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Shoah e identità ebraica/Patrimonio letterario

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Bambino ebreo morente, ghetto di Varsavia 1941

Il patrimonio letterario d'Oriente e d'Occidente nella narrativa dell'Olocausto

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Nel seguire i patrimoni culturali e letterari che sono stati tracciati lungo tutto il periodo della tarda Modernità, sono visibili due percorsi diversi che Levi e Wiesel seguono e proseguono nelle loro narrazioni dell'Olocausto. L'influenza su Wiesel dei temi religiosi e delle forti identità ebraiche orientali di Aleichem e Singer, è stata discussa nel Capitolo 2. Negli interrogativi teologici e nelle preoccupazioni di Wiesel per la sua fede ebraica e per le sue domande su Dio, è chiaro che questa forte influenza metafisica è conservata in tutta la sua letteratura sull'Olocausto. Nonostante la disperazione che Wiesel rappresenta nella sua narrazione, è chiaro che la comunità religiosa ebraica dell'Europa orientale di cui faceva parte a Sighet è molto di conforto e fonte di familiarità per lui ad Auschwitz. La figura di se stesso che Wiesel rappresenta in La Nuit (Night) è probabilmente paragonabile a una figura letteraria di Aleichem, vicino alla sua comunità, un ebreo orgoglioso, ma alle prese con problemi su Dio, su dove Egli sia e sulla Sua giustizia. C'è un forte stile religioso, metafisico e molto letterario nell'opera di Aleichem e, ultimamente, di Wiesel.

Gli scritti di Aleichem, come quelli di Wiesel, discutono la vita e la cultura ebraiche minacciate, così come la letteratura di Singer, soprattutto quando affronta la Shoah nelle sue storie e la successiva frammentazione dell'identità ebraica. L'elemento metafisico che Wiesel condivide con Aleichem emerge attraverso l'inclusione di Dio non solo nella storia ma nelle conversazioni e nei pensieri coscienti degli autori. Levi discute la religione e Dio come ideologie, ma la divinità non è trattata come una figura presente nella narrazione come invece è nell'opera di Aleichem e Wiesel. Aleichem scrive, come Tevye, nella sua storia Tevye il Lattaio (Tevye the Dairyman - yiddish: טבֿיה דער מילכיקער‎, Tevye der milkhiker): "a Kishinev, a constitutizia, more pogroms, more sorrows and disasters – ach Father of the Universe, God in Heaven!" (2009:83). La risposta esclamativa di Aleichem ai problemi degli ebrei trova eco nella protesta di Wiesel per il loro calvario ad Auschwitz: "What does Your grandeur mean, Master of the Universe, in the face of all this cowardice, this decay, and this misery?" (Wiesel Night:66). Questo dialogo, o tentativo di dialogo, con Dio che Wiesel e Aleichem aprono nelle loro narrazioni ha chiare radici nelle Scritture bibliche poiché Mosè, Abramo e Giobbe soffrono tutti ma suscitano una risposta da parte di Dio. Sebbene Wiesel adotti l'identità di Giobbe, il critico letterario Dan Miron sostiene che questa identità non viene trasmessa tramite Aleichem nonostante il lamento di Tevye per la sua sfortuna e l'identità di vittima che propaga:

Zero Mostel nei panni di Tevye (1964)
« Tevye's self-serving need to view himself as a latterday Job (because he wishes to see himself, like the great biblical sufferer, not at all responsible for the disasters that befall him) is rooted in nothing like Job's moral courage, let alone readiness for a confrontational (and therefore vital) I-Thou dialogue with God such as the Bible ascribes to such moral paradigms as Abraham, Moses, Jeremiah and Job. »
(Aleichem 2009:xiv)

L'identità letteraria di Wiesel segue chiaramente la struttura di Aleichem che si occupa della storia ebraica e dell'ebreo sofferente. Sebbene Miron affermi che Aleichem non si adatta al modello di Giobbe, entrambi gli autori seguono la struttura metafisica letteraria e religiosa di impegnarsi con Dio stabilita nelle Scritture. Parimenti, sia Aleichem che Wiesel, ebrei dell'Est dell'Europa, si impegnano con la loro storia ebraica di vittimizzazione e persecuzione, che continuò in Oriente sporadicamente durante la vita di Aleichem e in quella di Wiesel.

L'identità culturale occidentale e assimilata di Primo Levi e l'ambivalenza sulla sua religione, una fede che non gli è stata insegnata con alcun vero impegno o zelo, riecheggia l'identità del collega scrittore ebreo Franz Kafka. La letteratura di Kafka è fatta di paesaggi desolati, esistenze fredde e prive di emozioni e un atteggiamento materialista che considera il comportamento umano dall'esterno.

« One winter morning – outside the snow was falling in dreary light – K. sat in his office feeling utterly tired in spite of the early hour. To shield himself, from junior officials at least, he had given his clerk an order not to admit any of them as he was busy with an important piece of work. But instead of working he shuffled about in his chair, slowly pushed some objects around on his desk, and then, without being conscious of it, left his arm outstretched on the desk-top and sat motionless with his head bowed. »
(Kafka 1994,2000:89)

Anche Levi, scegliendo di assumere il ruolo di testimone, ha prodotto una narrazione dell'Olocausto che descrive un paesaggio di desolante disperazione e una popolazione di "mussulmani" senza emozioni.

« To sink is the easiest of matters; it is enough to carry out all the orders one receives, to eat only the ration, to observe only the discipline of the work and the camp. [...] All the mussulmans who finished in the gas chambers have the same story, or more exactly no story; they followed the slope down to the bottom, like streams that run down to the sea. »
(Levi Man:96)

L'identità religiosa di Kafka era fatta di ambivalenza e di momenti di sporadico interesse. La vita di Levi rifletteva questa educazione assimilata e semi-secolare e le questioni religiose e teologiche sporadiche e ambivalenti su cui Levi riflette nella sua narrativa della Shoah riflettono queste questioni. La testimonianza di Levi non è priva di questioni di fede e di identità religiosa. In effetti, discute frequentemente delle manifestazioni di fede ad Auschwitz, che è naturale nel suo ruolo di testimone della più vasta persecuzione degli ebrei nel mondo e in un ambiente in cui è circondato dalla fede e dagli ebrei religiosi. Le discussioni di Levi sulla fede hanno luogo dall'esterno; non appartiene alle masse religiose di Auschwitz e scrive sia come un "altro" sia con un atteggiamento materialista. L'affermazione di Levi era che Auschwitz venne creato dall'uomo e che Dio non doveva essere un fattore nel tentativo di spiegare o comprendere l'Olocausto (Levi Man:136). Come osserva Young (citato in Bos):

« ...the survivors' present-day location vis-à-vis the competing discourses of gender, class, Jewishness and their ensuing ways of acting in, looking at, describing and experiencing the world need to be considered as central to the narratives they will produce. »
(Bos 2003:184)

Poiché la letteratura ebraica della Modernità ha creato una divisione tra gli scrittori ebrei dell'Oriente e dell'Occidente, ha creato quindi due diversi lignaggi culturali e letterari che sono evidenti nella letteratura di Wiesel e Levi. Le vite di Wiesel e di Levi convergono ad Auschwitz, rappresentando l'Oriente e l'Occidente che confluiscono in un momento significativo alla fine dell'era della Modernità. Le narrazioni della Shoah prodotte in risposta a questo evento comportano le divisioni culturali, religiose e letterarie che hanno separato gli ebrei dell'Est e dell'Ovest dell'Europa per secoli prima di questo evento.

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Esecuzione di ebrei nella Polonia occupata (1939-45)


Per approfondire, vedi Interpretazione e scrittura dell'Olocausto.