Carmina (Catullo)/48

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Indice del libro


Testo[modifica]

(LA)
« 

Mellitos oculos tuos, Iuuenti,
Siquis me sinat usque basiare,
Vsque ad milia basiem trecenta,
Nec unquam uidear satur futurus,
Non si densior aridis aristis
Sit nostrae seges osculationis.

 »
(IT)
« Se quei tuoi occhi di miele, Giovenzio,

fosse dato baciarli sempre sempre

trecentomila volte, neanche allora

penserei di saziarmene in futuro,

fosse messe di baci fitta fitta

come mai fu messe di spighe asciutte.

(trad. Mandruzzato)

 »
(Fonte: → Wikisource )

Note al testo

Analisi stilistica[modifica]

Endecasillabi faleci

Il carme 48 è di argomento amoroso ed è dedicato a Giovenzio. Nella raccolta catulliana, infatti, i carmi d’amore non sono riservati alla sola Lesbia. A parte i pochi accenni ad amanti occasionali troviamo altri componimenti amorosi dedicati stavolta ad un ragazzo, Giovenzio appunto. Anche nei pochi versi a lui ri-volti ricorrono motivi già incontrati nei carmi per Lesbia (in questo caso la richiesta di innumerevoli baci), per quanto il tono appaia meno appassionato.

In questo carme il mondo agricolo-rurale è molto presente: l’amore è sempre accostato ad un elemento naturale. Al primo verso, infatti, gli occhi dell’amato sono paragonati alla dolcezza del miele, come in Saffo (128, “oppata mellicra”). L’aggettivo mellitus,di derivazione greca “meilicos”, era usato come vezzeggiativo nel linguaggio. Il verbo basiare si ricollega al sostantivo basia, forse di origine celtica, che compare per la prima volta in Catullo, probabilmente attinto dall’uso popolare. La fortuna di tale termine si estenderà quindi alle lingue romanze, fino a oscurare l’utilizzo dei sinonimi latini più usati, come osculum, con una sfumatura affettiva, e savium, dalla connotazione maggiormente erotica. Nei due versi finali l’atto del baciarsi è assimilato all’immagine della messe attraverso una similitudine, ri-presa da Virgilio.

Al verso 3 si può notare un iperbato, infatti basiem si frappone tra milia e trecenta che concordano tra loro. Si riscontra un altro iperbato al verso 6, dove seges è interposto tra nostrae ed osculationis, anch’essi concordanti. Al verso 2 è presente, invece, una spiccata allitterazione della S (si quis sinat usque basiare). Lo stesso avviene al verso 5 per aridis aristis. Il termine usque viene ripetuto in epanalessi ai vv. 2 e 3. Infine, al verso 3, troviamo milia usato come iperbole.

Sintesi della poesia[modifica]

Il tema[modifica]

Il messaggio[modifica]