Torah per sempre/Riepilogo della Parte IV

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Indice del libro
"Talmud Torah", acquaforte di Ephraim Moshe Lilien, 1915
"Talmud Torah", acquaforte di Ephraim Moshe Lilien, 1915

Abbiamo visto come studiosi ebrei in tempi moderni abbiano tentato di riformulare la propria fede consistentemente con i progressi della scienza e del pensiero sociopolitico e come alcune di queste reinterpretazioni si cristallizzino nella forma di commentario biblico.

Moses Mendelssohn presenta la Torah come "legislazione rivelata", scavalcando problemi dottrinali ma minando alquanto i propri argomenti per separare rigorosamente chiesa e stato.

Salomon Ludwig Steinheim nega che la rivelazione comprenda formulazioni di etica o legge; il contenuto della rivelazione sono i quattro principi di: unicità di Dio, creazione, libertà e immortalità dell'anima.

Samuel Holdheim, adottando la posizione che la Scrittura è il riflesso umano del divino, conclude che l'autorità risiede in ragione e coscienza, non nel testo.

Numerosi pensatori riformisti (Krochmal, Formstecher, Samuel Hirsch, Hermann Cohen), stimolati dalla fiducia illuminista nel progresso umano, teologizzano ciò nel concetto di rivelazione progressiva.

Martin Buber riduce ancor di più il "contenuto" della rivelazione, ad un "incontro" tra Dio e l'individuo, non catturato in parole; Franz Rosenzweig salva l'Halakhah, ma non la fede nel dettato divino, asserendo che mitzvot specifiche si rifanno alla pratica del fedele verso "il comandamento", cioè il comandamento dell'amore che nasce dal dialogo tra Dio, Uomo e Mondo.

Abraham Joshua Heschel interpreta la religione come interesse per le questioni "ultime"; "coinvolgimento" nell'esperienza in esame è ciò che conta, non l'indagine storica dei testi.

Per Emmanuel Levinas, al contrario, i testi hanno importanza (sebbene non siano "rivelati" nel senso tradizionale di essere stati "dettati" da Dio). La rivelazione è trascendenza dell'etico, esigendo che ciascun individuo interpreti le proprie responsabilità verso l'Altro; tuttavia la rivelazione è specifica, risultando in un "commentario" di Halakhah e Aggadah che si evolve costantemente.

Dalla parte tradizionale, il concetto di Soloveitchik che la Torah è essenzialmente Halakhah e che l'Halakhah è a priori, articola la sua reazione alla critica storica e al relativismo; la Torah è assoluta, eterna, al di là della storia, colmando il divario tra il mondo percepito attraverso la scienza e il mondo come percepito dal mistico. Abbiamo osservato come il suo concetto di Torah subordini lo storico al metafisico, eludendo la critica storica.

Abbiamo esaminato brevemente la teologia femminista ebraica e delineato una quantità di modi in cui ha modificato o contestato la comprensione tradizionale della Torah.

Abbiamo analizzato le reazioni di quattro pensatori contemporanei preoccupati di "salvare" la tradizione. La nozione di Halivni circa la "Torah maculata" trasferisce la responsabilità delle imperfezioni della Torah sui peccatori; ciò lascia spazio ad una Torah perfetta "originale", ma è intrinsecamente non plausibile e in ogni caso mina la dottrina tradizionale di trasmissione affidabile. I "soprannaturalismo liberale" di Jacobs conferma la nozione di rivelazione divina ma è vaga circa cosa costituisca veramente tale rivelazione, poiché Jacobs rifiuta fermamente la dottrina di un testo dettato divinamente. Kellner cerca di deflettere il problema della giusta fede concentrandosi invece sul popolo ebraico e il loro patto con Dio; gli ebrei sono un popolo perché hanno un sistema legale comune, cioè l'Halakhah. Ross introduce la nozione di "rivelazione cumulativa" dipendente da un consenso della comunità e delle sue autorità halakhiche, proponendo una sottile (e forse incomprensibile) distinzione tra questo e laq "rivelazione progressiva" della Riforma.

Poi siamo passati ad esaminare come sia la teologia tradizionale sia le nuove teologie siano state articolate istituzionalmente attraverso commentari biblici in lingua inglese favoriti da ciascuna delle denominazioni principali.

La conclusione sembra inevitabile che la sola linea di difesa ancora disponibile a coloro che vogliono sostenere le inter-pretazioni rabbiniche e medievali di Torah min hashamayim sia il fideismo, l'accettazione di dottrine per pura fede.

Questo però non è più il fideismo di Agostino, di al-Ghazali o di Judah Halevi. Questi sostenevano che la ragione era inadeguata sia a stabilire o a confutare la verità religiosa, che poteva solo essere acquisita mediante il "mistero" della fede; non asserivano che la fede contraddicesse la ragione, ma che la trascendeva e quindi supplementava la ragione. Il fideista moderno, al contrario, presume (anche se lo nega apertamente) che la fede contraddica la ragione, cioè che porti a credenze che si scontrano con la logica o con l'evidenza empirica, concreta. Questo è il fideismo del convertito cristiano del terzo secolo Lattanzio (ca.240-320, Divinarum institutionum) che, sebbene consapevole delle tre prove aristoteliche sulla sfericità della terra, ciò nondimeno sostenne che era piatta; la saggezza degli antichi, asseriva, non era nulla a paragone della verità della parola di Dio e poiché Genesi afferma che la terra è piatta, la faccenda finisce lì. Questa è una fede assurda, disonesta.

Tuttavia, anche se non possiamo più sostenere l'interpretazione rabbinica e medievale di Torah min hashamayim come dettato letterale di Dio, possiamo però trovare un'interpretazione che sia conforme al pensiero moderno. E ció è quello che tenteremo di fare in PARTE V.