Torah per sempre/La Torah originale

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Indice del libro
Raffigurazione di rotolo della Torah in pergamena, Fribourg 1700
Raffigurazione di rotolo della Torah in pergamena, Fribourg 1700
« Non esiste una ricezione passiva della Tradizione. Colui che riceve, il discepolo, è sempre - deve sempre essere - la scena di una creazione. Ricevere è creare, innovare! "La pietrificazione delle conoscenze acquisite - il congelamento delle cose spirituali - lasciandosi collocare come un contenuto inerte nella mente e da tramandare, congelata, da una generazione all'altra, non è una vera trasmissione..." Consegnare è "ripresa, vita, invenzione e rinnovamento, una modalità senza la quale il pensiero rivelato, vale a dire il pensiero che è autenticamente pensato, non è possibile. »
(Marc-Alain Ouaknin)


I cristiani di lingua inglese presero comunemente la versione della Bibbia di Re Giacomo come l'autorevole Parola di Dio, la Chiesa romana per secoli considerò la Vulgata latina di San Girolamo come un testo autorevole e divinamente ispirato, le chiese orientali veneravano la Versione greca dei Settanta o l'Antico Slavo. Tra gli ebrei, ad eccezione della comunità dell'antica Alessandria, il testo ebraico ha sempre avuto predominanza; al giorno d'oggi anche la maggior parte dei cristiani riconosce il primato del testo ebraico.

Ciò detto, dobbiamo ugualmente chiederci se i testi ebraici in nostro possesso sono trasmissioni accurate degli originali. Certamente sono più vicini all'originale di qualsiasi versione latina, greca o inglese; Dio non parlò a Mosè in latino, greco, o inglese. Tuttavia questo non significa che essi siano perfetti.

Esiste anche una domanda ancor più fondamentale da chiedersi. È mai veramente esistito un testo "originale"? È un concetto del genere applicabile ai libri della Bibbia ebraica?

Nell'ambito dell'ebraismo rabbinico ci sono ulteriori domande. I rabbini del Talmud erano d'accordo sul preciso testo rivelato a Mosè sul Sinai? Qualcuno ha messo in discussione l'autenticità del testo tradizionale? In che modo i rabbini, prima e in seguito, hanno considerato le varianti del testo di cui erano a conoscenza?

Queste sono le domande da affrontare nel presente capitolo.

Come furono scritti i testi[modifica]

Di necessità dobbiamo sapere come furono scritti i testi ebraici all'inizio, quindi avremo bisogno di usare un gergo tecnico per essere in grado di conversare significativamente sui tipi di variazione che si verificarono.

L'ebraico biblico fu scritto in origine con caratteri di sole consonanti; non esisteva punteggiatura e, sebbene nella maggioranza dei manoscritti antichi conosciuti ci siano spazi o punti che separano una parola dall'altra, sembra possibile che i primi testi riportassero tutte le consonanti insieme.[1]

Sebbene non esistessero vocali come tali, quattro consonanti — l'alef silente, la heh finale, yod e vav — potevano essere usate per indicare vocali lunghe; di queste la lettera yod poteva essere usata per "i" lungo oppure "e", mentre vav per "o" lungo oppure "u". I grammatici chiamano queste consonanti matres lectionis ("madri di lettura"). Il testo biblico ricevuto non è consistente nel suo uso di matres lectionis e, nei primi tempi, c'era una grande variazione d'utilizzo tra gli scribi.

Se una parola contiene yod o vav ad indicare una vocale, questa viene chiamata "plene" (piena); in ebraico malé. Se yod o vav è omessa da una posizione in cui è normalmente presente, la parola viene chiamata "difettiva"; in ebraico, ḥaser.

Versioni moderne stampate della Bibbia ebraica incorporano nel testo consonantico una vocalizzazione completa, cioè, quella serie di segni vocalici e accenti musicali inventata dai Masoreti (dei quali in seguito) tra il 500 ed il 700 e.v. Tuttavia, la halakhah decreta che i rotoli della Torah debbano essere scritti nei caratteri convenzionali, senza vocalizzazione, e tale è la norma tutt'oggi.

Lo scritto "convenzionale" viene chiamato in ebraico ketav ashuri "scrittura assira (=aramaica)", o ketav meruba ("scrittura quadrata"); da questa deriva l'ebraico moderno stampato. I rabbini, tuttavia, conoscevano un altro scritto, che chiamavano ketav ivri "scrittura ebraica", o ketav rotsets'',[2] e che oggigiorno conosciamo come paleo-ebraico. Non erano sicuri in quali di queste grafie fosse la Torah originale fosse stata data a Mosè, ma reputavano Esdra responsabile del passaggio (o reversione) alla scrittura quadrata.[3] Alcuni studiosi credono che le due scritture esistessero affiancate da secoli. I Samaritani continuarono ad usare la loro versione di ketav ivri, che mantengono a tutt'oggi; esiste un'attestazione nei Rotoli del Mar Morto di un tentativo arcaizzante anche in altre tradizioni, di reintrodurre il paleo-ebraico, specialmente per i nomi divini.

I paleografi tracciano una transizione graduale dai caratteri proto-cananiti attraverso il fenicio fino al paleo-ebraico e al samaritano; la grafia aramaica, che rimpiazzò il cuneiforme per scrivere in assiro, si ramificò dall'albero cananita un po' dopo il paleo-ebraico e diede origine all'ebraico quadrato, come anche al nabateo (da cui l'arabo), al siriaco e ad altri caratteri. Quindi il ketav ashuri in realtà non è proprio una "nuova" scrittura, ma piuttosto un cugino del paleo-ebraico, derivante dallo stesso ceppo.[4]

In alcune forme della scrittura ebraica quadrata ci sono cinque lettere, מנצפכ mem, nun, tsadi, peh, e kaf, che hanno doppie forme םןץףך, un po' come il maiuscolo ed il minuscolo in italiano, eccetto che il formato "maiuscolo" nella parola occupa la posizione finale e non iniziale. Tali forme non appaiono in tutte le tradizioni scribali, né esistono nel paleo-ebraico, ma i rabbini del Talmud le conoscevano e discutevano se si fossero originate nel Sinai oppure fossero state introdotte in seguito dai profeti.[5] Furono adottate dai Masoreti e sono diventate le forme finali standard per tali lettere.

Le particolarità scribali occasionali, come i punti sopralineari (puncta extraordinaria) e lettere formate anormalmente, appaiono in manoscritti biblici.

Tra i primi documenti egizi c'è il Papiro Prisse, datato verso il 2000 p.e.v., nel Medio Regno;[6] gli antichi Israeliti, tuttavia, preferivano scrivere su rotoli di pergamena fatti di pelle animale. Nessuno sa con certezza quando gli ebrei copiarono per la prima volta i loro rotoli su papiro o altri materiali di scrittura (rotoli sia di cuoio che di papiro sono stati rinvenuti tra i Manoscritti del Mar Morto) e li rilegarono in codici — nel senso odierno di "libri". I Masoreti certamente scelsero tale forma, producendo i loro testi modello come codici piuttosto che come rotoli. Il formato codex serviva a distinguere la copia vocalizzata della Torah, inaccettabile nell'uso liturgico, dal rotolo di pergamena non vocalizzato usato in sinagoga; era molto più conveniente da utilizzare a scopo di studio, da riferimento nelle correzioni, per le incorporazioni dell'apparato masoretico aggiuntivo di segni e note.

Il termine "testo masoretico", spesso simbolizzato da M, sta per quei testi basati su modelli forniti dai Masoreti e includono Bibbie classiche stampate, come anche tutti i rotoli attuali della Torah.

Testimonianze dei Rotoli e delle Versioni Antiche[modifica]

Nel 1979 furono rinvenuti a Ketef Hinom (Gerusalemme) due minuscoli rotoli d'argento, forse amuleti, incisi con un testo ebraico simile ma non identico a quello del testo masoretico della Benedizione Sacerdotale (Num. 6,24-6); sono scritti in caratteri paleo-ebraici. Si pensa siano datati a partire dal 600 p.e.v. e sono i più antichi scritti biblici in esistenza.[7] Siamo quindi parecchi secoli dopo la data presunta di Mosè e ancora più tardi persino di Isaia in Gerusalemme; chiunque cerchi di dimostrare che la Torah attualmente in nostro possesso è identica a quella di Mosè, dovrà chiaramente fare a meno dei referti manoscritti contemporanei!

Nella primavera del 1947 un pastore arabo che si aggirava nei pressi del Mar Morto, qualche chilometro a sud di Gerico, gettò una pietra dentro una grotta e la sentì frantumare qualcosa. Quando si arrampicò per indagare, scoprì dei vasi che contenevano scritti antichi. La scoperta e l'identificazione di quelli che oggi conosciamo come i Rotoli del Mar Morto di Qumran e di altre grotte nel deserto della Giudea, è una delle scoperte più importanti dell'archeologia del ventesimo secolo, che comprende la Guerra d'Indipendenza di Israele, decenni di rivalità tra accademici, accuse di estorsione, corruzione, nonché soppressione deliberata di prove. Dopo mezzo secolo e il decesso di alcuni dei protagonisti, sembra che le acque si siano calmate. L'intero corpus è ora disponibile per lo studio e l'importanza delle scoperte diventa sempre più palese; di primari rilievo è la straordinaria serie di antichi manoscritti biblici.[8] Prima della scoperta dei Rotoli del Mar Morto, il manoscritto biblico più antico esistente era un papiro acquisito da W. L. Nash presso un commerciante egiziano nel 1902 e pubblicato da S. A. Cook l'anno seguente; contiene i Dieci Comandamenti in una formulazione mista tra Esodo 20 e Deuteronomio 5, lo Shemà (Deut. 6,4-5), e fu scritto verso il 100 p.e.v.[9] A parte questo referto, non si conosceva praticamente nulla di ciò che era stato scritto prima del nono secolo e.v., cioè perlomeno mille anni dopo la composizione degli ultimi libri biblici.

Comunque, nel 1947 gli studiosi avevano concluso che esistevano almeno tre tradizioni testuali: il testo masoretico, il testo samaritano del Pentateuco e il Vorlage, o presunto originale ebraico, della versione greca fatta per gli ebrei d'Egitto e nota come "Septuaginta", ovvero la Traduzione dei Settanta (LXX). Queste erano a volte rispettivamente conosciute come le recensioni babilonese, samaritana ed egiziana.[10]

Le grotte del deserto giudaico hanno fornito manoscritti retrodatati fino alla metà del terzo millennio p.e.v., ben dentro il periodo del Secondo Tempio e prima della probabile data della composizione degli ultimi libri della Bibbia ebraica (Tanakh). Tutti i libri della Bibbia ebraica, con l'eccezione di Ester, sono presenti, ma la maggior parte sono frammenti e solo pochi comprendono più di un decimo di libro singolo.

I manoscritti biblici rinvenuti sulle rive del Mar Morto si suddividono in tre categorie:

  1. Testi Proto-Masoretici. Appartengono a questa categoria quasi tutti i testi scritti in paleo-ebraico, come anche tutti i testi trovati a Masada. La letteratura rabbinica, i Targumim aramaici e alcune traduzioni greche (ma non la Septuaginta) chiaramente derivano da testi di questa tradizione. La relativa mancanza di varietà nell'ortografia suggerisce che i testi fossero copiati con cura, sebbene ci siano importanti differenze tra loro e non ci sia un "testo masoretico" definitivo.
  2. Testi Pre-Samaritani Questi sono "pre-" piuttosto che "proto-" samaritani, poiché i successivi testi distintamente samaritani mostrano emendamenti che riflettono la teologia samaritana, per esempio riferimenti allo stato centrale del Monte Gherizim. Tali riferimenti non vennero trapiantati nel testo proto-masoretico, ma in un testo leggermente differente che precede lo stesso movimento samaritano. Le caratteristiche di questo testo in relazione a quello proto-masoretico sono alterazioni armonizzanti, correzioni linguistiche, differenze di contenuto e differenze linguistiche.[11]
  3. Testi scritti nella Pratica di Qumran. Questi si pensa siano testi copiati dagli stessi aderenti alla setta qumranica, mentre i testi proto-masoretici e pre-samaritani furono da loro importati. Mostrano una particolare ortografia, ricca di matres lectionis e con una morfologia specifica, esibita in forme del tipo di pronomi indipendenti allungati (huAH, hiAH, atemAH, ecc.) e suffissi pronominali allungati per la seconda e terza persona (bamAH, bahemAH, malkamAH).[12] La "Pratica di Qumran" non è una quarta tradizione testuale in aggiunta alle tre proposte precedentemente; ma è un modo particolare di copiare le prime due.

Gli studiosi continuano a dibattere se qualcuno dei rotoli possa appartenere alla tradizione della Septuaginta Vorlage; quelli citati come 4QJerb,d e 4QSama potrebbero esserlo,[13] ma non sono altro che frammenti.

Quanto attenti erano i copisti antichi nel riprodurre accuratamente il testo che avevano a fronte? Tov scrive: "Nell'ultimo secolo p.e.v. e nei primi secoli dell'era volgare, gli scribi erano impegnati principalmente nel processo di trasmissione, ma precedentemente molti si consideravano anche di essere collaboratori minori nella creazione dei libri."[14] Di sicuro, nel periodo rabbinico gli scribi si curavano meticolosamente di conservare i testi sacri. Rabbah bar bar Hana riportava a nome di Yohanan (terzo secolo e.v., Palestina) che i correttori dei rotoli (magihei sefarim) a Gerusalemme venivano pagati coi fondi del tesoro del Tempio.[15] Una baraita citata nel Talmud gerosolimitano menziona a nome del discepolo e collega di Yohanan, Simon ben Lakish, che tre rotoli della Torah erano tenuti nella corte del Tempio e che, in tre occasioni, furono fatte correzioni secondo la lettura principale:

« Trovarono tre rotoli della Torah nella corte del Tempio: maoni, zatutei, e hi. Nel primo trovarono scritto "Il Dio eterno è la tua dimora (maon)" (Deuteronomio 33,27), ma negli altri due era scritto me`onah; essi confermarono i due e rifiutarono l'altro. In uno trovarono scritto "Egli mandò i piccoli (zatutei) degli Israeliti" (Esodo 24,5);[16] ma in due stava scritto "ed egli mandò i giovani (na`arei) degli Israeliti"; confermarono due e rifiutarono uno. In uno trovarono hi scritto 9 volte e in due era scritto 11 volte; confermarono due e rifiutarono uno.[17] »

Questo resoconto indica che i saggi talmudici erano consapevoli delle varianti scribali e sostenevano quegli sforzi che cercavano di stabilire ciò che si credeva fosse il testo corretto. Il metodo, simile a quello usato dai copisti dei Rotoli del Mar Morto e rivendicati da rabbini successivi, si basa sul principio halakhico di seguire la maggioranza. Questa non è una base scientifica per il recupero di un testo originale e in verità non è chiaro come tale metodo potesse venire applicato al di fuori delle circostanze speciali in cui viene citato, poiché dipende dalla precorsa selezione di testi approvati mediante un metodo non meglio specificato; chi decideva che i tre rotoli del Tempio erano i migliori disponibili e in base a cosa? Anche se abbiamo fiducia nella autorità del Tempio, come possiamo decidere oggi quali sono i rotoli autorevoli e come possiamo essere sicuri che la lettura corretta fosse quella della maggioranza? È proprio questa mancanza di conformità tra la procedura scientifica e quella halakhica che permea i dibattiti medievali se il Talmud debba essere superiore alla Masorah o viceversa, quando i due testi entrano in conflitto.[18]

David Rosental nota diversi esempi in cui i saggi, anche quando determinavano che ci fosse una lettura "corretta", basavano un derashah sulla lettura respinta. Per esempio, il testo masoretico di Esodo 21,29, relativo ad un bue il cui padrone era stato avvisato e non lo aveva custodito, riporta velo yishmerenu ba`alav "e il suo padrone non lo aveva custodito". La Septuaginta traduce kai mē aphanise auton, "e non lo abbatté", che presuppone una lettura di yishmedenu invece di yishmerenu. Rosental propone che questa sia una giustificazione di Rabbi Eliezer per aver decretato "l'unica sicurezza [adeguata contro tale animale] è il coltello".[19]

Tuttavia, sebbene i rabbini fossero consapevoli delle variazioni scribali, e sebbene abitualmente risolvessero i problemi della Mishnah ricorrendo a revisioni testuali, non proposero mai revisioni testuali come soluzione a difficoltà col testo biblico. Come osservò Saul Lieberman:

« I Rabbini non proposero mai la correzione del testo della Bibbia. In tutta la letteratura rabbinica non incontriamo mai divergenze d'opinione in merito a letture bibliche. È quindi ovvio che le correzioni testuali dei classici greci praticate dai grammatici alessandrini non hanno paralleli nell'esegesi rabbinica della Scrittura.[20] »

Philip Alexander ha proposto tre ragioni per l'astensione dei rabbini dall'apporre correzioni testuali alla Bibbia:[21]

  • Tradizione. Una volta che il testo proto-masoretico era stato accettato, forse nei circoli da cui emersero i rabbini, esso era troppo autorevole per modificarlo in un qualunque modo; persino le marcature scribali redazionali dovevano essere conservate.
  • Apologetica. Poiché ebrei, cristiani e samaritani avevano accettato tradizioni testuali differenti (Masoretica, Septuaginta, Samaritana), i rabbini reputarono necessario difendere la propria posizione contro rivendicazioni rivali.
  • Teologia. La dottrina dell'inviolabilità della Scrittura richiedeva un testo perfetto, inalterabile, la "planimetria" della Creazione, come Rabbi Hoshaiah la descrive nel primo capitolo di Genesi Rabbah.

Il Codex Severi[modifica]

Il Talmud colma di lodi Rabbi Meir del secondo secolo, per la sua abilità di scriba. Quando disse al suo maestro Ishmael ben Elisha quale era la sua professione, Ishmael gli rivolse le seguenti parole: "Figlio mio, stai attento nel tuo lavoro, poiché è lavoro celeste; se tu ometti o anche aggiungi una lettera, distruggerai il mondo".[22]

Meir era oltremodo coscienzioso – infatti, al contrario dei suoi colleghi, osservava il principio halakhico alquanto delicato, ḥaishinan lemiuta, "dobbiamo preoccuparci anche di casi minori"[23] – possiamo quindi presupporre con certezza che egli abbia praticato la più grande cautela nella sua pratica scribale. In base a ciò, è alquanto sorprendente che il Midrash Genesi Rabbah abbia notato tre divergenze nel rotolo della Torah di Rabbi Meir, tra cui la scrittura della parola אור‎ `or "luce" (con iniziale alef) invece di עור `or "pelle" (con iniziale ayin) in Genesi 3,21; nella versione di Meir il versetto riporta "Dio fece all'uomo e alla donna tuniche di luce".[24]

Alcuni hanno identificato il rotolo della Torah di Rabbi Meir col rotolo che Rabbi Moses Hadarshan dell'undicesimo secolo[25] afferma fosse stato portato a Roma come bottino nel 70 e.v. e successivamente conservato nella sinagoga di Asverus (Severus?).[26] Tale rotolo conteneva oltre 30 divergenze dal testo masoretico successivamente stabilito, spesso di poco conto.

Genesi Rabbah, comunque, fa riferimento a tre divergenze. Non c'è indicazione in questo midrash che Meir sia stato considerato eretico perché aveva accettato una lettura divergente; la reazione sembra invece essere stata che la sua lettura, lungi dall'essere eretica, trasmetteva un qualche mistero profondo della Torah.

Recupero del Testo Originale?[modifica]

"Testo originale della Bibbia" è un concetto significativo? Un qualche sconosciuto Urtext (testo fondamentale) sottosta alle tradizioni Masoretica, Septuaginta, Samaritana, o altra? Se è così, la versione proto-masoretica è stata più attinente delle altre? Ciò è improbabile, poiché ci sono situazioni in cui il proto-masoretico sembra essere secondario al Vorlage della Septuaginta.[27] Libri biblici differenti erano soggetti a procedimenti di sviluppo differenti?[28] Il concetto di "libro" era più fluido nel periodo biblico ed è la nozione di un testo fisso sacrosanto un anacronismo?

Tali domande non possono avere risposte certe. È chiaro, tuttavia, che il testo masoretico attualmente accettato, derivante in gran parte dal codice Ben Asher, non può essere l'Urtext biblico dal quale sono derivate tutte le altre versioni. Né si conforma in tutti i rispetti con il/i testo/testi usato/i dai rabbini. In svariati casi lo stesso Talmud basa una derashah (interpretazione), a volte una con conseguenze halakhiche, su un testo differente da quello ricevuto. I Tosafisti del tredicesimo secolo lo notarono;[29] in seguito, Rabbi Akiva Eger (1761-1837), rinomato talmudista ortodosso e forte opponente della critica storica, elencò oltre venti di tali esempi.[30] L'elenco di Eger è importante non per la sua originalità ma perché fu steso da un rabbino fortemente tradizionalista agli inizi del diciannovesimo secolo.

In ultimo, come emerse un testo masoretico definitivo, visto che già nei tempi antichi esistevano testi divergenti? Sicuramente il processo di copia sarebbe risultato in una moltiplicità piuttosto che in una riduzione delle divergenze? Gli scribi del Tempio che correggevano i rotoli sulla base di una lettura di maggioranza, i rabbini che descrivevano la loro attività, nonché i Masoreti, tutti pensavano di stare recuperando l'Urtext come l'aveva ricevuto Mosè sul Sinai, oppure tramite i profeti che avevano mediato gli altri libri. Tuttavia, ciò che accadde veramente fu che, in un processo di selezione, testi alternativi vennero gradualmente eliminati; che ciò che rimase è quello che esisteva sin dall'inizio, rimane da provare.

La nozione che gli scribi fossere occupati nel recupero e conservazione del testo originale autentico generò ulteriori ambiguità. Cosa stavano facendo gli scrittori della Septuaginta quando, secondo il resoconto talmudico, introdussero miracolosamente e indipendentemente parecchie traduzioni deliberatamente errate in greco, traducendo per esempio bayom hashevi`i ("nel settimo giorno" – Genesi 2,2) con "nel sesto giorno"?[31] La Lettera di Aristea, a cui la versione talmudica deve essere in qualche modo debitrice, non dice nulla delle traduzioni errate, o di traduttori isolati l'uno dall'altro per assicurare esattezza; al contrario, Tolomeo fornisce tutto il supporto necessario per un'attività collaborativa: "Si misero quindi al lavoro, confrontando i loro risultati e facendoli combaciare, e tutto quello su cui erano d'accordo veniva appropriatamente copiato... Ogni cosa che desideravano veniva loro procurata lautamente."[32] Evidentemente, quindi, furono i rabbini stessi che introdussero la nozione di traduzioni deliberatamente erronee. Forse questo era il modo in cui spiegavano le differenze tra la Bibbia greca usata dagli ebrei di Alessandria e le proprie tradizioni, piuttosto che sulla base di un Vorlage ebraico che differiva marcatamente dal loro testo ricevuto.

Cosa sta dietro alle tikunei soferim (correzioni scribali),[33] iturei soferim (aggiunte scribali),[34] o keri e ketiv (casi in cui il testo è scritto in un modo, ma letto in un altro)?[35] Oppure quale è l'importanza degli elementi para-testuali come i puncta extraordinaria,[36] o le lettere sospese[37] e la lettera invertita nun,[38] tutto ciò annotato nel Talmud, come anche i particolari della spaziatura e stesura? La spiegazione tradizionale in ciascun caso presuppone un testo ricevuto fisso; cioè, i rabbini interpretano questi accorgimenti come modo per riconciliare la fede in un unico testo autentico con la circostanza reale dei testi divergenti.

Per esempio, il punto sopra la lettera finale heh nella parola reḥokah ("distante") in Numeri 9,10 viene interpretata come modifica al significato di reḥokah "distante" che diventa "non tanto distante, ma oltre la soglia della corte del Tempio".[39] I punti erano utilizzati dai greci per indicare letture dubbie;[40] presumibilmente vennero introdotti da copisti ebrei con lo stesso proposito, nel qual caso questo punto indica soltanto un dubbio che la lettera debba stare lì, una posizione riflessa in una dichiarazione messa in bocca a Esdra, la cui responsabilità per la forma ricevuta del testo sacro fu riconosciuta dai rabbini: "Esdra disse: Se Elijah viene e mi chiede «Perché hai scritto questa [parola nella tua Torah]», io dirò: L'ho indicata con punti. Se mi dice, «Ciò che hai scritto è corretto», allora io leverò i punti."[41]

Nel complesso, comunque, i rabbini preferivano non interpretare i punti supralineari come se indicassero incertezza, poiché ciò avrebbe messo in dubbio l'autenticità del testo ricevuto. Li interpretarono invece come accorgimento per trasmettere gli insegnamenti della Torah Orale. Presupposero un unico testo autentico, che conteneva heh con un punto supralineare; qualsiasi testo che omettesse la heh puntata nella parola reḥokah era inesatto. Questo lo possiamo dedurre da un'affermazione attribuita a Rabbi Isaac: "La lettura degli scribi, i miglioramenti scribali, il «leggi ma non scrivere, e scrivi ma non leggere [keri e ketiv]», sono leggi di Mosè dal Sinai."[42]

I Masoreti[modifica]

I nomi masorah e masoret significano "tradizione". Gli uomini che, circa dal sesto secolo e.v., cercarono di scrivere e sistemare il modo giusto di leggere la Torah, si chiamano "Masoreti". Accenti musicali, vocalizzazione, punteggiatura, e altri elementi dell'apparato scritto della Masorah postdatano il Talmud e mancano nei Rotoli del Mar Morto. Fortunatamente, un'altra grande scoperta archeologica in tempi moderni, la Geniza del Cairo,[43] ha prodotto abbondanti referti, spesso datati nel periodo creativo di Masorah, andando a supplementare la nostra comprensione del modo in cui si stabilì il testo masoretico.

I rabbini dibatterono se avessero precedenza yesh em lamikra oppure yesh em lamasoret,[44] cioè il modo tradizionale di lettura ad alta voce (mikra) o il testo consonantico scritto (masoret). Se, per esempio, una parola letta come plurale fosse scritta difettosamente, i rabbini l'avrebbero interpretata come plurale dal punto di vista della mikra (lettura) ma al singolare dal punto di vista del masoret (testo scritto) e ne avrebbero tratto quelle che loro credevano fossero conclusioni adeguate.

Tra il 500 ed il 700 e.v. studiosi nella Palestina meridionale, a Tiberiade (Galilea) ed in Babilonia escogitarono dei sistemi vocali onde conservare i modi tradizionali di leggere la forma scritta. La vocalizzazione ebraica standard deriva dal sistema tiberiense, sebbene gli ebrei yemeniti mantenessero il sistema babilonese; i manoscritti di entrambi i sistemi come anche quello della Palestina meridionale sono stati recuperati. Le differenze tra i sistemi non sono soltanto grafiche, ma riflettono una fonologia differente. Nessun sistema offre una pronuncia che si accordi consistentemente con le prime traslitterazioni, come la pronuncia dei nomi sulla Septuaginta, oppure con le traslitterazioni del testo nella Hexapla, un'opera dello studioso cristiano Origene (185-254), che incorpora col testo ebraico una traslitterazione greca e alcune traduzioni.

Che rapporto c'era tra il movimento caraita e lo sviluppo della Masorah? I Caraiti respingevano l'interpretazione e la legge rabbinche come fabbricazione umana e quindi un'aggiunta alla Scrittura ingiustificata e non autorevole; tale posizione si accorda bene con quella scritturale dei Masoreti e l'attrazione del Caraismo potrebbe essere stato rinforzato da ciò. I trattati caraiti che proponevano nuove prospettive di esegesi scritturale certamente stimolarono un rinnovato studio della Bibbia e della lingua ebraica tra i Rabbaniti dal decimo secolo in poi.[45]

Esistevano altri fattori. La costituzione di un testo biblico accurato era necessaria per confutare l'appropriazione cristiana della Scrittura, per controbattere le accuse cristiane e (dal settimo secolo) quelle mussulmane sulla corruzione del testo e come fondamento per l'esegesi rabbinica. Inoltre, il principio caraita di sola scriptura ("solo con la scrittura") era in accordo con una controtradizione che si estendeva nel passato fino ai Sadducei del Secondo Tempio.

In PARTE I.5 abbiamo citato l'ammirazione di Maimonide per l'accuratezza e spaziatura del Codice di Aleppo. Tale codice, completato dal masoreta Aaron ben Asher verso il 925 e.v., era scritto in un sistema tiberiense lievemente modificato. In qualche modo dal Cairo, dove Maimonide lo vide, raggiunse Aleppo, in Siria, dove venne conservato con cura dalla comunità ebraica per molti secoli — forse conservato con troppa cura, poiché la comunità permise la fotografia di una sola pagina, e delle 380 pagine originali solo 294 ne rimangono. Queste pagine sfuggirono alla folla in tumulto che appiccò fuoco alla Sinagoga di Aleppo nel 1948 e sono attualmente al sicuro a Gerusalemme nella biblioteca dell'Istituto Ben-Zvi.[46]

Il Codice di Aleppo contiene sia la masora parva, o Masorah minore (ebraico: masorah ketanah) sia la masora magna, o Masorah maggiore (ebraico: masorah gedolah). La prima consiste di note per una lettura e scrittura corrette del testo ed è scritta nei margini a lato, contigua al testo cui fa riferimento; l'altra consiste di note più lunghe scritte nei margini superiori o inferiori.

In parte grazie al supporto di Maimonide, il Codice di Aleppo divenne la base del testo masoretico standard,[47] sebbene i rotoli odierni della Torah si scostino dal codice in casi minori.[48]

Fu in questo periodo di attività masoretica che apparvero compilazioni come quella anonima Okhalah ve`okhlah. Questo trattato comprende circa 400 liste di casi come paia di frasi speciali una delle quali inizia con el e una con al (lista 2); parole speciali che terminano in vav (lista 33); paia di parole con la finale heh una delle quali è segnata con mapik (punto interno) mentre l'altra non lo è (lista 44).[49]

Un'altra opera composta per assistere nella registrazione accurata e nella riproduzione del testo biblico fu quella in arabo di Mishael ben Uzziel Kitāb al-Khilaf ("Libro delle Differenze"), un trattato sulle differenze tra le scuole masoretiche di Ben Asher e Ben Naftali.

I Masoreti lavorarono duro, lavorarono meticolosamente, lavorarono per molti secoli così da stabilire un testo biblico "corretto". Alla fine, però, il loro risultato fu quello di creare, piuttosto che recuperare, il testo standard.

Reazioni rabbiniche alla variazione testuale[modifica]

La Halakhah, come sviluppata nel periodo talmudico e riassunta dal trattato dell'800 Masekhet soferim, sottolinea pesantemente la ricerca della massima accuratezza nello scrivere i testi biblici, in special modo la copiatura dei rotoli della Torah. Le varianti testuali vengono considerate una sventura, non come una ricca risorsa storica, con la strana eccezione delle "vesti di luce" di Rabbi Meir,[50] sebbene questo caso non venga citato da entrambi i Talmud e potrebbe quindi essere una successiva invenzione o forse semplicemente un apporto omiletico.

Variazioni testuali continuarono a venire alla luce nonostante le attività dei Masoreti. Sebbene le variazioni fossero banali da un qualsiasi punto di vista letterario, gli halakhisti erano comunque molto preoccupati, dato che è (tuttora) proibito non solo di leggere in pubblico, ma di conservare incorretto, un rotolo della Torah che contenga anche il più piccolo errore.

Meir ben Todros Halevi Abulafia (ca.1170-1244), importante autorità a Toledo, si impegnò nella ricerca dei manoscritti in esistenza e compose il suo Masoret seyag latorah per apportare un po' d'ordine nella confusione;[51] quest'opera influenzò profondamente Kiryat sefer dello studioso provenzale Menahem ben Solomon Meiri (ca.1249-1313?) come anche la successiva ricerca masoretica. Abulafia scrisse un rotolo della Torah che doveva servire come testo-base ed esistono resoconti di scribi che, dalla Germania e dal Marocco, visitavano Toledo per copiarlo.

Verso questo periodo avvenne una controversia tra coloro che avevano preso un approccio "scientifico" riguardo alle variazioni testuali e i grandi tradizionalisti che non potevano sopportare una qualsiasi insinuazione che il testo ricevuto della Torah fosse imperfetto. La linea di spaccatura più o meno coincide con quella tra i maimonidei e gli anti-maimonidei, cioé tra i razionalisti ed i cabalisti.

Dalla parte dei razionalisti Abraham Ibn Ezra (1089-1164), nell'introduzione al suo Commentario alla Torah, annotò cinque criteri di interpretazione biblica. Il quinto, suo preferito, considera le grafie plene e difettive come variazione arbitraria senza importanza; coloro che si basano su tale interpretazione fanno dell'omiletica e non spiegazione seria del significato biblico. David Kimhi, Profiat Duran (m. 1414) e Isaac Abravanel (1437-1508) accettarono la nozione di discrepanze testuali iniziali e di errori testuali,[52] e a loro susseguirono Elijah Levita ("Eliyahu Bahur", 1468/9-1549), il filologo ebreo, grammatico, lessicografo e insegnante di molti umanisti cristiani. L'approccio di Levita, riportato nel suo libro di storia classica Masoret hamasoret, propende verso lo storico-critico; rifiuta drasticamente, per esempio, quella che egli ritiene un'affermazione caraita che i segni vocalici e altri accorgimenti masoretici originarono nel Sinai.[53]

Rabbini con tendenze cabalistiche rifiutarono di ammettere la possibilità di imperfezioni o arbitrarietà nel testo biblico ricevuto. A comment by Rabbi Yedidiah Solomon di Norzi (1560-1626) in Minḥat shai sulla parola umigvaot ("e dalle colline") in Numeri 23,9, dove, notando che in alcune copie la parola è piena (plene) mentre in altre difettiva, Norzi sceglie la piena, aggiungendo che nei casi dove c'è una controversia nella Masorah entrambe le letture sono corrette, trasmettendo misteri profondi. Poi cita lo Zohar, che sostiene che una lettura è riportata nella metivta ila`a ("alta accademia [terrena]") e l'altra nella metivta derakia ("accademia del cielo", cioè in paradiso).[54] Lo Zohar fu un'opera molto influente, poiché si credeva (e ancora lo si crede) che fosse stato composto dal rabbino del secondo secolo, Shimon bar Yohai. Sono pochi coloro che leggono detta dichiarazione e che osino implicare che una qualsiasi variazione di lettura sia erronea; persino le letture varianti provengono dal Sinai e contengono significati profondi!

David ben Solomon ibn Abi Zimra (1479-1573), noto come Radbaz, un profugo spagnolo, era il capo ufficiale della comunità ebraica d'Egitto dal 1517 al 1552, e per il resto dei suoi giorni una figura importante in Terra d'Israele. Fu un ardente difensore dell'autenticità del testo ricevuto e numerosi suoi responsa trattano di questioni testuali. Sebbene fosse egli stesso un cabalista, rifiutò di permettere agli scribi di cambiare da una grafia difettiva ad una plene la parola oto in due posizioni della Torah al fine di accordarla con un'interpretazione dello Zohar;[55] nonostante ciò, egli insistette che tutte le varianti venivano "dal Sinai".

Abbiamo già detto come i Tosafisti medievali e, in seguito, Rabbi Akiva Eger, si preoccupavano delle divergenze tra il testo ricevuto e quello citato nel Talmud. In merito alla grafia plene e a quella difettiva, le autorità aschenazite medievali si disperarono e rassegnarono, dichiarando che non si poteva più insistere su un rotolo della Torah perfettamente accurato poiché era impossibile essere certi di tali ortografie. Sebbene il sefardita Joseph Karo deliberasse, seguendo il Talmud,[56] che "si si rinviene un errore in un rotolo della Torah quando viene letto [in pubblico] se ne deve portare un altro [al suo posto] e la lettura ripresa da quel punto", l'aschenazita Moses Isserles (ca.1520-72) annotò la glossa: "Ciò solo se è un vero errore, ma non se ne deve portare un altro nel caso di una plene e difettiva poiché i nostri rotoli della Torah non sono così accurati da poter dire che uno sia meglio dell'altro."[57]

L'opinione codificata da Isserles si basa sun una tradizione ben consolidata; deriva in ultimo dall'ammissione talmudica che "noi" non siamo più esperti nel contare né le lettere né le parole della Torah.[58] Tuttavia né il Talmud né Isserles ammettono la possibilità che il testo "originale" fosse in alcun modo indefinito; il Talmud concede solo che noi non siamo altrettanto bravi a contare le lettere e le parole quanto lo erano i nostri avi e Isserles riconosce inoltre che nin ci si poteva fidare che i nostri scribi copiassero accuratamente le ortografie plene e difettive. Entrambi erano d'accordo che un testo preciso era stato ricevuto da Mosè al Sinai e che il testo attualmente in nostra mano è per la maggior parte e a tutti gli effetti identico.

La prima Bibbia ebraica stampata apparve in Spagna verso il 1480. L'introduzione della stampa, come anche l'interesse generale del Rinascimento per il recupero di testi antichi autentici, portò ad un nuovo senso d'urgenza nello stabilire il testo biblico "corretto"; per gli ebrei ci fu l'incentivo aggiuntivo di difesa contro la polemica cristiana, come si può constatare in un responsum di Judah Aryeh (Leone) da Modena (1571-1648).[59]

La seconda Bibbia Rabbinica fu stampata nel 1524/5 sotto la supervisione redazionale di Jacob ben Hayim ben Isaac Ibn Adonijah. Nella sua prefazione di editore, Jacob critica Kimhi, Profiat Duran e Isaac Abravanel, dei quali quest'ultimo aveva suggerito, nel proprio commentario di Geremia pubblicato nel 1504, che gli sbagli di grammatica ebraica del profeta e il suo stile avevano portato a correzioni che appaiono come keri e ketiv. Jacob accusa tutti e tre di ignorare il Talmud e insiste che tutte la varianti, incluse keri e ketiv, sono "dal Sinai";[60] visto che verso la fine dei suoi giorni si convertì al cristianesimo, questo forse ci fa dire insieme a Shakespeare "the lady doth protest too much".[61] La sua posizione venne comunque superata da tradizionalisti come Rabbi Judah Loew ben Bezalel di Praga (detto Maharal, 1525-1609), che insisteva che non solo le variazioni, ma anche la vocalizzazione, venissero "dal Sinai" e che la forma delle vocali dimostrava la superiorità della pronuncia aschenazita![62]

Yedidiah Solomon di Norzi dedicò gran parte della propria vita alla ricerca testuale, viaggiando estensivamente per confrontare manoscritti. La sua opera, a cui diede il titolo rivelatore Goder perets ("Riparando la Frattura"), fu ristampato a Mantova nel 1742-4 col titolo Minḥat shai, come appare tuttora nella maggior parte delle edizioni di Mikraot gedolot (la Bibbia Rabbinica). Nella sua introduzione Norzi si lamenta della confusione in cui è caduto il testo biblico e sottolinea la necessità di ripristinare ogni e ciascuna lettera correttamente, incluse plene e difettive, poiché (come Nahmanide affermò nell'introduzione al proprio Perush 'al ha-Torah "Commentario della Torah") la Torah si compone dei nomi di Dio e colui che legge da un rotolo erroneo danneggia il Nome del Re, come afferma lo Zohar. Ciò non sembra eresia, ma l'intera introduzione di Norzi viene omessa da molte edizioni di Mikraot gedolot, forse perché gli stampatori vi furono costretti da rabbini a caccia di eresie che pensavano non fosse sicuro permettere al pubblico di avere dubbi sulla perfezione del testo ricevuto.[63]

Norzi fece del suo meglio per ripristinare il testo perfetto, ma la situazione peggiorò notevolmente nei secoli diciannovesimo e ventesimo con l'arrivo della critica testuale ed il recupero da parte di studiosi e archeologi di una vasta quantità di materiali perduti dalle generazioni precedenti, non ultimi i Rotoli del Mar Morto. Molti ebrei hanno ovviamente accettato questa situazione, persino accolta benevolmente, ma alcuni degli ebrei ortodossi continuano a rifiutare l'evidenza e si impegnano in manovre difensive. Per esempio, dove Genesi Rabbah imperturbatamente riporta le divergenze di Rabbi Meir dal testo generalmente accettato,[64] Aaron Hyman, nel suo articolo su Meir,[65] rassicura il lettore che, per carità!, Genesi rabbah non intende sostenere che il rotolo abbia veramente un testo della Torah differente da quello "ricevuto", ma che contiene solo una nota marginale che interpreta le parole in tale maniera. Hyman, un rabbino ortodosso dei primi del ventesimo secolo, stava infatti rispondendo difensivamente alla "minaccia" della critica testuale; invero, la sua enciclopedia di biografie rabbiniche è una replica erudita alle revisioni storiche degli studiosi wissenschaftliche, i devoti della "scienza dell'ebraismo". Che i compilatori di Genesi Rabbah non reagissero in maniera simile indica che non percepivano come minaccia l'esistenza delle variazioni.

Anche le differenze tra i rotoli yemeniti e altri, sono state difficili da sistemare; Rabbi Abdullah Sumak di Baghdad (1813-89) proclamò che i rotoli yemeniti non erano validi. Rabbi Ovadiah Yosef (Baghdad 1920-Gerusalemme 2013 - Rabbino Capo di Israele 1972-83), al contrario, decise che era accettabile per tutti, anche i non-yemeniti, leggere da un rotolo yemenita, nonostante le riconosciute differenze dalla Masorah occidentale.[66] Tuttavia queste sono questioni pratiche, rituali, che arrecano conseguenze sociali; le implicazioni teologiche di un testo biblico indefinibile non vengono affrontate.

Una contraversia istruttiva scoppiò negli anni 1930 tra due rabbini ortodossi, Jehiel Jacob Weinberg (1884-1966) e Chaim Heller (1878-1960). Weinberg, che aveva studiato e collaborato strettamente con lo studioso masoretico cristiano Paul Kahle in Germania,[67] non aveva simpatia per la critica storica, ma era disposto, come David Hoffman (di cui parleremo più oltre), ad accettare che ci fossero casi di Targumim non-halakhici e di varianti minori dai testi masoretici che non semplicemente errori di copisti. Heller, che aveva pubblicato numerose opere su Targum, Peshitta, Spetuaginta e Pentateuco samaritano, rifiutò di spostarsi dal dogma dell'autenticità del testo masoretico ricevuto, finendo con l'avere le sue opere tacciate da Weinberg come totalmente non accademiche e inattendibili.

L'atteggiamento difensivo dello stesso Weinberg venne a galla poco dopo la scoperta di un manoscritto del Targum nella Geniza del cairo del 1930. Tale manoscritto, contrariamente all'interpretazione talmudica della radice b-‘-r in Esodo 22,4-5 come "consumare",[68] lo traduceva come "infiammare", il che implicava una vocalizzazione non-masoretica di בעידה b`yrh nello stesso versetto. Weinberg, affermando che i suoi motivi erano accademici e non dogmatici, insistette che o l'aramaico doveva essere tradotto differentemente o altrimenti doveva considerarsi un semplice errore del copista.[69]

Edizioni moderne della Bibbia[modifica]

La maggior parte delle edizioni moderne del testo ebraico sono più o meno copie accurate del testo "ricevuto" standard. Ciò è vero anche per la bella nuova edizione "riveduta e aumentata" di Mikraot gedolot (la Bibbia Rabbinica) pubblicata gradualmente dall'Università Bar-Ilan sotto la direzione di Menahem Cohen; il testo biblico e l'apparato Masorah sono (dove esistano) quelli del Codice di Aleppo.[70]

Esistono, comunque, alcune edizioni autorevoli. La più popolare (come anche la più economica, conveniente e completa) è la Biblia Hebraica (nota come "BH"), la cui prima edizione fu quella di Rudolf Kittel, Lipsia, 1905; si basa sulla seconda Bibbia Rabbinica di Ibn Adonijah. Ci sono state molte revisioni, in particolare la terza (Stoccarda, 1929-37), curata congiuntamente da Kittel e Paul Kahle (per cui "BHK"), basata sul Codex Leningradensis B19A; edizioni successive hanno incorporato alcune varianti del Qumran. Poi viene la Biblia Hebraica Stuttgartiensis (BHS), curata da W. Rudolph e K. Ellinger negli anni 1967-77, sempre basata sul Codex Leningradensis ma che incorpora un apparato critico migliorato.

Tuttavia, tutte queste sono essenzialmente edizioni del testo masoretico che, come abbiamo visto, rappresenta solo una delle tre tradizioni scribali. L'edizione prodotta dal Progetto Biblico dell'Università Ebraica di Gerusalemme è molto più ampia come concezione, sebbene si astenga da revisioni congetturali e non prenda posizione sul valore comparativo delle letture. I primi volumi apparirono nel 1975 e 1981, sotto la direzione di M. H. Goshen-Gottstein, ma tale vasto progetto rimane incompleto.[71]

Conclusione[modifica]

L'evidenza dell'imperfezione del testo masoretico è inequivocabile e notevolmente rafforzata negli ultimi due secoli. Il testo masoretico standard, nella misura in cui uno standard esista, non può essere considerato come testo "originale" della Bibbia, anche se siamo disposti a concedere validità a tale concetto. Non ci sono manoscritti contemporanei di uno qualsiasi dei libri biblici e, nella maggioranza dei casi, nessuno di essi per molti secoli dopo che il libro fu composto. Quando i manoscritti appaiono, tradizioni scribali conflittuali si sono già affermate.

I tentativi di diniego, asserzioni insostenibili che una minuscola selezione di letture varianti fosse "dettata al Sinai", assurde affermazioni cabalistiche su "letture in cielo" alternative, sono disoneste e esacerbano solo il problema. Bisogna accettare il fatto che il dogma tradizionale di un testo letteralmente rivelato e perfettamente trasmesso non è difendibile alla luce dell'evidenza; il testo ricevuto è il risultato alquanto arbitrario di un lungo processo di redazione.

Questo è un processo perfettamente normale di formazione di un qualsiasi testo antico,[72] ma quanto è importante per la teologia ebraica accettare che anche la Bibbia si sia formata in questo modo?

Dal lato positivo, è chiaro che la Bibbia, in gran parte della forma che conosciamo, è esistita per almeno 2000 anni. I manoscritti di alcuni libri, specialmente i cinque incorporati nel rotolo della Torah, esibiscono poche variazioni nella sostanza, per quanto varino nell'ortografia. Le discrepanze non sono così radicali come sostengono alcuni mussulmani né tendenziose come veniva affermato una volta dai cristiani.

In ogni caso, per il teologo il fatto importante è la ricezione, piuttosto che la prima storia letteraria dei libri; per gli ebrei, ciò significa che una teologia deve essere costruita sul modo in cui i rabbini leggono i testi considerati sacri, piuttosto che sulla ricostruzione dei "testi originali".

L'halakhista si preoccupa perché il suo è un problema pratico: come implementare una regola che insiste sulla trascrizione "perfetta" del testo. A scopi pratici, non c'è ragione di negare all'halakhista l'indulgenza di operare sulla base di un mito, cioè che quello che è stato accettato come testo della Torah è il testo della Torah di "Mosè sul Sinai". Dopo tutto, sarebbe fonte di confusione se alla gente fosse permesso di apporre variazioni a piacimento, anche sulla base di prove manoscritte.

Tuttavia, a scopi teologici generici la differenza tra plene e difettivo non è significativa; Dio continua a sedere sul suo trono e dobbiamo essere buoni col nostro prossimo.

Detto ciò, persino le più sorprendenti variazioni testuali sono alquanto meno preoccupanti per il teologo di quanto non lo siano le contraddizioni e gli altri problemi che affronteremo nel prossimo capitolo.

Note[modifica]

  1. Tov, Textual Criticism, 209.
  2. TB San. 21b-22a. La parola probabilmente significa "spezzato" o "duro". Alcuni (Tov, Textual Criticism, 218) credono che si riferisca al proto-ebraico piuttosto che al paleo-ebraico che ne scaturì, ma non penso che i rabbini abbiano fatto tale distinzione.
  3. TG Meg. 1:9 (71b); TB Shab. 104a.
  4. Vedi Naveh, Early History of the Alphabet. A p. 10 c'è un'eccellente illustrazione grafica del rapporto tra i vari caratteri alfabetici.
  5. TB Meg. 2b; Shab. 104a. Il termine specifico utilizzato per coloro che potevano aver introdotto le finali è tsofim, letteralmente "ricognitori"; Rashi lo interpreta con "profeti".
  6. The Instruction addressed to Kagemni e The Instruction of Ptahhotep in Lichtheim, Ancient Egyptian Literature, i.59-61, 61-80. Una trascrizione e traduzione de The Instruction of Ptahhotep è disponibile in rete a <https://www.ucl.ac.uk/museums-static/digitalegypt/literature/ptahhotep.html>.
  7. Tov, Textual Criticism, 118, basato su Barkai, "Priestly Benediction" (in ebr.).
  8. Per questa sezione e le relative successive ci si basa su Tov, Textual Criticism, che fornisce riferimenti bibliografici completi.
  9. Tov, Textual Criticism, 118.
  10. Tov, Textual Criticism, 156.
  11. Tov, Textual Criticism, 84segg.
  12. Tov, Textual Criticism, 100, 107segg.
  13. Tov, Textual Criticism, 115, 116. Il "gergo dei Rotoli" è spesso oscuro, ma una volta interpretato, diventa chiaro: le iniziali sono in lingua inglese, dove, per es., "4QJerb,d" è abbreviazione di "frammenti b e d del rotolo di Geremia rinvenuto nella quarta grotta di Qumran", e così via.
  14. Tov, Scribal Practices, 25.
  15. TB Ket. 106a.
  16. Questo è uno dei cambiamenti che si dice siano stati fatti dagli autori della traduzione greca (TB Meg. 9a).
  17. TG Ta`an. 4:2 (68a). Tov, Textual Criticism, 32; Talmon, "The Three Scrolls of the Law"; Levy, Fixing God's Torah, 7segg. Levy basa la sua analisi sella versione rielaborata nel trattato dell'800ca., Soferim.
  18. Vedi Levy, Fixing God's Torah, 145-7, su questi dibattiti.
  19. Rosental, "On the Sages' Treatment", 407; TB BK 45b. Rosental presumibilmente respingerebbe i tentativi di Rabbah e di Abbaye rif. 46a di concordare la legge col testo corrente.
  20. Lieberman, Hellenism in Jewish Palestine, 47.
  21. Alexander, "Why No Textual Criticism in Rabbinic Midrash?", 175-90.
  22. TB Eruv. 13a.
  23. Per esempio, TB Ḥul. 6a.
  24. Gen. Rabbah 20:28. Gli altri due esempi sono a 9:5 e 94:8.
  25. Bereshit rabati su Gen. 45:8 (ediz. Albeck, p. 209). Vedi anche Kimhi su Gen. 1:31.
  26. Tov, Textual Criticism, 119segg., con riferimento a Siegel, The Severus Scroll. Siegel cita quattro delle varianti alle particolarità ortografiche del rotolo di Isaia, sostenendo che la lista delle varianti conserva un'antica tradizione. Nella nota 8 a p. 160, Siegel argomenta se "Asverus" possa essere identificato con L. Septimius Severus (imperatore 193-211) o Alexander Severus (imp. 222-235). Il rotolo di Meir non poteva essere portato a Roma nel 70, dato che Meir non era ancora nato.
  27. Ulrich, "Jewish, Christian and Empirical Perspectives", 74, scrive che "l'edizione masoretica di Geremia è manifestamente secondaria all'edizione precedente di tale libro nel testo ebraico di 4QJerb, come anche la sua traduzione greca nella LXX".
  28. Per un riassunto delle opinioni accademiche, si veda Tov, Textual Criticism, cap. 3B. George J. Brooke, "Some Remarks on 4Q252, argomenta contra Ulrich e altri che sostengono che ci sia solo un testo tradizionale di Genesi, che 1QGen "necessita ancora d'essere strettamente allineato a quello attestato da LXX" (p. 25).
  29. Per esempio, Tosafot su TB Shab. 55b s.v. ma`avirim; Nid. 33a s.v. vehanisa.
  30. Eger, Gilyon hashas su TB Shab. 55b.
  31. TB Meg. 9a-b. L'attuale testo della LXX conferma questa traduzione.
  32. Lettera di Aristea, 302-4 (mia traduzione da Charles, Apocrypha and Pseudepigrapha.
  33. Tov, Textual Criticism, 65, che cita, inter alia, undici casi elencati in Mekhilta su Esodo 15,7.
  34. TB Ned. 37b. Nissim ben Reuben Gerondi (detto Ran, XIV sec.) li difinisce "parole aggiuntive per imbellire la lingua", ma Tov, Textual Criticism, 67, traduce "omissioni degli scribi"! La questione sembra essere se, ad esempio in Gen. 18,5, l'itur consistette nell'aggiunta della parola aḥar (Nissim ben Reuben) o nell'omissione di vav congiuntiva (Tov).
  35. Riferimenti talmudici a keri e ketiv includono: TB Eruv. 26a ref. 2 Re 20,4; Ned. 37b-38a ne elenca parecchie. Il tardo trattato Soferim 6:8 fornisce una lista abbastanza completa.
  36. Puncta extraordinaria sono punti posti tradizionalmente nella Torah sopra certe lettere; Sifrei bamidbar 69 su Num. 9:10 elenca dieci casi nella Torah. I riferimenti talmudici comprendono: TB Ber. 4a rif. Salmi 27:13; TB Pes. 93b (= Mishnah Pes. 9:2 = TG Pes. 9:2 [36d]) rif. Num. 9:10; TB Naz. 23a (= TB Hor. 10b) rif. Gen. 19:33; TB BM 87a rif. Gen. 18:9; TB San. 43b rif. Deut. 29:28; TB Men. 87b rif. Num. 29:15; TB Bekh. 4a rif. Num. 3:39. Con la possibile eccezione di Bekh. 4a, tutte le attribuzioni sono tannaitiche, in maggior parte di Rabbi Yose.
  37. TB BB 109b rif. Giudici 18,30.
  38. TB Shab. 115b-116a rif. Num. 10:35-6; avvengono anche in Salmi 107:23-8 e secondo Rashi su Gen. 11:32. Lieberman, Hellenism in Jewish Palestine, 38-43, rintraccia la derivazione dei segni da sigma e antisigma alessandrini. Il Talmud li chiama simaniyot – plurale ebraicizzato del greco sēmeion – e non nunin.
  39. Mishnah Pes. 9:2.
  40. Lieberman, Hellenism in Jewish Palestine, 43-6.
  41. Avot derabi nathan 34:4.
  42. TB Ned. 37b.
  43. La genizah, o deposito, della Sinagoga Ben Ezra nella Cairo Vecchia, conteneva un cumolo di manoscritti, molti dei quali del periodo del dominio fatimide in Egitto (969-1171), quando il Cairo da poco fondato serviva da centro politico e amministrativo del regno. Documenti furono recuperati da studiosi europei già fino dagli anni 1840, ma il grosso del materiale, consistente di circa 140000 articoli includenti 25000 frammenti di Bibbia ebraica, venne spedito a Cambridge, in Inghilterra, nel 1897 da Solomon Schechter, e viene custodito presso la Biblioteca universitaria col titolo "Collezione Taylor-Schechter". Per ulteriori informazioni si vedano i siti <http://www.lib.cam.ac.uk./Taylor-Schechter/> e <https://geniza.princeton.edu/pgp/>.
  44. TB San. 4a. Vedi anche Zev. 37b.
  45. Si veda PARTE II.1 nota 62.
  46. Facsimile in Goshen-Gottstein, The Aleppo Codex. Per un'accurata storia del percorso avventuroso fatto da tale codice, si veda Matti Friedman, The Aleppo Codex, Algonquin Books, 2013.
  47. Si veda il citato capitolo su Maimonide, PARTE I.5.
  48. Tov, Textual Criticism, cap. I, che fornisce esempi.
  49. Yeivin, Introduction to the Tiberian Masorah, 128-9.
  50. Si veda la precedente sezione Il Codex Severi
  51. Fu stampato per la prima volta a Firenze nel 1750 con numerosi errori ed omissioni.
  52. Levy, Fixing God's Torah, 144.
  53. Levita, Masoret hamasoret, terza prefazione. Il protestante Louis Cappel (1585-1658), nel suo Hoc est arcanum punctationis revelatum seguì Levita nel negare l'antichità delle vocali e degli accenti. Johannes Buxtorf II, Tractatus de punctorum vocalium, cita Levita come il solo tra ebrei e cristiani che attribuisse il sistema di vocalizzazione ai tiberiensi del V secolo, accettando invece contro Cappel l'opinione tradizionale circa l'antichità della punteggiatora masoretica.
  54. Zohar iii.203b. Levy, Fixing God's Torah, 197 nota 13, sottolinea la somiglianza dell'accademia celeste e terrena alla nozione islamica del Qur'an divino e terreno. Entrambi i concetti derivano indirettamente dall'insegnamento di Platone sulle idee. Norzi viene ulteriormente discusso in seguito in questo capitolo.
  55. Ibn Abi Zimra, responsa, vol. iv, responsum 1172 (p. 101). Discussione e bibliografia in Levy, Fixing God's Torah, cap. 2.
  56. Rabbi Ammi, in TB Ket. 19b, decise che un rotolo della Torah non corretto non debba essere tenuto per più di trenta giorni.
  57. Karo, Beit yosef, "Yoreh de`ah" 279. Le sue decisioni sono riportate nel Shulḥan arukh, "Oraḥ ḥaym" 143:4 e "Yoreh de`ah" 275:2.
  58. TB Kid. 30a.
  59. Modena, Ziknei yehudah, responsum nr. 115 a p. 165.
  60. La prefazione di Jacob, inizialmente tradotta in latino, appare anonimamente in alcune edizioni moderne Mikraot gedolot come divrei hama`atik ("parole del copista").
  61. Hamlet (Amleto) III,ii.242. Trad. "La dama in verità protesta troppo".
  62. Judah Loew ben Bezalel, Tiferet yisra`el cap. 66.
  63. Levy, Fixing God's Torah, 32-3, traduce in inglese un lunga sezione dell'introduzione.
  64. Vedi sezioni precedenti.
  65. Hyman, History (in ebr.), iii, 876. Si noti l'affermazione di Norzi in Minḥat shai su Gen. 1:31 che le "letture" di Rabbi Meir erano soltanto glosse midrashiche. Cfr. anche Epstein citato da Albeck nella sua ediz. di Bereshit rabati su Gen. 45:8.
  66. Levy, Fixing God's Torah, 37-8 e riferimenti.
  67. Kahle (1875-1965) collaborò con Kittel nella revisione della Biblia Hebraica; nel 1938, sospettato di simpatie filo-semitiche, si trasferì con la famiglia a Oxford, ma ritornò in Germania dopo la guerra.
  68. TB BK 2b.
  69. Shapiro, Between the Yeshiva World and Modern Orthodoxy, 164-71.
  70. Mikraot gedolot haketer. Finora sono stati pubblicati 18 volumi su 22.
  71. Finora sono stati pubblicati i libri di Isaia, Geremia ed Ezechiele. Cfr. Emanuel Tov, "Critical Editions", Textual criticism of the Hebrew Bible (II ediz.), Fortress Press, 371–378.
  72. Vedi per esempio il resoconto del fissaggio testuale dell'Epopea Sumera/Babilonese di Gilgameš in Tigay, Empirical Models for Biblical Criticism.