Shoah e identità ebraica/Fede redentrice

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Getto (1949) di Izaak Celnikier, artista ebreo polacco e sopravvisuto del ghetto di Białystok

Fede redentrice?[modifica]

L'ebraismo, nonostante le tribolazioni e le punizioni inflitte al popolo d'Israele, è in definitiva una fede redentrice. Il popolo israelita della storia ebraica ha vissuto e talvolta ha sofferto nell'attesa della sua Terra Promessa. La relazione che Dio stabilisce con il popolo israelita è registrata nell'Esodo, ma in tutto il Pentateuco la relazione tra Dio e la Sua creazione è narrata con un tema di turbolenza e redenzione. Ciò che è evidente nella Genesi è che il rapporto di Dio con la Sua creazione è irto della presenza permanente del peccato e della punizione. Il primo genocidio, come narrato nelle Scritture Ebraiche e nell'Antico Testamento, è il diluvio che distrusse tutta la vita, salvo il giusto Noè, la sua famiglia e ogni uccello e animale vivente, a coppie o a gruppi di sette (Genesi 7:2-3). Questo atto tremendo fu la reazione di Dio alla frustrazione che provava per i peccati commessi dalla Sua creazione.

« Il Signore disse: "Sterminerò dalla
terra l'uomo che ho creato: con l'uomo
anche il bestiame e i rettili e gli uccelli
del cielo, perché sono pentito d'averli fatti." »
(Genesi 6:7)

Nonostante la sua natura "fiabesca" la storia dell'Arca di Noè è ormai radicata nell'immaginario all'interno della società ancora prevalentemente cristiana, con un'enfasi tipicamente cristiana sulla salvezza di Noè e degli animali — la storia del diluvio rimane comunque una storia di violenza in cui si enuncia la distruzione di un quasi tutta una popolazione, simile a quella dell'Olocausto nel ventesimo secolo. Il caso successivo di tale violenza e massacro di massa per mano di Dio è la distruzione di Sodoma e Gomorra. Di nuovo, disperato per i peccati del Suo popolo, Dio mette alla prova un uomo buono, Lot, con la protezione di due angeli in visita. Quando supera questa prova, a Lot viene risparmiato il terrore della totale distruzione da parte di Dio delle città peccaminose.

« Allora il Signore fece piovere dal
cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e
fuoco, da parte del Signore; Egli
distrusse quelle città, tutta la pianura,
tutti gli abitanti delle città e quanto
cresceva sul suolo. »
(Genesi 19:24-25)

Questi due casi di genocidio mostrano i precedenti di tale trauma all'interno della storia scritta ebraica e fanno domande valide sulla natura di Dio e sulla Sua volontà quando si considera la teologia dell'Olocausto. È importante notare che le distruzioni e gli olocausti all'interno del Libro della Genesi sono indiscriminati; Dio salva i pochissimi giusti e distrugge uomini e bestie di tutto il Suo popolo da tutte le Sue terre. Nella narrazione della Genesi, Dio ha offerto un'Alleanza ad Abramo e a Noè, ma non ha ancora specificato il Suo popolo eletto e quindi va considerato che questi due precedenti di violenza e distruzione sono più una questione della natura di Dio, che del destino del Suo popolo eletto. Tuttavia, poiché la volontà e l'ubicazione di Dio è una questione così prevalente e frequente all'interno della teologia dell'Olocausto, la natura del Dio della Genesi e la minaccia di un genocidio che ricorda quelli della storia scritturale ebraica rimangono significative.

Le storie bibliche come Noè e il Diluvio e Sodoma e Gomorra, che sembrano concentrarsi sulla distruzione e sulla punizione, offrono anche una prospettiva teologica diversa, rivisitata dai teologi della Shoah, quella della sh'ár (שְׁאָר‎), la Rimanenza. La Rimanenza è il collettivo dei sopravvissuti rimasti: Noah e la sua famiglia, Lot e figlie, e all'interno della teologia dell'Olocausto, i sopravvissuti, inclusi Levi e Wiesel.

« The idea of a saving Remnant is based on Isaiah's prophetic message that the remnant will return (shear yashuv). This is not a mathematical probability but a miraculous act — a miracle whereby the Jewish people will remain in God's presence. »
(Cohn-Sherbok 1989, 1996:33)

L'idea dei Rimanenti come "eletti" è una credenza ebraica derivata dalle Scritture e in termini teologici moderni separa gli ebrei dai cristiani che hanno formato un sistema di credenze diverso dal loro canone. Questo costituisce probabilmente almeno un filone dell'argomento dell'"alterità" che crea divisioni e tensioni tra i gruppi, in questo caso, contrassegnando gli ebrei come "altro" rispetto ai cristiani. Poiché Levi ha dimostrato il suo cinismo sulla nozione di Dio che estende la Sua protezione solo a un numero scelto di persone, ne consegue naturalmente che ha espresso disagio e mancanza di fede nell'idea del "Rimanente". La convinzione che Levi fosse stato salvato rispetto a innumerevoli altre vite ad Auschwitz e in particolare che da ateo la sua vita fosse stata risparmiata sulle masse religiose, coloro che credevano nella salvezza, nell'Alleanza e in Dio, fu dolorosa per Levi che sosteneva fosse stato solo grazie al caso. Ciò è evidente nella risposta di Levi a un suo amico religioso, il quale affermava, contrariamente alla posizione di Levi, che egli doveva essere stato salvato dalla provvidenza.

« He told me that my having survived could not be the work of chance, of an accumulation of fortunate circumstances (as I maintained, and still maintain) but rather of Providence. I bore the mark, I was an elect: I, the non-believer, even less of a believer after the season of Auschwitz, was a person touched by Grace, a saved man. And why just I? [...] Such an opinion seemed monstrous to me. It pained me as when one touches an exposed nerve, and kindled the doubt I spoke of before: I might be alive in the place of another, at the expense of another; I might have usurped, that is, in fact killed. »
(Levi Drowned:62)

Nonostante Wiesel creda nell'Alleanza e nella fede che Dio proteggerà, egli condivide il disagio di Levi nell'idea di far parte della Rimanenza. Wiesel perse entrambi i suoi genitori e sua sorella minore nell'Olocausto, quindi è comprensibile che rifiutasse l'idea che la sua vita dovesse essere salvata da Dio quando non doveva esserlo quella della sua famiglia. La risposta di Wiesel alla domanda sulla sopravvivenza è molto simile a quella di Levi, che essere stati salvati da una forza che aveva permesso la morte di amici, familiari e compagni, non è solo un pensiero scomodo ma offensivo. Questo, nonostante i due uomini rappresentino tipicamente aspetti molto diversi dell'identità ebraica e delle opinioni sulla fede e la religione.

« To say that my presence here is the result of a miracle would be to say that millions of others did not benefit from any miracle. The word "miracle" would then be an accusation: why weren't my friends, comrades, and companions saved by a miracle, not to mention all the others unknown to me? No, I prefer to think that it was pure chance, and indeed that is what it was. »
(Wiesel Evil:8)

Anche Wiesel, come il suo compagno sopravvissuto, sceglie di attribuire la sua sopravvivenza al caso, eludendo così la questione problematica del perché alcuni ebrei dovrebbero essere protetti divinamente e altri no. Probabilmente questo è un problema più difficile da negoziare per Wiesel, poiché mantiene una fede in Dio e nell'Alleanza, piuttosto che per Levi che rifiuta completamente la fede religiosa. La questione della salvezza e della provvidenza, tuttavia, è chiaramente una questione che ha risonanza sia con il sopravvissuto religioso che con quello ateo. Levi è in grado di rifiutare sia una credenza personale nella sua salvezza che l'ideologia religiosa, ma questo è più problematico per Wiesel che è un credente, il che suggerisce che accetta l'ideologia della provvidenza che salvò il giusto Noè. Come ebreo fedele che giustifica le sue controversie religiose agendo "all'interno dell'Alleanza", sembra probabile che si consideri un ebreo giusto (Wiesel Evil:12). Tuttavia, se credeva implicitamente nella propria rettitudine, ci si aspetta che applicasse la stessa virtù alla sua famiglia altrettanto devota, in particolare alla sua innocente sorella Tsiporah di sette anni che non sopravvisse. Di fronte a questo conflitto ideologico, sembra che Wiesel scelga di accettare un rapporto problematico con l'ideologia della fede ebraica e di attribuire la propria sopravvivenza alla fortuna, mantenendo così la fede e la memoria intatta della purezza e della rettitudine della sua famiglia assassinata. "My little sister Tsiporah, my little angel scorched by a darkened sun" (Wiesel All Rivers:71).

In tutto il Libro della Genesi ci sono intuizioni sulla natura vendicativa di Dio e l'emergere di idee sul sacrificio e sull'olocausto. Il termine "olocausto", derivato dal greco "holokauston" significa sacrificio, offerta bruciata (Gilbert 2000: 62). A causa del significato religioso del termine, alcuni, ebrei ma non solo, trovano inappropriato l'uso di tale termine: si giudica offensivo paragonare o associare l'uccisione di milioni di ebrei a una "offerta a Dio". Il termine Shoah (che uso ad intermittenza nel mio testo) è stato così adottato più recentemente per descrivere specificamente la tragedia ebraica di quel periodo storico. "Shoah", significa "desolazione, catastrofe, disastro". Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla distruzione degli ebrei polacchi. Da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d'Europa.

Ci sono diversi esempi di sacrifici e olocausti nella Genesi, per volere di un Dio arrabbiato con il Suo popolo. Questi esempi, le domande che circondano un Dio che punisce così severamente e il significato del termine "olocausto" sono tutti rilevanti in un'analisi contemporanea delle Scritture Ebraiche. Un'interpretazione religiosa dell'Olocausto è quella di un Dio vendicativo che distrugge il Suo popolo per ricominciare ex novo. Un'altra teoria che emerge dalle Scritture è quella del sacrificio. Chiamare alla memoria il genocidio più violento e devastantemente efficiente del popolo ebraico un olocausto, un'offerta sacrificale, è stata come dicevo una questione alquanto controversa. Chiamarlo con l'ebraico Shoah (שׁוֹאָה) sottolinea il significato dell'evento per il popolo ebraico e suggerisce una catastrofe, piuttosto che un sacrificio. Lo stesso Wiesel è stato uno dei primi a usare il termine olocausto per descrivere il genocidio, a causa del significato del fuoco come mezzo di distruzione, preferendo inizialmente l'immaginario religioso del sacrificio, all'implicazione più naturale di una catastrofe (Wiesel Evil:39).

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Sacrificio di Isacco di Caravaggio

L'idea di un olocausto, per quanto controversa, non è senza precedenti nelle Scritture. Genesi 22 racconta la storia di Abramo, uomo devoto e buono, che viene incaricato di dimostrare la sua fede a Dio sacrificandoGli il suo amato figlio unico Isacco su un altare. Questa storia non si riferisce solo direttamente al sacrificio e al significato di un olocausto, ma anche alla ricorrente sofferenza della prova. Dio qui, come nel Libro di Giobbe, mette alla prova la fede di un uomo buono. "E Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò»." (Genesi 22:2). Abramo dimostra la sua fede in Dio e gli viene poi impedito per intervento divino di sacrificare suo figlio, ma solo dopo essersi preparato a perdere suo figlio tra le fiamme, solo dopo che Dio è soddisfatto che questo uomo buono e fedele possa sopportare il massimo dolore e sofferenza per dimostrare la propria fede. Così nel primissimo libro delle Scritture Ebraiche, elemento fondamentale della fede ebraica, la creazione di Dio è testata, messa alla prova e distrutta per volere dell'Onnipotente che esige fede e obbedienza assolute e che punisce duramente il peccato e la mancanza di devozione.

Mysterium tremendum!