Shoah e identità ebraica/Il ruolo di Dio

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"Pogrom" (in fuga salvando la Torah), di Issachar Ber Ryback (c.1935)

"Sepolto sotto i detriti della storia": Il ruolo di Dio nella teologia dell'Olocausto[modifica]

La preoccupazione teologica per l'Olocausto negli anni successivi alla guerra è stata naturalmente alimentata da una prospettiva soprattutto ebraica. Nonostante la visione materialista abbracciata da Levi che Auschwitz fosse un luogo creato dall'uomo e che l'Olocausto fosse un evento creato dall'uomo e quindi interrogare Dio per una spiegazione è inutile, c'è stato un numero significativo di spiegazioni e teorie teologiche emerse nei decenni successivi all'Olocausto. L'idea di un precedente religioso e storico di persecuzione, il sogno della redenzione e della fede in un Dio vendicativo e spontaneo, ma alla fine premuroso, rimase una pietra angolare dell'identità religiosa per molti ebrei durante la Shoah, e l'antica fede sopravvisse a un ennesimo tentativo di totale distruzione. Le più controverse teologie dell'Olocausto sono state alquanto radicali nel teorizzare il ruolo di Dio nell'Olocausto. Negli anni ’60, Richard Rubenstein e Ignaz Maybaum presentarono le loro teologie che discutevano il ruolo e la presenza di Dio nell'Olocausto in modi diversi. La teologia della "Morte di Dio" di Rubenstein sosteneva che dopo l'Olocausto (l'era della morte di Dio) gli ebrei non possono credere in una divinità potente e soprannaturale che agisce per conto dell'uomo (Cohn-Sherbok 2002:2). La posizione di Rubenstein è radicale, ma sembra collocarsi nel mezzo delle opinioni di Wiesel e Levi sulla religione e la fede dopo Auschwitz. Come Wiesel, Rubenstein sostiene che l'Olocausto è indissolubilmente legato alla fede ebraica e che non si può discutere di Auschwitz senza considerare la presenza di Dio. "Religion was not a sufficient condition for the Holocaust, but it was a necessary one. What happened at Auschwitz is inconceivable without beliefs about God held first by Jews and then by Christians" (Rubenstein & Roth 1987:290). La citazione di Rubenstein è rappresentativa della narrativa dell'Olocausto di Wiesel che include costantemente Dio nel suo interrogatorio sulla sua esperienza di Auschwitz. C'è un parallelo tra Rubenstein e Bauman nella loro discussione simile sulle condizioni "sufficient" e "necessary" per l'Olocausto. Laddove Rubenstein discute la religione in questo contesto e sostiene la traiettoria dell'Olocausto di Wiesel, Bauman usa una frase quasi identica ma discute la civiltà moderna al posto della religione (1999:13). L'approccio di Bauman, per discutere i cambiamenti sociali della Modernità, è molto più adatto all'approccio di Levi all'Olocausto come intellettuale non religioso. Dove Rubenstein diventa paragonabile a Levi è nel suo stesso rifiuto della tradizionale visione ebraica del Dio delle Scritture, sebbene Levi avesse sostenuto che l'Olocausto conferma la sua mancanza di fede in Dio piuttosto che aver cambiato le sue convinzioni.

« Rubenstein's response in After Auschwitz must be seen as the expression of a highly assimilated Jew who, because of the Holocaust, had committed himself to the defense of his inherited religious tradition and then, triggered by his Berlin encounter with [Heinrich] Gruber, found that he could no longer believe either in the God of that tradition or in the tradition's crucial doctrines of covenant and election. »
(Rubenstein & Roth 1987:311)

Steven Katz sostiene che le teologie radicali post-Olocausto che hanno risposto specificamente alla Shoah tendevano a perdere o a ignorare una quantità significativa di valida storia ebraica (Katz 2005:15). Concentrandosi sull'Olocausto come catastrofe ebraica isolata da secoli di storia ebraica, nel bene e nel male, queste teologie creano divisioni e possono essere considerate modelli controversi per comprendere la Shoah come un evento ebraico o l'ebraismo sulla scia dell'Olocausto. Molte di queste teologie, tuttavia, hanno considerato la storia ebraica e l'eredità scritturale della tragedia e della persecuzione, come invero hanno fatto Wiesel e, in una certa misura, Levi. {{q|We tell them [tragic stories] to each other in the evening, and they take place in Norway, Italy, Algeria, the Ukraine, and are simple and incomprehensible like the stories in the Bible. But are they not themselves stories of a new Bible?|Levi Man:72) La teologia dell'Olocausto è emersa specificamente perché l'Olocausto è stato visto dai teologi e dai sopravvissuti come un elemento separato dalla storia ebraica, come un evento significativo quale entità separata e non un evento tragico tra i tanti della storia ebraica .

Le teologie dell'Olocausto come quella di "Hester Panim" (הֶסְתֵר פָּנִים, Volto Nascosto) di Berkovits, la teoria "Il volto nascosto di Dio", e la teologia "Khurbn eyrope" (חורבן אײראָפּע "Distruzione dell'Europa") di Maybaum, discutono la credenza che Dio esiste e rimane il Dio del popolo ebraico, sebbene questi abbia necessariamente sofferto a causa dell'Olocausto senza il Suo intervento o liberazione. La convinzione di Maybaum è che gli ebrei abbiano sperimentato tre distruzioni, o Khurbn, che cambiano il mondo. Maybaum sostiene che il primo Khurbn fu la distruzione di Gerusalemme nel 586 p.e.v., che portò alla Diaspora degli ebrei da Israele. Il secondo fu la distruzione romana di Gerusalemme (Rubenstein e Roth 1987:305). Il terzo Khurbn, la Shoah, fu diverso dai primi due, ma paragonabile nel senso che l'ebraismo nel ventesimo secolo viveva prevalentemente nella Diaspora e la distruzione dell'ebraismo diasporico fu rappresentativa della distruzione di Gerusalemme, la patria spirituale e storica degli ebrei.

« For Maybaum, the Holocaust was God's terrible means of bringing the world fully into the modern age. This transition could not have occurred without the destruction of all that was medieval in Europe. Maybaum points out that the vast majority of the Jews who perished in the Holocaust were eastern European Jews who still lived in a medieval, feudal way more or less as their ancestors had, ritually and culturally isolated from their neighbours. »
(Rubenstein & Roth 1987:305)

Per gli ebrei occidentali assimilati come Levi, una teologia come quella di Maybaum non riesce a spiegare o giustificare adeguatamente il motivo per cui gli ebrei moderni socialmente integrati dovrebbero essere uccisi in un Olocausto o in un Khurbn progettato per portare l'ebraismo nel mondo moderno. Per gli ebrei religiosi d'Oriente come Wiesel, che si opponeva all'assimilazione poiché riteneva che portasse a una diluizione nella migliore delle ipotesi e, nella peggiore, ad un abbandono della cultura e delle credenze ebraiche, la teoria di Maybaum suggerisce che il modo di vita assimilato, meno devoto e meno religioso, era più favorevole a Dio della cultura rituale e devota tipicamente praticata in Oriente. Ma rimane il concetto di un Dio sanguinario e violento, che distrugge il "vecchio" per favorire il "nuovo".

La teoria della "Furia di Dio" di Bernard Maza va oltre, suggerendo che l'Olocausto fosse in realtà l'azione di Dio stesso per punire gli ebrei. "At this juncture in Jewish history, Maza contends, God's fury of unprecedented magnitude was poured out upon His chosen people" (Cohn-Sherbok 1989, 1996:22). Alla fin fine, questo "Popolo eletto" è uno sventurato popolo eletto al martirio continuo e alla distruzione. Questa teologia comunque ricorda molto di più il tema della redenzione della Genesi; gli ebrei d'Europa sono rappresentativi delle vittime del diluvio e di Sodoma e Gomorra che vengono punite come atto di purificazione. Mentre questa teoria è stata discussa da ebrei devoti preoccupati che l'Olocausto fosse una punizione contro di loro, non considera le vittime non ebree dell'Olocausto, di cui c'era un numero considerevole. Maza differisce in questo senso da altri teologi dell'Olocausto le cui teorie rifiutano il "Dio attivo nel mondo" proposto dall'Antico Testamento, pur non rigettando necessariamente l'idea di Dio. La teoria di Maza, come quella di Maybaum e di Berkovits, naturalmente non si adatta alla visione sostenuta da Levi, ma nemmeno si adatta alla teologia di Wiesel, le cui proteste contro Dio si confanno più strettamente alla teoria di Berkovits secondo cui Dio era presente ma nascondeva il Suo volto agli ebrei sofferenti. Tuttavia, tale era la forza e l'interesse per la traiettoria dell'Olocausto proposta da Wiesel, che emerse anche l'idea di una "teologia della protesta", con lo stesso Wiesel in prima linea nell'idea.

Jean Améry ritratto da Félix De Boeck

L'uso che Wiesel fa della sua fede e le crisi che la seguono ad Auschwitz fanno di lui e della sua narrativa della Shoah un modello ideale all'interno della relativa teologia. Levi come ebreo laico non religioso è più problematico per i teologi dell'Olocausto e non compare così pesantemente nelle loro narrazioni. Tuttavia, Michael Morgan cita sia Levi che Wiesel e discute a lungo le loro narrazioni nella sua opera sulla filosofia dell'Olocausto. La narrazione di Wiesel fornisce a Morgan una varietà di esempi letterari della sua costruzione d'identità dell'ebreo sofferente e di come tale identità informi la vita di Wiesel dopo Auschwitz. Ma Morgan trova anche intuizioni nel lavoro di Levi che (in particolare se confrontate con la scrittura di Jean Améry) indicano un impegno con la sua identità ebraica.

« To be sure, both he [Levi] and Améry agreed that religious belief was beyond them, and neither, for different reasons, admits the importance or even the accessibility of Jewish tradition, its conduct, texts, images, and memories. But Levi at least realizes that identity is somehow enhanced by continuity with some past or other. »
(Morgan 2001:43)

Morgan è criticato da Marion Spies per aver trattato i testi di Levi e Wiesel come reali, quando Spies li considera romanzi. Spies cita Night di Wiesel e If This is a Man di Levi (discusso da Spies con il titolo americano Survival in Auschwitz) come "well known works of fiction" e sostiene che l'analisi filosofica di Morgan riguardo ai testi dell'Olocausto è "problematic throughout the book, since he deals with those works as if they were non-fiction, historical documents" (Spies 2004:250). Spies ha ragione a sostenere che le testimonianze di Wiesel (e in misura minore di Levi) sull'Olocausto sono strutturate come romanzi e le sue osservazioni sui problemi della memoria all'interno della narrativa dell'Olocausto sono valide. La sua affermazione che le narrazioni di Levi e Wiesel sono romanzi e non documenti storici, tuttavia, suggerisce che non offrono alcuna validità storica a un evento che sia vissuto e testimoniato attraverso il modello accessibile del romanzo. Infatti Morgan fa riferimento a Night di Wiesel come "fictional-autobiographical memoir" che è contraria all'affermazione di Spies, ma rappresenta effettivamente la difficoltà nel classificare la testimonianza dell'Olocausto all'interno di un singolo genere (Morgan 2001:31). Rubinstein condivide l'opinione di Morgan secondo cui la narrativa del sopravvissuto offre una prospettiva valida, persino essenziale, sulla teologia emergente dell'Olocausto che si riferisce specificamente alla fede di quelle persone che hanno sofferto e sono sopravvissute all'Olocausto.

« Such testimony has an irreplaceable significance because it represents those who had to cope with the Holocaust firsthand. To make pronouncements or even suggestions about what can or cannot, must or must not, be credible religiously after Auschwitz without knowing what the survivors think about their own experiences would be to develop one's philosophy or theology in a considerable vacuum. »
(Rubenstein & Roth 1987:292)

Sebbene Levi non si impegni attivamente con la teologia dell'Olocausto, una teoria appropriata che è più applicabile a Levi è l'approccio naturalistico di Sherwin Wine, che afferma che l'Olocausto è stato un disastro della sofferenza umana, per il quale "there can be no adequate theological solution" (Cohn-Sherbok 2002:2). Wine era un ebreo umanista, con cui Levi potrebbe non essere stato d'accordo su questioni di fede in generale, ma le credenze materialistiche di Levi sulla sofferenza e la persecuzione ebraica sono paragonabili a quelle di Wine, anche se Levi stesso non era totalmente immune alla speranza di salvezza durante i suoi momenti più deboli ad Auschwitz. Wiesel scrive in La Ville de la chance (The Town Beyond the Wall) che Dio "is the weakness of strong men and the strength of weak men" (Wiesel Town:9). Mentre i due uomini rimangono divisi sulla maggior parte delle questioni di fede, le discussioni di Levi sulla fede e la preghiera nel campo suggeriscono che sarebbe stato d'accordo con il personaggio di Wiesel riguardo a questo sentimento.

Per approfondire, vedi Interpretazione e scrittura dell'Olocausto.