Torah per sempre/Due Torah? Scritture e rabbini
La Mishnah fu completata in Galilea verso il 210 E.V., sotto la direzione di Judah haNasi.[1] Articolava il programma di una delle numerose forme competitive di ebraismo del tempo, ma emerse rapidamente come testo formativo dell'ebraismo specificamente "rabbinico" che sopravvisse dal Medioevo fino ai tempi odierni. Materiale simile, insieme coi commenti, venne raccolto in una compilazione supplementare, la Tosefta. Molto del contenuto di Mishnah e Tosefta, inseme con materiale correlato, fu rielaborato in una serie di midrashim halakhici, o commentari, di Esodo (Mekhilta), Levitico (Sifra), Numeri e Deuteronomio (Sifrei). Questi, insieme ad altri scritti ora perduti, costituiscono i testi tannaitici, e gli insegnanti le cui opinioni vi sono registrate sono noti come tanna`im, ḥakhamim (saggi), o rabbini. Le leggi contenuti in queste opere furono elaborate, applicate nei tribunali rabbinici (Beith Din), insegnate e discusse nelle scuole della Palestina romana, della Babilonia persiana, e infine in altre aree degli insediamenti ebraici. Le discussioni, insieme a materiale omiletico e altro, forma il Talmud. Il Talmud della terra di Israele, completato sotto il dominio bizantino nel 450 circa, è conosciuto come il Talmud gerosolimitano o palestinese (Talmud Yerushalmi); quello di Babilonia, completato verso il 600 sotto il dominio sassanide, è il Talmud babilonese (Talmud Bavli).[2]
Come fecero tutte queste opere ad essere intese come appartenenti alla "Torah", e come fu modificato di conseguenza il concetto di "Torah dal Cielo"?
Rivelazione divina: la storia
[modifica | modifica sorgente]Esodo 19-20 racconta drammaticamente come gli Israeliti, al culmine della loro liberazione dal giogo egizio, stettero alla presenza di Dio nel Sinai e ricevettero da Lui i Dieci Comandamenti con l'accompagnamento di tuoni, lampi e una montagna avvolta da dense nubi; Deuteronomio 4:4 e forse la teofania di Deuteronomio 33:2 confermano che Dio parlò al popolo direttamente. Tuttavia sia Esodo 20:16-18 sia Deuteronomio 4:5 indicano che il popolo fu attonito, timoroso della voce divina, e pregò Mosè di agire da intermediario. Esodo 24 dà un resoconto alquanto diverso del patto al Sinai, mentre Salmi 78, inneggiando sull'Esodo, sulle piaghe d'Egitto, sulla misericordia divina e l'insubordinazione di Israele, non cita affatto il Sinai.
Come dovevano interpretare i rabbini queste narrazioni inconsistenti di quella che senza dubbio era stata la rivelazione fondamentale del Sinai? Di certo considerarono fatto storico essenziale le parole di Esodo 20:22: "Io vi ho parlato dai cieli". La Torah, o almeno i primi due comandamenti,[3] furono dati al popolo direttamente "dal cielo", ed il resto fu ricevuto "dal cielo" da Mosè e mediato tramite lui al popolo.
Ma cosa significò questo? La frase stessa torah min hashamayim ("Torah dal Cielo") in senso dottrinale, e con riferimento ai Cinque Libri, appare per la prima volta nella Mishnah Sanhedrin 10:1: "E questi non hanno porzione nel Mondo a Venire — Colui che dice... la Torah non viene dal Cielo". Il Talmud commenta:
Ciò chiaramente presuppone la dottrina che la Torah fu dettata a Mosè da Dio, e che Mosè trasmise non solo il testo ma anche la sua corretta interpretazione. Esclude nozioni come quella di Filone che la Torah è un libro che registra oracoli ricevuti da Mosè, e nella formulazione dei quali Mosè giocò un certo ruolo.
Altrove, il Talmud discute se la rivelazione sia avvenuta tutta insieme sul Monte Sinai o venne distribuita lungo il corso di quaranta anni di peregrinazioni nel deserto,[5] e se gli otto versetti finali che descrivono la morte di Mosè fossero stati scritti da lui "in lagrime" o aggiunti, per dettatura divina, da Giosuè; Simon bar Yohai tuttavia protesta: "È mai possibile che la Torah difetti anche di una sola lettera?"[6] Rashi e alcuni altri commentatori ipotizzano che il Talmud presenti la possibilità che Mosè possa essere stato responsabile dell'ordinamento dei testi rivelati.[7]
I saggi insistevano sull'autenticità della loro interpretazione testuale; siccome ciò spesso dipende dai dettagli dell'ortografia e fraseologia, questi devono aver creduto di essere in possesso di un testo preciso del Pentateuco come lo aveva ricevuto Mosè. Alcuni di loro sostenevano inoltre che persino questioni di scelta dello scritto[8] (che fosse ivri o ashuri, cioè paleoebraico o aramaico), della spaziatura dei paragrafi, e dei tagin (ornamentazione delle lettere) fossero stati decretati divinamente.[9]
Serie di regole per l'interpretazione testuale dei Cinque Libri appaiono nei testi a partire dal terzo secolo, fornendo un sistema alla pratica interpretativa dei primi rabbini. Sono guidati da tre presupposti:
- La Scrittura non contiene errori.
- Non c'è nulla di ridondante nella Scrittura — ogni parola, ogni sfumatura, fornisce nuove informazioni sulla legge, o è dovuta alla struttura della lingua ebraica.
- La Scrittura è onnicomprensiva, contenendo tutto ciò che il genere umano necessita di sapere, o almeno tutto ciò di cui necessitano per condurre le proprie vite secondo la volontà di Dio; come disse il rabbino dal nome insolito, Ben Bag Bag: "Girala [la Torah], e rigirala, perché c'è tutto".[10] Nessuno sa chi fosse Ben Bag Bag, o cosa intendesse per "tutto", dato che fu solo nel periodo posttalmudico che l'idea dell'onnicomprensività della Torah venne estesa da alcuni a significare che tutta la conoscenza era compresa nella Torah.
Tutti e tre i presupposti si basano sull'ipotesi che il testo sia una trascrizione perfetta delle parole di Dio, fino ai dettagli ortografici e scritturali.
Resoconti mitici della Torah
[modifica | modifica sorgente]L'affermazione che la Torah esistente oggi costituisse un testo rivelato divinamente e trasmesso accuratamente era di certo intesa dai rabbini come affermazione effettiva e storica. Denota un episodio collocato fermamente nel tempo e nello spazio, che coinvolge persone reali e testi identificabili.
Altre affermazioni fatte sulla rivelazione della Torah sono di carattere mitico; ci descrivono la natura ed i valori della Torah, ma non la storia. I rabbini stessi non fecero una distinzione precisa tra il mitico e lo storico, né possiamo noi assegnare una particolare affermazione ora ad una categoria, ora ad un'altra.
Un gruppo di storie rappresenta Mosè come "ascendente" — alla cima del Sinai o al cielo — per ricevere la Torah da Dio come dono generoso; si collegano tra loro con la formula d'apertura: ki alah mosheh lamarom "Quando Mosè ascese all'alto..."[11]
Storie di "ascesa celeste" non erano sconosciute nell'ebraismo o nel mondi greco-romano. Elia era asceso al cielo in un carro infuocato (2 Re 2); il culto imperiale che si era affermato a Roma al tempo di Augusto consentiva agli imperatori defunti, dopo voto del senato, di ascendere al cielo e diventare dei (alcuni raggiunsero tale impresa notevole mentre ancora in vita); il Sefer heikhalot (Libro dei Luoghi [Celesti], noto anche come 3 Enoch), trattato mistico ebraico del terzo o quarto secolo e.v., descrive come Enoch, che "camminava con Dio" (Genesi 5:24), ascese al cielo e fu trasformato nell'angelo Metatron;[12] la precedente Assunzione di Mosè riporta che Mosè ascese al cielo subito dopo la sua morte.[13]
Sebbene il tema Enoch-Metatron venga ripreso dalla Cabala, le storie rabbiniche dell'ascesa di Mosè sono differenti. Non ci sono morte, trasfigurazione, o apoteosi, ma un mortale vivente ascende alla presenza di Dio per ricevere la Torah:
Quando Joshua ben Levi narrò questa storia non fu nel contesto di storia o dottrina, ma piuttosto per imprimere sui propri ascoltatori l'importanza sociale della Torah; la Torah non è concepita per gli "angeli", cioè per persone che si ritirano dalla società per fare una vita santa, ma per mortali ordinari che combattono nella lotta quotidiana dell'esistenza.
Il tema sotteso alla storia è la tradizione della Torah preesistente, da "974 generazioni prima che il mondo fosse creato", cioè mille generazioni incluse le ventisei da Adamo a Mosè, poiché la Torah è "per mille generazioni la parola da lui comandata" o "parola data per mille generazioni" (Salmi 105:8). Questa è un'interpretazione platonica della Torah come conoscenza perfetta, il Bene assoluto. Riecheggia il linguaggio della letteratura sapienziale biblica:
Diventa esplicito nei riferimenti del pseudoepigrafico Libro dei Giubilei, composto tra il 160 e il 150 a.E.V., quando cita le "tavole celesti" su cui è iscritta la legge (cfr. 3:31).
Entrambi i temi distanziano la Torah dalla dottrina cristiana. Mosè non è un essere semidivino, ancor meno una "incarnazione" del divino, ma totalmente mortale, e sebbene lo sia riceve la Torah "nell'alto"; la Torah stessa è eterna, precedente alla creazione, pertantro non soggetta a cambiamenti o "completamenti" mediante una "nuova alleanza".
Midrash tanḥuma[15] chiede: "Su cosa era scritta la Torah prima di essere data? Non poteva essere scritta su argento e oro, poiché non esistevano prima che il mondo fosse creato... [fu scritta] sul braccio del Santo, che sia benedetto." Chiaramente questa è omelia, non storia; mito, non memoria. Qualsiasi "traduzione" nel linguaggio della storia, qualsiasi risoluzione della metafora, ne limiterebbe le risonanze, le possibilità di significato. Ci dice:
- La Torah è da Dio e deriva dalla Sua potenza (il suo "braccio") ed essere.
- Gli insegnamenti della Torah sono pertinenti sempre e ovunque.
- La Torah dà significato e scopo alla vita in questo mondo.
Ciò che non dice è che:
- La Torah è un documento reale, che cita nomi e definisce avvenimenti futuri, ed esisteva prima del tempo della creazione.
- La Torah è un'entità metafisica indipendente dalla realtà umana.
Entrambe queste affermazioni furono fatte successivamente, come vedremo, e la seconda viene sottintesa dalla midrash della Torah preesistente. Tuttavia, interpretare midrash come storia vuol dire fraintendere la natura del suo discorso.
Altre narrazioni talmudiche evidenziano le qualità della Torah, come la sua delizia, il conforto che arreca, la sua capacità di liberare dall'angoscia e dalla sofferenza, il suo ruolo di completamento dell'amore divino.
La Torah Scritta e la Torah Orale
[modifica | modifica sorgente]Questa storia attribuisce il concetto della Duplice Torah a Hillel e a Shammai, agli inizi del primo secolo E.V. Hillel e Shammai di certo incoraggiavano la gente a rispettare la tradizione atavica, compreso il modo in cui essi e altri Farisei interpretavano le Scritture. Ma la nozione della "Duplice Torah" (Scritta e Orale) appartiene al narratore della storia, e non agli storici Hillel e Shammai; assente dalla Mishnah e dalle prime fonti, è un modo di spiegare come la Mishnah e altri insegnamenti rabbinici si riferissero alla Torah di Mosè.
Come asserì Joshua ben Levi (terzo secolo E.V.): "La Scrittura, la Mishnah, il Talmud, l'aggadah — qualunque cosa lo studente diligente [vatik] un giorno insegnerà alla presenza del proprio maestro, fu già impartita a Mosè sul Sinai."[16] A questo punto, con la Mishnah pubblicata da poco, l'esegesi e l'insegnamento rabbinico era diventato così diffuso che la connessione con la rivelazione fondamentale del Sinai stava venendo oscurata; cominciava a sembrare come se ci fossero due Torah distinte.
Questa situazione è drammatizzata in una leggenda successiva che descrive Mosè proiettato avanti nel tempo e presente alla scuola di Rabbi Akiva, dove è incapace di capire la discussione in corso; viene rassicurato solo quando Akiva risponde ad una domanda dichiarando che la materia era halakhah lemosheh misinai (una legge ricevuta da Mosè sul Sinai ma non messa per iscritto).[17]
L'idea che Mosè avesse ricevuto materiale aggiuntivo alla Torah Scritta non era cosa nuova. Il capitolo d'apertura del pseudoepigrafico Libro dei Giubilei narra di una tradizione segreta rivelata a Mosè sul Sinai in cui gli vengono mostrati tutti gli avvenimenti della storia passata e futura; forse Joshua ben Levi la conosceva o conosceva una leggenda somigliante e la riciclava in un linguaggio più adatto alle percezioni rabbiniche. L`Assunzione di Mosè (1:16) afferma che Mosè consegnò libri segreti a Giosuè. Tuttavia né i Giubilei né l`Assunzione hanno a che fare con la Torah Orale come interpretata dai rabbini. Analogamente, i riferimenti di Filone a nomos agraphos (legge non scritta) non devono essere identificati con la Torah Orale, ma con la legge morale, non scritta poiché già "scritta" nel cuore.
I rabbini escogitarono degli stratagemmi per salvaguardare l'unità della Torah, cioè per dimostrare che ciò che stavano insegnando non dipartiva dalla Scrittura, ma ne era l'adempimento. Questo si equipara al modo in cui i cristiani contemporanei cercavano di dimostrare che il "Nuovo Testamento" era il completamento del "Vecchio", un processo già in corso nella presentazione della vita di Gesù da parte dei Vangeli come un "adempimento" delle scritture ebraiche, ed implicito nell'osservazione di Gesù: " Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento" ([ Matteo 5:17]). Ebrei e cristiani erano quindi in competizione per lo scettro dell'autorità scritturale.
In primo luogo, elaborarono il concetto della Torah Orale per spiegare che tutto ciò che insegnavano derivava infine da una sola rivelazione divina al Sinai: "Mosè ricevette la Torah al Sinai, e la diede a Giosuè".[18] Questa idea potrebbe essersi sviluppata da interpretazioni più antiche, come quella del primo capitolo dei Giubilei, dove si dice che "scritti segreti" furono consegnati a Mosè; tuttavia, la Torah Orale affermata dai rabbini non era né segreta né predittiva, anzi al contrario, era pubblica e normativa.
Allora il materiale fu riorganizzato in forma di commentario scritturale, dando origine alle opere classiche dei midrashim halakhici. Tali opere (Mekhilta, Sifra, Sifrei) presenta l'interpretazione rabbinica come l'unico modo razionale e consistente di leggere il testo ebraico.
Infine, la metodologia interpretativa dei saggi del secondo secolo come Akiva e Ishmael fu rigorosamente vagliata e furono generati sistemi di ermeneutica come i Tredici principi di Rabbi Ishmael.[19] Lo scopo di queste regole attentamente formulate è quello di dimostrare che le interpretazioni dei rabbini non sono arbitrarie, ma implicite nel testo biblico.
Regole di interpretazione
[modifica | modifica sorgente]Aette regole di interpretazione sono attribuite a Hillel, tredici a Rabbi Ishmael e trentadue a Rabbi Eliezer (Eleazar) figlio di Rabbi Yosé il Galileo.[20] La lista di Rabbi Ishmael riporta, sotto il titolo "Baraita di Rabbi Ishmael" come introduzione al Sifra, il midrash halakhico di Levitico, presumibilmente perché il Sifra stesso gli è attribuito, ma questo non significa che lo abbia compilato; tutte e tre le liste sono tentativi di articolare i metodi o il "sistema" di saggi precedenti, compilate per induzione da resoconti delle rispettive interpretazioni scritturali. Per esempio, le analisi di studiosi moderni per correlare gli insegnamenti registrati di Ishamel e Akiva ai principi formulati in loro nome, rivelano grandi discrepanze; Gary Porton, in un particolareggiato esame del corpus rabbinico, riscontra solo sei delle Tredici Regole in qualsiasi brano attribuito a Rabbi Ishmael, mentre gli viene attribuito l'uso delle venti tecniche non elencate.[21]
Le tredici "regole" attribuite a Rabbi Ishnael sono le seguenti:
- Kal vaḥomer ("leggero e pesante" — argomentazione a fortiori).
- Gezerah shavah (formulazioni analoghe in contesti differenti).
- Un esempio presentato in un testo o in due testi.
- Un termine generico seguito da un termine specifico (particolare).
- Un termine specifico seguito da un termine generico.
- Se un termine generico viene seguito da un termine specifico e poi da [un altro] termine generico, si segua il termine specifico.
- Un termine generico che necessita di un termine specifico [per chiarirlo], o un termine specifico che necessita di un termine generico [per chiarirlo].
- Se qualcosa è stato incluso in un termine generico e poi specificato separatamente per dimostrare qualcosa di simile, ci insegna qualcosa non solo per sé, ma anche per l'intero termine generico.
- Se qualcosa è stato incluso in un termine generico e poi specificato separatamente per dimostrare qualcosa di simile, ciò allevia la legge e non la rende più severa.
- Se qualcosa è stato incluso in un termine generico e poi specificato separatamente per dimostrare qualcosa di diverso, allevia la legge [in qualche rispetto] e le rende più severa [in altri rispetti].
- Se qualcosa è stato incluso in un termine generico e poi specificato separatamente per fornire un'argomentazione in una materia nuova, non può essere riapplicato al termine generico a meno che la scrittura lo faccia esplicitamente.
- Qualcosa di appreso dal suo contesto, o dalla sua fine (conclusione).
- Analogamente, se due testi si contraddicono a vicenda, [la materia non può essere risolta] finché un terzo testo non venga ad armonizzarli.
È la terminologia piuttosto che il contenuto a confondere. Si prenda per esempio la regola 6. Il Talmud la applica a Deuteronomio 14:26,[22] che stabilisce come uno debba spendere il proprio denaro a Gerusalemme: "userai quel denaro per comprare tutto ciò che il tuo cuore desidera: buoi, pecore, vino, bevande inebrianti, o qualunque cosa di tuo gusto." "Tutto ciò che il tuo cuore desidera" è un termine generico; "buoi, pecore, vino, bevande inebrianti" sono esempi specifici; "qualunque cosa di tuo gusto" è nuovamente generico. La regola dice che dobbiamo "seguire il termine specifico". Pertanto, la legge è che il denaro potrebbe essere speso per cibo animale e vegetale ma non per acqua o sale. Sussiste ancora qualche ambiguità — per esempio, il pesce è alimento di salamoia o acqua? — ma il sistema argomentativo è chiaro.
Questi sono principi logici, come venne discusso da Adolf Schwarz più di un secolo fa?[23] Eccetto kal vaḥomer (argomento a fortiori), no di certo; le regole sono procedure letterarie induttive, piuttosto che metodi di analisi logica. Saul Lieberman ha indicato le analogie con metodi usati dai retori alessandrini per interpretare Omero e altri classici greci, mentre David Daube ha notato somiglianze ai modi in cui i giuristi romani interpretavano la legge.[24]
Una comprensione più chiara dello scopo e funzione delle regole emerge quando si considera il contesto nel quale si sono evolute. Servono a due funzioni principali: primo, stabiliscono una rispettiva corrispondenza tra gli elementi testuali della Torah e le proposizioni di legge raccolti nel sistema della halakhah; ciò supporta l'affermazione rabbinica che siano esponenti autentici della Scrittura. Secondo, in puri termini giuridici, forniscono una giustificazione adeguata a inferenze sull'applicazione della legge da una situazione all'altra.[25]
Il Talmud (Pesaḥim 66a; Niddah 19b) chiede se uno studioso opportunamente qualificato possa applicare una gezerah shavah per conto suo, cioè se, senza una tradizione tramandata egli possa tirare conclusioni per la legge da frasi scritturali parallele. Commentatori medievali sentenziavano che ciò non fosse permesso all'infuori di dove ci fosse stata una tradizione dove la somiglianza fosse importante, sebben un'argomentazione a fortiori (kal vaḥomer) potesse essere usata anche senza una tradizione d'appoggio. Riguardo alle altre regole, Rashi sosteneva che non si potessero applicare senza una tradizione tramandata, ma i Tosafisti affermavano invece di poterlo fare.[26] In pratica, tutte le regole eccetto kal vaḥomer erano cadute in disuso molto prima del tempo di Rashi; anche nella parti più recenti del Talmud l'uso di tali regole viene invariabilmente attribuito ai primi saggi. Saadyah Gaon (882-942) inoltre asseriva che le regole fossere "descrittive, non produttive. Cioè, gli antichi rabbini non derivavano la halakhah dalla Bibbia usando queste regole; piuttosto, questi principi esegetici descrivono la relazione della Torah Orale alla Scrittura".[27]
Interpretazione a fronte del significato semplice
[modifica | modifica sorgente]La lettura rabbinica della Scrittura non è pedissequamente letterale. "Li scriverai sugli stipiti della tua casa" (Deut. 6:9) viene letto a significare "affiggi al tuo stipite un rotolo di pergamena che contenga le opportune parole" (cioè una mezuzah) piuttosto che "scrivi le parole direttamente sugli stipiti"; "occhio per occhio" (Es. 21:24) viene interpretato a significare "risarcimento proporzionato", piuttosto che una retribuzione fisica. Questa lettura non letterale non implica la contraddizione di una proclamazione biblica, bensì un'interpretazione ragionevole del "significato semplice" (non necessariamente il significato letterale) della Scrittura alla luce di una prassi comune. Ci sono occasioni dove l'interpretazione contraddice il significato semplice?
L'affermazione ein mikra yotse midei peshuto, "la scrittura non perde il suo significato semplice", avviene tre volte nel Talmud babilonese, ma cosa significa? Eliezer ben Hirkanos sostiene, contro la maggioranza, che si possono portare armi di Shabbat, poiché sono un "adornamento" piuttosto che un "peso". Su cosa si basa? Sul Salmo 45:3-4: "Cingi, prode, la spada al tuo fianco, nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte." Ma di certo, chiede Rav Kahana, quel versetto si riferisce alle parole della Torah? Sì, gli viene detto, ma "la scrittura non perde il suo significato semplice"; cioè, l'interpretazione halakhica (che le armi possono essere considerate un "adornamento" piuttosto che un "peso" rispetto alle leggi del Shabbat) segue il senso semplice anche se l'interpretazione omiletica (il vero prode è il prode dell Torah che porta le parole della Torah) ne può deviare.[28] In altre occasioni la questione è se, quando un processo legittimo di interpretazione definisce il contesto di una frase biblica al di là del suo senso ovvio, il contesto ovvio mantiene la sua rilevanza di interpretazione a fianco del nuovo.[29]
Tuttavia, l'interpretazione halkhica certamente si stacca a volte dal significato semplice. Si riporta a nome di Rabbi Ishmael che "In tre posti la halakhah devia dalla [espressione] della scrittura", una delle quali è che la halakhah permette che le ceneri (efer) vengano usate invece della terra (afar) per la cerimonia della moglie sospetta di adulterio (Numeri 5:17). Rav Papa (IV secolo), commentando sul perché la lista si limiti a tre, fa la distinzione cruciale tra una "deviazione" dove la halakhah aggiunge meramente alle clausole della Scrittura e quelle dove in realtà contraddice la Scrittura; secondo lui, sono possibili entrambe.[30]
Probabilmente il caso più estremo di halakhah che annulla il significato semplice della Scrittura è quello della liberazione dell'agunah, o "donna incatenata", da una situazione difficile. Una donna non si può risposare a meno che non sia vedova o divorziata. Ma cosa succede se il marito è scomparso e mancano i necessari due testimoni ebrei competenti e indipendenti che ne confermino la morte? Sulla base di un caso deciso da Gamaliele I nella prima metà del I secolo, la legge stabilisce che in tali circostanze una donna si possa risposare in base alla testimonianza di un solo testimone, anche per "sentito dire", o anche sulla testimonianza di una donna e di uno schiavo.[31]
Ma ciò contraddice veramente la Bibbia, o solo quello che i saggi credevano fosse il suo significato semplice? Nessun esegeta biblico moderno, leggendo i rispettivi versetti nel loro antico contesto letterario, concluderebbe che il requisito ei due testimoni maschi si applicasse a tutti i livelli, o anche che il divorzio fosse una prerogativa maschile. La situazione dell'agunah cioè sorge non dalla Scrittura stessa, poiché la Scrittura potrebbe plausibilmente essere interpretata in una maniera che non porterebbe a tali situazioni; sorge soltanto da come i saggi interpretano la Scrittura.
Persino l'espressione "La Corte può prendere una decisione che oltrepassa le parole della Torah"[32] è molto meno radicale di quanto non sembri; si riferisce ad aggiustamenti del sistema sviluppato dai rabbini, e non è un rifiuto in linea di principio della legge della Torah. Un simile rifiuto sarebbe inconcepibile per i rabbini. Tuttavia le circostanze delle loro vite erano così diverse da quelle del periodo biblico che gran parte della legislazione biblica non era più applicabile o, come diremmo oggi, ra in conflitto con le loro intuizioni/sensibilità morali. In queste situazioni si usano due strategie.
In alcuni casi, una decisione lineare vien presa per cui la legge non è applicabile in quel dato caso. Un ovvio esempio di ciò è la procedura del Tempio, che non si può attuare perché il Tempio non esiste più. Analogamente, si dice che l'anno giubilare (yovel) non sia operativo a meno che le dodici tribù di Israele non si siano insediate nelle rispettive terre ancestrali, che chiaramente non è ancora successo. Meno ovvie sono questioni come la decima e l'anno sabbatico, pertanto si dibatte tuttora sulla loro applicabilità e sulla condizione dell'operabilità (biblica o rabbinica) di tali leggi.
Una seconda strategia è quella di definire una legge biblica in modo tale da renderla inoperabile in qualsiasi circostanza reale. In questo modo i rabbini interpretano la "legge del figlio ribelle", che secondo Deuteronomio 21:18-21 deve essere portato dinanzi agli anziani dai propri genitori e lapidato a morte. Le condizioni correlate a questa legge sono: può applicarsi solo entro tre mesi dal tredicesimo compleanno del figlio, e anche allora è soggetto a testimonianze di maturità fisica; è necessario un previo avvertimento formale; il figlio deve rubare dal padre e col ricavato comprare specifici ammonti di carne e vino kosher a prezzi scontati; deve consumare la carne mezza cruda ed il vino mescolato "alla maniera dei golosi", avidamente, non a casa del padre, in compagnia di buoni a nulla, e non durante una festa religiosa; le voci dei genitori devono essere indistinguibili, devono pertanto essere d'accordo nel portarlo a giudizio e nessuno dei due deve essere cieco, zoppo, o sordo; se i genitori lo perdonano egli non viene mandato a morte.[33] In altre parole, non succede niente, ma se ne possono ricavare varie lezioni.
La Bibbia richiede la pena capitale per numerose trasgressioni, ma i rabbini, sia che fossero sotto la giurisdizione romana o quella persiana, raramente o mai la misero in atto. Ciò potrebbe essere perché non ne avevano il potere, ma certamente di necessità fecero virtù:
Il Talmud giustifica Tarfon e Akiva:
Cioè, i rabbini Tarfon e Akiva avrebbero evitato di promulgare una sentenza di morte mettendo in dubbio la testimonianza dell'accusa. Questo stratagemma è in aggiunta al requisito standard di due testimoni adulti indipendenti che abbiano precedentemente ammonito l'imputato sulle conseguenze delle sue azioni.
In conclusione, c'è una tensione tra le norme della società biblica come possano apparire nel testo semplice della Bibbia, e quelle di una società governata dalla Torah come interpretata dai rabbini della tarda antichità. Convinti che la Torah da loro insegnata fosse identica a quella ricevuta da Mosè sul Sinai, i saggi ricorsero a metodi di interpretazione che li rese capaci di leggerla come immutabile e eternamente giusta.
Conclusione
[modifica | modifica sorgente]I saggi del periodo talmudico svilupparono il concetto di torah min hashamayim in modo tale da incorporarci sia la Torah Orale sia la Torah Scritta. Elevarono i Cinque Libri di Mosè al di sopra del resto della Scrittura come criterio per tutta la rivelazione successiva; attribuirono a questi libri lo status di autorità ultima in tutte le questioni di halakhah; vi assorbirono sia gli insegnamenti tradizionali sia quelli innovativi, attraverso il concetto di "Duplice Torah" Orale e Scritta, entrambe ricevute al Sinai, unite insieme da regole di esegesi e trasmesse fedelmente ai saggi e per mezzo dei saggi, e dei loro predecessori risalendo fino a Mosè.
Dobbiamo ora esaminare come questo modello di rivelazione venne concretizzato nelle successive interpretazioni dell'ebraismo; solo alla PARTE I, Capitolo 6, saremo in grado di specificare cosa viene compreso sotto il titolo generico di "Torah Orale".
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ I primi manoscritti esistenti, probabilmente non antecedenti al secolo VIII, hanno la vocalizzazione babilonese impostata su un sostrato palestinese; cfr. Yevin, A Collection of Mishnaic Geniza Fragments. Il primo frammento conosciuto di scrittura rabbinica è un'iscrizione nella Sinagoga di Rehov (vicino a Beit She'an, Israele), probabilmente del VI secolo.
- ↑ "Completato" è un termine relativo, e le date sono approssimative. Entrambi i Talmud subirono revisioni redazionali nei secoli successivi.
- ↑ TB Mak. 24a; Hor. 8a.
- ↑ TB San. 99a. Il kal vaḥomer è una conclusione basata su un'argomentazione a fortiori; gezerah shavah si basa su una similarità di espressione. Si veda oltre, a "Regole di Interpretazione".
- ↑ TB Git. 60a. Si veda anche Jacobs, Structure and Form, pp. 38-39.
- ↑ TB BB 15a.
- ↑ Rashi sul TB Ḥul. 101b s.v. ela, e Obadiah di Bertinoro nel suo commentario della Mishnah Ḥul. 7:6.
- ↑ TB San. 21b e Zev. 62a.
- ↑ TB Shab. 103b; Men. 29b.
- ↑ Mishnah Avot, fine del Cap. 5; in Avot derabi natan 12:11 l'aforisma è attribuito a Hillel. Per versioni alternative, cfr. Levy, Fixing God's Torah, pp. 5-6.
- ↑ TB Shab. 88b; 89a; San. 111a-b; Men. 29b. Anche Midrash Rabbah: Gen. 48; Es. 40; Num. 19; Deut. 3 e Midrash tanḥuma, "Kedoshim" 6, "Ḥukat" 8, "Ha`azinu" 3.
- ↑ Enoch 4. Vedi anche Siracide 49:14.
- ↑ Un titolo più idoneo dell'opera, come osservò R. H. Charles nella sua edizione del 1897, L'Assunzione di Mosè, dovrebbe essere Il Testamento di Mosè, poiché non tratta dell'ascesa di Mosè, che viene forse descritta in una parte ora perduta o in un'opera separata; come afferma Charles, la Sticometria di Niceforo fa riferimento sia ad una Diatheke Mouseos e sia ad una Analepsis Mouseos. James D. Purvis, in Nickelsburg, Studies on the Testament of Moses, p. 97, nota che lo studioso samaritano Markah fa riferimento a Mosè che "ascende" solo il Monte Nebo, mentre il Gedulat mosheh ebraico lo fa ascendere al cielo fisicamente.
- ↑ Proverbi 8:22,23
- ↑ Parashat "Vayelekh". Midrash tanḥuma esiste in diverse versioni, e la sua composizione è di data incerta, ma quasi sicuramente non prima del X secolo. C'è un passo parallelo in un'altra midrash, Midrash aseret hadibrot.
- ↑ TG Pe`ah 2:4 (17a); cfr. TB Ber. 5a, a nome di Simon ben Lakish. Un'affermazione simile viene attribuita dal TB Meg. 19b al genero di Simon ben Lakish, Rabbi Yohanan (Nappaha). Tutti e tre sono ebrei palestinesi del III secolo. Esiste una dichiarazione anonima su Sifra di Lev. 26:46 che il termine torot indichi "due Torah", a cui Rabbi Akiva risponde che ci sono "molte Torah" — ma nessuno dei due interlocutori usa le espressioni "Torah scritta" e "Torah orale".
- ↑ TB Men. 29b.
- ↑ Mishnah Avot 1:1. I paralleli della "catena della tradizione" nelle liste di successione greche e romane e nelle fonti cristiane sono discussi in Tropper, Wisdom, Politics and Historiography, capitoli 6-8; la lista ebraica definisce sia l'autorità esegetica sia quella dottrinale. "Dovremme considerare un ruolo più ampio per le liste di successione ellenistica, che preparano la strada alla creazione di liste rabbiniche, cristiane e gnostiche" (ibid., p. 226).
- ↑ Sulle regole in generale si veda Solomon, The Talmud: A Selection, introduz., pp. XLI-XLII, e Solomon, "Evolution of Talmudic Reasoning"; on kelal uferat e ribui umiut cfr. Solomon, "Extensive and Restrictive Interpretation".
- ↑ Tosefta San., fine del cap. 7; Baraita di Rabbi Ishmael, fine; Avot derabi natan 37:10; Enelow, Mishnat rabi eli`ezer MSS editato delle 32 regole di Rabbi Eliezer.
- ↑ Porton, Traditions of Rabbi Ishmael, Vol. IV, tabella alle pp. 201-203. Per un'opinione più convenzionale, cfr. Safrai et al., Literature of the Sages, pp. 13-26.
- ↑ TB Eruv. 27b.
- ↑ Schwarz, Der Hermeneutische Syllogismus. Per un'opinione differente si veda la sezione su Mecklenburg più oltre, alla PARTE III.4.
- ↑ Lieberman, Hellenism in Jewish Palestine, pp. 47-82; Daube, "Rabbinic Methods of Interpretation".
- ↑ Solomon, in "Evolution of Talmudic Reasoning", dimostra formalmente come le regole possano essere ridotte a queste due categorie.
- ↑ TB Shab. 132a, Rashi ,,s.v. ela atya; Suka 31a, Rashi s.v. lo makshinan; Tosafot s.v. veri.
- ↑ Daniel Frank, Search Scripture Well, p. 24.
- ↑ TB Shab. 63a.
- ↑ TB Yev. 11b, 24a.
- ↑ TB Sot. 16a: bisheloshah mekomot halakhah okevet mikra, "in tre posti la halakhah devia dalla scrittura". Rav Papa distingue tra okevet "devia" e okeret "contraddice".
- ↑ Mishnah Yev. 16:7. La natura problematica di questa decisione può essere valutata dalla discussione nel TB Yev. 87b-88a.
- ↑ TB Yev. 89b.
- ↑ Mishnah San., cap. 8; Maimonide, Mishneh Torah, "Hilkhot mamrim", 7.
- ↑ Terefah, letteralmente "lacerata". Questo termine viene usato quando un essere umano o un animale ha una malattia o un'ingiuria che lo farà inevitabilmente morire.
- ↑ Non è necessario essere testimoni dei dettagli più intimi.