Lombardo/Letteratura
Al giorno d'oggi, la mancanza di uno standard e di una coscienza collettiva lombarda, rende assai arduo stilare una storia sistematica e coerente delle esperienze letterarie in lingua lombarda. Sostanzialmente si è sempre sviluppato un dualismo tra Milano da una parte e Bergamo e Brescia dall'altro. Nel corso del XX secolo (ma già alla fine del XIX) sono sorte poi realtà provinciali e locali che hanno ulteriormente complicato il quadro. Possiamo dire che oggigiorno esiste una letteratura municipale per ogni capoluogo provinciale lombardo (più Crema).
Qui di seguito proporremo un breve itinerario globale della storia della letteratura in lombardo, corredandolo di alcune citazioni degli autori più rilevanti.
L'ortografia utiloizzata è quella milanese classica
Cenni storici sulla letteratura lombarda
[modifica | modifica sorgente]La fase antica (XIII-XIV secolo)
[modifica | modifica sorgente]I primi scritti in un volgare di area lombarda risalgono al XIII secolo: si tratta soprattutto di opere di carattere didascalico-religioso, come il Sermon Divin di Pietro da Bascapè.
Tuttavia all'epoca l'influenza dei trovatori occitani era molto forte, per cui molti poeti preferivano utilizzare la lingua d'oc per i loro componimenti. Uno degli esempi più celebri è Sordello da Goito, ricordato anche da Dante Alighieri.
Il poeta più famoso di questo periodo è però il milanese Bonvesin de la Riva, frate terziario dell'ordine degli Umiliati: a lui si deve un gran numero di componimento di tipo morale e didascalico, oltre che il Libro delle Tre Scritture, in cui si descrive l'Inferno, la Passione di Cristo e il Paradiso.
Altri poeti rilevanti sono Gerardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Salimbene de Adam. Abbiamo anche alcuni componimenti anonimi, come la lodigiana Leggenda di San Bassiano.
La lingua utilizzata da Bonvesin e dai suoi contemporanei, benché sia chiaramente di impronta settentrionale, non può essere considerata però una riproduzione fedele della lingua del tempo: vi sono presenti molti prestiti dall'occitano e dal toscano, e anche la forma grafica risente di alcuni toscanismi (come le terminazioni in -o per i sostantivi e i nomi maschili).
Attorno al 1390 abbiamo una delle prime testimonianze di volgare dell'area bresciana, cioè un'anonima Passio Christi in versi, da cantare a due voci:
Il periodo intermedio (XV-XVII secolo ca.)
[modifica | modifica sorgente]Nei secoli successivi, il prestigio del toscano letterario soppianta l'uso dei volgari settentrionali che, pur con una patina toscaneggiante, erano stati usati anche in ambito cancelleresco e amministrativo. Tra Quattrocento e Cinquecento alcuni letterati toscani (come Luigi Pulci e Benedetto Dei) ci fanno pervenire, sotto forma di parodia, alcuni aspetti linguistici della lingua parlata a Milano, ma non si tratta di composizioni poetiche di rilievo letterario; ciò vale anche per il milanese parodizzato in un'opera dell'astigiano Giangiorgio Allione. L'umanista fiorentino Leonardo Salviati (1540-1589), uno dei fondatori dell'Accademia della Crusca, pubblica una serie di traduzioni in diversi volgari (tra cui bergamasco e milanese) d'una novella boccaccesca, al fine di dimostrare quanto siano brutti e sgraziati al confronto col toscano.
A partire dal Cinquecento cominciano a esserci le prime avvisaglie della letteratura lombarda: in area orientale troviamo le poesie satiriche del bergamasco Giovanni Bressani (1489-1560) e la Massera da bé, una "frottola" (sorta di dialogo teatrale) del bresciano Galeazzo Dagli Orzi (1492-?); in area occidentale abbiamo invece la produzione poetica dei Rabisch ("arabeschi") a opera della Accademiglia dra Val d'Bregn, sotto la direzione del pittore manierista Giampaolo Lomazzo (1538-1592).
All'inizio del XVII secolo opera il milanese Fabio Varese (che viene spesso indicato dalla critica letteraria come "poeta maledetto" ante litteram), morto nel 1630 di peste. Nel 1610 esce il Varon milanes, sorta di dizionario etimologico di un discreto numero di parole milanesi, a opera dell'ossolano Giovanni Capis, il quale inoltre scrive come introduzione una serie di sonetti in milanese.
A questo trattatello viene aggiunto in seguito il Prissian di Giovanni Ambrogio Biffi: testo completamente in milanese in cui per la prima volta si affronta la questione della pronuncia e della grafia.
L'età dell'oro (1600-1900 ca.)
[modifica | modifica sorgente]1600
[modifica | modifica sorgente]Il Seicento vede poi affermarsi sulla scena il talento di Carlo Maria Maggi (1630-1699), figura di spicco della Milano spagnola. Egli contribuisce a normalizzare la grafia milanese e con le sue commedie e poesie inaugura una tradizione letteraria che dura anche oggi. Il Maggi è anche il creatore e codificatore del personaggio di Meneghino, la maschera di Milano: egli, servitore saggio, laborioso, cordiale e di buon senso, rappresenta tutte le virtù tradizionali del popolo milanese.
Amico e corrispondente del Maggi è il librettista lodigiano Francesco De Lemene (1634-1704), autore della commedia La sposa Francesca (prima opera letteraria in lodigiano moderno) e di una traduzione della Gerusalemme liberata. Tutte le sue opere in lombardo sono uscite postume.
Nella Lombardia orientale (allora sotto il dominio veneziano), abbiamo autori come il bresciano Giovanni Gandini (1645-1712/1720) e il bergamasco Carlo Assonica (1626-1676). Quest'ultimo realizza nel 1670 una celebre traduzione integrale della Gerusalemme Liberata del Tasso, che costituisce la più importante opera letteraria bergamasca del XVII secolo.
Si diffondono anche le prime bosinate, poesie popolari d'occasione scritte su fogli volanti, affisse nelle piazze o lette (o anche cantate) in pubblico, le quali avranno un gran successo e diffusione fino ai primi decenni del Ventesimo secolo.
1700
[modifica | modifica sorgente]Nel Settecento si succedono alcuni nomi di rilievo, come i milanesi Carlo Antonio Tanzi (1710-1762) e soprattutto Domenico Balestrieri (1714-1780), a cui si associano una serie di figure minori. Tra di essi possiamo annoverare, in area milanese: Giuseppe Bertani, Girolamo Birago (1691-1773) e Francesco Girolamo Corio (1720-1790). Anche il celebre poeta Giuseppe Parini (1729-1799) scrive più di un componimento in lombardo. Fuori Milano, ci troviamo davanti a un tentativo di commedia in bustocco, la Mommena bustese, ad opera del canonico Biagio Bellotti (1714-1789). A Brescia abbiamo il canonico Carlo Girelli (1730-1816), autore di poesie d'occasione. Uno dei più importanti autori del periodo è l'abate bergamasco Giuseppe Rota (1720-1792), autore di un corposo vocabolario (inedito) bergamasco-italiano-latino e diverse opere poetiche in bergamasco, da lui chiamato sempre "lingua".
In questo periodo, le caratteristiche linguistiche del lombardo sono ormai ben riconoscibili e assimilabili a quelle odierne, salvo alcune particolarità fonetiche e la presenza del passato remoto. La maggior parte degli autori milanesi fa parte dell'alta società milanese, ricca e colta, che utilizza il lombardo più per divertimento che per una reale necessità espressiva. Tuttavia, in una celebre polemica letteraria con l'abate toscano Branda (che aveva trattato con disprezzo il milanese, a discapito del toscano), emerge l'orgoglio per una lingua considerata schietta e diretta, in qualche modo più sincera ed espressiva dell'italiano letterario e classicista. Posizione d'altronde già espressa da tempo, sia nelle opere del Maggi che addirittura nel Varon Milanes e nel Prissian.
1800
[modifica | modifica sorgente]L'inizio dell'Ottocento è dominato dalla figura di Carlo Porta (1775-1821), il più importante autore della letteratura lombarda, inserito tra i grandi anche della letteratura nazionale. Con lui si raggiungono alcune delle più alte vette dell'espressività in lombardo, che emergono chiaramente in capolavori universalmente riconosciuti come La Ninetta del Verzee. Il Porta diventerà uno dei modelli assoluti di tutta la produzione poetica successiva.
Nell'epoca portiana convivono anche altri autori, come il pittore Giuseppe Bossi (1777-1815), il curato di Solaro Carlo Alfonso Pellizzoni (1734-1818), e soprattutto Tommaso Grossi (1790-1853). Quest'ultimo, amico di Manzoni e grande ammiratore del Porta, scriverà opere di tipo satirico contro il governo austriaco (La Prineide), romanzi in versi (La fuggitiva) e tentativi di traduzione di opere classiche (La pioggia d'oro).
La produzione poetica milanese è di tale grandezza 1815 lo studioso Francesco Cherubini può già dare alle stampe una prima antologia in dodici volumi, che partiva dal Seicento sino ai suoi giorni.
L'Ottocento è uno dei secoli più floridi per la letteratura lombarda, non solo milanese. Per esempio, a Pavia operano il tipografo Giuseppe Bignami (1799-1873) e il professore di ginnasio Siro Carati (1794-1848); a Como invece abbiamo Giovanni Rezzonico (1789-1875). Accanto alla poesia, si sviluppa anche il teatro (soprattutto nell'epoca postunitaria), e anche qualche tentativo di scrittura in prosa. Ha molto rilievo anche la produzione lessicografica. In questo senso, il capolavoro è il Vocabolario Milanese di Francesco Cherubini, che costituisce una sorta di enciclopedia sulla lingua e la cultura milanese. Su questa scia è anche il Vocabolario dei dialetti bergamaschi di Antonio Tiraboschi.
Tra i poeti principali del periodo possiamo annoverare il medico milanese Giovanni Rajberti (1805-1861) e il bergamasco Pietro Ruggeri da Stabello (1797-1858; definito dal Tiraboschi il Porta bergamasco). Un altro poeta bergamasco dell'epoca è Luigi Benaglio (1843-1908).
Il XIX secolo vede soprattutto il trionfo del teatro in lombardo. Tra gli autori del teatro possiamo annoverare Cletto Arrighi, Luigi Illica (1857-1919), Decio Guicciardi (1870-1918), Gaetano Sbodio (1884-1920), Edoardo Ferravilla (1846-1914) e Carlo Bertolazzi. L'Arrighi, tra i fondatori della Scapigliatura, sarà anche autore di un pratico dizionario milanese-italiano. Tra gli autori in prosa invece troviamo Emilio De Marchi.
La produzione letteraria milanese in questo secolo dunque è assai prolifica: nel 1891 il librettista Ferdinando Fontana, pubblica una nuova antologia poetica. Essa è molto preziosa perché spesso è l'unica fonte che documenta la biografia e le opere di alcuni autori minori.
Al giorno d'oggi (1900-...)
[modifica | modifica sorgente]Nel primo Novecento opera invece l'avvocato milanese Delio Tessa, che si discosta dalla tradizione portiana e imprime alla letteratura milanese una forte impronta espressionista. A Bergamo invece opera Bortolo Belotti (1877-1944), avvocato, storico e ministro in alcuni governi liberali.
Altre figure di rilievo sono il varesino Speri Della Chiesa Jemoli (1865-1946), il bresciano Angelo Canossi (1862-1943), il maestro di scuola lodigiano Gian Stefano Cremaschi (1853-1935), i bergamaschi Bortolo Belotti (1877-1944) e Giacinto Gambirasio (1896-1971), il chiavennasco Giovanni Bertacchi (1869-1942), i lecchesi Uberto Pozzoli (1901-1929) e Luigi Manzoni (1892-1979) e i milanesi Giovanni Barrella (1884-1967) e Luigi Medici (1888-1965).
Si discosta dalla tradizione letteraria milanese - anche dal punto di vista della grafia - Franco Loi (nato nel 1930), che tuttavia risulta essere uno degli autori più originali del secondo Novecento. In area ticinese abbiamo l'opera di Giovanni Orelli (nato nel 1928), che scrive nella variante della Val Leventina.
Nel campo teatrale, a partire dal Secondo Dopoguerra ha un grande successo (anche fuori dai confini regionali, complice forse anche una progressiva italianizzazione della lingua adoperata per i dialoghi) la compagnia dei "Legnanesi" di Felice Musazzi (1921-1989).
Attualmente sono presenti molti concorsi di poesia in ogni provincia lombarda (e oltre i confini regionali). Associazioni come il Circolo Filologico Milanese, la Famiglia Bosina, la Famiglia Bustocca e il Ducato di Piazza Pontida garantiscono ogni anno alcune piccole iniziative letterarie. Non mancano nemmeno traduzioni (più o meno fedeli o riadattate) di grandi classici della letteratura: numerose sono le versioni in lombardo di opere quali Pinocchio, I Promessi Sposi, la Divina Commedia e, nella letteratura religiosa, i Vangeli. Manca però, forse, una grande figura letteraria come quella dei secoli passati.
Sulla canzone lombarda
[modifica | modifica sorgente]Nel corso del Novecento, si sviluppa anche una produzione canora lombarda. Dopo le raccolte di canti popolari (per esempio delle mondine, o i canti delle osterie, che spesso fanno il verso alle più celebri arie dei melodrammi), incontriamo Giovanni D'Anzi, milanese di seconda generazione, che negli Anni Trenta scrive e compone la più famosa canzone lombarda di tutti i tempi: La Madonina.
Nel Secondo Dopoguerra è il turno di Enzo Jannacci (1935-2013) e di Nanni Svampa (prima coi Gufi, poi come solista). Nanni Svampa (nato nel 1938) si dedica a traduzioni delle canzoni francesi di Georges Brassens, oltre che a una raccolta sistematica del patrimonio canoro tradizionale milanese e lombardo. Altre figure di rilievo della canzone milanese "classica" sono il cabarettista Walter Valdi e Nino Rossi.
I testi di Jannacci e Svampa sono spesso intrisi di messaggi politici e di contestazione alla società del loro tempo.
Sulla stessa scia si pone anche Ivan Della Mea (1940-2009), originario di Lucca e convintamente comunista:
Un altro autore originale del periodo è il brianzolo Francesco Magni (nato nel 1949), collaboratore di Svampa.
Altri autori rilevanti sono il milanese Walter Di Gemma (con le sue traduzioni del cantante belga Jacques Brel) e il bergamasco Luciano Ravasio (attento conoscitore della tradizione canora e poetica della sua città). Entrambi gli artisti inoltre dispongono di una produzione originale.
A partire dagli Anni Novanta si assiste a una riviviscenza della canzone lombarda, perlopiù fuori da Milano: più che rifarsi ai modelli tradizionali, questa nuova generazione di artisti cerca di coniugare la lingua del territorio alla musica contemporanea (folk, country, rock, ma non solo). Il principale esponente di questo "movimento" è il comasco Davide Van de Sfroos (nato nel 1965), che riesce a diventare celebre in tutto il Paese, oltre che nel Canton Ticino.
La musica in lombardo conta oggigiorno numerosi artisti in ogni provincia, tra cui varrà forse la pena citare il rapper bresciano Dellino Farmer (nato nel 1983), che ha raggiunto anche una discreta popolarità al di fuori dei confini della sua regione.