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Carmina (Catullo)/101

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Indice del libro


(LA)
« 

Multas per gentes et multa per aequora vectus[1]
     Advenio has miseras, frater, ad inferias[2],
Ut te postremo donarem munere mortis
     Et mutam - nequiquam! - adloquerer cinerem,
Quandoquidem[3] fortuna mihi tete abstulit ipsum,
     Heu miser indigne frater adempte[4] mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
     Tradita sunt tristi munere ad inferias,
Accipe fraterno multum manantia[5] fletu
     Atque in perpetuum, frater, ave atque Vale[6].

 »
(IT)
« 

Trasportato attraverso molti popoli e molti mari,
o fratello, giungo per queste misere offerte
l'ultimo omaggio di morte
e per parlare - invano! - con la muta cenere,
dal momento che la sorte mi ha strappato te,
ahimè, povero fratello ingiustamente strappato a me!
Ora tuttavia in questo momento,
accogli queste cose che ti sono state portate
secondo l'uso degli antenati per le offerte con triste dono
che emanano in abbondanza pianto fraterno,
e, per sempre, o fratello, addio.

 »
(Fonte: → Wikisource )

Note al testo

  1. Vectus è participio perfetto di Veho, vehis, vexi, vehere, III = trasportare.
  2. Anastrofe. Costruisci: Advenio, frater, ad has miseras inferias. Inferiae erano le offerte che si facevano sulla tomba. Qui usate in senso metonimico.
  3. Congiunzione causale.
  4. Participio perfetto di adimo, adimis, ademi, ademptus, adimere, III = togliere, rimuovere, sottrarre.
  5. Participio presente di mano, manas, manaui, manatum, manare, I = bagnare.
  6. Formula di saluto frequente nelle epigrafi.

Analisi stilistica

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Sintesi della poesia

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Il fratello di Catullo era morto nella Troade. Probabilmente Catullo ne visitò la tomba nella primavera del 56 a.C., di ritorno dalla Bitinia.

Il messaggio

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Il poeta Foscolo riprenderà nel suo celebre sonetto In morte del fratello Giovanni (composto nella primavera del 1803 e pubblicato lo stesso anno nel volume dei Sonetti) il tema del compianto del fratello defunto, di cui di seguito si riporta il testo:

In morte del fratello Giovanni

    Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
    Di gente in gente; mi vedrai seduto
    Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
    Il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
    La madre or sol, suo dì tardo traendo,
    Parla di me col tuo cenere muto:
    Ma io deluse a voi le palme tendo;
    E se da lunge i miei tetti saluto,
    Sento gli avversi Numi, e le secrete
    Cure che al viver tuo furon tempesta;
    E prego anch’io nel tuo porto quiete.
    Questo di tanta speme oggi mi resta!
    Straniere genti, l’ossa mie rendete
    Allora al petto della madre mesta.