Shoah e identità ebraica/Giobbe e la fede

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro
Ingrandisci
Giobbe e gli amici, di Il'ja Efimovič Repin (1869)

Giobbe e le prove di fede[modifica]

Giobbe incarna l'ebreo sofferente. È una figura vitale nel considerare l'Olocausto, in particolare la scrittura di Elie Wiesel e l'idea di un'identità di vittima. Il Libro di Giobbe è l'esempio più significativo nelle Scritture Ebraiche di Dio che mette alla prova la fede di un uomo buono: "C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male" (Giobbe 1:1). Tentato da Satana nel mettere alla prova Giobbe, che sembra oltremodo fortunato tra comodità, privilegi e protezione divina, Dio permette a Satana di mettere alla prova i limiti della fede e della devozione di Giobbe, con la premessa di non togliergli la vita: "Il Signore disse a Satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui»" (Giobbe 1:12). La prima prova di Giobbe è quella di perdere il suo bestiame e i suoi figli a causa di incendi, rapine e tempeste. Sebbene pianga le sue perdite, Giobbe le accetta con grazia, filosoficamente e senza mettere in discussione la volontà di Dio:

« Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo
vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
sia benedetto il nome del Signore! »
(Giobbe 1:21)

Sotto l'autorità di Dio, Satana mette alla prova Giobbe una seconda volta, coprendo il suo corpo di piaghe. Rifiutando inizialmente il comando della moglie di "blasfemare Dio e morire", Giobbe mantiene la sua fede (Giobbe 2:9). Quando la sua sofferenza non si placa e falliscono i tentativi degli amici di consolarlo con la loro fede, Giobbe comincia a protestare disperato: "Ma io non terrò chiusa la mia bocca, parlerò nell'angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell'amarezza del mio cuore!" (Giobbe 7:11).

È la natura della protesta di Giobbe, la disperazione raggiunta quando si è spinti al limite assoluto della fede, o l'angoscia nel vedere crollare il fondamento della fede, che collega la figura biblica di Giobbe alla figura del ventesimo secolo di Elie Wiesel. Bambino ebreo devotamente religioso le cui convinzioni ideologiche e comprensione della sua fede furono dolorosamente compromesse quando arrivò ad Auschwitz-Birkenau, e scrittore prolifico sulla sua esperienza della Shoah, Wiesel nei suoi scritti si allea con Giobbe. Nel suo primo libro La Nuit (Night), che testimonia la sua esperienza dell'Olocausto, Wiesel rievoca le conversazioni udite nel campo su Dio e il mistero delle sue vie e ricorda la rabbia e la ribellione che si accumulavano in lui. "As for me, I had ceased to pray. I concurred with Job! I was not denying His existence, but I doubted His absolute justice" (Wiesel Night:45). Wiesel non discute il suo calvario ad Auschwitz come una prova progressiva nello stesso modo in cui l'esperienza di Giobbe fu una prova della sua fede, ma si identifica esplicitamente con la rabbia e la frustrazione di Giobbe per l'apparente silenzio di Dio durante la sua sofferenza. A differenza della protesta di Giobbe che si evolve gradualmente attraverso le sue prove, Wiesel presenta la sua crisi religiosa in Night come un rifiuto molto improvviso e definitivo delle credenze che aveva precedentemente dato per scontato (Wiesel Night:34).

Nel tracciare paralleli tra l'esperienza dell'Olocausto e le Scritture Ebraiche nella teologia dell'Olocausto, è il racconto di Giobbe che diventa l'esperienza più familiare e rilevante per gli ebrei sofferenti dei campi. Diversi teorici hanno fatto il collegamento tra l'Olocausto e le Scritture, dai teologi ebrei Martin Buber e Irving Greenberg a Steven Kepnes (Kepnes 2002:36-55). Mosè, come Giobbe, è messo alla prova e soffre con i suoi compagni israeliti che libera dall'Egitto. Come Giobbe, anche Mosè sfida Dio per aver permesso il maltrattamento del Suo popolo; Giobbe però è significativo per la sua sofferenza, Mosè per la sua vittoria. All'interno delle teologie dell'Olocausto che discutono dell'assenza di Dio, del Suo volto nascosto o addirittura della Sua morte durante la sofferenza del popolo ebraico, Giobbe diventa la figura più appropriata e la sua sofferenza è la sofferenza con cui le vittime dell'Olocausto si identificano più esplicitamente. Wiesel, come tanti ebrei d'Europa, non poteva essere sicuro che ci sarebbe stata un'altra generazione di ebrei europei se Hitler avesse realizzato in pieno la sua intenzione di liberare l'Europa dall'ebraismo. Wiesel ha insistito in All Rivers Run to the Sea che gli ebrei di Sighet furono abbandonati dal resto del mondo, che avrebbe potuto avvertire gli ingenui ebrei della città delle intenzioni omicide dei nazisti.

« Had we been told that the road from the ghettos led to the railroad stations, and that the trains’ destination was Auschwitz, had we been told what Auschwitz meant, many Sighet Jews would have chosen to go underground — and thereby would have survived. »
(Wiesel All Rivers:63)

In Night, tuttavia, Wiesel è più esplicito nei sentimenti degli ebrei sull'orlo della morte. "His cold eyes stared at me. At last, he said wearily: ‘I have more faith in Hitler than in anyone else. He alone has kept his promises, all his promises, to the Jewish people’" (Wiesel Night 80- 81). Nonostante Mosè sia la figura più forte ed eroica della storia ebraica che discute con Dio, combatte e ha successo, è il più debole Giobbe, il cui dolore sembra maggiore e che viene ricompensato solo dopo essere stato completamente distrutto dalle prove di Dio, che diventa una figura ebraica modello di sofferenza nel campo della teologia dell'Olocausto e nella letteratura di Elie Wiesel.

La figura di Giobbe è presente in La ricerca dlle radici (Search), un'antologia di testi che Levi compilò e che ritenne di importanza e di significato personale. Pubblicata alla fine della sua vita e della sua carriera di scrittore, l'antologia inizia con un estratto da Giobbe, indicando che la traiettoria tematica della sua raccolta, che comprende scrittori ebrei e sopravvissuti all'Olocausto, inizia con Giobbe, l'epitomico sofferente ebreo.

« Why start with Job? Because this magnificent and harrowing story encapsulates the questions of all ages, those for which man has never to this day found an answer, nor will he ever find one, but he will always search for it because he needs it in order to live, to understand himself and the world. »
(Levi Search:11)

Il tono teologico della spiegazione di Levi riguardo alla sua scelta di Giobbe, ha risonanza con l'uso che Wiesel fa della storia nella sua stessa narrativa. La decisione di Levi di non fare riferimento a Giobbe nella sua narrativa dell'Olocausto è curiosa quando invece attribuisce un tale significato al testo nei suoi scritti successivi. Levi riconosce nella sua breve introduzione al testo che le domande che Giobbe pone non hanno risposte, quindi lo scienziato e l'ateo potrebbero trovare il testo inquietante e problematico da discutere esplicitamente con l'esperienza dell'Olocausto, come fa Wiesel. Mentre Wiesel trae influenza dall'interrogazione teologica della sofferenza di Giobbe, Levi preferisce chiaramente evitare tali questioni religiosamente problematiche e discute il Libro di Giobbe come influenza letteraria e culturale.

Dove Giobbe e Mosè hanno successo e Wiesel fallisce, è nel ricevere un qualsiasi segno di risposta da Dio. Giobbe potrebbe non comprendere le sue prove, o le vie di Dio, ma almeno sa che le sue proteste sono state ascoltate: "Il Signore riprese e disse a Giobbe: Il censore vorrà ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda!" (Giobbe 40:1-2). L'implicazione all'interno delle Scritture Ebraiche è che la protesta apre un dialogo con Dio, che alla fine si prende cura e interviene a favore del Suo popolo. Per Wiesel questa convinzione si sgretola nel silenzio divino di Auschwitz. La fede di Wiesel e la sua relazione con Dio non si riconciliano facilmente come quella di Giobbe, quando Giobbe viene ricompensato per la sua fede e ripagato per le sue perdite. Wiesel, come scrittore, ebreo e sopravvissuto all'Olocausto, rappresenta la rabbia, la protesta e la disperazione degli ebrei d'Europa: le persone profondamente religiose che si trovano ad affrontare lo sterminio e non sanno se il loro Dio li vede o no, o se Egli ha permesso un altro olocausto.

È stato notato da Oliver Leaman che sia Wiesel che gli autori delle Scritture Ebraiche scrivono narrazioni specifiche per i lettori e non necessariamente mettono in relazione fatti esatti e dettagli storicamente accurati. Leaman (Evil and Suffering in Jewish Philosophy, 1995, p. 23) scrive di Giobbe:

« Many commentators have argued over the authenticity of parts of the text, which they have sought to reorganise in accordance with their interpretation, and there is little doubt that the text as a whole does seem to lack something in coherence. The Septuagint version tones down the aggression of Job and makes him out to be far more submissive than he is in the Hebrew version. »
(1995, p. 23)

Le questioni di autenticità narrativa, qui esemplificate da Giobbe, sono fortemente legate all'accuratezza e all'intento autoriale all'interno della testimonianza. Levi è esplicitamente consapevole di questi problemi ed è selettivo nel suo linguaggio e nel contenuto tematico della sua letteratura testimoniale: "It is natural and obvious that the most substantial material for the reconstruction of truth about the camps is constituted by the memories of the survivors. Beyond the pity and indignation they arouse, they should also be read with a critical eye" (Levi Drowned:6-7). La letteratura di Wiesel, tuttavia, riflette le questioni relative alla negoziazione dell'equilibrio tra ricordi storici e traumatici e traiettorie emotive. Come le prime traduzioni delle Scritture ebraiche, Night di Wiesel ha subito modifiche significative dal suo primo manoscritto ed è discutibile che parte dell'accuratezza e della realtà dell'esperienza siano mascherate dal linguaggio poetico della versione finale. Un esempio ben noto di questa creatività letteraria è il ricordo di Wiesel in merito alla sua prima notte al campo, di fronte al fumo dei camini dei forni crematori e a una fossa ardente dove bruciavano bambini; notte che egli afferma eloquentemente, "consumed my faith forever" (Wiesel Night:34). Nonostante questo risoluto rifiuto di una fede così profondamente radicata in lui, emerge, attraverso pubblicazioni e interviste successive, che la fede di Wiesel non è stata assolutamente consumata dalle fiamme dei crematori di Auschwitz. In un'intervista nel 1987, affermò: "I have never forsaken it [faith], and it has never forsaken me. Whatever has been shaken has been shaken within faith, for faith has always been present" (Wiesel Evil:12). La natura della fede di Wiesel e il suo rapporto con Dio possono essere cambiati irrevocabilmente e complicati dalla sua esperienza dell'Olocausto, ma non sono stati distrutti, come forse implicato agli inizi, nella sua prima esperienza letteraria. Leaman osserva di nuovo che come Giobbe, Wiesel, nonostante le sue proteste, mantiene una fede in Dio, non importa quanto fratturata:

« What makes Wiesel's work so interesting and artistically effective, is that he maintains both that God is dead and that he is still alive. God is shown to have ignored the plight of his people, and at the same time he is said to be caring. It is worth pointing here, as Wiesel does, to the similarity with Job, who also attacks the notion of a caring God while at the same time apparently hanging on to it. »
(1995:208-09)

L'interpretazione da parte di Leaman dell'opera di Wiesel è chiaramente diversa da come lo stesso Wiesel difende le sue convinzioni. Tuttavia, il linguaggio e la licenza creativa che Wiesel manipola nella sua letteratura costruiscono una forte identità di protesta religiosa. Le osservazioni di Leaman e il confronto tra il libro di Giobbe e la letteratura di Wiesel, sono dimostrativi della parità tra i testi nell'immagine evocata dell'ebreo sofferente.

Sia Levi che Wiesel soffrirono una crisi di identità religiosa nel loro confronto con la Shoah. Per Levi questo fu nella sua determinazione a tenere separati gli eventi a cui stava assistendo e qualsiasi nozione di Dio, nonostante tutta la disperazione religiosa e le manifestazioni di preghiera da cui era circondato.

« Kuhn is thanking God because he has not been chosen.
Kuhn is out of his senses. Does he not see Beppo the Greek in the bunk next to him, Beppo who is twenty years old and is going to the gas chamber the day after tomorrow and know it and lies there looking fixedly at the light without saying anything and without even thinking any more? Can Kuhn fail to realize [sic] that next time it will be his turn? »
(Levi Man:135-36)
Crematorio a Dachau, maggio 1945
Ex prigionieri del Sonderkommando di Dachau fotografati dagli Americani mentre eseguono una dimostrazione della tecnica usata per introdurre i cadaveri nei forni crematori ora spenti (1945)

La sofferenza di Wiesel era inizialmente l'opposto di quella di Levi. Come Giobbe, stava cercando di dare un senso a un sistema di credenze che aveva a lungo sostenuto ma che stava fallendo davanti a lui e lottava per mantenere la sua fede in un Dio buono, in un paesaggio con ben poca indicazione della presenza di un qualsiasi Dio. Nel suo tentativo di tenere la religione e Dio fuori dalla sua comprensione dell'Olocausto, Primo Levi non si allea con Giobbe o con qualsiasi altro ebreo biblico sofferente. Tuttavia, ne I sommersi e i salvati (Drowned) fa riferimento alla figura biblica di Caino. In una differenza tematica con il collegamento di Wiesel della sofferenza di Giobbe con quella degli ebrei vittime dell'Olocausto, Levi guarda a Caino, il "fratello cattivo" rifiutato da Dio, per un parallelo con gli ebrei sofferenti dell'Olocausto, mentre discute delle vittime ebree del Sonderkommando corrotte dalla loro alleanza forzata con le SS. Nel capitolo intitolato The Grey Zone (La Zona Grigia), Levi parla dei cosiddetti prigionieri "privilegiati" dei campi e dei ghetti. Tra questi ricorda gli ebrei di Auschwitz che formarono il Sonderkommando, l'unità di prigionieri in continua evoluzione responsabile della gestione delle camere a gas e dei forni crematori. Levi è consapevole dell'ironia di usare il termine "privilegiato" per descrivere questi prigionieri, per lo più ebrei, che per cibo e alcol extra devono costringere i nuovi arrivati, i loro coetanei e talvolta anche le loro famiglie, nelle camere a gas e smaltire i loro cadaveri dopo le loro morti.

In questo capitolo Levi riflette sull'idea di collaborazione con gli assassini nazisti e fino a che punto questi collaboratori che cercavano disperatamente di proteggersi dagli orrori che li circondavano siano di fatto colpevoli. Nel caso del Sonderkommando, Levi si discosta dalla sua tipica voce misurata e con un malcelato disprezzo (verso le SS) ricorda la storia di alcuni prigionieri veterani del Sonderkommando arruolati per giocare una partita di calcio contro le SS. Il sentimento di Levi sulla continua disumanizzazione di questi prigionieri attraverso l'alleanza delle SS con loro è tangibile. "You are like us, you proud people, dirtied with your own blood, as we are. You too, like us and like Cain, have killed the brother. Come, we can play together" (Levi Drowned:38). Qui Levi fa l'associazione biblica, non con un ebreo sofferente che viene punito senza ragione da Dio ma rimane credente, ma con Caino, le cui offerte a Dio vengono respinte in favore del fratello Abele. Questa associazione può essere letta come simbolica dell'Olocausto in generale, l'idea che forse Dio ha rifiutato la propria Alleanza con il popolo ebraico in favore di un altro popolo. Levi non spiega questo punto, ma il suo indicare la figura di Caino mostra che si impegna con la storia biblica e la Scrittura per inquadrare il suo calvario dell'Olocausto come fa Wiesel, sebbene siano da punti di vista molto diversi.

L'Olocausto e lo studio contemporaneo dell'Olocausto hanno indotto un ritorno alle Scritture e alla letteratura biblica e il Libro di Giobbe offre in particolare alcuni brani che ora appaiono dolorosamente rilevanti per l'Olocausto.

« Se un flagello uccide all'improvviso,
della sciagura degli innocenti egli ride.
La terra è lasciata in balìa del malfattore:
egli vela il volto dei suoi giudici;
se non lui, chi dunque sarà? »
(Giobbe 9:23-24)

Questo è il lamento di Giobbe nella sua ricerca di un segno che il suo Dio sia consapevole della sua sofferenza e questo grido è immaginabile nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau. Levi si è impegnato in una certa misura con le Scritture nelle sue opere e informano la sua identità e la sua posizione religiosa nella misura in cui rifiuta una credenza religiosa. Wiesel fa affidamento sulle Scritture, e in particolare sul Libro di Giobbe, per costruire la sua protesta. Wiesel, "l'ebreo che protesta", è un'immagine e un'identità formata e attribuita a lui attraverso la traiettoria del suo primo testo – La Nuit – in particolare. Wiesel ha dimostrato la capacità come scrittore e sopravvissuto di utilizzare l'interesse post-Shoah per la teologia e la traiettoria della vittima del sopravvissuto, per costruire un'identità letteraria che si basa fortemente sulla sua storia religiosa, in un modo che Levi ha rifiutato. Questa è una connessione retrospettiva che viene fatta tra l'Olocausto e le prove e le distruzioni all'interno delle Scritture, e mentre questi eventi biblici possono essere letti come precedenti letterari, non è difficile trovare echi della sofferenza di Giobbe nei prigionieri sofferenti di Auschwitz quando si guarda indietro attraverso il Scritture con tale intenzione.

Ingrandisci
Camera a gas di Auschwitz I
"Non ci sarà giustizia fino a che un uomo brandirà un coltello o un'arma per distruggere coloro che sono più deboli di lui" ~Isaac Bashevis Singer
Per approfondire, vedi Interpretazione e scrittura dell'Olocausto e Serie misticismo ebraico.