Torah per sempre/Mistici e cabalisti

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Indice del libro
Commentario alla Torah di Nachmanide (XV sec.)
Commentario alla Torah di Nachmanide (XV sec.)

Il Talmud, letto da solo, potrebbe dare un'impressione sbilanciata della portata dell'ebraismo durante il periodo della sua composizione; uno studente del Talmud potrebbe per esempio concludere che gli ebrei fossero indifferenti o ostili alle arti visive, mentre invece l'archeologia ha rivelato il contrario.

Molto di ciò che è stato scritto, e a maggior ragione detto o insegnato, in quel tempo senza dubbio è andato perso, ma ne rimane a sufficienza per fornire almeno un'idea di cosa leggessero, sentissero e creassero alcuni gruppi di ebrei. Il testo ebraico più importante era naturalmente la Bibbia. Traduzioni della Bibbia (specialmente in aramaico), liturgia e poesia religiosa erano coltivati ed esisteva anche una tradizione mistica esoterica alla quale si fa scarso riferimento nel Talmud. Alcuni saggi cercarono di sopprimere il misticismo, o limitarlo entro dati circoli, sebbene generazioni successive ne attribuirono gran parte a rabbini come Akiva e Simon bar Yohai, cercando di assegnare alla tradizione "segreta" la reputazione magistrale di tali uomini. Dobbiamo quindi vedere la tradizione esoterica come parte dell'ebraismo rabbinico, una crescita organica ebraica? O dobbiamo piuttosto vederla in relazione alle religioni misteriche ellenistiche e allo gnosticismo?

Qualunque siano state le origini, due caratteristiche degli insegnamenti "segreti" vennero ad avere un effetto profondo sull'interpretazione ebraica della natura e del contenuto della Torah. Una fu l'enfasi gnostica del potere redentore della conoscenza esoterica, cioè della conoscenza acquisita non con l'apprendimento o l'osservazione empirica ma per speciale rivelazione divina a individui scelti. L'apocalittica ebraica si sviluppò nell'ambito di tale contesto, forse sulla base di modelli babilonesi,[1] e persone che appartenevano a circoli apocalittici fecero diffondere la nozione che una Torah superiore segreta fosse stata rivelata a Mosè insieme alla pubblica Torah Scritta e Orale. L'idea che ci fosse un corpo di conoscenza segreta ed importante per la redenzione persistette nella cabala e nell'ebraismo successivo.

Una seconda caratteristica è la nozione che un'illuminazione speciale possa essere ottenuta da pochi eletti. Opere mistiche note collettivamente come i trattati merkavah ("carro") o heikhalot ("palazzi") descrivono il viaggio dell'adepto attraverso i sette cieli e tra le schiere angeliche.[2] Questi trattati forniscono una visione della comprensione mistica della profezia, e indicano che l'illuminazione profetica, tra cui i misteri della Torah, sia accessibile all'individuo idoneo.

Il Cantico dei cantici Rabbah, un'opera palestinese del sesto secolo con aggkunte successive, porta il tema dell'illuminazione profetica a livelli nazionali. La rivelazione del Sinai è lo "sposalizio" di Dio con Israele, con Mosè nelle funzioni di "testimone" (shoshvin); per un momento, al Sinai, quando Dio proclamò "Io sono il Signore tuo Dio" e "Non avere altri dei oltre a me", tutto il popolo partecipò alla rivelazione ultima e sperimentò i "misteri" finali.

Il primo misticismo ebraico offre sia un percorso di redenzione, ottenuta tramite la conoscenza di misteri divini, sia un modo per ottenere l'illuminazione personale. Questi due aspetti precorrono ciò che Abraham Abulafia chiamerà la Cabala teorica e pratica. Analogamente, studiosi moderni, capeggiati da Moshe Idel, riconoscono la tendenza "teosofica-teurgica" e quella "estatica" nell'ambito della Cabala; si usa la conoscenza segreta del mistero divino per "manipolare" (si fa per dire) la divinità verso la redenzione (teorica, teurgica), o si usa tale conoscenza per trascendere il mondo materiale, che sia per attuare trasformazioni magiche (pratiche) o ottenere estasi mistiche?[3]

La tradizione esoterica estese il concetto di Torah dal Cielo in due modi. Primo, significava che la Torah non era semplicemente un libro di legge complementato da un commentario orale, ma nascondeva in sé un percorso di esperienza mistica. Secondo, sebbene accettasse che la rivelazione del Sinai fasso unica, insegnava che la rivelazione non si limitava ad un solo avvenimento della storia israelita, ma rimaneva aperta come esperienza continuativa che l'adepto poteva condividere; la Torah poteva essergli rivelata direttamente, come adempimento o accrescimento della rivelazione sinaitica.

Pitagora, Numerologia e Libro della Creazione[modifica]

Si ebbe un ritocco distintivo della nozione della Torah divinamente rivelata grazie allo Sefer Yetzirah ("Libro della Creazione""), trattato mistico di origini ignote, ma che dovette esistere in una qualche forma sin dal sesto secolo, poiché è citato dal poeta Kallir.[4]

Sefer Yetzirah tratta di cosmologia e cosmogonia: cosa è il mondo e come fu creato? Secondo Genesi Dio creò il mondo pronunciando cose, cioè con la sua "parola". Ma quali parole? Genesi certamente dà l'impressione che Dio disse cose come "Sia la luce!" Tuttavia questa lettura semplicistica non soddisfa l'autore di Sefer Yetzirah. Secondo lui, Dio creò il mondo mediante le "lettere della Torah", cioè le ventidue lettere dell'alfabeto ebraico, insieme ai dieci numeri del sistema decimale.

Nel precedente Capitolo 2 ho citato il concetto della Torah preesistente, forse estensione della teoria platonica delle "idee", che costituisce l'eterna realtà ultima. Sefer Yetzirah combina questo con la metafisica pitagorica dei numeri ed il concetto della realtà è, al suo livello più profondo, di natura matematica. L'autore di Sefer Yetzirah è attratto dalla nozione pitagorica che tutto procede dai numeri e dalle loro relazioni, ma non può rimanere soddisfatto da un sistema che non lascia spazio alla Torah come veicolo della creazione divina.

La teoria di Pitagora riguardo all'indipendenza dei numeri e la loro importanza, fu abbastanza influente nel terzo secolo da far dedicare al filosofo scettico Sesto Empirico notevoli parti delle sue opere per confutarla,[5] ma non riuscì ad arginare la corrente. Lo Scetticismo non attrae l'immaginazione, mentre invece lo fanno i numeri. La gente preferisce certezza spuria a dubbio razionale.

La numerologia è alquanto differente dal simbolismo dei numeri, una caratteristica comune del discorso biblico e rabbinico. Numeri 33:9 afferma che a Elim c'erano dodici sorgenti d'acqua e settanta palme; questi numeri ovviamente simbolizzano le dodici tribù e i settanta anziani, ma la Bibbia non attribuisce poteri misteriosi ai numeri stessi come fanno i numerologisti.

La teoria di Sefer Yetzirah riguardo alla potenza e importanza di elementi alfanumerici individuali portò ad un'interpretazione della Torah come fosse costituita da una precisa serie di lettere ordinate divinamente. Ciò è radicalmente diverso dall'interpretazione della Torah da parte dei rabbini, che la consideravano un libro di leggi, e molto distante dal significato semplicedel testo biblico; protende verso il magico piuttosto che verso una guida pratica per la vita.

La parte banale della nozione è stata ravvivata con l'aiuto dei computer digitali dagli autori de The Bible Code.[6] Questo libro cerca di dimostrare che, occultate in una serie di lettere ebraiche generate da computer ed estratte dai Cinque Libri di Mosè, si trovano informazioni particolareggiate di avvenimenti futuri come la scoperta di Newton delle leggi di gravità e l'assassinio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Per quanto bizzarro, è stranamente consistente con la visione del mondo presentata da Sefer Yetzirah e successivamente dalla Cabala.[7]

Tuttavia un aspetto più serio emerge quando ci chiediamo cosa abbia portato l'autore di Sefer Yetzirah a esporre la sua cosmogonia fantastica, tenendo in mente che egli visse nel sesto secolo (o forse anche prima), e non nel ventunesimo. Quasi certamente, stava adattando idee neopitagoriche ad un contesto ebraico. Non solo numeri, asseriva, ma lettere, in altre parole la Torah, costituivano l'essenza dell'universo creato. Vale a dire, si rivolgeva a immaginari pitagorici dicendo "Voi pensate che l'essenza del mondo si trovi solo nei numeri. Non dubito che i numeri siano importanti, ma non sono tutto. L'essenza del mondo è la Torah, e la Torah stessa consiste di combinazioni di ventidue lettere dell'alfabeto ebraico. Pertanto, la creazione deve generarsi da tutte quelle cose che possono essere enumerate, sia lettere che numeri."

Un millennio e mezzo dopo questa polemica sembra strana. A suo tempo però era un serio tentativo di catturare il pensiero ampiamente espresso dalla letteratura rabbinica che il fine della creazione fosse stabilito solo tramite la Torah; senza la Torah il mondo sarebbe senza senso. È un attacco velato alle filosofie pagane della tarda antichità, che implica la futilità di qualsiasi tentativo di dare significato al mondo senza la Torah.

Ma questo non è il modo in cui razionalisti o cabalisti la interpretavano. Razionalisti come l'autore del commentario allo Sefer Yetzirah attribuito a Saadya Gaon scoprirono nelle sue pagine le Dieci Categorie di Aristotele; i cabalisti vedevano nel suo linguaggio allusivo tutte le speculazioni della cabala susseguente, tra cui la dottrina zoharica delle Sephirot (emanazioni divine, parola ebraica derivante da "numero", סְפִירוֹת) ed infine dalla dottrina lurianica della creazione. L'ingegnosità non sempre ebbe successo nel riconciliare la Cabala col testo iniziale dello Sefer Yetzirah, cosicché il testo venne "corretto" da rabbini eminenti come Isaac Luria (1534-1572) nel sedicesimo secolo e il Gaon di Vilna nel diciottesimo; è ora difficile essere sicuri quale sia stato il testo originale.

Importanza mistica delle Mitzvot[modifica]

Ci si potrebbe chiedere cosa abbia a che fare la numerologia, o "letterologia", col tipo di cose di cui si interessano più ovviamente sia la Bibbia sia il Talmud, come le mitzvot, o comandamenti divini.

Evidentemente, ciò disturbava gli ebrei devoti che rifiutavano il razionalismo di Maimonide e dei filosofi, e di conseguenza si intrigarono in speculazioni mistiche che erano alquanto discoste dal significato semplice della Torah. Se le spiegazioni razionali che Maimonide aveva assegnato ai comandamenti erano insoddisfacenti, allora sicuramente era ancor meno soddisfacente non avere nessuna spiegazione. C'erano in verità coloro che si occupavano della magia delle lettere seguendo la "cabala pratica", mediante la quale asserivano di poter far miracoli, ma ciò non era affatto un sostituto soddisfacente dei comandamenti divini che l'ebraismo rabbinico considerava l'essenza della Torah.

La parola qabalah/kabbalah/cabala (tra le molte traslitterazioni di קַבָּלָה‎) significa "tradizione"; veniva applicata agli insegnamenti esoterici nella Spagna del tredicesimo secolo, secondo un'affermazione spuria di antichità e quindi di autorità. I cabalisti del tredicesimo secolo, particolarmente quelli della scuola di Gerona, esaminavano la questione delle mitzvot con grande serietà. Estesero le idee dello Sefer Yetzirah, dello Sefer habahir (primi anni del XIII sec.) e dello Zohar[8] per generare un'interpretazione mistica delle mitzvot che finirono per considerare parti, o "arti", dell'essenza divina.

Lo Zohar in particolare sottolinea l'"uni-tà" di Dio, Israele (cioè, il popolo ebraico) e la Torah. Qui di seguito alcune affermazioni tipiche:

« I tre livelli sono intrecciati: Il Santo, che Egli sia benedetto, la Torah, e Israele; ciascuno è su [due] livelli, nascosti e rivelati. »
(Zohar III.73a[9])
« Chiunque si impegna nella Torah, è come se si impegnasse nel palazzo del Santo, che Egli sia benedetto, poiché la Torah è il palazzo eccelso del Santo, che Egli sia benedetto, e quando un uomo si impegna nella Torah il Santo, che Egli sia benedetto, è là e ascolta la sua voce. »
(Zohar II.200a)
« Quando gli angeli dall'alto scendono in basso indossano le vesti di questo mondo, poiché se non si vestissero in tale maniera mondana non potrebbero esistere qui, poiché il mondo non potrebbe sopportarli. Se ciò è vero degli angeli, a maggior ragione è vero della Torah con cui Egli li creò e il mondo intero, e in virtù della quale esistono... pertanto le storie della Torah sono soltanto le vesti della Torah e chiunque creda che le vesti siano la Torah stessa e non qualcosa d'altro, possa il suo spirito estinguersi e non aver porzione nel mondo a venire! »
(Zohar III.152a[10])

Moshe Idel reputa che forse lo Zohar, e certamente alcuni cabalisti, arrivarono al punto di identificare la Torah con Dio.[11] Sarebbe impossibile dimostrare che nessun cabalista arrivò a tal punto, ma lo Zohar non è scritto in quella sorta di linguaggio scientifico preciso che possa mai giustificare l'affermazione che esso identifichi la Torah con Dio; sebbene indubbiamente contenga affermazioni che possono essere superficialmente lette in quel modo, parla anche della Torah come creazione di Dio, e riporta persino "conversazioni" tra Dio e Torah, che sottende siano quindi separati. Frequentemente la Torah viene citata come Nome di Dio: "Queste dieci parole (i Dieci Comandamenti) sono il nome del Santo, che Egli sia benedetto, e tutta la Torah è un solo nome, il vero nome santo del Santo, che Egli sia benedetto" (Zohar II.90b). Non è che lo Zohar si contraddica, ma piuttosto che il linguaggio dello Zohar, come quello dei mistici in generale, non è letterale; è il linguaggio della poesia e dell'allusione, non di rigorosa dottrina. Proprio in questo senso poetico lo Zohar (III.93b) afferma: "Israele e il Santo, che Egli sia benedetto, sono chiamati Uno"; non che siano identici in senso letterale, che sarebbe assurdo, ma piuttosto, come indica il contesto, che appartengono insieme "come il giorno e la notte".

Che Idel sia corretto o meno, i cabalisti certamente vennero a credere che le mitzvot costituissero una sorta di essenza divina e quindi cosmicamente importante, visione articolata da Menachem da Recanati, in Italia (1300 circa). Recanati scrive:

« Ho trovato nel... che le dieci sefirot sono chiamate gli attributi del Santo, che Egli sia benedetto, e Gli aderiscono come fiamma a carboni ardenti ed emanano da Lui e mediante loro il mondo fu creato... Tutta la saggezza viene allusa nella Torah e non c'è nient'altro di più... ogni mitzvah pende da una parte del carro (celeste)... il Santo, che Egli sia benedetto, non è altro che la Torah, né la Torah è al di fuori di Lui...
...sappi quindi che le mitzvot della Torah sono divise in molte, ma tutte loro derivano da una Potenza, la Causa delle Cause, che Egli sia benedetto; ogni mitzvah una una radice profonda e significato nascosto, un significato che non può essere conosciuto attraverso nessun'altra mitzvah...
Chiunque adempie una mitzvah dà potenza a quella mitzvah oltre il punto in cui il pensiero viene esaurito ed è, per così dire, come se confermasse una porzione del Santo Stesso, che Egli sia benedetto. »
(Recanati, Sefer ta`amei hamitsvot hashalem, Introd. 2, 3)

Quindi, per Recanati e altri cabalisti, l'adempimento delle mitzvot è un atto teurgico, giustificato non mediante la sua utilità sociale o altra conseguenza "naturale", ma attraverso la sua potenza supernaturale nelsollevare e ripristinare la creazione al suo Creatore.

In questa vena Recanati spiega che le mitzvot connesse con la Pesach riguardano il processo cosmico della redenzione, in cui l'attributo divino della misericordia "addolcisce" l'attributo della giustizia. Per esempio, l'agnello pasquale (corrispondente all'attributo della misericordia) deve essere consumato insieme al pane azzimo e alle erbe amare (attributi della giustizia). Analogamente, Recanati raggruppa insieme la proibizione di mischiare latte e carne con altre leggi sulle mescolanze, cioè le proibizioni di seminare semi mischiati e l'incrocio di animali. Queste mitzvot, dice, sono analoghe alla proibizione della stregoneria, che mescola (cioè confonde) i poteri spirituali e quindi contraddice la creazione di Dio.

Contrariamente all'opinione comune dei mistici come figure antinomiche, la maggior parte dei cabalisti insitevano sulla meticolosa osservanza delle leggi della Torah. Le loro interpretazioni mistiche miravano a rafforzare la legge approfondendone l'importanza, in contrasto con l'interpretazione figurativa o mistica del cristianesimo, che era una forma di "spiritualizzazione" mirata a sostituire, o cambiare, l'implementazione pratica della legge.

Profeti dopo la Bibbia[modifica]

Diversi cabalisti professavano di aver ricevuto rivelazioni; occasionalmente credevano che Elia si rivelasse loro e li istruisse nei misteri della Torah, circostanza di cui ci sono precedenti talmudici.[12]

Altri asserivano un'ispirazione più diretta. In Francia e Germania nel dodicesimo e tredicesimo secolo c'erano degli uomini di circoli pietisti noti come perushim ("coloro che si ritirano [dalla società]") e ḥassidim ("i pii") che assunsero o ricevettero il titolo di "profeta". Apparentemente erano mistici della tradizione merkavah ed il titolo di "profeta" indicava che avevano compiuto escursioni celesti e appreso misteri profondi.[13]

Tra questi si annovera Jacob di Marvège, che produsse responsa halakhici assertivamente rivelatigli dal cielo mediante sogni;[14] Ezra di Moncontour, citato dai Tosafisti come "il profeta";[15] Isaac di Dampierre; Nehemiah ben Solomon; Troestlin di Erfurt e Eleazaro di Worms.

Non molti continuarono ad affermare una rivelazione diretta dopo il tredicesimo secolo, ma Elia continuò a istruire i devoti, e dichiarazioni di gilui eliyahu (apparizione di Elia) vengono fatte a tutt'oggi. In una strana variante sul tema, Joseph Karo (1488-1575) credeva che lo spirito della Mishnah lo possedesse e gli rivelasse segreti mistici, registrando tali visioni nel suo diario che, contrariamente alle sue migliori intenzioni, non riuscì a distruggere prima di morire all'età di 89 anni.[16]

Il problema di tutto ciò rispetto agli insegnamenti tradizionali ebraici non sta nell'implicito revival della profezia, quanto il rischio che qualche presunto profeta potesse proclamare una legge che aggiungesse o detraesse dalla Torah di Mosè. Saltuariamente questo è avvenuto, quando per esempio il profeta del diciannovesimo secolo Nathan di Gaza approvò le eresie antinomiche del pseudomessia Sabbatai Zevi. Tuttavia nell'insieme il pericolo è stato contenuto,, poiché il contenuto delle comunicazioni celesti sono stati "messaggi" personali in conformità con la halakhah, interpretazioni teosofiche della Scrittura con non hanno quasi nessuna rilevanza con la halakhah, oppure ordinari chiarimenti halakhici e interpretazioni che possono essere sostenute razionalmente.

La tendenza profetica ha rafforzato il senso di rinnovo nell'ambito dell'ebraismo, iniettando ulteriore vitalità nella tradizione, ma allarma coloro che considerano movimenti e correnti di entusiasmo con circospezione.

Nachmanide (Ramban) il Mistico[modifica]

Nachmanide, affresco murale ad Acri (Israele)

Moshe ben Nahman Girondi, noto come Nachmanide (1194-1270) o con l'acronimo ebraico Ramban, ottenne pari riguardo sia come capo comunitario, halakhista, filosofo, poeta e commentatore biblico. Proveniva da Girona, nella Catalogna, patria della principale scuola cabalista spagnola; fino al 1325 circa, quando lo Zohar venne accettato più ampiamente, era considerato il maggiore cabalista. La sua associazione con la Cabala spagnola mainstream è oscura, dato che i suoi scritti sull'argomento sono allusioni piuttosto che esposizioni chiare.[17]

Nel suo Commentario della Torah(Vedi immagine sopra), completato quando era vicino alla morte, combinò gli approcci razionali con quelli mistici. "Il nostro maestro Mosè scrisse questo libro insieme alla Torah intera secondo le direttive del Santo, che Egli sia benedetto", scrive nell'introduzione a Genesi. Allora perché la Torah non comincia con le parole "Il Signore parlò a Mosè dicendo..."? È perché la Torah precedette la creazione del mondo, scritta in fuoco nero su fuoco bianco,[18] cosicché Mosè fu come una scriba che copiava un rotolo antico. Esistono cinquanta portali di conoscenza e Mosè ne ricevette quarantanove. Trattano di tutta la conoscenza che è nel mondo, tutte le creature, tra cui gli esseri umani e le sfere celesti. Tutta questa conoscenza è indicata nella Torah, a volte esplicitamente, a volte solo mediante il valore numerico delle lettere o tramite le loro forme; Salomone, il più saggio degli uomini, acquisì la sua conoscenza, anche i particolari delle proprietà medicinali delle erbe, attraverso la Torah in questo modo. Noi (cioè, i cabalisti) possediamo una tradizione affidabile, scrive Nachmanide, che l'intera Torah consiste dei Nomi di Dio, che possono essere raccolti dalle sue lettere in modi differenti, e ciò è perché, se anche una sola lettera manca o è sbagliata, il rotolo è invalido. Nella Torah originale, scritta con fuoco nero su fuoco bianco, non c'erano spazi tra le parole, cosicché poteva essere letta sia puramente come Nomi, o nel modo separato in cui la leggiamo ora per articolare la Torah ed i comandamenti.

Conclusione[modifica]

I cabalisti svilupparono vari modi di esprimere la dottrina della torah min hashamayim. Comune a tutti è il senso che la Torah non è un "mero" testo dettato da Dio a Mosè, come se fosse qualcosa di esterno alla divinità. La Torah è la distillazione dell'essenza divina; sebbene l'Infinito (Ein Sof) rimanga per sempre al di là della comprensione umana, la Torah è di per se stessa, misteriosamente, la Presenza divina accessibile.

La Torah non solo è venuta dal Cielo, come un libro potrebbe emergere dalla penna di un autore in un particolare tempo e luogo; ma irradia permanentemente dal cielo, creando un legame vivente tra l'umano ed il divino; la profezia nelle forme che continuano a manifestarsi, conferma la Torah rivelata e palesa in essa profondità precedentemente nascoste.

Note[modifica]

  1. Le prime opere apocalittiche conosciute sono la Profezia Uruk Babilonese e la Profezia Dinastica. Si veda Lambert, Background of Jewish Apocalyptic, e Grayson, "Babylonian Origin of Apocalyptic Literature".
  2. "Carro" è il carro divino descritto da Ezechiele 1; "palazzi" deriva da 1 Cronache 28:18 e si trova per la prima volta come riferimento al misticismo merkavah alla fine di Siracide 49:8: "Ezechiele contemplò una visione di gloria, che Dio gli mostrò sul carro dei cherubini."
  3. Cfr. Idel, Kabbalah: New Perspectives.
  4. Secondo San. 65b due rabbini del IV secolo, Hanina e Hoshaiah, usarono hilkhot (in alcune versioni, sefer) yetzirah per creare un vitello di 3 anni, che poi mangiarono. L'attribuzione della storia non è chiara, e l'identificazione col libro in questione è implausibile. Per una traduzione in (EN) di Sefer Yetzirah, si veda Blumenthal, Understanding Jewish Mysticism, pp. 13-46.
  5. Sesto Empirico, Lineamenti pirroniani 3:151-167 e Contro i fisici 2:248-309.
  6. Drosnin, Bible Code. Sull'assurdità del procedimento si veda Levy, Fixing God's Torah, pp. 167-173.
  7. In PARTE II.2 vedremo che è comunque impossibile determinare con precisione il testo "corretto" su cui poter basare un tale esercizio. Né pare che sia mai stato spiegato su che base i codificatori della Bibbia ignorino gli spazi tra le lettere. Nonostante ciò, esiste una vera problematica di crittografia nella Bibbia; cfr. M. Fishbane, Biblical Interpretation, p. 464.
  8. Lo Zohar, opera definitiva della cabala delle Sephirot (emanazioni divine), appare nella forma di commentario del Pentateuco, registrando le conversazioni a nome di Simon bar Yohai e dei suoi compagni; il consenso esegetico è che fu in gran parte composto da Moses de León (1250-1305) nell'ultimo decennio del XIII secolo.
  9. Si veda Unterman, Kabbalistic Tradition, p. 36.
  10. Vale a dire, "non percepiscono il vero significato della Torah".
  11. Idel, "Jacques Derrida", pp. 112-116.
  12. Per esempio, TB Ta`an. 22a.
  13. Scholem, Ursprung, pp. 210segg. (Origins, pp. 239segg.) e note.
  14. Jacob di Marvège, She`elot uteshuvot min hashamayim.
  15. Tosafot su TB Git. 88a s.v. "vedilma"; Shev. 25a s.v. "rav". Entrambe le citazioni "rivelate dal cielo" sono in realtà argomentazioni talmudiche.
  16. La prima edizione completa del suo diario, Magid mesharim, fu pubblicata ad Amsterdam nel 1708. Cfr. Werblowsky, Joseph Karo.
  17. Scholem, Ursprung. La Parte IV (cap. 4) esamina la visione cabalistica di Nachmanide e del circolo di Girona, e di nuovo in una serie di lezione ebraiche, The Kabbalah in Gerona.
  18. Nachmanide deriva questa idea da C.d.C. Rabbah (Vilna) 5:11, o forse da TG Shek. 6:1, fine (49d).