luna. La santità (etsem kedushat hayom) dei giorni di festività dipende dai mesi che sono fissati da[l popolo di] Israele in terra [di Israele]. Il calcolo è usato soltanto, come dice esplicitamente il Rambam, per "rivelare la materia", cioè rendere note le date fissate dall'assemblea in terra d'Israele; in assenza di una procedura formale, non stabilisce quando inizi il mese.

La Grande Assemblea di Gerusalemme funziona in due modi. Riguardo al decidere le leggi della Torah, l'Assemblea è la Torah Orale (hem ikar torah shebe`al peh); è autorizzata da Deuteronomio 17,8 a creare ḥeftsah shel hora`ah ("oggetto di decisione"—notare la reificazione della legge). Tuttavia, in materie che necessitano il consenso del popolo, la Grande Assemblea rappresenta il popolo di Israele. Soloveitchik adduce numerose prove che il fissaggio dei mesi appartiene in questa seconda categoria, in cui l'assemblea rappresenta il popolo di Israele nel suo complesso; il fissaggio calendariale ha una funzione rappresentativa autorizzata da Numeri 11,16-17 e in tale misura è una procedura formale, ma non è una decisione legale.

Fissare per osservazione e fissare per calcolo differiscono in due maniere: fissare per osservazione richiede una decisione formale; fissare per calcolo funziona semplicemente con tutto Israele che osserva le festività.

Fissare per osservazione, essendo una decisione formale, può essere eseguita solo da un'assemblea, anche se l'assemblea stessa non agisce per se stessa, ma per conto di tutto Israele. Fissare per calcolo viene attuato dall'intero popolo di Iraele che osserva le festività sulla base del calendario calcolato.

Qui Soloveitchik arriva al fulcro della sua argomentazione e presenta un punto di un certo interesse filosofico. Segue da ciò che è già stato stabilito, che un'assemblea che fissa il calendario non lo fa nella sua capacità di Grande Sinedrio che dispensa legge a Israele, ma piuttosto con un ente competente in decisioni legali (hora`ah) e qualificato, mediante tale competenza, ad agire come fosse l'intero Israele; questa è la base su cui la più alta assemblea rimasta in terra di Israele continuò a fissare i mesi dopo la caduta del Sinedrio. Fu di certo la continuazione della tradizione che riporta a Mosè e costituì tale tradizione; in verità creò la Torah Orale.[32]

Questo potrebbe sembrare come se Soloveitchik stesse adottando la posizione degli storici che i saggi adattarono la Torah alle necessità di ciascuna generazione e giustificasse il processo come Torah valida, ma in realtà ciò a cui sta puntando è qualcosa di molto diverso e completamente astorico, come diventa chiaro nella sua analisi del concetto di tradizione (masorah) nella sezione finale. La tradizione, dice, non è una questione di trasmissione affidabile, di evidenza di ciò che fu trasmesso al Sinai; non è soltanto una forma passiva di apprendimento. Infatti ci sono due aspetti nella Torah Orale:

Primo, i saggi conservarono la Torah Orale ricevuta al Sinai, quindi possediamo veramente la Torah Orale ricevuta da Mosè. (Non offre prove, né fornisce particolari di quello che tale Torah Orale possa comprendere).

Secondo, la ricezione della tradizione non è semplicemente un atto passivo di apprendimento, ma "porta alla luce la categoria di tradizione e ricezione".[33] Pertanto, chiunque neghi l'autorità di chi sta nella linea della tradizione, anche se accetta la sostanza della tradizione, è un eretico.

Questo secondo aspetto è proprio un'interpretazione nuova della natura della Torah Orale. Non è più solo una tradizione autentica nel senso storico; è (almeno in parte) un nuovo oggetto metafisico creato dai saggi in ciascuna generazione.

Chiaramente, questo problema è importante per Soloveitchik, altrimenti non lo avrebbe sviluppato così a lungo né introdotto la questione dell'eresia. Forse la forza di tale sentimento indica che sta riempiendo una delle lacune più serie nella sua comprensione dell'Halakhah. Il suo concetto di Halakhah quale sistema a priori potrebbe avere credibilità se uno vede l'Halakhah come creazione divina indipendente da fattori umani, sovrapposta alla storia. Ma se questo è vero della rivelazione al Sinai, che può quindi essere interpretata come una "quantificazione" di "verità eterne", come si può applicare al processo apparentemente molto umano dei rabbini che interpretano la Torah in ciascuna generazione? La sua risposta sembra essere che la Torah Orale, come definita attivamente dai rabbini, è un'ulteriore quantificazione delle "realtà" halakhiche che costituiscono l'essenza della Torah rivelata.

È indubbiamente un passo audace da parte di Soloveitchik assimilare la Torah Orale e quella Scritta al suo sistema a priori. Era certamente consapevole degli studi storici moderni sul periodo rabbinico e ancor più consapevole delle riserve da parte dei rabbini medievali, non ultimo Maimonide stesso, riguardo al reale contenuto della Torah Orale; tuttavia Soloveitchik ignora tutto ciò nel formulare come dottrina vitale dell'ebraismo la convinzione che la Torah Orale ora in nostro possesso sia identica a quella rivelata a Mosè sul Monte Sinai, o almeno una sua "quantificazione". La sua omiletica rivela ulteriori implicazioni di tale posizione, sviluppata anche nei suoi successivi discorsi halakhici.[34]

Filosoficamente, si capta qui una risonanza con Hermann Cohen. Nel suo Logik der reinen Erkentniss Cohen esplicò il concetto di "origine", che poi usò in Religion der Vernunft aus den Quellen des Judentums quale base della sua affermazione di "originalità" (Ursprünglichkeit) dell'ebraismo. La reazione dellUomo alla rivelazione dall'Origine, cioè Dio, costituisce il processo scientifico di riconoscere i concetti dell'Origine. Per Cohen non era difficile visualizzare questo come processo storico di rivelare verità a priori che sono loro stesse indipendenti dalla storia, ma queste verità sono altamente generali, come quella di amare il tuo prossimo; il resto della Torah tradizionale era, secondo lui, legato alla cultura e impermanente. Per Soloveitchik, l'Origine diventa Torah, il cui contenuto viene rivelato gradualmente attraverso l'apprendimento della Torah basato su concetti insieme all'attività creativa dei guardiani legittimi della Torah Orale, cioè i rabbini; i concetti fondamentali della Torah sono di per se stessi immutabili e anche se in un certo senso il loro riconoscimento si evolve attraverso la storia, il sistema halakhico ricevuto ne viene quindi potenziato invece che invalidato. Se a livello teorico esiste qualcosa di comune tra Cohen e Soloveitchik, a livello pratico rimangono totalmente separati.

Conclusione[modifica]

Secondo Soloveitchik, il concetto di Torah come essenzialmente Halakhah e di Halakhah come a priori, articola la sua reazione verso la critica storica ed il relativismo. È un'elegante riformulazione della Torah e riporta l'Halakhah ad un posizione centrale. Tuttavia, manca di riconsiderare questioni storiche genuine, non fa giustizia all'impostazione socio-storica dell'Halakhah e ignora fasce intere di materiale tradizionale che resiste la reclusione nella morsa halakhica.

È problematico anche da un punto di vista filosofico. Che cosa intende veramente Soloveitchik con "a priori"? Non offre definizioni, soltanto un'analogia con la matametica. Anche se ignoriamo critiche filosofiche generiche del concetto di "a priori", ci ritroviamo col problema di Kant se ci possano essere giudizi sintetici a priori. Anche se accettiamo l'opinione kantiana che l'etica può derivarsi da un singolo giudizio sintetico a priori, che Kant specifica, sarebbe difficile trovare un giudizio paragonabile dal quale derivare il sistema di Halakhah — Soloveitchik comunque non lo fa; forse vuole che consideriamo ciascun concetto halakhico come giudizio indipendente sintetico a priori, ma non lo dice, né offre una lista di concetti halakhici che pensa siano a priori; anche se lo facesse, come potrebbe derivarne la reale Torah Scritta e Orale? Filosoficamente, il suo presupposto che la Torah consista di un'Halakhah a priori è del tutto incoerente.

Quando Mendelssohn (PARTE IV.1) sosteneva che la Torah fosse "legislazione rivelata" sapevamo di cosa stesse parlando e anche a quali passi della Bibbia si stesse riferendo; potevamo quindi fare la domanda, a cui Mendelssohn stesso rispose, se quella legislazione fosse applicabile oggi, agli ebrei o a chiunque altro. Ma quando Soloveitchik ci dice che la Torah consiste di concetti halakhici a priori, non abbiamo altro che una vaga nozione di quello che significa, o a quali concetti o testi faccia riferimento. Ha protetto la sua amata Torah dall'accusa di relativismo storico, ma a scapito della coerenza.

Alla fine del precedente capitolo avevamo chiesto se fosse possibile, alla luce di sviluppi moderni, riasserire l'assolutezza della Torah ricevuta, del suo testo e delle sue leggi. Soloveitchik indubbiamente ha fatto la propria asserzione. Tuttavia non è più l'asserzione storica aperta, verificabile, di Maimonide, ma una trasformazione dell'affermazione storica in una metafisica, inverificabile e quindi infalsificabile. Ciò può essere devozione ammirevole, ma è fideismo piuttosto che filosofia, Hamann piuttosto che Kant.

Note[modifica]

  1. Mitnaged "opponente" è un termine applicato dai chassidim agli ebrei tradizionali che rifiutano i loro insegnamenti.
  2. Viene spesso chiamato "Joseph Ber", la forma yiddish di "Joseph Dov", e le sue iniziali riportate come J. B. invece di J. D.
  3. Scholem, From Berlin to Jerusalem; id., Walter Benjamin.
  4. Goldberg, Between Berlin and Slobodka.
  5. Il titolo della tesi è "Das reine Denken und die Seinskonstituierung bei Hermann Cohen".
  6. Le citazioni che seguono sono tradotte dalla versione inglese di Kaplan.
  7. Reb Hayim fu per un periodo il rabbino di Brest-Litovsk in Bielorussia.
  8. Solomon, Analytic Movement. L'originatore del metodo fu probabilmente Jacob Isaac Reines (1839-1915), ma la "reificazione" è esclusivamente di Reb Hayim.
  9. Solomon, Analytic Movement, 177, 180,184-8, 194-5.
  10. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 166-200.
  11. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 168-9.
  12. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 169. A p. 171 usa questa idea per criticare Hegel che "sostiene che il corso della storia culturale è un processo puramente spirituale determinato dalla sua stessa logica".
  13. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 174.
  14. Scheler, On Feeling, Knowing and Valuing, 193.
  15. Si vedano le osservazioni su Breuer in PARTE III.6.
  16. Shihor, "On the Problem of Halakhah's Status", 30-1.
  17. H.-G. Gadamer, Kleine Schriften iv.130, citato in Weinsheimer, Gadamer's Hermeneutics, I.
  18. Gadamer, Warheit und Methode 4 (Tubinga: Mohr, 1975), 61, citato in Weinsheimer, Gadamer's Hermeneutics, 4.
  19. Soloveitchik, Kol dodi dofek, 13.
  20. Halakhic Man, 19-20. "Quando l'uomo halakhico incontra una sorgente che ribolle..." riporta alla mente il pezzo di Buber "Io considero un albero..." (Io e Tu, ingl. I and Thou, p. 7).
  21. Otto, Idea of the Holy, 129.
  22. Halakhic Man, 9.
  23. Halakhic Man, 46-7. Dà come esempi la conquista della terra, Gerusalemme, ecc.
  24. Halakhic Man, 45.
  25. Weinberg è stato discusso nelle precedenti PARTE II.2 e PARTE III.6. Shapiro, Between the Yeshiva World and Modern Orthodoxy, 195, riporta una conversazione tra Weinberg e Soloveitchik a Berlino.
  26. "Uvikashtem misham", nota 1.
  27. Maimonide, Mishneh Torah, "Hilkhot teshuvah", 20:3; id., Guida iii, 51.
  28. Alle pagg. 10-12 di "Kol dodi dofek" Soloveitchik distingue tra kiyum gorali (esistenza assegnata, cioè esistenza come popolo normale soggetto alle vicissitudini della storia, un'esistenza passiva) del popolo di Israele ed il suo kiyum ye`udi (esistenza vocazionale, come popolo designato da Dio ad una data impresa, un'esistenza attiva).
  29. Mimonide, Sefer hamitsvot, comandamento positivo 153; id., Mishneh Torah, "Hilkhot kidush haḥodesh" 5:2.
  30. Letteralmente "santificazione".
  31. Soloveitchik, "Fixing the Date of Festivals" (in ebr.). Il saggio comprende sette sezioni principali, numerate da 1 a 6 e poi, stranamente, 9, sebbene non sembra manchi nulla.
  32. Kulan mehavot ḥeftsah shel torah shebe`al peh "Tutti insieme fanno esistere un oggetto Tora Orale". Un altro esempio di reificazione; la legge viene trattata come oggetto metafisico.
  33. Mehavah ḥalut sham bifnei atsmo shel masorah vekabalah—ancora reificazione!
  34. Soloveitchik, "Two Types of Tradition" (in ebr.). Vedi in particolare la definizione di due tipi di masoret a p. 228 e la discussione di modi in cui dispute potrebbero essere sorte nell'ambito della Torah Orale.